RAGAZZO DI BOTTEGA
La Mory fece il diavolo a quattro diverse altre volte fino a che si ritirò veramente da scuola, in fondo era da parecchio tempo che ci pensava e non sapeva bene nemmeno lei perchè ci avesse messo così tanto a decidersi di farlo.
Il giorno del suo compleanno il telefono cominciò a suonare già dalle prime ore del mattino.
I messaggini di auguri dei suoi ex compagni di scuola e dei suoi (pochi) amici le ricordavano che era diventata vecchia compiendo in quel giorno la maggiore età, che poteva essere perseguita penalmente, e poteva essere anche sbattuta fuori di casa.
«Auguri Mory!!» i suoi fratelli erano entrati in camera sbattendo la porta e correndo sul letto saltando le addosso, «Grazie piccole bestie!».
Due disegni, colorati in modo alquanto discutibile, erano stati appesi sulla sponda del letto. Il primo rappresentava una Mory sorridente su un'altalena, le mani con sei dita ciascuna, stringevano un mazzo di fiori.
«E' stupendo Anna, sarai di sicuro un'artista da grande!».
Il sorriso enorme e compiaciuto che si disegno sul volto della piccola la fecero sentire bene.
Il secondo disegno la immortalava davanti una grande torta a cinque piani, piena di candeline circondata da palloncini e festoni. Il «Bellissimo» che aveva sospirato aveva fatto un bell'effetto anche sul fratellino più piccolo.
Ma nel giro di qualche secondo, tutta quella pace finì. I piccoli si misero a litigare per quale fosse il più bel disegno cominciando a rincorrersi per tutta la casa, lasciandola di nuovo sola nel letto.
La Mory si sentiva vuota, come se quel traguardo importante della maggiore età si fosse portato via qualcosa. Era estremamente sola, e come capita spesso ai ragazzi in momenti di passaggio, pensava che nessuno potesse capirla o comprenderla fino in fondo.
Aver mollato la scuola le aveva fatto bene, anche se non sembrava. Far finta che l'indirizzo che aveva scelto quattro anni prima le piaceva e le finte amicizie che doveva portare avanti ogni singolo giorno la sfiancavano e la allontanavano dall'essere sé stessa.
Sentiva di aver perso qualcuno di importante e aver avuto la Mona così distante, la madre che a mala pena le parlava, non aiutavano il suo stato d'animo.
Si immaginava un diciottesimo molto diverso.
Nella giornata, altri messaggi di auguri intasarono il suo telefono, qualche chiamata dei parenti e la telefonata della Mona, che la mise subito all'erta sullo stato d'animo della Mory.
«Allora vecia! Da quasi diciotto a diciotto, eh?» la voce squillante della Mona le fece allontanare il telefono dall'orecchio.
«Ciao scema».
Come se potesse vederla, la Mona aveva alzato gli occhi al cielo, scuotendo la testa, il tono di voce della festeggiata non prometteva nulla di buono.
Il dialogo fu breve, la Mona pur insistendo molto, non era riuscita a cavarle molte parole di bocca.
«Dai Mory, se vuoi scendo da te qualche giorno. Andiamo alla spa».
«Grazie Simona, ma sto bene, non ti preoccupare».
La Mona pensava che in realtà non stesse proprio benissimo, ma per telefono era difficile riuscire a capire il problema. Poi figurati, la Mory già parlava poco di sé stessa quando aveva un contatto fisico con l'interlocutore, figurarsi in una chiamata a una che abitava a trecento chilometri.
Si salutarono con la promessa di chiamarsi se ci fosse stato anche un minimo problema.
Aspettò un'altra chiamata per tutto il giorno, ma non arrivò.
Alla sera i suoi amici le organizzarono una piccola festa.
«Togliti quel muso lungo che ci hai già rotto il cazzo» le aveva detto Arianna.
«Ma che muso! È solo che sento il peso degli anni» rispose la Mory, cercando disperatamente di apparire felice per la sorpresa organizzata dal suo gruppo ristretto di amici.
