Sono qui con te
In tutto l'Oxfordshire piovve per una settimana intera quel Giugno, dopo il soggiorno del Tenente Becker a Ashbourne Manor. Per alcuni, come Mr Harry Ashbourne, fu come se il sole fosse stato strappato via dal cielo violentemente e contro la sua volontà, così che le nubi grigie cariche di pioggia e lampi accerchiarono tutta Banbury e la campagna.
Harry passò quei giorni rintanato nel suo studio ad esaminare carte. La proposta di Louis riguardo l'acquisizione dei Brindleton era una mossa audace e aveva bisogno di pensarci sopra ancora un po': non sapeva se avrebbe effettivamente portato benefici alla sua già esistente impresa o l'avrebbe tirata giù in fondo con loro. Con l'aiuto fondamentale di Oliver Blake e di un buon sigaro, studiò per giorni diverse strategie e i loro possibili scenari. Se avesse comprato l'impresa di importazione di aromi, accorpandola all'industria di tabacco, avrebbe avuto un'entrata annua del 15% in più circa, secondo la prospettiva più rosea. Se tuttavia questa unione fosse stata un fallimento, avrebbe potuto riscontrare una perdita di almeno il 30%. Che fare, dunque? Rimanere seduto comodo nel suo studio e abbandonare l'idea, restando sì il più influente ma in una moltitudine di competitors, o rischiare tutto per diventare gli unici?
Non aveva ancora le risposte. La sua mossa non poteva essere unicamente commerciale, bensì anche politica. In quel momento in tutta Inghilterra si iniziavano ad alimentare tensioni sociali generate dal partito laburista, e Harry doveva tenere un occhio di riguardo per la classe operaia ora più che mai per evitare spiacevoli rivolte. Sperava che, con la giusta combinazione degli eventi, se Baldwin e i conservatori avessero mantenuto la stabilità nel Paese lui avrebbe potuto fare quel passo nel vuoto con successo.
Pensò di fare un salto a Londra quando il clima sarebbe migliorato, lasciando Oliver a tenere d'occhio sua sorella. Era vero che la salute di Frances era migliorata notevolmente nelle ultime settimane, ma temeva che fosse ancora troppo fragile e si aspettava una ricaduta da un momento all'altro, come se camminasse in bilico su cocci di vetro destinati, prima o poi, ad infilzarsi sotto i piedi nudi.
Quando suo padre morì, Harry sapeva che sarebbe stato difficile prendersi carico di ciò che restava della sua famiglia, delle proprietà, dell'impresa. Non immaginava certo che sarebbe stato così logorante vedere sua sorella soffrire e non sapere come aiutare, non sapere il motivo di quella terribile sofferenza. Tra gli impegni di lavoro e Frances, Harry aveva ormai rinunciato alla sua vita privata, almeno fin quando le cose non sarebbero andate meglio. L'unico momento in cui gli fu concesso di essere se stesso e spensierato furono i giorni passati con il suo migliore amico, ma adesso era tornato alla realtà e doveva di nuovo rimboccarsi le maniche per far quadrare tutto.
Qualcuno bussò alla porta dello studio distraendolo dai suoi pensieri. Entrò Oliver, che si versò un bicchiere e si accomodò dall'altro lato della scrivania.
«Sai che sei la persona di cui mi fido di più, Oliver?» gli domandò Harry dopo un attimo di silenzio. Oliver sorrise e spinse un po' in fuori il petto, sciogliendosi dalla tensione che lo aveva accompagnato entrando nella stanza.
«Te ne sono grato»
«Intendo partire per Londra non appena il tempo sarà migliorato. Voglio passare in fabbrica, e voglio parlare con i Brindleton.» continuò, senza davvero aver ascoltato la risposta del suo consulente, «Voglio che tu stia qui con Frances. Voglio che tu la tenga d'occhio. Non sopporterei l'idea di lasciarla sola dopo quello che ha passato ultimamente».
