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EXTRA-ITALICA

Seba e Johana si stavano frequentando in maniera semiufficiale, ma si frequentavano. Il venerdì successivo all'arrivo della Mory, si videro di nuovo a ballare tra "universitari". Non so bene se fosse stato merito di Seba, del suo improvviso desiderio di urgenza, o della altrettanto improvvisa disponibilità di lei, dato il disgelo post primaverile, ma erano finiti a fare cose piuttosto pesanti nell'androne del palazzo di lei. Si era persino fermato un gatto a dare un'occhiata e a miagolare, attirato dai versi dei due.

L'androne del palazzo, come posto per effusioni, faceva abbastanza schifo, era grigio, basso, con una luce orrenda che faceva sembrare il tutto più una scena di "Noi ragazzi dello zoo di Berlino". Ma a loro era andata bene, eccome.

Con le bocche ancora impastate e il fiatone, si erano messi a ridacchiare convenendo che ormai, in pratica, potevano dirsi una coppia. A Seba, in quei momenti, non passò nella mente nemmeno di striscio, il promemoria di rivedersi con la Mory la sera dopo giù a Cesenatico.

Sabato 8 aprile 2006

Sabato, però. Tutto gli tornò in mente verso le undici di mattina, ancora un po' su di giri per la sera prima, quando si presentò al bar di Diegaro, incrociando il Turco che gli chiese cosa faceva quella sera.

«Oh, cazzo, stasera avevo una mezza cosa a Cesenatico».

«Vedi la tipa?».

«Eh, magari! Cioè, no, l'ho vista ieri sera. Lei tigre albanese in pieno».

Per chiarire la faccenda. Johana era nata e cresciuta qui, da genitori di origine albanese. Di albanese ne sapeva poco a parte qualche parolaccia, e se si escludono il nome e il cognome, nulla lasciava trasparire le sue origini. Ma Seba, impallinato com'era per l'esotico, era rimasto colpito da quell'origine extra-italica, e le si era messo appresso con l'accanimento di un cane da tartufi.

Non chiedetevi cosa aveva pensato quella testa bacata, tanto pensava sempre quelle cose lì, semplicemente le pensava in maniera più intensa se sentiva odore di oltreconfine.

«Ma quindi» riprese il Turco, «hai una che ti aspetta a Forlì, che cazzo vai a fare a Cesenatico?».

«Lunga storia, vedo una tipa con cui ero andato un paio di anni fa, bella compatta e soda. Vedo cosa succede, mica si sputa sulle occasioni».

«Puoi passarmela, se non ti aggrada».

"Contaci, lercio" pensò Seba, che iniziò a ragionare su quale storiella inventare per Johana, per indorarle la pillola del non vedersi quella sera. Gli tolse le castagne dal fuoco direttamente lei, costretta a casa dal padre che si era alterato per l'orario in cui era tornata la sera prima.

E meno male che non si era sporto dalla finestra, sentendo magari i rumori che provenivano dall'androne, altrimenti sarebbe finita in maniera molto più tragica. Seba sentì un brivido lungo la schiena, come se in lontananza ci fosse stato rumore di cocci rotti e qualcuno avesse ululato qualcosa come spaco botilia amazo familia.

Si, non chiedetemi come facesse a conciliare insana passione per le straniere con un nemmeno tanto velato razzismo nei confronti dei maschi adulti stranieri, ma ci provava e a sua detta faceva convivere bene le due cose. Forse era frutto dei suoi trascorsi da seduttore di ragazze polacche, quando il nemico era il controllore adulto maschio, ed il premio era l'adolescente di Katowice di turno.

Si premurò quindi, da bravo cavaliere, di messaggiare la Mory che staccava alle nove dall'albergo. Erano d'accordo per andare a Cesenatico, soprattutto per evitare di incontrare qualche vecchia conoscenza.

Per non sembrare spudoratamente una coppietta che si imbosca, Seba la portò allo Sloppy. Davanti a loro, l'acqua scura del canale dopo il tramonto e il riflesso delle luci del lungomare di Ponente. La Mory si rigirava tra le mani una vodkalemon, seduta sul cordolo. Lui pensò di nuovo a quanto era cambiata, e lo disse.

«Quanto sei cambiata, Mory».

«Te invece sei sempre uguale» scherzò lei. Ma lui era quasi serio, o meglio, serio al massimo livello consentito a uno come Seba.

«No, dico seriamente. E pensare che alla fine quasi mi stavi sul cazzo per tutte quelle storie di avermi piantato in asso, e poi il tapperotto, e poi il naso rotto a capodanno».

«E adesso, improvvisamente, non ti sto più sul cazzo?» chiese lei, quasi divertita.

«Per nulla. Solo che starai qui i soliti quindici giorni e poi ciao, dico bene?» si informò lui, con una punta di disillusione.

