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POSSIAMO STARE CON LA MORY?

La sera di lunedì, il Biscia fece un piacere a Mordenti e giocò a calcetto con un po' di amici. Ormai la stagione era finita (male, ma era finita) e si concesse il lusso di andare in campo con gente raccattata alla bell'e meglio. C'erano loro due, Bertozzi, i due Fantini, lo Stecchino e quella gente lì. C'era persino Mick, e il decimo era Kappino. Avevano veramente raschiato il fondo.

Giocarono in uno di quei centri con il bar dal tetto di lamiera e dal fondo di linoleum di un verde invecchiato. Era un posto piuttosto anonimo, per non dire mediocre, se non per l'avvenenza delle bariste, inconcepibile per un locale del genere.

L'amichevole si ridusse a un'ora di gente che ciondolava e si insultava liberamente. Mischiarono due volte le squadre e, alla fine, Valerio Fantini se ne andò dicendo che con loro non avrebbe più giocato per tutta la sua vita.

Una volta in doccia, il Biscia parlottò con Mick. Non si vedevano da un po', soprattutto da quando si era trovato una morosa a venticinque chilometri da Cervia.

«Ne hai dovuta fare di strada per trovarne una che ti sopporta, eh?» scherzò il tatuatore.

«Ma te, che stai tutto il giorno a tatuare dei culi e delle tette, non ne hai mai beccata una degna? O quando ti metti in piedi scappano tutte?» ironizzò il Biscia.

«Fai le stesse battute dal 1993, un po' di evoluzione. Ah no, scusa, sei il Biscia. Non riesci a evolvere nemmeno i pokemon».

«Ha ha. A proposito, ma non ti senti più con la tizia di Milano?».

«No, è... roba passata» replicò l'altro, tagliando corto.

«Pensa che l'ho vista qua».

«Ma sul serio?» chiese Mick, tradendo una certa agitazione.

«Si ma, hai fatto bene a lasciarla stare, ha dei pessimi gusti. Era assieme a quel coglione di Dema».

«Secondo me, hai la cataratta» gli rispose Mick, piuttosto certo di quello che diceva, «Lei è a Milano, va ancora a scuola, è più piccola di noi».

«Guarda, di seghe me ne sono fatte e non lo nego, ma la vista ce l'ho ancora buona. Era lei, ed era lui. Se non ero sicuro, non lo dicevo. E scusa se ci sei ancora sotto per una che se la fa con un coglione».

«Scusa, mi devo essere perso qualcosa, ma non giocavate insieme? Anzi, aspetta aspetta, non lo avevi consigliato tu al vostro direttore sportivo?».

«Mi sono sbagliato, mi è bastato nemmeno un anno per capire che è solo un coglione coi piedi quadrati».

«Ma cosa ti ha fatto?» chiese Mick, che continuava a non capire cosa fosse successo tra quei due che per due estati avevano giocato mille partite insieme. Ci era uscito persino lui diverse sere, con quei due ed altri, finendo a giocare a beach volley e mangiar pizze ad orari improbabili. E poi, parlando di Dema, stavano lontani dall'argomento Morena, che era il primo obbiettivo di Mick.

Il Biscia si dilungò lamentandosi di come Dema fosse scarso. «E tu che sei capace oh, non azzardarti a non dare sempre il massimo possibile, ad avere un calo di concentrazione, di voglia di giocare. Altrimenti ti azzannano dicendo che sei uno senza palle, che non tira la carretta, e tutte quelle cazzate».

«Biscia, ti voglio bene, ma tu quando mai dai il massimo?» replicò Mick, lapidario.

«Oh, ma tutti dovete rompere il cazzo a me! Cioè, non avete mai preso in porta nella vostra vita, e rompete il cazzo. giuro, è incredibile».

«Vedì?» rispose Mick, ironico. Poi i due se ne andarono con Bertozzi e Mordenti a mangiarsi una pizza lì poco più avanti. Ma per lui la serata fu molto sotto tono. La Mory era veramente a Cervia? E veramente era con uno? Se era vero, allora forse aveva avuto ragione a lasciare stare. E anche quel lumicino rimasto acceso molto in fondo alla sua anima, poteva spegnersi definitivamente.

Una volta a casa, lontano dal casino, sentì montare una gran rabbia. Ci stava perdersi di vista nuovamente, ci stava patire la distanza, ci stava persino rifarsi una vita sentimentale. Ma tornare a Cervia ed ignorarlo totalmente era proprio da stronza. Lui non poteva sapere che lei era lì, ma lei sapeva perfettamente che lui era lì, dentro il solito studio di tatuaggi.

