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TUTÙ E CALZAMAGLIA

Il 13 maggio, la squadra di calcio a cinque sponsorizzata da Nico, il Wave Bellaria, finì ufficialmente il campionato, qualificandosi per i playoff, che si sarebbero tenuti più o meno a metà strada tra Milano Marittima e Bellaria. Già dalla settimana prima, la squadra si era allenata proprio su quei campi, sperando di trarre vantaggio dalla conoscenza della superficie.

Tra loro c'era il Biscia, che dopo varie peripezie calcistiche, aveva trovato la possibilità di qualificarsi sul campo. Il loro mister era un ragazzo che aveva un bar a Cervia e da anni faceva l'allenatore di quello sport, e da anni più o meno si portava il Biscia appresso dovunque andasse ad allenare.

La squadra, dopo un paio di allenamenti, mercoledì 17 chiese una amichevole ad una di categoria inferiore che giocava nella zona di Cesena. Erano tutti ragazzetti di poco più di vent'anni, ed il loro giocatore allenatore era una vecchia conoscenza: Gianni detto Dema, il fraterno amico di Giacomo e già protagonista della gag del calciatore promesso al Servette Ginevra.

Era un ragazzo piuttosto taciturno, che negli ultimi tre anni aveva infuso la stragrande parte delle sue energie nel calcio a cinque, tanto che l'anno prima, per una serie di motivi che non stiamo a spiegare, aveva preso a male parole un paio di volte quel giuggiolone del Biscia, suo compagno di squadra all'epoca, reo di poco impegno.

Alle otto e un quarto, mentre il Wave Bellaria stava già facendo riscaldamento, Gianni entrò nello spogliatoio. I suoi compagni si stavano tirando i calzini e si prendevano in giro sul rispettivo grado di omosessualità deducibile dal colore dei boxer. Era poco più che una squadra amatoriale, in cui Gianni giocava e, per non rovinarsi il fegato del tutto, a cui spiegava alcuni concetti cardine nei pochi allenamenti che riuscivano a svolgere. Per il resto andavano a sentimento e ad agonismo, che in quei ragazzi della galassia di paesi e paesini tra Cesena e Forlì, fortunatamente non mancava.

Nello spogliatoio si fece uno strano silenzio carico d'attesa.

«Se vinciamo stasera» disse, guardandoli negli occhi, «pago la pizza a tutti. E pago tutta la birra che riuscite a bere. Giuro sulla mia testa».

Ci fu un'ovazione e si cambiarono con una gran elettricità addosso. Erano pur sempre ventenni e la birra in certi momenti era più ambita che il contatto telefonico di una tipa.

«Ma voi» aggiunse, «non li dovete far respirare. Devono avervi addosso prima ancora di avere la palla nei piedi, intesi?»

All'ingresso in campo, il Biscia e Gianni si scambiarono un freddissimo saluto. L'intenzione di quest'ultimo era di stare il più possibile in panchina a guardare gli altri giocare confidando nel loro agonismo, giacchè il mattino dopo le consegne del pesce incombevano sulle sue ginocchia. E poi, dentro di sé, sapeva che entrare in campo avrebbe portato conseguenze poco serene per la partita. Ma l'irritazione in lui crebbe nel vedere l'ex compagno giocare con svogliatezza ed un modo sbruffoncello, cercando di irridere i ragazzi che di volta in volta lo contrastavano.

Al ventesimo minuto gli avversari erano comunque in vantaggio 2-0 e sembravano controllare la partita. Gianni ne ebbe a sufficienza, si autosostituì ed andò ad accomodarsi dal lato del Biscia.

«Dema, non fare il coglione» gli disse Johnny prima che entrasse in campo.

«Non sono venuto fino a qua per farmi prendere per il culo» rispose, ed improvvisamente quella che doveva essere una amichevole, si trasformò in una battaglia.

Le sue urla ed i suoi incitamenti riempirono l'aria. Si incazzava, spronava, esultava, abbaiava, minacciava i compagni di orribili morti, ringhiava fino a schiumare. Alla prima occasione in cui il Biscia ricevette palla sul suo lato, provando a saltarlo con un giochino di gambe da artista di strada, Gianni lo mandò di furia contro le reti di protezione.

«Pensi di giocare in tutù e calzamaglia anche durante i playoff?!» gli sibilò chinandosi per aiutarlo a rialzarsi.

«Giochi il campionato dei mongoli e vieni a rompermi il cazzo, bamboccio, va a scaricare il pesce» rispose il Biscia, mezzo dolorante.

