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Prologo

La pioggia cadeva fitta e pesante mischiandosi alla schiuma delle onde del mare in tempesta. I Dissennatori pattugliavano il cielo scuro intorno alla prigione assicurandosi che non scappasse nessuno.
La nube nera volava sopra alle onde con foga, cercando di seminare i pochi Dissennatoro che si erano accorti della sua presenza.
La prigione di Azkaban era poco più avanti, si ergeva solida in quello scoglio solitario schiaffeggiata dalle onde furiose, ma nessuna di loro sembrava scomporla.

Quella prigione, che postaccio; tantissimi maghi che avevano abbracciato la purezza del sangue vi erano stati rinchiusi, qualcuno ancora aspettava la morte attraverso il bacio del Dissennatore e qualcuno sperava in una scarcerazione per buona condotta.
Le mura erano fredde in quella notte di settembre, l'acqua filtrava dalle fessure echeggiano tra i lunghi corridoi e le stanze vuote, formava pozzanghere gelide che percorrevano i solchi tra un mattone e l'altro, schiacciando la pelle appena si veniva in contatto con essa.
I detenuti si tenevano occupati a lanciare dei sassolini dentro le pozzanghere; nessuno di loro sapeva che ore fossero, che giorno avessero appena passato, da quanto tempo stavano lì.
Alcuni sembravano anime in pena, chine verso il pavimento sperando in un miracolo, altri si facevano beffe del ministero criticando il nuovo ministro salito al potere ritenendolo un perfetto incapace.

La nube si dissolse proprio davanti alla prigione, mostrando una figura a capo chino, coperto dal cappuccio del Montgomery, la corporatura alta, la parte sinistra della labbra tagliate da una profonda cicatrice.
Guardò verso la prigione, osservando i Dissennatori che sembravano spaventati dalla sua presenza. Impugnò la bacchetta e la sollevò verso Azkaban, rimase lì assaporando la calma e il silenzio dentro la tempesta prima di caos totale che avrebbe causato. Poi aprì gli occhi.
"BOMBARDA MAXIMA!"

"Ah!" Béatrice si svegliò sobbalzando, un tuono l'aveva violentemente risvegliata dai suoi sogni, oppure incubi.

Si tirò su pigramente e scrutò la sua camera da letto: si era si nuovo addormentata sul davanzale della grande finestra. Stava guardando il cielo cambiare colore, come faceva ormai da un anno intero: lo osservava passare da quell'azzurro chiaro fino ad arrivare a quel blu scuro, quasi nero, le ricordava il suo sguardo in tutte le sue sfumature.
Se ne dava ancora la colpa, lo vedeva ancora accasciato a terra in preda alle convulsioni e ricoperto di sangue, letteralmente, dalla testa ai piedi.
Che cosa le aveva impedito di agire prontamente? Lo sgomento nel vederlo colpito dal suo stesso incantesimo? Il panico nel pensare che avrebbe potuto non rivederlo più? Cercava ancora di darsi una risposta mentre tentava di non dimenticarsi il suo volto e i suoi ricci ribelli, neri come l'ebano.
Si alzò del tutto, sentendo le gambe intorpidite, a si avviò verso la porta dando una rapida occhiata a suo fratello Alessio che, a differenza sua, dormiva beatamente.

Scendendo le scale si avviò verso la cucina per prendere un bicchiere d'acqua; rimase lì a fissare il vuoto con il bicchiere in mano, appoggiata al piano di lavoro, a pensare alla promessa che gli aveva fatto prima di quel fatidico giorno, una promessa che lei, per lui, avrebbe mantenuto a qualunque costo. Solo che non era facile: quella famiglia non si faceva avvicinare da nessuno a meno che non fosse di loro conoscenza, e lei in confronto era un'emerita sconosciuta, considerando che non avevano voluto nemmeno vederne la faccia prima di cacciarli dalla famiglia.
Un rumore la risvegliò dai suoi pensieri facendola girare di scatto: Margareth Lorèn, sua madre adottiva, era in piedi davanti alla porta con uno sguardo preoccupato, non essendo la prima volta che trovava la figlia in piedi a fissare il vuoto.
"Hai fatto di nuovo quel sogno?" Le chiese dolcemente mentre si avvicinava a lei. Béatrice sospirò e annuì tristemente girandosi di nuovo e posando il bicchiere sul piano di lavoro della cucina, continuando a guardarlo. Margareth l'abbracciò da dietro appoggiando la testa. Era più bassa della ragazza di poco, non godendo di una grande altezza già in famiglia, tanto che per raggiungere le gote di Béatrice era costretta ad alzare leggermente la testa per baciarle.
Lei le mise le mani sulle sue, per ricambiare l'abbraccio, per poi girarsi verso sua madre e appoggiarsi di nuovo al piano di lavoro lasciando che Margareth le accarezzate le braccia percorrendo il loro perimetro dall'alto al basso e viceversa, come faceva sempre per calmarla.
Le spostò i capelli rossi rossi dagli occhi per costringerla a guardarla: "Non dovresti pensarci..."
"Ma è l'unico modo che ho per vederlo ancora"
"No, non fraintendermi, intendevo dire che non dovresti pensarci così tristemente" le sussurrò Margareth accarezzandole il volto. Béatrice distolse lo sguardo, non voleva farsi vedere sempre così debole davanti a sua madre, soprattutto dopo quella notte. Guardò la portafinestra osservando il forte temporale: era uguale a quella notte, dove aveva visto più studenti e Auror combattere e cadere rispetto ad una qualsiasi guerra; ringraziava da un lato l'essere uscita da Hogwarts a pieni voti, probabilmente non avrebbe retto un altro anno, certi traumi non si dimenticano facilmente.
Margareth colse i suoi pensieri e distolse lo sguardo della figlia girandole la testa verso di lei: "Coraggio, smetti di tormentarti, è ancora molto presto teniamo a dormire"
La ragazza annuì e seguì la madre verso le scale.