«Senz'altro, sarei felice di farlo» rispose Oliver, che in effetti era davvero felice al pensiero di poter passare del tempo da solo con la signorina, «tuttavia, credo stia molto meglio adesso, sai?»
«Sai cosa credo io, invece?» disse lui, allungando i piedi sopra la scrivania e accendendo una sigaretta con uno sbuffo, «che quella ragazza sia una bomba ad orologeria, pronta ad esplodere da un momento all'altro».
Miss Frances restava ignara delle cospirazioni che si creavano alle sue spalle. Il momentaneo addio del Tenente Becker le portò uno strano sollievo, e finalmente sentiva i suoi nervi rilassarsi. Momentaneo, sì, perché aveva proprio l'impressione che quella spina nel fianco non sarebbe stata così facile da estrarre, ora che i rapporti con Harry sembravano più idilliaci che mai. Desiderava con tutto il cuore dare il beneficio del dubbio a quell'uomo, per il bene di suo fratello, ma nei giorni trascorsi ad Ashbourne Manor egli si rivelò con lei e con lei soltanto ancora più spregevole di quanto sembrasse a prima vista.
Ma Frances, che per indole e ormai abitudine tendeva a leggere le persone più profondamente di quello che loro stesse desiderassero, non poteva dentro di sé accettare che quell'affascinante e carismatico uomo che si mostrava al mondo come uno sciupafemmine non potesse essere qualcosa di più. Forse, in realtà, nel suo cuore lo sperava.
I giorni piovosi in campagna si rivelarono al limite del deprimente. Miss Ashbourne continuava ad affinare le sue passioni passando pomeriggi interi rinchiusa nella sua camera, in compagnia del suo grammofono, ad inventare coreografie aperte solo agli occhi di Jane la governante. A dire il vero si annoiava molto nelle giornate cupe, e le mancavano le sue passeggiate quotidiane presso il fiume Cherwell, in compagnia del gatto Proust. Lui, in effetti, se la passava meglio di tutti; rintanato nel caldo e nella comodità delle stanze della padrona, miagolando di tanto in tanto alla ricerca di coccole, e dormendo la maggior parte del tempo. Frances avrebbe voluto avere la sua stessa quiete.
Passò le serate piovose al sicuro della sua villa, giocando ai dadi con suo fratello e Oliver, e vincendo la maggior parte delle mani. Difatti, aveva un certo talento con i dadi e sembrava riuscisse a comandarli a suo favore ogni volta che li tirava, tra le espressioni sbalordite di Oliver e la rabbia di Harry ogni volta che perdeva i suoi soldi.
Di tanto in tanto, il ricordo del Tenente si intrufolava tra i suoi pensieri, domandandosi come stesse, cosa stesse facendo, se le sue braccia stessero stringendo forte la bella signorina Christine. Cercava di evitare quei pensieri come la peste, e ogni volta che si presentavano li scacciava via con forza e il solito atteggiamento di disgusto che riservava al giovane.
Arrivò la metà di Giugno e con essa il bel tempo tornò a rasserenare Banbury e dintorni. Harry preparò l'essenziale per trattenersi a Londra per non più di una settimana o giù di lì, e lasciò mille raccomandazioni al suo consulente sulla cura della sorella. Preparò i suoi completi più belli e, con una buona dose di cera a domare i suoi capelli scuri, lasciò Ashbourne Manor e una Frances triste e malinconica.
Era così ogni volta che si separavano, anche se per poco tempo. Tuttavia, Frances quella volta non aveva intenzione di restare abbandonata nella grande villa senza una spalla - ad eccezione di Oliver, che talvolta scarsamente considerava. Decise infatti di invitare la signorina Charlotte, la sua nuova amica, a soggiornare presso la residenza e attendeva il suo arrivo con ansia trepidante.
