1998
Seba si rese conto di aver colpito la Mory, e lui beh, sebbene nel tempo si fosse sempre detto che lei era solo una portatrice di disgrazie, un giro di giostra con lei onestamente se lo sarebbe fatto.
Ma il ragazzo conservava un tremendo segreto. Beh, tremendo non proprio.
Aveva iniziato da poco una storia, ancora piuttosto in alto mare, con una ragazza. L'aveva incontrata in una serata per universitari un paio di mesi prima. Il suo corso di studi a Economia e Commercio non era brillantissimo ma proseguiva pigramente. Johana, così si chiamava lei, non era iscritta ma aveva seguito un paio di amiche a caccia di manzi, tanto entrava pressochè gratis.
Abitava anch'essa in uno dei paesini della galassia tra Cesena e Cesenatico. Si, lo so che vi stupite che a Seba fosse andata bene una di Cesenatico, senza bisogno di andarla a cercare in giro per il mondo. In realtà la ragazza aveva origine albanese e a lui solo il pronunciare un nome non italico saliva la voglia di rivederla.
Risparmiate le battute sulle sue fisse, Seba era così.
Con il passare del tempo, dopo aver mollato la Mory davanti alla pensione ed essersi rigirato il telefono nelle mani mille volte, si era chiesto se valesse veramente la pena provare a tenere il piede in due staffe. In fondo una era a Cervia e una a Cesenatico, non avevano la benché minima conoscenza in comune. Sarebbe stato un delitto perfetto, tanto poi lo sapeva che la Mory sarebbe tornata a Milano di lì a qualche mese e lui avrebbe continuato la sua vita in riviera, con la sua Johana.
Si perse nelle forme di Johana, poi si perse nelle forme della Mory, poi tutte quelle forme sparirono al suono di un clacson perchè aveva rischiato di bruciare un rosso e finire con la macchina disintegrata. E dopo addio progetto diabolico di fare la spola tra Cervia e Cesenatico.
L'aveva scampata. Ma l'avrebbe scampata? Le tornarono in mente le immagini della Mory che gli rompeva il naso con una gomitata mentre allungava le mani in spiaggia, poi glielo rompeva di nuovo dentro il ripostiglio a Cortina. Involontariamente si portò la mano al naso, che miracolosamente era rimasto dritto dopo tutti quegli assalti sanguinolenti.
Forse era il caso di pensarci bene, prima di provare a tenere il piede in due scarpe. E poi, in fondo in fondo, aveva visto nella Mory come una specie di ombra, di disincanto, che forse meritava di non essere alimentato da comportamenti scorretti.
Forse si meritava qualcuno magari meno figo di lui, ma più onesto, più disposto a guardare anche il lato sentimentale. Lui non era molto adatto, in questo almeno aveva messo assieme un po' di maturità, sapeva vedere certi suoi limiti.
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Mick era in studio che aspettava il cliente del suo "appuntamento", il Fara. Aveva detto che voleva tatuarsi qualcosa, ma non aveva detto nient'altro.
Si presentò in lievissimo ritardo, tutto sorridente.
«Oh Mick, tutto a posto?».
«Non mi lamento, allora, te come mai sei da queste parti? Su cosa lavoriamo?».
«La Cinzia» sorrise l'altro, «voglio un tatuaggio che riguardi lei, magari non direttamente il nome, ma deve essere qualcosa su di lei».
«Fara, te lo dico da amico, i tatuaggi sulle morose...».
«La so 'sta storia, ma non me ne frega nulla. Dai, cosa mi proponi?».
Mick sbuffò, poi iniziò a fare il suo lavoro professionalmente, mettendo da parte il fatto che di Simone sapesse tutta la stramba vicenda: era in cura da uno psicoterapeuta perchè aveva una dipendenza da sesso. Quante volte l'avevano preso in giro perché riempiva di corna la morosa e, viceversa, quanto avevano perculato lei perché se lo teneva nonostante i tradimenti. E poi quella cosa che tanto li faceva ridere, si era mostrata per quello che era, un disturbo serio, che lei con insistenza aveva indagato, scoperto, seguito fino a convincere lui ad iniziare un percorso di cura.
Simone e la sua terapia, per Mick, erano stati lo squarcio nel velo della turbolenta adolescenza, per mostrare la verità di una età in cui gli amorini e le corna facevano parte del passato: la maggior parte dei suoi amici più stretti aveva relazioni stabili, che avevano un senso.
Il Fara si stava facendo curare dalla Cinzia. Il Biscia, che fino a qualche mese prima era poco più che uno scemo dedito alle sbronze e alle partite di calcetto, progettava di andare a convivere con la Sonia di Gatteo con cui stava da già quasi un anno. Matteo e la Fra, per quanto diversissimi, erano una coppia indissolubile e avevano compiuto i cinque anni insieme.
Manuel e la Chiara non ne parliamo, stavano assieme dal 1998, non si sarebbero staccati nemmeno con la fiamma ossidrica.
Il 1998, un secolo era passato, Mick aveva ancora il cinquantino sbocchinato che faceva il casino di un Boeing 747 in decollo e tutte le volte che si presentava a ballare aveva il terrore che lo rimandassero indietro perché dimostrava sì e no quattordici anni con la sua faccina glabra
E adesso era lì, nello studio di tatuaggi di Gek, in uno strano spazio sospeso, era come se non si fosse reso conto che il tempo passava, che il mondo cambiava, che tutti lasciavano i loro involucri di adolescenti senza forma e senza senso, per diventare persone, mettere su un po' di testa.
