STRAPPAMUTANDINE
Alla quarta chiamata del padre, decise di rispondere, tanto ormai a quell'ora era al lavoro e non c'era più il rischio di sentire la voce della mamma con il cellulare del marito, alla traditora.
Non si aspettava la partenza improvvisa della figlia, ma capì che era necessaria per rimettere le cose un po' a posto in casa. Sembrava stanco nel parlare, come se improvvisamente gli fossero piombati addosso quei tre anni di tensioni familiari, litigi, esasperazione.
Alla fine della chiamata, la Mory iniziò a pensare. Non fece quasi altro nelle tre ore successive. Più il treno macinava chilometri più l'ansia le salì facendole venire la tachicardia e uno strano senso di nausea.
Aveva pensato diverse volte a Mick in quel periodo. Da quando aveva saputo della trasferta romagnola non aveva smesso di farlo. Non poteva negarlo a se stessa. Quella piccola, ma grande per lei, parentesi estiva era talmente lontana che le sembrava quasi non fosse successa. Non sapeva nemmeno se l'avesse avuta veramente, o per lo meno, si chiedeva se anche vagamente lui l'aveva pensata qualche volta, in quegli ultimi mesi di silenzio.
E quando pensava ai mesi di silenzio, inevitabilmente le usciva la rabbia, e la ferma ed orgogliosa intenzione di considerare quella parentesi chiusa.
Fortunatamente il treno cominciò ad arrestarsi in procinto della stazione di Bologna, finalmente i suoi pensieri furono accantonati per prepararsi a scendere. Percorse velocemente il corridoio e si gettò letteralmente fuori dal binario, il treno da cui era scesa aveva accumulato un certo ritardo, la voce gracchiante dell'altoparlante annunciò la partenza della sua coincidenza che, guarda caso era dall'altra parte rispetto al suo binario.
«Accidenti, non ce la faccio, non ce la faccio... No! Cazzo».
Il treno che partiva dal binario otto per la diramazione di Ravenna era partito.
Si fece venire velocemente un'altra idea. Il treno che andava a Cesena sarebbe partito tra quindici minuti, due orette di viaggio e sarebbe arrivata, da lì poteva prendere il pullman e arrivare direttamente alla stazione di Cervia nel giro di un'ora o poco più.
Era la scelta migliore, anche perché il primo treno diretto per Cervia sarebbe arrivato alle 17, e non erano nemmeno le 10 di mattina.
Una volta salita sul treno per Cesena, era tornata l'ansia, aveva preso il telefono in mano ed aveva continuato a rigirarselo fra le dita. L'aveva sbloccato ed era andata nella rubrica, alla lettera M. Voleva chiamarlo e dirgli qualcosa come "ehi ciao, sono qui fuori, c'è la tua moto facciamo un giro?", oppure, entrare nello studio e andare direttamente a baciarlo e vaffanculo a quei mesi di silenzio, alla rabbia perchè se n'era stato zitto. Avrebbe voluto fare quelle cose che già si era pentita una volta di non aver fatto. L'estate dove l'aveva conosciuto, quando lui l'aveva scaricata per la paura di mille cose, l'età, il poco tempo per conoscersi veramente e l'insicurezza di entrambi. Quando lei aveva capito quanto tempo aveva perso dietro stupidi ragazzi e stupide amiche, ne era passato già troppo.
Con il pensiero andò subito a tre anni prima, sul balcone della pensione dove rimuginava sulla sua vacanza, allora aveva pensato che avrebbe voluto tornare indietro nel tempo per cambiare completamente le cose. Si immaginava mentre scendeva dal treno e ignorava quello stronzo di Seba che le parlava, correva nello studio di Gek, ma non per parlare del piercing che ormai non le interessava più, per andare da Mick e senza dire una parola l'avrebbe guardato negli occhi, magari gli avrebbe detto «Fighissima quella moto fuori, è tua?», e l'avrebbe baciato magari quella sera stessa, così da avere a disposizione tutta la vacanza per stare insieme.
Ora che ne aveva la possibilità, l'avrebbe fatto?
Ma come la prima volta, l'orgoglio ebbe la meglio sui suoi pensieri: se lui aveva mollato la presa, non sarebbe certo stata lei ad andarlo a riprendere. Poteva anche farsi fottere, forse.
La stazione di Cesena venne annunciata dalla voce registrata, prese la valigia e scese in cerca del tabellone con gli orari dei pullman. Se mai ci fosse stato.