Ma nulla, nemmeno un sms. Per poi andarsene in giro con Dema. E lui di certo non era andato ad informarlo di quell'interesse, proprio lui che sembrava capire e respirare solo calcetto.

Si sentì molto ferito, e molto rabbioso. Dormì male, finchè non riaccese il cellulare e cancellò entrambi i numeri dalla rubrica.

****

Martedì 6 giugno 2006

Dopo un paio di giorni dalla chiacchierata tra zii e nipote, la notizia arrivò anche a Milano. Ovviamente non era stata la diretta interessata a gioire della notizia con la madre, offesa per non essere stata contattata dalla figlia, che ormai non sentiva da settimane.

Le uniche informazioni che riceveva la donna erano grazie al marito, che parlava regolarmente con la figlia, ed alla sorella, che non le diceva comunque abbastanza sulla vita "privata" della figlia. Le due avevano sì, litigato, ma era pur sempre la madre!

«Pronto, pensione Pineta».

«Sono io!» cinguettò la signora Valeria in modo ovvio.

«Valeria, tutto bene?» la chiamata alle nove e trenta di sera fece preoccupare la sorella, intenta a pulire il prezzemolo nello stanzino dietro la reception, davanti alla sua telenovela preferita.

«Sì, sì, tutto bene. Volevo dirti che ho parlato con Daniele e pensavo di scendere una settimana. O magari di più. Magari a fine mese. Hai posto?».

La sorella fu sorpresa, si erano sentite poche ore prima e non aveva accennato a nulla di tutto ciò.

Ripensandoci bene, aveva persino sentito la sorella distaccata, quel pomeriggio, mentre le parlava della Mory, che era pur sempre sua figlia. Non aveva fatto la minima piega mentre la elogiava, non c'era un filo di orgoglio nella madre mentre sentiva parlare di quanto era stata utile e indispensabile la figlia nella sua convalescenza, non aveva fiatato per tutta la telefonata.

La madre in realtà aveva rimuginato sulle parole della sorella per tutto il pomeriggio,si domandava se quel periodo di "trasferta" avesse potuto veramente cambiarla così tanto e voleva andare a vedere di persona.

Non riusciva ancora a fidarsi della figlia, anzi, pensava che la sorella mentisse sulle sue doti e sulla sua diligenza. Che fosse una di quelle situazioni in cui la vittima (cioè lei) passasse da carnefice: la malvagia madre che caccia di casa la tenera figliola, che lacera e stanca approda a casa degli zii che danno conforto, amore e un lavoro.

Il padre la pensava diversamente da quella visione, ehm, "bizzarra" della vicenda. Era fiero e sollevato: finalmente la Mory aveva ritrovato un po' di tranquillità, quella che aveva perso lui diventando il nuovo bersaglio della moglie.

«Certo che ti trovo un posto, tu e i piccoli vero?» chiese la zia.

«Si, Daniele lavora» poi aveva azzardato giusto per ficcanasare ancora di più, «magari possiamo stare con la Mory?».

Aveva preso tempo prima di risponderle, conosceva piuttosto bene le dinamiche tra madre e figlia e non si sentiva di decidere per la ragazza una cosa così delicata, «la Mory si è sistemata giù nello stanzino, durante la ristrutturazione se l'è sistemato come più le piaceva».

«Ah. Ok. Allora non c'è problema. Ti faccio sapere di preciso quando arrivo, buona notte» tagliò corto la signora Valeria, che per lo meno una posizione privilegiata per osservare la figlia, era riuscita a conquistarsela.

****

Giovedì 8 giugno 2006

Il giovedì successivo, la zia prese coraggio e andò dalla nipote alle prese con l'agenda.

«Cos'hai da sbuffare?».

«Oh, niente di che zia. Sto cercando di far combinare tutte le stanze con le preferenze. Sai che la signora Boldini vuole assolutamente il balcone sul retro, ma abbiamo prenotazioni con animali, e di solito le camere sul retro le teniamo per loro».

La zia, ormai navigata di quegli inconvenienti, si prese trenta secondi battendo con la matita sul labbro, poi segnò sull'agenda la soluzione.

«Vedi, la Boldini la mettiamo alla ventiquattro, il cane piccola taglia alla sedici e l'altra coppia col cane la mettiamo alla ventisei. Perfetto!».

«Zia, sei un genio! Così ci rimane libera la venticinque» rispose la Mory, osservando l'abilità della parente con il tetris alberghiero.