Tutti sapevano che non doveva andare così, una amichevole pre-playoff, ma nessuno aveva fatto nulla per evitarlo. Gianni aveva semplicemente messo la famosa goccia che fa traboccare il vaso. La partita rimase nervosa, fallosa, polemica, e il Biscia lamentò i postumi dell'intervento, rimanendo in panchina per il resto della gara. Le due squadre a fatica si salutarono al fischio finale.

«Ma guarda 'sta testa di cazzo» si lamentò il Biscia con suo fratello sotto la doccia, dopo la vittoria per 5-2, «a momenti mi manda all'ospedale».

«Ha fatto bene. Così dai via la palla prima. Vai il doppio di lui e lo affronti fisicamente. Sei stupido».

«Ci fosse una volta che prendi le mie parti» miagolò il contuso.

«Quando te le meriti, cioè mai».

Poi il Biscia raggiunse il Wave con la sua squadra, la Sonia gli venne subito incontro sbaciucchiandolo.

«Allora, hai fatto gol o hai preso nei piccioni come al solito?».

«Ma sta zitta guarda, mi hanno fatto un'entrata assassina» e si mise a raccontare l'episodio. La Sonia, ascoltò, valutò e lo guardò con le braccia conserte.

«Ha fatto bene».

****

La Mory, dopo aver avuto una giornata piuttosto stremante in pensione, decise seppur stanca, di uscire. Gli zii erano presi con la contabilità e lei era poco di aiuto, aveva assolutamente bisogno di staccare, di prendere aria, di non avere l'impressione di essere imprigionata nel lavoro. Non aveva in mente nulla di particolare per la serata, ma una passeggiata così a zonzo le sarebbe sicuramente bastata

«Ehi Mory! Dove vai?».

Appena fuori dalla hall si sentì chiamare da Giulio, un ragazzo che aveva iniziato da poco, per il secondo anno consecutivo, uno stage alla pensione come aiuto cuoco. In realtà lo stage era una specie di lavoro camuffato. Giulio da giugno avrebbe iniziato a lavorare con tutti i crismi ed un vero contratto.

Era poco più grande della Mory come età, di discreto aspetto e piuttosto simpatico, una sorta di giullare.

Quando c'era lui in cucina era sempre uno show, battute e scherzi erano il suo "piatto" forte.

«Ciao Giulio, mi faccio una passeggiata. Tu?»

«Io ho finito, libertà!» gridò lanciando un pugno in aria, ancora con la divisa e gli zoccoli.

«Braveheart, stai calmo, ho solo chiesto cosa fai stasera» rise la Mory ricordando perfettamente la scena del film.

«Mi vedo con i miei amici a Cesenatico. Ti unisci?» chiese lui.

La Mory aveva accettato, non era una che faticava ad ambientarsi, ad avere a che fare con la gente, bere qualcosa in compagnia non le dispiaceva. A patto che ci si limitasse a bere qualcosa.

«Vado su a farmi la doccia e scendo!».

La doccia tiepida e i vestiti puliti la rinvigorirono. Scese pimpante, trovando Giulio già pronto che guardava l'orologio.

«Meno male, avevo già chiamato Chi l'ha visto!».

«Ma se ci ho messo niente a docciarmi! Piuttosto, tu, sei sicuro di esserti lavato bene sotto le ascelle?».

****

Dopo la partita, passando davanti al Mazzarini 59, Gianni e Johnny avevano deciso di fermarsi per mangiare un paio di pizze e non bere a stomaco vuoto. In realtà non ci erano passati davanti, era una precisa strategia di Gianni, togliersi dal casino ed andare in un luogo dove la gente non continuasse a guardarti in attesa che ti alzassi dal tavolino e lasciassi loro il posto.

Non era un locale da struscio, era una tranquilla pizzeria da asporto sulla vena Mazzarini, con diversi tavoli fuori, lontano dal casino, un posto assolutamente amichevole, immerso nel silenzio delle case di terza fila rispetto al lungomare.

«Ma quella non è la tipa con le tette sode che stava con Seba l'altra sera?» aveva detto Johnny indicando con un cenno della testa la strada «Si, dai. Mary mi pare si chiami».

Gianni si era voltato per guardare di chi stesse parlando, correggendo poi l'amico.

«Mory. Non Mary».

«Vedo che ti ricordi bene il suo nome, golosone. Peccato che sia con uno» lo aveva canzonato Johnny con fare allusivo, «e non è Seba».

«Non è la prima volta che la vedo. Abbiamo persino fatto il capodanno assieme, un paio di anni fa».

"Letteralmente" aveva mormorato poi, ripensando alla nottata trascorsa al pronto soccorso con il Seba sanguinante e lei incollata al telefono.