Mick di lì a tre mesi avrebbe compiuto ventiquattro anni, aveva passato gli ultimi quattro a lavorare nello studio di Gek, quattro anni che lo avevano assorbito, se non fosse per quella parentesi, quell'estate 2003.
"Basta pensarci" si disse, e ricominciò a sfogliare i raccoglitori dei modelli per il tatuaggio di Simone, che nel frattempo guardava le foto delle tipe tatuate attaccate al muro.
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Vista da fuori, la piccola pensione degli zii appariva triste, fuori stagione.
Le persiane delle camere serrate, nessun asciugamano steso sulle ringhiere dei balconi e niente schiamazzi dei bambini, lo facevano sembrare uno di quei classici hotel abbandonati da film horror.
Lasciò la valigia all'ingresso e si affacciò sul salone, il pavimento era bagnato e l'odore di candeggina le invase le narici.
«C'è nessuno?!».
«Per le prenotazioni bisogna telefonare!» la voce della zia arrivò da dietro il bancone della hall.
«Anche una nipote che vuole dare una mano?».
«Mory? Vieni avanti che non ti vedo, non posso alzarmi» gemette la zia.
La ragazza fece il giro e salì sul banco, la zia stravaccata su una poltrona teneva distesa la gamba appena operata.
«Ma te mica dovevi arrivare settimana prossima? Guarda come ti sei fatta bella».
La Mory arrossì, I complimenti le facevano sempre questo effetto.
«Si, ma sono partita qualche giorno prima, almeno comincio a capire bene cosa c'è da fare. Lo zio?».
La zia scosse la testa e imprecò, «Quel disgraziato! Gli ho detto, un goccio di candeggina! S'è rovesciato mezza bottiglia addosso e l'altra metà l'ha schizzata ovunque! È su a cambiarsi ora! Pensa che aveva addosso i vestiti buoni. Perché sono bloccata, se no mi alzavo e gli tiravo il collo con le mie mani. Meno male che sei arrivata tu!» rise, ma un po' mesta.
Dopo mezz'ora, però, la ragazza era già all'opera, pronta per dare una mano.
La zia le elencò brevemente quello che c'era da fare chiedendole un parere, «Che dici, si nota tanto che sono macchiati di candeggina? » chiese indicando i divanetti ormai maculati.
«Abbastanza, anche se devo dire che sono quasi meglio adesso, sono terribili, invecchiano di brutto 'sto posto» la zia si guardò attorno.
«Ma, di chi è questa voce?» si sentì alle loro spalle.
«Zio!».
La Mory gli corse incontro e lo abbracciò.
«Meno male che sei arrivata prima, altrimenti chiedevo il divorzio! È insopportabile normalmente, figurati ora che non può far niente!» esclamò, e i due risero mentre la zia sbuffava sonoramente.
«Stanlio e Ollio, avete finito di prendermi in giro?».
Il marito rise e le accarezzo una guancia, gesto che alla Mory scaldò il cuore.
«Baccalà, la Mory dice che 'sti divanetti sono vecchi, ha ragione. Quello ha la forma della signora Calati, pace all'anima sua»
«E' morta?» chiese sorpresa la Mory.
La signora Calati era una vecchia che aveva trascorso gli ultimi cinquanta anni di vacanze nella loro pensione, prima con la vecchia gestione e poi era rimasta con loro. Aveva sempre pesato più o meno 130kg, era affetta da vitiligine, e non si alzava praticamente mai da quella poltrona, solo per mangiare e andare in camera.
Il marito, un eterno Casanova, passava tutto il giorno in spiaggia e la sera in giro per balere.
«Era una brava donna, anche se ci ha lasciato la sua forma sul divano ».
La Mory consigliò agli zii una rinfrescata generale, partendo dai divanetti appunto e poi ai tendaggi, la fantasia campo dei fiori appassito era fuori moda dagli anni '60.
La zia era contentissima di avere un'alleata, erano decenni che voleva rinnovare, ma prima la poca esperienza, poi i soldi e per finire l'abitudine l'avevano sempre frenata.
Lo zio un po' meno, nella sua testa ogni parola erano banconote che se ne andavano, ma comunque capiva la necessità della semi ristrutturazione. O meglio, capiva che non si poteva ristrutturare solo se ti obbligavano le norme edilizie o sanitarie.
Insieme, i coniugi concordano di lasciare carta bianca più o meno su tutto alla Mory, la zia le diede il dépliant per scegliere la nuova tappezzeria dicendole che si fidava ciecamente, soprattutto perché ci voleva una ventata di aria fresca come lei per svecchiare la pensione, e lo zio le disse che l'avrebbe portata con lui a cercare dei fornitori per il ristorante, visto che già l'estate prima avevano avuto problemi con i precedenti, poi preso da una strana euforia per il cambiamento le aveva chiesto se le andava di andare a scegliere i nuovi fiori da mettere in giardino e sui balconi.
«Basta che i fiori non siano nella carta da parati» concluse la nipote, strappando una risata a tutti.
La Mory finalmente si sentiva apprezzata e utile, qualcuno aveva deciso di fidarsi di lei dandole la responsabilità e la possibilità di far vedere che non era una ragazzina fannullona e irresponsabile.
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