Erano per lo più maschi, più grandi di un paio anni rispetto a lei, le ragazze si aggregavano durante le serate, andavano e venivano. Solo lei e Arianna erano sempre presenti.
Visti da fuori potevano sembrare una banda di sbandati, al limite della delinquenza, della droga e del vandalismo.
A parte il vandalismo, la descrizione era veritiera.
No dai, a parte gli scherzi, erano tutto sommato passabili, solo un po' scalmanati. I classici ragazzi da cui dovevi stare alla larga secondo i padri, le madri e i fratelli, probabilmente anche i nonni non avrebbero approvato una relazione con uno di loro. Sboccati, drogati, maleducati, sciacalli e addirittura anarchici secondo la maggior parte degli Over 60 del paese.
In realtà il tutto si limitava a rutti, motorini truccati, giustificazioni false, giri a Milano anziché andare a scuola, sputi e le bestemmie alle tre del pomeriggio nella piazzetta del paese. La situazione era grave, ma non seria.
Non erano i peggiori del paese, anche perché di serio avevano concluso ben poco se non entrare in case abbandonate o fare murales su pareti diroccate.
Quella festa per esempio, era stata organizzata nel parco di una vecchia villa padronale, ormai abbandonata da anni.
La Mory voleva bene ad ognuno di loro ma a volte era difficile stare dietro ad un branco di ragazzini sballati. Per lo meno, avere Arianna nel gruppo facilitava molto le cose a volte.
Era più grande di lei di due anni, si era trasferita qualche anno prima nel suo paese e da subito erano diventate amiche, soprattutto quando fumavano o bevevano qualcosa di troppo.
Quella sera però l'umore non era dei migliori, e pensando di tirarle su il morale tutti le offrirono un tiro di spinello.
Adesso, parliamoci chiaro, la droga non risolve i problemi, anzi, li posticipa solo di qualche ora e la Mory lo sapeva bene: ormai non faceva un tiro da un anno, forse più.
Si era concessa però qualche vodka lemon, che riuscì a calmarla e farle vivere per qualche ora la sua festa di compleanno.
Sul più bello, quando aveva iniziato a ballare spensierata con l'Ari, delle luci blu illuminarono l'edificio.
«Raga! Gli sbirri! » aveva gridato qualcuno facendo correre tutti verso il retro che dava su un campo aperto.
Lei e Arianna si erano nascoste dentro un vecchio mobile assistendo così all'arresto di due dei suoi amici troppo sballati per rendersi conto di tutto quello che stava succedendo, tirati su a forza dalle panche improvvisate.
Non fu divertente, come scena. Marco e Luca furono portati via nella confusione più totale. Non male come finale per il proprio diciottesimo compleanno.
A notte fonda, quando rientrò a casa, la Mory si lasciò cadere nel letto dando l'ultima occhiata al cellulare. Nessuna notifica.
Si addormentò ed ebbe un misto di sollievo e mestizia nel constatare, la mattina dopo, che tutto era uguale a prima, e i due amici erano stati rilasciati perché uno era figlio dell'ex sindaco e l'altro era il nipote del vicecomandante dei vigili.
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Giovedi 16 febbraio 2006
"Elena di Brescia?" si chiese ad alta voce Nico guardando il telefono, mentre stava per farsi consegnare un meritato aperitivo, rispose molto interrogativo «Pronto?».
«Ciao Nicola, scusa se ti disturbo. E' passato un sacco di tempo».
«Eh si» rispose lui, pensando anche a cose più turpi. Ma questo lo faceva di norma e regola, l'Elena non aveva fatto eccezioni.
«Ti chiedevo se tu avessi posto per fare la stagione estiva. Faccio questi mesi e con i soldi mi pago il viaggio di laurea».
"Non te l'ho chiesto, ma buono a sapersi" pensò lui, che poi diede un'occhiata alla situazione per l'estate.