«No, dovrei stare tutta l'estate» precisò la Mory che poi raccontò la vicenda della zia azzoppata e della sua discesa in aiuto della parente.

«E quindi sei passata dalla babydance alla direzione di albergo. Che carriera!» scherzò lui.

Lei si fece un po' ombrosa. L'idea di aver fatto "carriera" cozzava con i continui litigi a casa. Ed il solo pensiero di tornarci a settembre la faceva già stare male.

«Tutto a posto?» si sporse lui, vedendola adombrata.

«Scusami, è che a casa va di merda. Sono qui anche per scappare».

«Addirittura scappare? Lo so che a volte a casa fa schifo con i genitori e se non ricordo male con dei fratelli più piccoli, ma ci sono gli amici e i ragazzi. Puoi sempre sfogarti con... il tipo?» buttò lì quasi a caso la frase del ragazzo, giusto per sondare il terreno.

Non voleva di certo ritrovarsi di nuovo in mezzo a una specie di triangolo dove a rimetterci di sicuro sarebbe stato il suo naso.

La Mory rise amaramente a quella frase. Lei era più sola di un cactus nel deserto, in quel momento.

«Amici? Lasciamo perdere, non sono quel tipo di compagnia dove ci si scambia i segreti. La mia amica non capirebbe, nessuno l'ha fatto. Il tipo, non c'è mai stato».

Seba la guardava con compassione, il tono della voce era malinconico e stonava con l'aspetto della Mory, sempre sorridente e che, anche nelle situazioni più agitate, sprigionava un'energia positiva.

«Tra mia madre e me il rapporto si è sgretolato, e nemmeno lentamente. È successo tutto di colpo appena tornata da Cortina. Da quel giorno ha completamente smesso di parlarmi e di guardarmi in faccia, è come se non esistessi più. Per cosa poi? Una stupidaggine che era già stata risolta e dimenticata! Per stare in casa il meno possibile mi sono trovata un lavoretto dopo la scuola, ma anche questo l'ha fatta infuriare, perchè secondo lei dedicavo poco tempo allo studio. Il colpo di grazia è arrivato con il ritiro da scuola».

«Ti sei ritirata?» chiese lui, pensando che lei non fosse una da lasciare le cose a metà.

«Sì. I miei voti erano calati, le assenze aumentate e la voglia di continuare a studiare era zero. Lei anziché cercare di capire il mio stato d'animo, mi ha ignorata del tutto, dicendo lascuolalascuolalascuola».

Seba rimase molto colpito dalla storia della Mory. Quando si erano visti per il caffè, appena scesi dal treno, non aveva idea che lei si portasse dietro quel casino. Per tutto il periodo in cui ci aveva avuto a che fare, aveva dato l'idea di una con pochi problemi se non quelli che si andava a cercare flirtando con i tipi.

«Mory, non immaginavo che fossi così incasinata. Giuro».

«Che dobbiamo farci? Ormai è andata, adesso siamo qui, il lavoro sarà quasi l'unica cosa che vedrò da qui a settembre. Almeno mi godo le serate di primavera» si stravaccò sul cordolo appoggiandosi alla vetrata del locale, «Sai, non si sta per nulla male qui».

«Senti» disse lui, in evidente imbarazzo, «mi dispiace moltissimo per i tuoi guai, vorrei fare qualcosa».

«Beh, se mi porti fuori e mi fai dimenticare la gente che chiede se abbiamo il menù vegan al posto delle costine di agnello per pasqua, siamo già a posto» scherzò lei, «basta che non mi palpi con la scusa di controllare le mie costine».

Lui rise, anche se gli venne l'impulso di toccarsi il naso. Poi sospirò, sembrava a disagio, e non era tipico di Seba esserlo.

«Vedi, a me piace stare qui a cazzeggiare con te. E alla fine ho ancora il mio naso tutto intero. Ma, ecco, ho iniziato una relazione e forse non sono la persona più adatta per esserti solo amico».

La Mory lo guardò, già sapendo che aveva ragione: Seba solo amico era difficile da concepire.

****

Stavano tornando mestamente verso il centro, leggermente discostati, come se fosse sceso dell'imbarazzo tra loro. Era stata una cosa involontaria, ma era successa, frutto di quello che si erano detti.

All'altezza del Merendero, Seba buttò un'occhiata ai tavolini e ci vide Gianni. Era con uno di quelli con cui giocava. Uno dei mille con cui giocava a calcetto. Stavano mangiando schifezze assortite accompagnati dalla musica latina del locale.

«Ehi Freezer, oggi i campi di calcetto hanno chiuso in anticipo?».