«Oh, questa cosa non me l'hai mai raccontata, dopo ne parliamo meglio. Ehi Mory!» Johnny aveva gridato il suo nome ricevendo una gomitata da Gianni, che temeva l'espansività un po' cialtrona dell'amico. Lui voleva starsene sereno a mangiare una pizza.

«Ciao! Che ci fate qui?» si era avvicinata al tavolino dove i due si erano seduti. Mollando quello con cui era sul marciapiede con le quattro frecce.

«Abbiano finito di giocare» rispose Johnny tutto pimpante.

«Ma che palle che siete voi maschi! Sempre le stesse cose fate! Giocate e mangiate pizzette! Siete tutti uguali».

I ragazzi si erano scambiati uno sguardo interrogatorio, il modo in cui lo disse lasciò intendere ai due che non era una lamentela in generale, e Gianni forse intuì a chi si riferisse lei.

«Mory, mi aspettano, mica sono come te che puoi tardare dei quarti d'ora che non ti dice nulla nessuno!» si fece sentire Giulio, guardando per la quinta volta l'orologio.

La ragazza ritenne sufficiente la seconda battuta sul ritardo.

«Giulio avviati che arrivo!» lo liquidò con un sorriso, decidendo di aggregarsi a quello strano duo. Per lo meno non erano del genere che perculava per qualche minuto oltre l'orario pattuito

E poi, ogni volta che li guardava, nella sua testa partiva la sigla del cartone animato "È quasi magia Johnny". In realtà Johnny era un personaggio assai meno complesso di quello dell'anime. le guardava abbondantemente il seno e faceva battute sceme.

«Senti ma quand'è che hai i pomeriggi liberi? Ci beccheremo prima o poi al mare» aggiunse.

«Alla pensione adesso non è il momento di prendersi le pause prolungate di pomeriggio, ma magari te lo faccio sapere».

«"Te lo faccio sapere" è un modo elegante per dirmi "non te lo dirò mai", confessa» ribattè Johnny, che si perse nelle immagini del seno della Mory imprigionato in un costume da bagnina, sovrapponendola alle sue reminescenze di Pamela Anderson.

Risero, anche se in maniera leggermente tirata. Poi la Mory rispose.

«No, ve lo giuro, non voglio scaricarvi. Tanto, come vedi, non ho nessuno».

«Ma se ti sei presentata con due tipi diversi in due sere?!» la riprese Johnny, in riferimento prima a Seba, poi a Giulio.

«Un puro caso».

«Si, come no, dicono tutte così» replicò lui, con aria da saputello.

«Non scherzo, sono qui da sola, non ho legami in atto, e non voglio averli, mi interessa passarmi un po' il tempo» alzò la bottiglia della birra, «bere qualcosa, dire due cazzate. andare a letto più rilassate».

«Ma a letto da sola o in compagnia?».

«Mi spiace, i letti d'albergo sono stretti» replicò lei, immediatamente

«Vabbè, peccato. Allora beviamo!» rispose Johnny, e brindarono. Ma Gianni rimase comunque pensieroso.

****

«Ma che hai fatto?» chiese la Mory sul punto di congedarsi, mentre Johnny aveva già inforcato lo scooter ripartendo alla volta di casa.

«Non mi badare, stasera ci hai beccato dopo una gara. Stavo ripensando alle cose salienti. Alcuni dettagli che mi possono servire» rispose lui.

«Ma non smetti proprio mai di pensare al calcetto?».

«Non pensare male, dai, so anche pensare ad altro».

«Fammi un esempio».

«Che domattina mi devo alzare per andare a portare via cassette e cassette di pesce surgelato».

«Wow, che begli argomenti! Ma qualcosa di più leggero?».

Chiese la Mory ridendo, prima di guardarlo con faccia interrogativa.

«Pesce?» chiese con interesse.

«Si, è il mio lavoro».

«Interessante» aveva risposto lei, sinceramente presa da quella conversazione.

«Allora, diceva sul serio quel demente del Seba» aveva detto lui a mezza voce, incredulo.

«Dobbiamo approfondire questo discorso, sto pensando a un nuovo fornitore per la pensione degli zii. Dovresti venire a parlare anche con loro!».

«Sento con il mio capo, e ci accordiamo. Non immaginavo di firmare contratti per il pesce surgelato in piena notte sul marciapiede di Viale Trento a Cesenatico».

****

Dopo la serata passata con il duo Gianni / Johnny, dove la Mory non riuscì a trattenersi molto e cominciò con le peggio battute sulla strana coincidenza dei nomi, passò altre sere insieme a Gianni, continuando con il lieve ed amichevole sfottimento.