Dopo aver chiesto informazioni a venti passanti finalmente, di cui diciotto extracomunitari, lo trovò. Mentre leggeva la sua attenzione venne catturata da qualcosa, anzi qualcuno.
Come un flashback, rivide una scena già vissuta un paio d'anni prima. Un ragazzo moro, piuttosto carino nel suo fisico asciutto da nuotatore, già abbronzato, sulla ventina, stava uscendo dalle porte centrali della stazione passandole accanto.
«Sebastieeeeeen!» urlò lei.
Il moro si bloccò di colpo. Non poteva non ricordare quel falso accento, e poi solo una persona lo chiamava così.
«È un incubo» disse Seba prima di voltarsi lentamente verso di lei, ma squadrandola per un attimo, si corresse subito, «oh, è una favola».
Anche se abbastanza lontana poteva riconoscere il sorriso. Era visibilmente cambiata negli ultimi anni, le forme era molto più definite, i capelli più corti e il sorriso seppur stanco, era di quelli che ti viene voglia di ricambiare.
«Mory, che sorpresa! Ma che cazzo fai da 'ste parti?» fece lui, accostandosi, senza avere il coraggio di abbracciarla. Piuttosto si toccò involontariamente il naso.
«Sono scesa per la stagione. E te?».
«Io ci vivo».
«In stazione?» chiese lei, sgomenta.
«No, vivo a Cesena» poi, per giustificare la presenza lì, farfugliò qualcosa su una zia rispedita a Castel Vaintecasén, per poi concludere «Ti va un caffè?».
«Si, sono stanca morta, arrivo da Milano».
I due si infilarono nel bar d'angolo dell'autostazione. Passarono una mezz'oretta a raccontarsi di nuovo le vicende che li avevano visti protagonisti e Seba ammise, tra sé e sé, che anche come carattere era cambiata. Sembrava meno spigolosa e il fatto stesso che ridesse a quelle situazioni che tre anni prima aveva vissuto come moleste invasioni di campo, sembrava confermarlo.
«Seba, devo prendere il pullman per Cervia. Devo andare, mi spiace» disse lei, guardando l'orologio contrita.
«Ma scherzerai, ti ci accompagno io. Tanto ho un po' di tempo» rispose lui, cercando di assumere il suo miglior sorriso strappamutandine.
****
Sabato 1 aprile 2006
«Ci sei a ballare stasera?» esordì Giorgino con Mick, prima ancora che quest'ultimo potesse appoggiare il culo sulla sedia del bar.
Una sorta di dejavu, sbuffò prima di rispondere.
«Stavolta chi devi intortare?».
«La Vale, l'altra volta l'ho vista interessata».
Per poco non si beccò una risata in faccia.
«Sei sicuro che fosse così interessata?».
«Ci siamo messaggiati» precisò Giorgino, «una non ti messaggerebbe se non avesse un minimo interesse».
«Ok, se lo dici tu, ti credo. Io cosa devo fare? Il palo, come al solito?».
«Tenermi impegnata la Stefy, sennò quelle stanno perennemente appiccicate e non riesco mai a intortarla per bene. L'altra volta sei stato bravino, ma puoi fare meglio».
«Ma se hai detto che andava bene anche la Stefy, portatele tutte e ci fai...» Mick bloccò il suo stesso discorso. I due si guardarono un attimo con grave serietà.
Era passato qualche anno dalla volta in cui si erano picchiati perchè Giorgino aveva tentato di estorcere del sesso orale ad una turista semiubriaca assieme a Gigi. Così, quando Giorgino iniziava ad andare troppo sopra le righe in termini di appetiti sessuali, quel fantasma tornava ad aleggiare tra loro, e puntualmente si facevano seri.
«Ok, dai, dove devi vederle?» concluse Mick.
«Mi hanno detto che forse vanno al Pineta».
«No no no, cazzo, il Pineta no» sbottò Mick, incontrollabile, «Non sono un tipo da Pineta dai, cazzo, Giorgino, devo bestemmiare?!».
«Dai, per una sera!».
«Ma questo gran paio di palle! Mi porti via cinquanta euro al Pineta per farmi guardare dai tipi glamour come fossi uno straccione. Dai, va' là, non se ne parla, portati Berto e fallo vestire da cameriere».