La Mory riconobbe il ragazzo che si era finto calciatore nello scherzone alla Mona e alla Claudia e che aveva accompagnato Seba in ospedale a Cortina. Ma soprattutto era il ragazzo che le aveva dato la possibilità di riallacciare i rapporti con Mick, anche se ora si chiedeva se era stato un bene o se le aveva allungato l'agonia. Non era cambiato molto, anzi, non era cambiato affatto. Affianco a lui c'era un ragazzo che si era presentato come Jonathan, piuttosto asciutto, con uno stile che sembrava essere rimasto a Nick Carter dei Backstreet Boys dei tempi d'oro, un po' fuori tempo massimo.

«Gianni e Johnny. Vi manca Genny Gattuso» si spese la battuta facile Seba.

«Seba già sei poco simpatico da normale, figurati se devi fare colpo sulle tipe» ribattè Gianni.

«Oh, no no, non devo fare colpo, siamo già a posto. Ma voi due invece fate coppia omosessuale?» chiese, pentendosi quasi subito della battuta.

«No, eravamo a guardare un torneo a Tagliata, in cerca di talenti, ma siccome non se ne trovano, affoghiamo il dispiacere nei panini».

«Vedi Mory» ironizzò Seba, «i veri romagnoli, altro che turiste! Tornei di calcetto! In cerca di talenti, almeno cercaste talenti di calcio femminile».

«Dai va là, Giochi senza frontiere, che passi le estati all'ambasciata polacca» rispose Johnny, anche se Seba ormai da un paio di anni aveva smesso.

«Se fai la squadra femminile, posso provarci, da piccola giocavo a calcio al parchetto con i maschi» era intervenuta la Mory, infilandosi nel discorso.

«Cazzo Dema, abbiamo già la prima. Pensa che figata la squadra femminile, la allenerei gratis» si era scaldato Johnny, dando un'occhiata alla reazione di lei, che in fondo si stava divertendo a far parte di quel quartetto.

Le serviva quello, nelle serate successive a quel gran lavorare: un modo per dimenticarsi cosa non andava esattamente come lei voleva. Parlarono di come passarsi l'estate, e di come il lavoro influenzava la bella stagione. La ragazza raccontò diversi aneddoti sui clienti della pensione degli zii, compresi continui battibecchi con i fornitori che, in forza dell'abitudine, cercavano in tutti i modi di fregare gli zii.

«Sentite, so che a voi maschi basta una staccionata, ma sapete com'è, avrei bisogno del bagno» disse poi, sentendo un'urgenza.

«Oh, per chi ci hai preso?» ribattè Johnny «noi non ci accontentiamo di una staccionata, vogliamo almeno una siepe di rose profumate. Comunque il bagno è lì in fondo, ma è grande come il cervello di Seba. Ahi ahi ahi».

Seba, appena la Mory si alzò per andare in bagno aveva preso la palla al balzo tirando una gomitata a Gianni, «Oh, se non te ne sei accorto, ma tanto so che non te ne sei accorto, la Mory ha bisogno del pesce».

Con questa battuta, per poco Gianni non si strozzò con la propria saliva.

«Ma che cazzo di viaggi ti fai?».

«Certo che te sei proprio limitato. Era una battuta anche perché se fosse il pesce che intendi te, le darei tranquillamente il mio» continuò Seba assumendo il tono da uomo di mondo, «ma cerca il pesce vero, quello che si mangia. Litiga coi fornitori, te non scarichi pesce? Che ritardato che sei. Magari con la scusa del pesce, la broccoli un po'».

Gianni lo fissava tra lo scandalizzato ed il rassegnato.

«Fai schifo. E perché mai dovrei broccolarla? Non penso che abbia interessi nei miei confronti».

«Non capisci proprio un cazzo. Mi ha raccontato delle cose, è super incasinata e un po' di compagnia le farebbe bene, e farebbe bene anche a te visto che le uniche cose che tocchi più spesso delle palle da calcio sono le palle che hai sotto al pisello».

«E da quando in qua distribuisci ragazze ai tuoi amici? Hai fatto un corso di magnanimità al CEPU?».

«Non rompermi, io sono un ragazzo impegnato ormai. Potresti accompagnarla a casa, magari invitarla a bere qualcosa nei prossimi giorni e magari aiutarla con i problemi che ha con il fornitore. Porca troia. È il tuo lavoro o no?».

Gianni non aveva fatto in tempo a rispondere perché la Mory era tornata dal bagno. Ma poi non diede seguito alla cosa. Figurarsi se Gianni poteva arrivare a tanto.

****

Lunedi 10 aprile 2006

«Mick, a me 'sta cosa non piace molto, ci sono regole serie in questo studio» disse Gek, serissimo.

«Lo so Gek, ci sono regole. Ma non so a cosa ti riferisci».

