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Preparativi

«Credo di avere preso tutto» rifletto fra me e me, guardando con occhio critico l'armadio aperto.

È domenica e domani York mi accompagnerà all'Istituto quindi mi rimane poco tempo per preparare i bagagli. La brutta sensazione che mi ha colta quando sono andata nell'ufficio dello zio è ancora ben presente, però ho deciso di spazzarla via con una sana dose di ottimismo: una settimana di indagine e potrò tornarmene a casa.

O almeno questo è quello che ripeto a tutti da giorni.

Sbuffo e mi volto in direzione del letto. Il borsone rosso è spalancato e una ridda di vestiti sembra aver preso possesso dell'intera stanza. Non sono mai stata un tipo ordinato. Ed è una cosa che ha sempre fatto arrabbiare i miei genitori.

A piedi nudi, cammino fino al comodino dove ci sono tre foto oltre la sveglia, che puntualmente non programmo mai. Una ritrae lo zio, York e Titus durante una cena, in un'altra ci sono io da neonata mentre nell'ultima vi sono mamma e papà, seduti su una coperta a scacchi, un sabato pomeriggio di quattro anni fa. Sono sorridenti e felici. I ricci di mamma sono lunghi e indomabili proprio come i miei, anche se i suoi hanno un colore più deciso: neri come una notte senza luna. Gli occhi di papà sono increspati di rughe tanto è smagliante il suo sorriso.

«Mi mancate ogni giorno di più» sussurro alla foto mentre gli occhi mi si inumidiscono.

Nonostante siano passati due anni, il dolore è ancora ben piantato dentro di me. Il vuoto che hanno lasciato e il senso di colpa che mi aveva attanagliato per non esserci stata...

Mi sfugge un singhiozzo. Alcuni giorni sono più duri di altri. E oggi non so come mai, però avverto molto la loro mancanza.

Certo, lo zio, York e Titus mi amano e mi sostengono, ma non è la stessa cosa. Non è affatto la stessa cosa.

«Leah. Posso entrare?» La domanda, accompagnata da un lieve battere di nocche sulla porta, mi fa trasalire.

Con gesti rapidi, rimetto la foto al suo posto e mi passo le mani sulle guance per togliere ogni traccia del pianto. Faccio due respiri e mi ravvivo i capelli per poi aprire. Sull'uscio trovo mio zio Bartholomew, con indosso un paio di jeans e una polo nera, che attende con le braccia lungo i fianchi come se potesse aspettare in eterno senza annoiarsi.

«Ciao zio. Che succede?» gli chiedo subito, spostandomi di lato per lasciarlo entrare.

«Non posso venire a trovare la mia nipote preferita?» risponde lui, sgranando gli occhi in maniera innocente mentre da una rapida occhiata alla camera.

«Sono l'unica nipote che hai» osservo, inarcando un sopracciglio e chiudendo la porta, per appoggiare la schiena.

«Questo non toglie che tu sia la mia preferita» afferma lo zio con un sorriso nella voce, avvicinandosi alla finestra dall'altra parte della stanza.

Il paesaggio cittadino è caotico come sempre, nonostante sia domenica. Però spesso mi trovo a fissare quella massa di sconosciuti che brulicano lungo la via principale e mi domando come sarebbe essere così... normali.

Senza cacciare paranormali o senza allenarsi con uno stregone.

Rido della battuta e aspetto che sputi il rospo. E non devo nemmeno contare fino a dieci perché lo faccia. Un record visto che di solito ci tiene a "creare l'atmosfera" come dice lui.

«Hai preparato i bagagli?» domanda, dando le spalle alla finestra e fissando il borsone sul letto.

«Quasi. Volevo portare anche le foto, ma credo che le lascerò qui» sospiro, guardando la fotografia dei miei genitori «dato che andrò in missione è meglio che io non abbia nulla che riconduca alla mia vera identità.»

Lo zio annuisce piano con la testa, mi rivolge uno sguardo colmo di orgoglio e un mezzo sorriso gli increspa le labbra.

«Sono davvero fiero di te, Leah. Anche se preferirei che tu non partissi per questo incarico» esordisce con voce bassa e stanca. Quando mi vede aprire la bocca per replicare, solleva una mano per fermarmi. «Lasciami finire, ti prego. So quanto tu sia testarda quindi non insisteró, però voglio che tu mi prometta un paio di cose: manterrai un basso profilo e te ne andrai non appena scoprirai qualcosa. Nessuna azione in solitaria né corsa verso il pericolo.»

«Certo zio. Prometto che mi comporteró in maniera discreta» annuisco convinta delle mie parole «tempo una settimana e avrò le risposte che cerchiamo.»

Lo zio fa un respiro profondo, segno che il discorso non è ancora finito.