Oliver fu accomodante nell'accogliere la nuova ospite, nonostante avesse immaginato di poter passare più tempo possibile da solo con Miss Ashbourne in assenza di Harry. Ad ogni modo, Oliver Blake era un giovane di buon carattere e di poche lamentele con altrettanti pochi difetti, eccezione fatta per quello di accontentarsi, spesso, delle briciole.
Frances si occupò insieme a Jane la governante di preparare la stanza che avrebbe ospitato Miss Charlotte, tanto era entusiasta all'idea. Scelse le lenzuola più morbide e pregiate, organizzò diversi vasetti di lavanda sul comò a profumare la camera, preparò un paio delle sue personali comode pantofole di seta ai piedi del letto.
«Che ne dici di una bella serata di bridge per accogliere la nostra ospite, Oliver?» propose al ragazzo tra un preparativo e l'altro.
«Mi sembra un'ottima idea Miss... Frances, solo Frances.» si corresse subito lui dopo aver ricevuto uno sguardo di rimprovero dalla ragazza. Quel piccolo gesto di confidenza lo metteva in imbarazzo e gli faceva arrossire le orecchie. «Purtroppo siamo solo in tre, però. Ci serve un quarto giocatore.»
«Un quarto giocatore? Io pensavo ad un torneo vero e proprio. Un piccola festicciola, ecco.»
Non un'altra festa, pensò Oliver sconvolto. Frances parve quasi leggergli nel pensiero.
«Tranquillo, caro Oliver, intendo davvero piccola» lo rassicurò la ragazza, posando una mano sulla sua spalla. Oliver rabbrividì a quel tocco delicato. «Invitiamo giusto qualcuno da Banbury, niente sfarzo. Magari marito e moglie Puckett vorranno essere dei nostri. E, perché no, i giovani fratelli Clark, so che adorano il bridge. Volendo, anche Emilia Pittsbourg del Manhattan, da tempo non ho il piacere di vederla... Beh, Oliver, fai tu. Fa un po' parte del tuo lavoro, no?». Frances si congedò con un sorriso e corse su per le scale verso le sue stanze, lasciando un Oliver Blake di stucco ai piedi del foyer scombinarsi i capelli nel suo solito gesto ansioso.
Un lato positivo dopotutto c'era. Occupandosi lui degli inviti, non avrebbe dovuto temere una nuova festa in grande come quella dell'ultima volta ancora per un po'. Già, per poco, perché sapeva bene che il compleanno di Frances si avvicinava, e lì non ci sarebbe stato scampo per nessuno.
Miss Charlotte arrivò il mattino dopo la partenza di Harry. Era una splendida giornata così soleggiata che faceva male agli occhi guardare al cielo, mentre la luce naturale si infrangeva dorata contro le mura di Ashbourne Manor. Frances la aspettava seduta al bordo della grande fontana di pietra davanti al prospetto della villa mentre giocava con i piedi nudi sulla superficie dell'acqua. Quando la macchina che accompagnava la signorina si fermò davanti l'imponente cancello sentì gridolini allegri provenire dalla vettura e subito sfrecciò verso la sua amica, noncurante di indossare le scarpe. Mentre il pietriccio del vialetto si infilzava dolorosamente sotto le piante dei piedi, Frances gettò le braccia attorno al collo di Charlotte e le diede due forti baci sulle guance, come se la stesse aspettando da una vita intera.
«Mia cara Charlotte, dimmi, hai viaggiato bene?» le chiese emozionata con un gran sorriso, «Oliver! Oliver! Vieni ad aiutare la signorina Grimaldi con i suoi bagagli, forza!».
Frances prese la sua amica sotto braccio e la condusse verso la casa.
«Frances cara, Londra può essere così estenuante alle volte! Nient'altro che balli, feste, serate ai circoli... credo che questa villeggiatura mi farà bene se non all'anima, senz'altro ai piedi.»