«Anni e anni di esperienza cara, e anche di parolacce dette in silenzio» le strizzò l'occhio la zia.

Le due risero ma la zia si schiarì la gola, un velo di gravità le passò sul volto.

«Comunque la venticinque alla fine sarà occupata».

«Chi metteremo? Per fine giugno le prenotazioni sono sistemate».

La zia si mise a sistemare la scrivania, come per sminuire le parole che stava per profferire.

«Mah, tua mamma e i piccoli vengono per una decina di giorni».

Lo disse con sufficienza, come se la cose non contasse minimamente per la Mory, che alla parola "mamma" smise di ascoltare, sentendo una rabbia cieca montare dentro di sé.

****

«Morena? Sono sul camion, hai bisogno?».

«Gianni cazzo io non posso! Non posso stare qui! Non posso stare più a lavorare qui! Devo trovare un altro posto. Dammi una mano, ti prego!».

«Calma, calma, spiega».

«A fine giugno quella bugiarda di mia mamma ha ben deciso di venire a stare una settimana qui in pensione! E lo so perché lo fa. Lo fa per venire a criticarmi. Odio solo l'idea di averla tra i piedi! Dammi una mano, devo trovare un'altro lavoro! Subito!».

«Morena, sono su un camion pieno di pesce surgelato, ora posso trovarti solo un posto da Regina dei Merluzzi Sottozero».

«Smettila di prendermi per il culo e dammi una mano!» urlò lei al cellulare, tanto che lui fermò il camion con le quattro frecce, per metà su un marciapiede.

«Senti, su due piedi non posso trovarti nulla, ma se mi fai finire le consegne, magari posso sentire in amministrazione, o da qualche altra parte. Ma ora non posso fare nulla, ok?».

L'uragano Mory perse di intensità, si ridusse a una pioggerella di lacrime, mentre spiegava perché si sentiva così tradita dal comportamento di tutti i suoi familiari più stretti. Gianni si dimostrò comprensivo, anche perchè, guidando il camion, aveva molto tempo da dedicare alle telefonate, in alternativa all'autoradio.

Verso le tre e mezza di pomeriggio, parcheggiato il camion davanti al magazzino, Gianni scese e si diede una pulita alla bell'e meglio nello spogliatoio. Si diede un contegno e si diresse su in amministrazione. Bussò direttamente alla porta del "capo".

«Demattei. Tutto a posto?».

«Capo, non sono abituato a queste domande. Ma non è che per caso serva qualcuno in amministrazione? Per l'estate».

Il capo alzò la testa, scrutandolo. Era una persona tutto sommato affabile, ma per quanto riguardava il far andare l'azienda, era piuttosto inflessibile.

«Chi devi rifilarmi?».

Gianni si sentì leggermente in imbarazzo. Non conosceva la Mory a livello lavorativo, magari era una rompicoglioni, o una scansafatiche, anche se non dava l'idea di esserlo. Deglutì e si prese la responsabilità di "raccomandare" una quasi sconosciuta al proprio titolare.

«Una ragazza che ha dovuto lasciare il lavoro di... direzione in un albergo. Questioni familiari».

Lo sguardo del capo si fece più penetrante.

«Lascia la direzione di un albergo per questioni familiari, per venire a lavorare in un magazzino di ittici surgelati».

Detta così, in effetti suonava piuttosto bizzarro. Gianni si rese conto di averla messa giù forse non in maniera ideale, ma non voleva nemmeno raccontare tutta la vicenda della Mory, che aveva confidato a lui in un momento di crisi. Magari non aveva piacere di farla sapere in giro.

«Ha qualche referenza?» aggiunse il titolare.

«Posso chiedergliela, mi faccio mandare il curric...».

«Scherzerai, un foglio pieno di fregnacce e verità imbellettate, pur di sembrare lavoratori perfetti. Per me conta la sostanza» replicò, un po' acido, «comunque avrei giusto un lavoro part time presto, per sistemare i documenti dei camion che partono. Queste ragazze sono molto allergiche al lavoro di mattina presto».

«Oh, grazie! Grazie capo! Glielo riferisco! E mi procuro le ref...».

«Falla venire qua, facciamo prima. E' la tua morosa?».

«Oh. No, niente di tutto ciò».

«Te, Demattei, sei un buono dentro» concluse il capo, tornando a lavorare sul computer.

****

La Mory, cercò di sbollire ulteriormente fermandosi all'ombra di un chiosco di piadine. Masticando un rotolino, cercò di mettere in fila le idee e cercare una soluzione. A chi poteva chiedere? Guardò la coppia che stava sgobbando dietro alle piastre del chiosco: sudavano copiosamente ma continuavano ad essere cordiali e sorridenti.