«Ma piantala, cazzo, basta che ti metti una camicia, un paio di jeans che non siano sbrindellati, e un paio di scarpe che non siano le Superstar con cui vai al Rock Planet».
Mick sbuffò, risbuffò, guardandosi le Superstar Berlin che pensava fossero comunque le scarpe più comode che avesse. Ma considerando che l'alternativa era Bobo che parlava di quanto era dimagrito in palestra o i tipi di Cesena che parlavano di calcetto tutta la sera, disse infine che ci stava.
«Top, Mick, vedi che il cervello delle volte lo usi?! Ci becchiamo qua stasera verso le dieci».
****
Alle dieci, i due si erano trovati al bar, con la sgradevole sorpresa di trovarci pure il fratello di Giorgino ma anche un paio di amici suoi tra cui Binotto.
«Oh Giorgino, dove cazzo vai così tirato?» esordì il bel cotonato.
«Boh, adesso vediamo» rimase sul vago, per evitare spiacevoli incroci.
«Te fai il furbo ma messo così o hai un matrimonio alle undici di sera di sabato o devi andare al Pineta. Dai Fumarò, ci porto pure tuo fratello lì stasera».
Sebbene si sentisse sollevato tutte le volte che suo fratello maggiore era nei paraggi, Giorgino non lo era altrettanto se c'era anche Binotto. Con quest'ultimo aveva avuto una lista in discoteca quando era ancora un ragazzetto, e se lo ricordava ancora, per lo sbattimento a cui era stato sottoposto, perché Binotto non alzava un'unghia, il leitmotiv della sua vita.
Quando arrivò Mick, che aveva preso a prestito le scarpe da matrimonio del padre, fu chiaro che i due architettavano una uscita in una discoteca di un certo livello, e lì attorno c'era solo il Pineta. Mick prese la palla al balzo per condividere la pesantezza di Giorgino con altri, e promosse l'entrata tutti assieme. Un gran brindisi suggellò quell'accordo. Binotto rischiò di tirarsi il Campari-prosecco sui jeans bianchi.
Quando furono in macchina, Giorgino disse quattordici bestemmie all'indirizzo dell'amico.
«Ma quanto cazzo sei ritardato? Quelli adesso romperanno le palle alla Vale, e me la faranno scappare, e io quando cazzo la ribecco?!».
«Ma smettila, se è interessata, troverete il modo di imboscarvi, su» rispose Mick, serafico.
Giorgino comunque si spaventò per nulla: la compagnia, dentro il locale, si comportò veramente a modo e lui rimase quasi stupito della capacità di Binotto di essere presentabile, quasi a suo agio in mezzo a quella massa di fighetti che trasudavano denaro in eccedenza. Tuttavia il primo obbiettivo della serata, per il Miglior PR della Riviera, rimaneva la Vale, che finalmente intercettò su un cubo, assieme all'amica.
V'è da dire che le due, appollaiate là sopra, ci facevano una figura pressochè perfetta, anche perchè non si risparmiavano in quanto a mossette sensuali. C'erano diverse paia di occhi che guardavano in su verso di loro, vagando continuamente dal seno alla zona inguinale, senza pudore.
«Se sali anche tu, ti do cinque euro» scherzò Mick con Giorgino, ma questi rispose con una gomitata e iniziò a fare ampi gesti alla Vale per farla scendere, questa rispose strusciandosi sul fianco dell'amica e mordendosi un labbro. Il ragazzo ebbe una improvvisa rigidità al cavallo dei pantaloni. Mick non seppe se ridere o piangere finchè la Stefy gli allungò la mano, invitandolo a salire. Per essere uno che non era mai salito su un cubo, non ci mise molto a decidere per il "sì".
Dopo due secondi, accecato dall'ira, Giorgino seguì l'amico, dando vita a una scena degna di un circo e riuscendo a frapporsi tra le due ragazze. La Vale, incantonata, fu costretta a scendere in urgenza con la scusa della sete, la Stefy si sporse verso Mick.
«Poveraccia, non lo auguro a nessuno un Giorgino tra i piedi».
«Ma perchè non gli dice che è insopportabile?».
«La Vale non ce la fa, è... troppo buona».
«Se lo dici te» disse l'altro, scrollando le spalle, «senti, io scendo, sembro un idiota qui, in confronto a te».
«Scendo anche io, sono stufa di farmi guardare il tanga da quelli là sotto».
