Capitolo 4
Spinsi l'alta porta di vetro che avevo davanti. Essa di aprì, e io mi ritrovai in una sala grande e spaziosa. Assomigliava a una hall di un ufficio, o di uno spazio pubblico. Era grande almeno quanto un campo da calcio, e il soffitto era molto alto. Anzi, in realtà si poteva vedere attraverso il soffitto, perché i piani del palazzo erano fatti di un materiale trasparente, e si vedeva tutto. Le pareti erano di mattoni bianchi, lisci e regolari. Ogni 2 passi circa erano situati delle cabine anch'esse trasparenti, ma non avevo idea del loro possibile utilizzo. In fondo alla sala, potevo vedere dei banconi come quelli delle poste, con dietro quegli strani esseri dall'aspetto plastico. Tra me e loro però c'erano almeno 40 metri, e c'era un bel viavai di gente (tutta con lo stesso aspetto, o bianchi col cuore nero o neri col cuore bianco) che camminavano indaffarati. Nessuno faceva troppo caso a me, anche se mi meritai qualche sguardo accigliato da chi mi notava.
Dopo essermi guardato un poco attorno, decisi di farmi avanti, e iniziai a camminare verso i banconi in fondo alla sala. Ne individuai uno libero, e mi misi davanti alla scrivania. Dietro di essa c'era un "impiegato" nero col cuore bianco, che mi fissava dall'alto in basso. Mi metteva una certa inquietudine, e iniziai a chiedermi se avevo fatto bene a venire lì. "Posso aiutarti?" Mi chiese con una voce neutra ma spaventosa, che metteva inquietudine. "Ehm buongiorno, i-io sono n-nu-nuovo. C-cioè io s-s-sono appena ehm m-morto, e ho i-i-inc-incontrato un beh mh un ehhhm essere c-come voi e lui mi ha-a dett-to di venire qu-qui." Balbettai. Non ero mai stato una persona timida, ma il suo sguardo neutro e fisso mi metteva terribilmente a disagio. "Ma certo, hai fatto bene. E così sei nuovo eh? Non mi sorprende, sei ancora in fase di sviluppo corporeo. Ti accompagno dal tuo addetto, lui si prenderà cura di rispondere a tutte le tue domande." Poi uscì da dietro la scrivania e mi venne vicino. Io avevo letteralmente paura di quell'essere. Non saprei dire perché, ma al contrario dell'altro, questo emanava un senso di sconforto, ansia e insicurezza in me. Mi disse di seguirlo, e prese a salire. Nel vero senso della parola, così, dal nulla, il suo corpo iniziò ad andare verso l'alto, verso il primo piano. Allora io provai a saltare, ma non arrivai da nessuna parte. Mi concentrai (non so bene su cosa) e chiusi gli occhi. Niente. Rimanevo attaccato a terra. Maledetta gravità, io intanto stavo perdendo di vista la mia guida. Allora pensai di chiamarla, ma non sapevo il suo nome. "Ehi.. tu!" dissi abbastanza forte perché il coso nero potesse sentirmi. Lui abbassò lo sguardo, e fece in espressione stupita ma allo stesso tempo consapevole. "Ah è vero, scusami, mi sono dimenticato che tu sei nuovo. Sai lavoro qui da poco e non mi sono ancora abituato", disse mentre scendeva de me. "Vieni, prendiamo le scale" disse, e mise il piede a qualche centimetro dal suolo, come se ci fosse un gradino. "Su avanti, seguimi" e iniziò a salire su dei gradini inesistenti. Io ero letteralmente sbalordito, ma provai comunque ad appoggiare il piede dove pochi secondi fa c'era il suo. Sentii qualcosa di solido e allo stesso tempo instabile, come quando da bambino immaginavi di camminare sulle nuvole. La sensazione era la stessa della tua immaginazione allora. Iniziai a salire, fino a quando non trovai più gradini, ma un piano. Il tizio nero si era fermato davanti a una porta poco distante. Era rossa bordeaux, e ispirava fiducia. Il tizio la aprì e mi fece segno di entrare.
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