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Passaggio a casa

Moore, ora inoffensivo come un agnellino, ci scruta con occhi freddi e colmi di odio puro. York si mette a declamare parole antiche e potenti mentre io e Titus attendiamo che il passaggio si apra.

Non tutti gli stregoni sono abili nella creazioni di varchi, ma l'uomo magrolino e vestito in maniera pacchiana che lo zio ha assunto svariati anni fa è imbattibile. Non conosco molto bene ne lui ne Titus, però mi ricordo perfettamente che quando ero piccola giocavo con loro ogni estate.

Fanno parte della famiglia.

«A tuo zio verrà un infarto appena vedrà i lividi» osserva l'omone di carnagione scura, rimanendo al fianco del vampiro.

Mi porto una mano alla gola. È sensibile al tocco, ma non mi fa molto male. In realtà non immaginavo che rimanessero lividi.

«Sono i rischi del mestiere» ribatto, scrollando le spalle «comunque sarà più arrabbiato con voi due perché non siete intervenuti in tempo.»

Ridacchio allegra e Titus sbuffa, scocciato.

«Come se avessi potuto farlo» brontola lui, scoccando una rapida occhiata allo stregone «hai finito?»

«Certo» esclama York, spalancando le braccia con un gesto teatrale «anche se mi piaceva ascoltarvi. Sembrate due ragazzini.»

«Ehi! Io non sono una ragazzina» replico, con voce stridula e incenerendolo con lo sguardo.

Nell'udire le mie parole entrambi scoppiano a ridere allegramente e io mi trattengo a stento dal fare una linguaccia. Moore, dal canto suo, continua a lanciarci brutte occhiatacce, probabilmente trovandoci stupidi.

I vampiri rappresentano la razza più altezzosa del creato.

Titus mi posa una manona sulla testa e mi da qualche carezza come se fossi un cagnolino o qualcosa del genere. E io mi rammarico di non possedere alcun potere magico altrimenti l'avrei incenerito all'istante.

D'accordo che sono la ragazza più bassa che conoscono, ma non serve che me lo ricordino ogni minuto.

«Fine dei giochi, bambini.» York batte le mani, cercando di mantenere un'espressione seria in volto, con scarso successo, a dire il vero «è ora di tornare a casa.»

Titus afferra il prigioniero per un braccio e insieme attraversano il varco, ossia una breccia luminosa alta abbastanza da far passare l'omone dalla carnagione scura. Lo stregone, poi, mi fa un cenno con la testa, io sbuffo dopodiché seguo Titus dall'altra parte. York è l'ultimo così chiude il portale alle sue spalle.

«Casa, dolce casa» commento a bassa voce, senza rivolgermi a qualcuno in particolare.

York ci ha fatto apparire nella Sala degli Ingressi, abbastanza scontata come meta, però comoda dato che si trova a qualche piano di distanza dalla Sala della Reclusione, ossia dove soggiornano i nostri target prima di essere trasportati in prigione.

La Sala dove ci troviamo è un enorme spazio pieno zeppo di porte turchesi che nascondono portali permanenti verso ogni luogo del pianeta. Lo staff dello zio dispone di innumerevoli stregoni che rinnovano gli incantesimi per permettere a noi Esattori di svolgere il nostro dovere in maniera tempestiva.

Le pareti sono costituite da mattoni blu scuro con lievi venature azzurre che pulsano di energia magica e il vampiro sibila non appena l'avverte. York una volta mi ha spiegato che la magia utilizzata pizzica la pelle ai soggetti particolarmente sensibili.

Io non ho mai percepito nulla.

«Porto giù il nostro ospite» ci avvisa Titus, incamminandosi in direzione dell'unica porta nera esistente in quella Sala e trascinando con sé Moore.

«Io e te andiamo da tuo zio» mi dice York con un sogghigno nella voce.

Alzo gli occhi al cielo in maniera teatrale e sbuffo con fare scocciato. Non è che non voglio vedere lo zio, il punto è che si irriterà a morte per lo svolgimento dell'incarico. Da quando ho intrapreso questa "carriera", lui è molto protettivo nei miei confronti. La cosa mi piace e mi fa piacere, però alle volte è soffocante.

«Lo sai che ti vuole bene» aggiunge lo stregone, facendomi cenno di raggiungerlo.

Cammino a passo svelto e mi affianco a lui, mettendomi le mani in tasca. Varchiamo la soglia della stessa porta nera che pochi minuti prima ha attraversato Titus e ci troviamo in un corridoio bianco candido.

La prima volta che ho messo piede qui dentro mi girava la testa a causa dei colori che dividono la Torre. Un caleidoscopio che può nuocere alla sanità mentale degli esseri umani.

«Lo so. Non è che questo che...» brontolo, mordicchiandomi il labbro inferiore indecisa se continuare oppure no «vorrei che si fidasse un po' più di me. Tutto qui.»

«Oh, ma lui si fida di te» replica York, quando ci fermiamo alla fine del corridoio, proprio di fronte all'ascensore «il punto è che lui fa questo lavoro da molti anni e si preoccupa per te. Sei nel giro da quanto? Un anno?» aggiunge, non appena entriamo nell'abitacolo.

Lo stregone pigia il pulsante che ci farà arrivare all'attico dopodiché si appoggia alla parete argentata davanti a me e mi scruta in silenzio. Avverto il sguardo squadrarmi e studiarmi. Vorrei dire qualcosa, ma non apro bocca. Soprattutto perché ha ragione su tutta la linea: sono diventata Esattrice da un anno e mezzo esatto.

E senza poteri magici è doppiamente complicato.

«Quando sono arrivata qui, è stato naturale intraprendente questo lavoro» sussurro, abbassando gli occhi «credevo di averne le capacità.»

«E le hai. Te lo dice uno che bazzica la Torre da una vita. Però devi riflettere di più. E attenerti ai piani. E...» York snocciola un elenco infinito di cambiamenti che dovrei attuare e, a un certo punto, quasi mi scoppia la testa.

«Basta. Basta. Credo di avere capito» lo zittisco e alzo le mani in segno di resa «bisogna assumere un'altra Esattrice.»

Inaspettatamente York ridacchia come un bambino il giorno di Natale e io gli scocco un'occhiata perplessa e un poco offesa.

«Ma no, sciocchina» afferma, non appena l'ascensore si ferma «devi soltanto crescere.»

Dalla serietà che trasuda dalle sue parole, capisco che non intende proprio in maniera anagrafica, anche perché sono già maggiorenne. D'altra parte, fino a qualche istante fa credevo di essere abbastanza saggia per una della mia età.

Con la testa colma di pensieri non molto felici, nemmeno mi accorgo che York si è incamminato finché non mi richiama a voce alta.

«Arrivo» brontolo, facendo una breve corsa per raggiungerlo.

Il corridoio è bianco come gli altri, però questo conduce a una porta color magenta, l'unica di questo piano. York la spalanca senza bussare e varca la soglia.

Lo seguo, deglutendo a fatica. Ho una brutta sensazione, ma non riesco a inquadrarla meglio. So che lo zio si arrabbierà per i lividi che mi costellano il collo eppure non credo si tratti di questo.

Un brivido mi corre lungo la schiena quando metto piede nel suo ufficio.

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