Uno
"Figlio di puttana, vorrei ammazzarti qui e ora"
Liam Greyce, ventidue anni, studente universitario. Al momento con la faccia ficcata nel tappeto di casa sua, una mano grossa come la sua testa a schiacciarlo contro di esso.
"Non ho fatto un cazzo, non so niente!"
Il tappeto peloso gli solletica le narici, l'odore della polvere gli entra subito nei polmoni, sua madre aveva ragione a reputarlo sporco.
Comincia a piangere e singhiozzare, chiedendosi cosa avesse fatto di male per essere circondato da poliziotti che stavano rovistando nella sua casa da una buona mezz'ora.
"Mi hai davvero rotto le palle, pervertito bastardo" Una manganellata gli arriva dritta in testa, vede tutto bianco per qualche secondo.
"Cosa ho fatto, cosa ho fatto?" Continua a chiedere Liam, i capelli neri che gli si appiccicano sulla fronte perché sta sudando come non mai, come se fosse colpevole.
"Ti è piaciuto ficcare quel micropene in un cadavere? Quanto ti ha eccitato decapitare il bambino? Spero che in carcere ti facciano la festa, mi fa schifo anche toccarti"
Liam scuote la testa, non crede alle sue orecchie, doveva esserci un errore, stavano prendendo la persona sbagliata.
"Vi giuro che non ho fatto nien-"
"Capo, c'è un riscontro"
Il poliziotto che lo tiene fermo lo strattona per i capelli, tirandogli la testa indietro. Gli occhi verdi di Liam, così pieni di lacrime, sembrano una foresta in pieno diluvio.
"Niente eh, bastardo?"
Il comandante Francisco fa un grandissimo sforzo per non sparargli un colpo in testa, tuttavia non riesce a resistere alla tentazione di tramortirlo con il calcio della pistola.
Da quel momento, Liam Greyce, studente universitario di ventidue anni, diviene il mostro di Colton Hills.
•
La vita di Liam era sempre stata dettata dalla routine, casa, università, lavoro, ripeti.
Un lungo loop per raggiungere gli obiettivi che si era prefissato.
Giorgio, il suo migliore amico, cercava sempre di trascinarlo da qualche parte, ma Liam era troppo impegnato con la sua routine per fare attenzione al mondo esterno e godersi i suoi ventidue anni.
Certo, aveva avuto qualche sbandata, una serata, una ragazza, qualche festa alcolica, ma era sempre tornato alla sua routine, il giorno dopo.
Amava l'arte, i dipinti di Van Gogh in particolare. Era iscritto alla facoltà d'arte, anche se non offriva grandi prospettive era comunque quello che amava fare.
Aveva conosciuto la bellezza di un opera a dodici anni, studiando il Michelangelo. Era come se i corpi che creava fossero sempre stati sotto al marmo, la lucentezza della pelle, la definizione delle vene, ogni cosa trasudava perfezione e spietata realtà.
Per Liam fu amore a prima vista e anche se alla fine aveva scelto l'arte dipinta, guardava ancora con immensa ammirazione gli scultori.
Ma in quel momento, ogni cosa gli sembrava perduta.
La bellezza di un dipinto, l'odore dei colori, la consistenza della tela...
In quel carcere, non c'era bellezza, di nessun tipo.
La gente pisciava nelle docce, si masturbava osservandoti, e se guardavi troppo ti riempiva di botte o ti violentava.
Era lì da dodici giorni e si sentiva morire, come avrebbe fatto a scontare un fine pena mai?
Ancora faticava a capire per quale motivo si trovasse lì, con quattro accuse di omicidio sulle sue spalle esili.
Non aveva mai fatto niente del genere, era sempre stato una brava persona, ma allora perché? Perché a lui?
Lo stato non aveva avuto dubbi, Liam era colpevole. Tracce ematiche, capelli neri e lisci, DNA trovato su una scena del crimine a dir poco raccapricciante.
A due isolati da casa sua si era svolto un massacro.
Un intera famiglia sterminata, due coniugi con i loro bambini di otto e due anni.
Il marito era stato trovato in corridoio con la gola tagliata, in una pozza di sangue. La moglie era stata stuprata solo dopo essere morta, sempre taglio alla gola.
Ai bambini era spettato il destino peggiore, o per meglio dire al figlio maggiore, Cody, otto anni.
Aveva assistito alla morte del suo fratellino, tremando sotto le coperte e osservando tutto da un buco nelle lenzuola, aveva sentito le urla di tutti loro, l'odore della paura, il ticchettio delle scarpe dell'assassino nel corridoio che grondava del sangue di suo padre.
Il giorno prima avevano detto a scuola che certe volte gli animali si fingevano morti per non essere uccisi, non ci aveva capito molto, ma alla fine non funzionò.
Il destino peggiore toccò proprio a lui, che aveva assistito a tutto l'orrore ed era finito con la testa mozzata ai piedi del suo letto, accanto alle macchinine preferite del suo fratellino.
Un orrore senza precedenti quello che aveva colpito il quartiere, sconvolgendo l'intera comunità.
Liam era stato trascinato in un processo lampo, con tutte le prove contro di lui era impossibile trovare un appiglio per scagionarlo.
Aveva ricevuto insulti, minacce di morte, gli hater gli mandavano lettere e bamboline vodoo piene di maledizioni. Perfino i detenuti gli sputavano addosso se attraversava il corridoio.
Perché i bambini no, non si toccano nemmeno per loro, assassini, stupratori e ladri.
Liam si sentiva morto dentro, spettatore inerme della sua vita che cadeva a pezzi, senza una spiegazione, senza uno straccio di indizio.
Chi aveva potuto fargli questo? Come faceva il suo DNA a trovarsi in una casa in cui non era mai stato?
Passava le notti a piangere in silenzio, perché se l'avesse fatto singhiozzando il suo compagno di stanza l'avrebbe pestato a morte.
Geremias l'aveva accettato a patto che fosse stato invisibile, e così stava tentando di fare Liam, tuttavia le notti erano difficili e tormentate, il terrore di finire la sua vita lì, in quel modo, gli faceva quasi sperare che qualcuno lo ammazzasse.
Scese dalla sua brandina, sentendo un rumore alla finestra sbarrata. Erano al primo piano ribassato della struttura, qualcuno stava lanciando... Sassolini?
Si sporse per vedere meglio, chiedendosi come diavolo si fosse infiltrato qualcuno in un carcere di massima sicurezza, ma poi si rese conto che era una delle guardie esterne, che non appena lo vide avvolse un pezzo di carta in un sasso leggermente più grande dei precedenti, lanciandoglielo.
Liam non disse niente, non chiese alcunché, prese il sasso con il pezzo di carta e tornò alla sua brandina.
Dalla finestra la luce della luna filtrava, dandogli una visione completa di quel macabro biglietto:
"Non avresti dovuto sfidarmi"
Liam ne era certo; Proveniva dall'assassino.
Note:
Ecco il nostro Liam:
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