Johnny era un po' sopra le righe. Gianni invece sembrava la compagnia perfetta per la Mory, taciturno e tranquillo, disposto a farsi perculare per gli aspetti più particolari del suo carattere. Qualcuno con cui passare il tempo senza niente di impegnativo.

Anche a Gianni non dispiaceva la compagnia della ragazza, anche se a volte si dimenticava fosse una "femmina", come si diceva da piccoli con fare un po' sprezzante, e si metteva a parlare di calcetto senza quasi riprendere fiato, prendendo bicchieri e boccali e posizionandoli come giocatori sul tavolo che improvvisamente diventava un parquet. Anche se la logorrea della Mory era difficile da battere, la cosa comunque andava a braccetto con il suo essere taciturno e introverso.

Una domenica, sul tardo pomeriggio, la Mory lo chiamò.

«Non starai giocando anche adesso?».

«No, sono a vedere altri».

«Te hai un problema, Gianni» disse lei, lapidaria.

«Lo so, ma è un problema che mi piace, e mi fa passare il tempo. E non fa male alla salute».

«Seriamente, siccome qui è tutto tranquillo, se ti andava, facevamo aperitivo».

«Voi milanesi siete fissati con l'aperitivo» replicò lui, con il sottofondo di gente che urlava e fischi dell'arbitro.

«Beh» disse lei, serafica, «in quanto a fissazioni, ci dai dei filo da torcere».

«Me l'hai piazzata bene, lo ammetto».

«Si ma quindi? Dove sei? Lo facciamo questo aperitivo?» pressò ulteriormente lei.

«Dammi, uhm... venti minuti, stanno finendo» rispose lui, leggermente distaccato. Lei capì che fino al fischio finale, la sua attenzione sarebbe stata catalizzata da dieci ragazzotti in pantaloncini e una palla.

Erano ormai tre sere di seguito che a qualsiasi ora si sentissero, lui diceva che stava guardando partite. Dopo quel tour de force, si chiese che cosa ci fosse di tanto emozionante in quelle gare che lui si ostinava a guardare. Gli chiese dove stavano giocando e lo raggiunse in bici, non essendo particolarmente distante.

Era un centro sportivo con tre campi affiancati. Le squadre stavano giocando nei due laterali e dietro l'ultimo c'erano dei pini bassi. Ad uno, un po' laterale e defilato, c'era appoggiato Gianni. Sembrava mezzo imboscato.

«Ma cosa fai qua nascosto nel bosco?».

«Guardo».

«Ho capito, ma cosa c'è da guardare?».

«Ci sono delle squadre che mi interessano, c'è anche il Bellaria» specificò lui, come se quell'informazione cambiasse completamente il quadro della situazione.

«Ah, interessante, e cosa mi dovrebbe interessare del Bellaria?» chiese lei, annoiata già dopo tre minuti di permanenza a guardare gente che diceva parolacce e si abbaiava ordini l'uno con l'altro.

«Ci giocano dei tipi che conosco, c'è anche il Biscia, lo conosci, no?».

La Mory aguzzò la vista. In effetti in panchina stazionava il Biscia, stravaccato e deluso, mentre Gianni sembrava avere una vena di soddisfazione sul volto.

«Ma sei contento che stia perdendo?».

«Se c'è giustizia nello sport, mi sembra il minimo».

«Ma cosa ti ha fatto? Non giocavate insieme?» chiese lei, confusa da quegli ultimi sviluppi.

Gianni sospirò.

«La stagione scorsa abbiamo giocato assieme, ma in una squadra che poi chiuse. Era probabilmente il giocatore con i piedi migliori, ma zavagliava per il campo. A me non piacciono i tipi che zavagliano, se non si è capito. Abbiamo discusso e gli ho detto che era un cadavere di merda, che giocava come se si fosse appena fatto dieci seghe, che era un insulto ai ragazzini che venivano a scaldare la panchina».

Poi si mise a ridere sommessamente

«E poi l'ho chiamato "Pecorone castrato". Così ha smesso, e ho iniziato a pensare che sia uno senza le palle. Non ho avuto altro che conferme in merito».

«E quindi hai chiuso una amicizia per questo?».

«Non ho mai detto che eravamo amici. Eravamo conoscenti. E ho avuto modo di conoscerlo meglio giocandoci. Non è che ce l'ho con lui, ma secondo me, sportivamente parlando, non vale un cazzo».

La Mory non seppe bene come replicare. Nel giro di qualche minuto Gianni, vedendo l'ennesimo gol subito dalla squadra di Bellaria, si staccò dal pino dicendo «Ok, possiamo fare aperitivo, qui non c'è più nulla di interessante da vedere».

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