«Mi è toccato fissarti un appuntamento. Gobbo, dopodomani alle cinque, fra l'altro un orario di merda. Ma lasciamo stare».

«Che devo fare?» chiese il garzone, già pensando al prossimo terzetto di stelline sullo zarro di turno.

«Una gorgone».

«Quale delle tre? La solita Medusa?» poi rimase un attimo interdetto, «ma chi si tatua una gorgone?».

«Una figa. E questo mi da un gran fastidio, perchè mi ha chiesto se lavoravi ancora qui e mi ha detto se poteva fissarmi un appuntamento "con Mick"».

«Non c'entro niente, e comunque è tutto lavoro che ti porta soldi, no?» cercò di sdrammatizzare Mick, con Gek che continuava a guardarlo stortissimo.

Poi lo prese sotto a un braccio, e gli sfregò le nocche della mano sulla testa ridendo sonoramente.

«Cazzo Mick, ma fattela una risata! Ma dove l'hai presa una patata del genere, così interessata da chiedere di essere tatuata da te!».

«Non so bene cosa dire» mormorò lui, anche perchè della Gorgone aveva parlato la Vale, non la Stefy, ma il cognome dell'appuntamento era di quest'ultima.

Mercoledi 12 aprile 2006

Due giorni dopo, puntuale, si era presentata la Stefy, in tuta.

«La Vale è con Giorgino?» chiese Mick, cercando di sdrammatizzare.

«Nemmeno Giorgino è con Giorgino» replicò lei, togliendosi la felpa con la zip e rimanendo con un top che lasciò Gek con l'attrezzo a mezz'aria e la mascella cadente.

Aspetta, non l'attrezzo che pensate voi, maliziosi. Parlavo della macchina per i tatuaggi.

Mick si affrettò a far accomodare la cliente nel box. Prese la velina con il progetto e guardò la ragazza con un certo lieve imbarazzo.

«Dovresti» e fece un gesto un po' vago che avrebbe teoricamente dovuto significare "arrotolare il top". La Stefy fece un mezzo risolino e provvide ad arrotolare abbondantemente l'indumento, lasciando il quarto di seno inferiore in bella vista. Facciamo anche due quarti. Mick uscì lestamente per bere un bicchier d'acqua, e per sicurezza ne bevve due.

«Mick non ho tutto il pomeriggio!» abbaiò la Stefy.

Lui tornò in postazione, fece un lungo respiro ed iniziò. Lavorò in silenzio per un tempo che gli parve infinito, mentre prendeva forma una donna dai lineamenti molto femminili, dallo sguardo ardente e dai capelli ricciuti che terminavano in piccole aspidi.

«Come viene?» chiese lei.

«Come tutti i tatuaggi del nostro studio: perfettamente» sorrise lui.

«Meglio così. Ci tengo molto» sorrise.

«Pensavo fosse la Vale quella della gorgone».

«Lei dice dice, ma non fa. Ma magari si decide domani».

«Cioè, le hai rubato l'idea?» chiese lui, turbato da quella vicenda.

«No, ne parlavamo già da un po', lo ha detto lei perché era sbronza».

«Fate lo stesso tatuaggio?».

«Si, se lei si decide. Ha un senso se ce l'abbiamo tutte e due».

«Aspetta aspetta, in che senso?» chiese Mick, incuriosito.

«Ci tatuiamo Steno ed Euriale, non Medusa. Medusa è morta per mano di Perseo».

«Ok, fin qui ci sono» rispose lui, che a causa del proprio lavoro, qualcosa di mitologia sapeva.

«Diciamo che le due sorelle rimaste hanno dei conti in sospeso» ridacchiò, «inizialmente dovevamo fare una cosa un po' più complessa: Steno con la testa di Nettuno ed Euriale con la testa di Perseo, ma capisco che sarebbe stato complicato».

«Decisamente, vi sareste dovute far tatuare tutta la schiena, più o meno».

«Allora accontentati di farmi Euriale» ridacchiò lei.

Lui avvertiva la tensione e la levigatezza della pelle anche sotto il lattice del guanto, era quasi un dispiacere procurare quelle microinfiammazioni, ma al solo pensiero di vedere il lavoro finito su di lei, sentì un subbuglio nello stomaco. "Che figa" pensò circa cinquanta volte Mick, nel più completo imbarazzo per la disinvoltura con cui la Stefy si portava a spasso quel corpo. La tatuò della sua Euriale, poi le disse che aveva finito e lei si guardò allo specchio.

«Bellissima|» disse semplicemente, abbracciando il suo "tatuatore" e mollandogli un generoso bacio sulla guancia. Mick le fece lo sconto, trovando Gek d'accordo.

La mattina dopo, Gek ricevette una chiamata per un appuntamento, per il medesimo tatuaggio.

«Pisani» disse la Vale.

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