Miss Charlotte Grimaldi non era poi così diversa caratterialmente dalla giovane Frances, ma ne era forse un'accentuazione. Di carattere spigliato e ribelle, fumava e beveva come un uomo e non mancava mai di partecipare ai grandi eventi mondani. Seppure la sua bellezza non fosse paragonabile a quella della signorina Ashbourne, gli occhi color caramello erano accattivanti e maliziosi quasi quanto i suoi, e si intonavano alla perfezione con la corta chioma fulva dalla pettinatura all'ultima moda. Tuttavia, il suo stile nel vestiario era meno ricercato sebbene non tanto pudico. Di frivolezze ne aveva da raccontare a volontà, e di affascinanti e influenti uomini bramava la compagnia.
«Ho organizzato giusto qualcosina per darti il benvenuto, stasera» iniziò Frances, prendendo tra le mani quelle dell'amica, «ma non temere: solo un piccolo torneo di bridge, ricordo quanto ami il bridge! E ci saranno alcuni giovani che vorrei presentarti, assolutamente dei buoni partiti...».
Nonostante il matrimonio fosse ancora una prospettiva lontana ed inconcreta nella mente di Frances, la sua nuova amicizia l'aveva ispirata ad improvvisarsi consulente amorosa e creatrice di coppie, con l'unico obiettivo di trovarsi Miss Charlotte maritata entro la fine di quell'estate.
La sera arrivò presto e gli inquilini di Ashbourne Manor si ritrovarono in un salotto ad allestire i tavoli per il torneo. Una giovane domestica nera di nome Minnie sostituì la governante nelle sue mansioni, dato che quest'ultima aveva preso un brutto raffreddore e fu costretta a letto tutto il dì. La giovane Minnie adorava Miss Frances e vedeva in lei tutto ciò che ella stessa non sarebbe potuta essere mai: ricca, elegante, trasgressiva, e soprattutto bianca. Tuttavia Minnie detestava le feste organizzate dagli Ashbourne e nutriva un profondo terrore verso qualsiasi essere di genere maschile che le si trovava nei paraggi, persino verso Harry Ashbourne, che era sempre stato tanto cortese nei suoi confronti. I genitori di Minnie lavorarono per qualche tempo nelle piantagioni degli Ashbourne in Virginia e, quando perirono in povertà in America, il signor Ashbourne padre accolse Minnie in casa come domestica. Nonostante la sua gratitudine, però, la giovane si sentì sempre come una qualunque schiava nera, a discapito del suo salario.
In breve tempo il salotto si riempì degli invitati e Frances presentò a tutti la sua nuova amica francese, con particolare riguardo ai fratelli James e Charles Clark. I fratelli Clark erano belli e affabili. Il padre era un importante banchiere e i giovani avevano appena finito l'università intenti a prendere le sue orme.
Charles, forse ammaliato dagli occhi dolci che Miss Charlotte gli rivolgeva, la invitò a unirsi al suo tavolo per giocare.
«Solo se non le dispiace perdere contro una donna, signore.» accettò la ragazza, trascinandosi dietro Frances in coppia con l'altro Clark.
I quattro si accomodarono a un tavolo vicino la finestra, mentre gli altri invitati ancora chiacchieravano e si versavano da bere. Poco distante da loro, Oliver Blake guardava malinconico la squadra in cui avrebbe voluto far coppia con Frances, chiedendosi se anche lei per un attimo avesse preferito stare con lui.
Fu allora che Frances udì il chiacchiericcio esplodere quasi in un'ovazione, costringendola a voltarsi verso la porta d'ingresso della sala. Un nuovo ospite era appena arrivato e, con grande sorpresa e sdegno di Frances, si trattava del Tenente Becker, che faceva la sua entrata teatrale regalando un galante inchino alla signorina Emilia del Manhattan. Quando Frances, impulsivamente, scattò su dalla sedia, finalmente il Tenente incrociò il suo sguardo: improvvisamente la musica allegra intonata dal grammofono risuonò ovattata mentre nella stanza sembravano esserci solo loro due, in piedi ai capi opposti, tra una piccola folla di figure sfocate che non si accorsero dell'espressione maliziosa del giovane che abbandonava per la prima volta il suo viso. Egli si portò una mano al cuore e si inchinò mantenendo il contatto visivo, e in quell'attimo Frances infine capì cos'era quella sensazione che le attorcigliava lo stomaco ogni volta che incrociava i vispi occhi azzurri del Tenente: desiderio.