«Senti, ma tu vuoi fare la barista classica o mi hai chiamato per la sera?».
«Perchè, avresti posto anche per la sera?».
«A Bellaria, si».
Lei rimase un po' in silenzio, poi disse «No, meglio la barista classica. A Milano Marittima ho l'appartamento dei miei, Bellaria è lontana, e poi non sono molto pratica».
Nico annuì come se lei lo vedesse e le confermò di aver preso il contatto. Ma quella telefonata le sembrava stranissima, per lo meno inaspettata.
«Per i weekend di maggio ci sei?».
«Posso organizzarmi per scendere in appartamento, se ho preavviso».
«Si, si certo» si affrettò lui, poi dopo averci pensato un po', vuotò il sacco.
«Senti, come mai hai chiamato me? Pensavo che, dopo quell'estate, io ti stessi sul cazzo, secondo me nelle ultime due estati manco sei venuta giù».
«Ho studiato, e l'ho fatto seriamente. E sul fatto che tu mi stessi antipatico, beh, magari le persone cambiano».
«Magari maturano».
L'Elena aveva lavorato al bagno di Nico nell'estate del 2000, e diciamo che aveva lasciato un buon ricordo. Poi non si era più presentata nonostante i genitori avessero storicamente l'ombrellone nelle prime file. Un po' gli studi molto seri e un po' le vicende sentimentali di quell'estate le avevano fatto passare il desiderio di far vacanza in Riviera, come aveva sempre fatto da quando si ricordava.
Con un certo scorno di Nico, tra loro non era successo un bel niente perchè lei lo aveva tenuto a bada molto bene. La stessa cosa non si poteva dire del DJ resident del locale di Bellaria, il buon Alessandro detto Chiodo per la magrezza, che con l'Elena aveva passato un paio di giorni da bollino rosso.
Tuttavia Chiodo, un po' rubacuori senza nemmeno capire bene perché ci riuscisse, aveva dimenticato piuttosto in fretta quei due giorni e i due non si erano più sentiti. Lui in realtà ci aveva pensato anche, ma poi la storia del naufragio della sua barca a vela lo aveva assorbito e ciao Elena.
Si, perchè lui aveva una barca a vela ereditata dal nonno, ma è una lunga storia, magari un'altra volta se ne parla.
Nel frattempo lei aveva avuto un ragazzo per un tempo discretamente lungo, ma che aveva mollato dopo una tremenda vacanza ad Amsterdam dove lei aveva persino fatto uno squillo ad Alessandro, nel panico di dover rimanere per sempre in Olanda senza supporti, a lavare i piatti in un ristorante etnico per mantenersi in vita.
Ovviamente Ale non aveva risposto, era impegnato, e alla fine aveva pensato fosse una specie di scherzo telefonico. Ovviamente l'Elena era ritornata a casa sana e salva, dopo un vaglia dei genitori.
Quante volte si era chiesta se chiamare Nico fosse la soluzione migliore per un lavoro estivo, ma le sembrava il modo più rapido per accumulare la cifra che le serviva. E poi, anche se l'Elena scendeva per il lavoro, non le sarebbe dispiaciuto affatto incontrare di nuovo Ale. Chissà se si era rimesso a fare il DJ o se aveva trovato un lavoro serio, quello che tutti i giorni lei sperava di trovare dopo quel percorso di studi così complesso.
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Sabato 18 febbraio 2006
«Ci sei a ballare stasera?» esordì Giorgino con Mick, prima ancora che quest'ultimo potesse appoggiare il culo sulla sedia del bar.
Questi terminò l'operazione di assestamento, aprì la Gazzetta iniziando dal fondo, ed alla seconda pagina, vedendo Giorgino ancora in piedi lì appresso, lo guardò.
«Devi essere disperato per chiederlo con me».