«Dato che gli esseri umani non sono ammessi, dovrai portare uno di questi» aggiunge, traendo un braccialetto blocca-poteri dalla tasca posteriore dei pantaloni «manterrai il tuo nome, però sarai una strega in punizione quindi avrai questo gingillo al polso. Così eviterai anche domande sui tuoi ipotetici poteri e quant'altro.»

Mi avvicino a lui e prendo il gioiello. Le rune risplendono alla luce che pervade la stanza e la brutta sensazione ritorna più prepotente di prima. Scuoto lievemente la testa e aggancio il braccialetto al polso sinistro con un sommesso click.

«Ottima idea, zio» lo elogio, con un sorriso, facendo tintinnare il monile progettato per i paranormali pericolosi.

«In verità ci sarebbe un'ultima cosa» afferma lui, quasi con tono di scuse «però dobbiamo andare nel mio ufficio.»

Inarco un sopracciglio, curiosa come non mai nella vita, e annuisco, facendogli cenno di precedermi. Lui non si fa pregare e mi fa strada. Appena fuori dalla mia camera, prendiamo il corridoio di destra e lo percorriamo fino in fondo.

Lo zio spalanca la porta del suo ufficio e mi invita a entrare per prima. Non so che aspettarmi, ma di certo non questo. Le poltrone sono sparite per far posto a una sedia bizzarra come quella che si trova in uno studio dentistico e lì vicino vi è uno sgabello con appollaiata sopra una donna che non ho mai visto.

«Ehm... buongiorno» la saluto con titubanza, fermandomi a pochi passi da lei.

Possiede capelli corti e argentati, indossa una specie di tuta blu elettrico e i suoi occhi color ametista mi scrutano critici. Devo aver passato l'esame perché mi fa cenno di accomodarmi sulla sedia. Odio i dentisti.

«Sariah è un'artista» mi comunica lo zio, chiudendosi la porta alle spalle «vista la pericolosità dell'incarico, ho pensato di farti avere un supporto.»

«Ma York e Titus non possono venire con me» obietto, confusa da tutta la situazione.

«Certo che no» ridacchia lui, seguito a ruota da Sariah «ciò non toglie che avrai un compagno, diciamo.»

«Accomodati, Leah» dice Sariah, con un sorriso luminoso in volto «quello che Bart sta cercando di spiegarti è che ti farò un tatuaggio. Un tatuaggio molto speciale.»

Sbatto le palpebre un paio di volte, però non ricevo altre informazioni quindi mi siedo e sollevo la maglia: se proprio mi serve un tatuaggio, preferisco che sia in un posto dove non attira l'attenzione.

«Mettiamoci al lavoro!» esclama la donna per poi aprire la mano sinistra e far apparire una specie di penna dalla punta di metallo direttamente sul palmo.

Apro la bocca per fare una domanda, però lo zio scuote la testa così serro le labbra e rivolgo lo sguardo al soffitto: non mi sono mai piaciuti gli aghi, nemmeno se sono sotto false sembianze come ora.

Comunque sia devo ammettere che Sariah ha le mani d'oro. Non accetto nulla più di un leggero pizzicore mentre le disegna ciò che vuole sulla mia pelle intonsa.

«Dovrà trovargli un nome» sussurra lei, dopo qualche istante di silenzio.

«Ehm... a cosa, scusi?» le chiedo con lo stesso tono di voce.

Non voglio di certo distoglierla dal suo lavoro. Così come non voglio uno sgorbio o un tatuaggio sbilenco solo perché ho parlato a voce troppo alta.

«Al famiglio, ovviamente. Il nome lo vincolerá a te. E devi dirmelo prima che io finisca di crearlo» mi spiega Sariah, facendomi distogliere l'attenzione dal soffitto.

La fisso con altre mille domande nella testa. Gli occhi mi cadono sul disegno minuzioso che sta facendo e rimango sbalordita: si tratta di un gatto nero con baffi bianchi e una mezzaluna sulla fronte, anch'essa candida come la neve.

«È stupendo» mormoro, davvero ammirata dalla maestria di Sariah «Nyx. Si chiamerà Nyx.»

Il nome si è formato nella mia mente in maniera naturale come se quel micio fosse destinato a chiamarsi così. Nessun altro nome sarebbe stato più giusto di quello.

«Ricevuto» afferma Sariah per poi bisbigliare parole a me sconosciute ma dal sapore potente.

Riconosco soltanto il nome di Nyx in mezzo a tutto quel farfugliare, però non distolgo lo sguardo dal disegno che freme quando Sariah finisce di parlare. Il nasino nero ha un piccolo spasmo così come i baffi dopodiché si sente un lieve sospiro.

«Ecco fatto. Ora hai il tuo famiglio» annuncia la donna, sistemando tutte le sue cose, pronta per andarsene.

«Ti avevo detto che non saresti andata senza supporto» commenta lo zio, facendomi l'occhiolino.

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