Così come veloce quel pensiero le attraversò la mente, altrettanto rapidamente lo cacciò via e si ricompose, distogliendo lo sguardo in preda allo sgomento. Vedendo il giovane muoversi verso lei, si affrettò a scappare in direzione di Oliver Blake, cercando di contenere la sua furia.
«Dimmi esattamente,» quasi ansimò una volta afferrato il braccio del ragazzo, «dimmi esattamente perché quell'uomo si trova qui.»
«Hai detto tu di occuparmi degli inviti, no?» rispose Oliver confuso, «Un momento, aspetta: non lo desideri qui? Ti ha fatto per caso un torto?». Il ragazzo assunse un'aria allarmata, come se avesse appena procurato un danno irrimediabile, o peggio, di aver terribilmente offeso Frances.
«Sciocchezze» disse lei controvoglia, avvertendo un leggero tremore della palpebra sinistra minacciare i suoi nervi. Ora che le danze si sono aperte, pensò, tanto vale ballare.
Decise di ignorarlo più a lungo possibile, e tornò al suo tavolo dove gli altri ospiti la stavano aspettando.
Il Tenente Becker, tuttavia, non era affatto un uomo che passava inosservato. Con i suoi modi carismatici monopolizzò subito la conversazione del gruppo riunitosi attorno a lui, facendo arrossire le signorine e divertire i gentiluomini.
«Dimmi un po', cara Frances» iniziò Miss Charlotte senza distrarsi dalle sue amate carte, «quel delizioso uomo in uniforme, hai mancato di presentarmelo. Vuoi forse tenertelo tutto per te?»
Frances rise dell'ironia di quella frase. Desiderava, in effetti, tenerselo tutto per sé. In un'ultima presa, Charlotte vinse la prima mano di bridge.
«Credo di non averti ancora mostrato bene i giardini sul retro, Charlotte. Forse Charles ti potrebbe accompagnare.» quasi ordinò, lasciando poco spazio ad eventuali dissensi, così i due giovani lasciarono il salotto di buon grado: Miss Charlotte non avrebbe mai potuto pensare che quello fosse stato più un atto di gelosia che di cordialità.
Frances abbandonò il suo tavolo per riempirsi il bicchiere e si unì alla conversazione tra Oliver e la signorina Emilia accendendo una sigaretta. Sentì una presenza avvicinarsi alle sue spalle e, ben consapevole di chi si trattasse, si ostinò a non voltarsi, mentre la sua voce profonda le sussurrava all'orecchio: «Il ricordo delle mie mani attorno alla sua caviglia mi logora ancora i pensieri».
Miss Ashbourne sussultò rumorosamente, attirando l'attenzione della sua compagnia, ma dissimulando con un risolino si voltò verso il Tenente e lo fulminò con lo sguardo.
«Lei è un maledetto maleducato» bisbigliò a denti stretti, per poi lanciarsi fuori dalla stanza seguita a passo svelto dall'uomo.
Il Tenente canticchiava allegro, inseguendo la signorina Ashbourne per i corridoi della grande villa, mentre ella imprecava di star zitto.
Who's that coming down the street?
Who's that looking so petite?
Who's that coming down to meet me here?
«Non può sfuggirmi per sempre!» si avvicinò a lei di scatto, costringendola contro una parete mentre ella provava a divincolarsi.