Avrebbe voluto tanto essere in una situazione del genere: lavorare per non avere pensieri, e rimanere dentro un involucro di gentilezza da riservare ai clienti.

«Avete bisogno di personale per l'estate?» chiese alla ragazza che l'aveva servita.

«No, cara, l'estate è già iniziata da quasi un mese, qua. Se vuoi trovare qualcosa, mi sa che non ti rimane che chiedere in spiaggia per i weekend».

Spiaggia. Magari c'era posto da Nicola, magari aveva voglia di fare di nuovo della babydance. Finì in fretta la piadina e scattò verso il mare, per tornare allo stabilimento in cui aveva fatto il suo primo lavoro, ormai tre estati prima.

Lo stabilimento, però, era cambiato: era più grande, più "incasinato" e lei non si orientava molto bene. Spaesata, entrò in uno dei due bar, dove sostavano due ragazze più grandi di lei. Non c'era traccia della Debby, ma nemmeno di Nicola.

Guardandosi intorno le vennero in mente una valanga di ricordi, il primo su tutti era il bel bagnino per la quale tre estati prima aveva preso una mezza cotta, Maci. Ci aveva scambiato pure un bacio, incidentale ma sempre un bacio. Si chiese che fine avesse fatto e sperò di non vederlo lì in spiaggia. Non era finita bene tre anni prima quando non si erano neppure salutati.

La Mory scacciò tutto quel turbinio di ricordi. Non era il momento di fare una full immersion nel passato, aveva altro e molto più importante a cui pensare.

«Scusate, per caso c'è il titolare?» chiese.

Le due tipe si guardarono, poi la più vicina alla porta del retro, infilò dentro la testa, e dopo un attimo Loris spuntò fuori masticando.

«Si? Mi dica... oh! Morena! Ma ciao! Ma come stai?! Ma quanto ti sei fatta grande?! E soprattutto, dov'eri andata a finire?!».

«Eh, la storia è un po' lunga, signor Loris. Voi come state?».

Loris e la Mory passarono i successivi dieci minuti a raccontarsi un po' del recente passato, quando alla fine, la ragazza spiattellò il motivo per cui era andata fino a lì:

«Signor Loris, per un problema personale ho dovuto lasciare il lavoro alla pensione, ma voglio continuare a lavorare qui e non voglio tornarmene a Milano. A voi non serve nessuno?».

Loris si toccò il mento. Aveva già avuto la Mory e aveva visto come si era sbattuta per fare bene la babydance, ma d'altra parte era babydance. Lei cercava un lavoro vero, non certo far muovere le chiappe a qualche bambino moccoloso.

«Senti, io qui qualche ora nei weekend magari ce l'avrei anche, ma non più di quello, fai conto orario aperitivo sabato, la mattina e pranzo di domenica. Magari Nicola ha bisogno a Bellaria, non lo so, sinceramente».

«Nicola a Bellaria?» chiese lei, incuriosita della frase.

«Si, ha un locale sulla spiaggia da quelle parti, ma loro fanno anche serale. Magari ha qualche ora scoperta e riesci a mettere assieme uno stipendio decente, qui da me comunque non posso assicurarti più di una decina di ore a settimana» concluse Loris.

«E quindi devo andare da Nicola a Bellaria per sentire?».

«Fagli uno squillo, anzi, te lo chiamo io, così sei sicura che risponde».

Nico ricevette la chiamata da suo padre e rispose al terzo squillo.

«Che succede?».

«Senti, ma te hai bisogno di personale di là?».

«Qualcosa a qualche orario di merda ancora prenderei, ma non rifilarmi grane per piacere. Niente mocciosi dell'alberghiero e niente fighette che vogliono fare le bariste dalle due alle quattro di pomeriggio dal lunedì al venerdì».

«No, ma va là, ho qui la Morena, quella che faceva la babydance».

«Ma chi, quella di Milano?» chiese lui, a metà via tra il sorriso e l'orrore.

«Bravo, esatto».

«Madonna, quella si porta dietro le sfighe».

«Ma piantala coglione, ti serve o no?»

«Dille di si, che poi ce la palleggiamo un po', dille che gli orari sono "flessibili"» chiuse Nico, e il padre riferì tutto, tranne la parte del portar sfiga.

«Mi sta bene» disse la Mory, senza pensare che doveva trovare un modo per arrivare fino a Bellaria quando ce ne sarebbe stato bisogno.

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