Mick e Giorgino erano stati compagni di classe alle superiori, i loro destini si erano un po' separati soprattutto da quando il primo si era ritirato dall'università, preferendo lavorare come "ragazzo di bottega" in uno studio per tatuaggi. Si erano persino messi le mani addosso qualche anno prima quando Giorgino aveva cercato di approfittare di una turista mezza sbronza assieme a quell'altro minus habens del barista Gigi.
Successivamente, quando si erano beccati, Giorgino aveva sbrodolato mille giustificazioni e Mick aveva chiuso il discorso convinto che la maggior parte del merito di quella bravata da idioti fosse di Gigi.
Infine i due, negli ultimi tempi, avevano avuto più di una occasione per uscire, perché erano rimasti tra i pochi senza morosa. In realtà Giorgino millantava un numero esorbitante di inciuci ed intorti, che però non portavano mai a nulla, data la sua congenita incapacità di accontentarsi.
«Serio, se ci sei ci becchiamo qua».
«Non dipende da me, dipende da Bobolino, prende su lui la macchina».
Bobolino stava dimagrendo, si era reso conto che quel continuo sovrappeso, unito a una certa timidezza, gli complicava qualsiasi rapporto sentimentale. Tuttavia ancora non era arrivato a quello che considerava il suo peso ottimale, per ora andava in palestra, di gran lena.
«Ma sai già dove andate?» insistette Giorgino.
«Boh, andremo a Cesenatico».
«Ottima scelta».
«Ho capito, chi devi pasturare a Cesenatico?» chiese Mick, indovinando l'interesse di Giorgino per la località.
«Niente di che, ma so che vengono giù la Vale e la Stefy».
La Vale era "tanta roba" come diceva Giorgino quando ne parlava, e girava con la Stefy che era altrettanto "tanta roba", se non di più. Le due facevano l'università a Bologna e non scendevano spesso, ma quella sera era stata annunciata la loro presenza e lui avrebbe fatto di tutto per esserci.
In realtà loro due preferivano non averci a che fare, lo ritenevano pesantuccio, banale, ed autoreferenziale. Avete già sentito queste frasi riferite a lui? Eh, fatevi due domande. Le stesse che si fece Mick.
«Sei sicuro? Secondo me perdi tempo».
«Attenzione, abbiamo qui il massimo esperto mondiale di psicologia femminile».
«Guarda, confronto a te, potrei tenere corsi universitari a riguardo» replicò l'aiuto tatuatore, che la Stefy se l'era vista molto bene quando si era presentata da Gek a farsi tatuare sotto a un seno "Solo se ti fa brillare gli occhi..." il giugno precedente.
Mick a volte si chiedeva come si poteva lavorare serenamente e professionalmente toccando certe pelli, e la Stefy rappresentava bene le domande che poneva a sé stesso.
«Ho già pensato tutto: tu attacchi con la storia del tatuaggio, se le piace, se è soddisfatta, quando torna a farsene un altro, io intanto intorto la sua amica. Piano perfetto».
L'altro sospirò.
«Se lo dici te».
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La Stefy e la Vale erano amiche inseparabili dai tempi delle medie e della parrocchia, poi entrambe avevano lasciato stare le questioni di fede e, sebbene con qualche difficoltà, avevano terminato le superiori e si erano iscritte all'università a Bologna, dove ancora frequentavano. Non erano particolarmente in pari con gli esami ma non era proprio il loro primo problema, e quando tornavano a Cervia, si premunivano di andare sempre a fare serata sia di venerdì che di sabato.
Giorgino stravedeva per la Vale, ma come sapete, non brillava per coerenza e nella sua mente, nel caso fosse stata irreperibile quest'ultima, si sarebbe accontentato molto anche della Stefy. Era per questo che non mancava sabato che si informasse di dove andavano le due e, puntualmente, le invitava, non cavando mai un ragno dal buco.
L'idea di usare Mick gli era venuta un paio di giorni prima, e quella sera aveva tutta l'intenzione di utilizzarla al meglio, così trascinò l'amico dentro il locale assieme a Bobo che in realtà serviva solo da autista, catechizzandolo nuovamente sulla questione dei tatuaggi.