«È proprio quello che sto cercando di fare, invece!» esclamò Frances, liberandosi dalla sua presa affondando un tacco sulla punta del mocassino dell'uomo, che gemette di dolore ma non sembrò ritirarsi davanti a quel rifiuto.
Miss Ashbourne scappò verso i giardini sul retro, inoltrandosi nel buio e nell'aria pungente della sera, cercando di seminare il suo rivale, ma egli era restio ad arrendersi e continuò a seguirla, fin quando si trovarono sotto un arco di bouganville ad ansimare per la corsa.
«La vuole smettere con questa tortura?» disse lei adirata, premendosi una mano sul fianco per lo sforzo.
«Miss Frances, io so qual è il suo segreto» annunciò il giovane Tenente, tutto serio d'un tratto. Frances rabbrividì a quelle parole e improvvisamente il mondo intorno a sé prese a girare in un vortice di panico. Da dove saltava fuori quell'affermazione? Come poteva quell'uomo conoscere il suo segreto? Quello stesso segreto che aveva cessato di tormentarla nelle ultime settimane, che adesso iniziava ad invadere la sua mente di paura.
«Io... io non so di cosa stia parlando, Tenente.»
Le gambe cedettero e fu costretta a sedersi sulla panchina in ferro battuto sotto l'arco fiorito. La stessa panchina dove, fino a poco tempo prima, aveva speso innumerevoli pomeriggi a conversare col padre.
«È così ovvio» iniziò lui, prendendo posto al suo fianco con fare disinvolto.
Frances prese a tremare. Non le sembrava possibile che il Tenente potesse essere a conoscenza delle sue azioni, eppure quel dubbio si insinuò come un tarlo nei suoi pensieri facendole perdere il minimo raziocinio che possedeva.
«Lei teme di innamorarsi di me.» sentenziò infine il giovane, abbandonando il tono di voce grave per lasciare spazio a un ghigno divertito sul suo volto.
Ma Frances ormai non lo ascoltava più. Era di nuovo al capezzale del padre, mentre frugava nella borsa del dottore tra tutte le fiale e gli strumenti.
"Fai presto" diceva Mr Ashbourne, "prima che arrivi qualcuno".
Le mani della ragazza tremavano mentre afferrava una siringa e la scartava dalla sua confezione. Prese tre boccette diverse, contenenti dei liquidi a lei sconosciuti dall'aspetto denso e opaco. Iniziò a prelevare con la siringa diverse quantità da ogni fiala.
«Signorina Frances?»
La voce del Tenente Becker risuonava lontana come un eco mentre, senza accorgersene, la ragazza era già accasciata per terra con le mani che stringevano forte la testa.
Si avvicinò al letto del padre, che la guardava supplichevole. Calde lacrime le bagnavano il viso e offuscavano la vista, mentre cercava di prendere una vena dal suo braccio ossuto e grigiastro.
Frances emise un grido straziante che squarciò il silenzio della notte. Il Tenente Becker cercava di riportarla alla realtà, stringendole i polsi per evitare che le sue unghia affondassero ancora nella sua pelle. Chiamò aiuto, la strinse a sé, la cullò fin quando non si fosse calmata.
Accorsero diverse persone, tra cui un Oliver spaventato a morte dalla scena che gli si presentava davanti.
«Allontanati, Becker.» gli intimò con fermezza, «La festa è finita», e prendendo tra le braccia la signorina Frances da terra, la portò correndo dentro la villa fino alla sua camera, dove la adagiò piano sul letto. Mandò a chiamare Minnie e le ordinò di portare immediatamente un tonico per i nervi della signorina, mentre restava accovacciato accanto al suo letto.
«Oliver...» sussurrò debolmente Frances, ma il ragazzo la fermò prima che potesse continuare, carezzandole dolcemente i morbidi capelli biondi.
«Va tutto bene, Frances» rispose lui, con una forza d'animo che finora era rimasta nascosta ma che emerse prepotentemente nel vedere la sua amata sofferente, «sono qui con te».
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