Sconcertato dalla parola "tanga", Mick scese e poi si bloccò, senza sapere che fare. Tolse lei le castagne dal fuoco, fuggendo in un tavolo di tizi in camicia a colletto alzato e bottone slacciato, che pasteggiavano a Krug. Dopo aver schivato un paio di mani balorde, arraffò due calici scoccando un bacetto da lontano ad uno sui trentacinque, dai capelli tirati indietro e dall'abbronzatura da tre lampade a settimana, fece il giro largo del tavolo ed arrivò tutta contenta.
«Adesso caviamoci dal cazzo» disse, porgendo il bicchiere a stelo.
«Oh» fu tutto quello che disse Mick.
Venti minuti dopo erano sul muretto affianco all'ingresso, la Stefy dondolava il calice con due dita della mano destra, ginocchia strette su cui era appoggiato il gomito dell'altro braccio. Avevano parlato di tatuaggi, di nuovo. Lei cercava qualcosa di eccezionale, di inusuale.
«Voglio qualcosa che faccia boom!».
Mick era un discreto tatuatore, mano ferma, geometria precisa, senso della proporzione, ma a creatività non era un fulmine di guerra. Elencava un sacco di cose già viste, splendide, ma che non erano "boom!". Ad un certo punto, lei si alzò in piedi, folgorata.
«Mick, andiamo al Dollaro!» indicando la sala giochi lì davanti.
«Ma sei sicura?» chiese lui, dubbioso.
«Non ci vado da una vita!».
Ed era vero, ci era andata un po' nelle estati delle medie, poi aveva passato un paio di vacanze estive sequestrata da tutt'altra parte rispetto a Cervia, e quando era tornata, la sala giochi non era più il locale più interessante per una diciassettenne in piena esplosione ormonale.
Cambiarono dieci euro in gettoni e la Stefy trascinò Mick davanti a uno sparatutto con mitra finti pesanti un chilo. Lui non l'avrebbe detto, ma lei era assatanata, urlava insulti da camionista ad ogni testa di nemico che saltava via. Si tolse persino i tacchi e, scalza e con un vestitino da far infartare i pochi adolescenti rimasti, radunò un certo capannello attorno.
«Michele, cazzo, a destra! A destra!».
«Stefy ziocaio dammi il tempo mica sono un marine!».
«Ma piantala cazzo muovi il culo e spara, spara! Muori testa di cazzo! Ha! Sto pestando il tuo cervello spappolato!» si esaltò lei, facendo fremere il pubblico.
Le risate continuarono per un certo tempo, fino allo squillo del telefono della Stefy, che si limitò a dire «Mick rispondi te, tanto a 'sto gioco fai cagare. E metti il vivavoce, tanto è la Vale».
Ed in effetti era la Vale, lui rispose mettendo in vivavoce.
«Ma dove cazzo sei?».
«Vale, sono Mick».
«Mick! Pervertito! Dove la stai scopando?» chiese lei ridendo come una pazza.
«Chiappette, in fondo è pervertito!» rise ancora più forte la Stefy, con Mick un po' confuso sullo scambio di battute non proprio finissime.
«Dai, cazzo, due stronzi che non siete altro, dove siete! Mi avete mollato di nuovo con Giorgino, siete due pezzi di merda! Michele Benelli io ti odio dal profondo! Ti rigo la moto, te lo giuro che te la rigo tutta, la faccio a righe».
Le due tipe risero, alla fine rise anche Mick, un po' meno convintamente. Poi arrivò la Vale, che li guardò un attimo, si tolse i tacchi, rubò il fucile dalle mani del ragazzo ed iniziò a sparare, ma non ci capiva niente ed era mezza sbronza.
«Michele Benelli fai il cavaliere cazzo! Vieni a darmi una mano a sparare. Tanto sei in grado di tenere una pistola in mano».
«Vale, sei meglio te a tenerle in mano, e non solo in mano, lo sanno tutti» la canzonò la Stefy che uccideva nemici a bizzeffe.
«Ma stai zitta che ti sei scelta la pistolona più lunga, golosa!».
Mick passò il successivo quarto d'ora con la Vale addosso che rideva a ogni cilecca, scambiandosi battute da camionista con l'amica. Quando furono sbattuti fuori dalla sala giochi ben oltre l'orario di chiusura, i tre rotolarono da Baldani a mangiare un bombolone.
Lui chiese una pizzetta. Poi disegnò una gorgone sull'avambraccio della Vale.
Mille chiamate di Giorgino non risposte.
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