Finalmente, quando ormai i piedi iniziavano a far male a forza di girovagare su e giù per la discoteca, i due ragazzi incontrarono le due ragazze, avvolte da due tubini da far stare male, la Vale color ottanio, la Stefy con un pure purple esaltato dai lampi di luce della discoteca.
«Vale, Stefy! Finalmente vi becco! Come state? Tutto a posto a Bologna?!» esordì Giorgino, non ascoltando nemmeno la risposta, ma già alle prese con le gomitate a Mick per mandarlo avanti con la Stefy. Quest'ultimo, obtorto collo, prese parola.
«Ti dona un botto il tatuaggio, abbiamo fatto un bel lavoro allora?».
Posto che il tatuaggio era ben nascosto sotto al tubino e quindi, quella di Mick le parve semplicemente una frase per attaccare bottone, la Stefy fece finta di nulla che un complimento non si rifiuta mai, così replicò tutta entusiasta.
«Scherzi Mick?! Lo adoro, e l'ho detto a tutte quelle che conosco, lavorate perfettamente, al prossimo, scendo apposta e lo vengo a fare da voi».
Altra gomitata.
«E... allora, che cosa vuoi fare? Cioè, cosa vuoi farti, di tatuaggio?».
Nonostante le palesi difficoltà, Mick e la Stefy riuscirono a partire con il discorso dei tatuaggi. Giorgino, mettendo in campo un grande senso di responsabilità, per non lasciare la Vale fuori dalla conversazione, si fece sotto ed iniziò il suo lavoro di logoramento.
Dopo mezz'oretta, la Vale aveva liquidato Giorgino andando a pogare nella pista rock, la Stefy e Mick, parlavano amabilmente di tatuaggi e di significati, in un angolo poco incasinato del locale.
Ad un sms, la Stefy rispose velocemente e dopo cinque minuti la Vale le piombò addosso.
«Wow stronzi! Mi avete lasciato con Giorgino, giuro che vi ammazzo la prossima volta che lo fate! Io Mick non so come fai a girarci, con uno così» si lamentò l'ultima arrivata, sbuffando, visibilmente accaldata dalla sessione nella pista rock.
«Semplice, non lo ascolto» replicò lui, facendole sghignazzare.
Si stimava di essere lì con entrambe le ragazze, mentre l'organizzatore era stato miseramente scaricato.
«Mick ha degli argomenti, Vale! Se chiedi con lui ha tutta l'enciclopedia del tatuaggio in testa» disse la Stefy mettendolo in mezzo tra le due ragazze.
«Uh, bellissimo! Quanto ti stimo, te si che fai un lavoro figo, se sapessi disegnare lo verrei a fare pure io».
Se le sentiva addosso, non poteva evitare di guardarle con quei vestitini assurdi che avrebbero resuscitato un morto. Ci sarebbero state mille battute su due ragazze del genere a lavorare gomito a gomito nello studio con Mick, ma lui le lasciò passare e le due, dopo essersi scolate un altro drink a testa, sempre guardandosi attorno per evitare di vedersi piombare addosso Giorgino, avevano guardato l'orologio.
«Mick, noi andiamo. Vieni anche te?».
«Dove?» chiese lui, stupito più che interessato.
«Giù al Pineta».
«Grazie, ma non è il mio posto» si schermì Mick, ed in effetti non era per nulla abbigliato da Pineta, già si domandava come facessero due fighe del genere a stare appresso a lui, ma forse era solo per il lavoro.
«Non è nemmeno il nostro, ma beviamo gratis. E salutaci Giorgino» rispose la Vale con un gran sorriso sulle labbra.
Nell'andare via la Stefy si attardò un attimo, si sporse verso di lui e gli sfiorò l'orecchio.
«Ti sottovaluti, Michele Benelli».
Mick non dormì molto, quella notte.
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