Entrò nella sua stanza senza fare rumore, chiudendo piano la porta per non disturbare il fratello. Si sedette a letto, non se la sentiva di affacciarsi ancora alla finestra, iniziava anche ad avere freddo e un colpo d'aria non era solutamente il caso, soprattutto in quel momento; si sdraiò nel suo letto coprendosi per bene e sentendo il calore delle coperte ristabilire la temperatura corporea, poi si assopì fissando il soffitto e pensando a lui.

Un fuggi fuggi generale stava dominando in quella prigione isolata nel mare, i Dissennatori riuscivano solo a staccare pochi dei tanti detenuti e si affrettano a varcare quella voragine che si era creata nel muro.
Molti Mangiamorte, rinchiusi lì da chissà quanto, colsero il momento per riassaporare la libertà.
Rabastan Lestrange si affacciò verso il mare in tempesta, non riusciva a vedere il responsabile dell'evasione, ma non avrebbe speso un momento di più in quella specie di cella frigorifera piena di spifferi e topi.
L'aria fuori era così piacevole, sentì di poter ancora respirare; si girò verso suo fratello e sua cognata: "Andiamo!" Li incitava "Possiamo scappare, venite!"

Bellatrix scosse la testa e così anche il marito: "Aspetteremo che l'Oscuro Signore ci liberi personalmente".
La voce della donna era stanca e apatica, un anno fa era stato riferito loro da un Auror che loro figlio, il loro amato figlio, l'unico che avevano, era caduto in battaglia dopo aver scatenato una ribellione di massa ad Hogwarts, da allora lei e il marito aspettavano con impazienza la liberazione da parte di Lord Voldemort, sapendo che a casa non li avrebbe aspettati più nessuno; sapendo che, oltre alla loro preziosa causa, non avevano più motivo per vivere fuori da Azkaban.
Rodolphus si rivolse al fratello, con voce calma e rassegnata: "Tu vai se vuoi, io resto qui, ad aspettare"
"Ma... chi vi dice che non sia l'Oscuro Signore stesso ad aver fatto una cosa del genere?"
Il fratello mostrò il braccio sinistro, il marchio nero non reagiva e non si muoveva, quindi chiunque avesse permesso l'evasione non era Lord Voldemort, evidentemente non era ancora in piena forza per poterli aiutare.
Rabastan rivolse loro uno sguardo di rimprovero, aveva perfettamente capito che il motivo del loro dissenso era anche un altro: "Ed è così che onori le sue gesta?" Chiese con tono severo "È così che reagisci? Ti chiudi in te stesso? Gli hai insegnato ad essere forte e sei il primo ad arrenderti"
"Zitto!" Rodolphus si alzò di scatto con la rabbia negli occhi "Tu non sai cosa vuol dire! Non l'ho nemmeno salutato! Non ero lì ad aiutarlo!"
Rabastan gli si avvicinò puntanogli il dito contro, sapendo quanto fosse vulnerabile in quel momento suo fratello maggiore: "Io so BENISSIMO cosa vuol dire: dove tu hai perso un figlio, io ho perso un nipote"
Bellatrix, nel sentire quella parola, figlio, abbassò gli occhi, sentiva lo stomaco chiudersi di nuovo come quella volta: il suo amato figlio, che aveva cresciuto e istruito con tutta la dedizione possibile, che aveva visto emergere come successore dell'Oscuro Signore, era caduto in battaglia, per uno stupido errore, un solo errore comune che gli era costata la vita.

Rabastan guardò la donna, non poteva credere che era bastata una notizia per buttarla completamente per terra, nemmeno quando aveva saputo della sconfitta di Lord Voldemort si era indebolita così tanto; e poi davano retta ad una simile notizia? Chi diceva che non erano solo parole? Parole per confonderli? Non ne era sicuro nemmeno lui ma non sarebbe rimasto lì a marcire: "Fate come volete; io, per quel che mi riguarda, ritorno ai miei doveri"

Antonin Dolohov fissava le onde quasi con ammirazione, la libertà l'aveva finalmente abbracciato ed ora poteva fuggire libero nel cielo scuro. Non vedeva l'ora di tornare a casa sua e aggirarsi per le strade di Diagon Alley per torturare babbani e mezzosangue. Si guardò intorno cercando anche Augustus Rookwood, per fuggire insieme a lui e agli altri Mangiamorte.
Cercò anche il suo Salvatore, che sembrava non volersi far vedere, ma poco importava, lo avrebbe ringraziato al momento opportuno.
Corse verso il mare e si librò in cielo avvolto dalla sua nube nera volando insieme agli altri detenuti e superando ed evitando i Dissennatori che stavano attaccando tutti i fuggitivi, sentendo la pioggia batterli addosso come schegge taglienti e gelide di quel settembre così scuro e tetro.

Augustus Rookwood uscì poco dopo accompagnato da Rabastan, inspirò più aria che poteva: "Finalmente non sento più quel sudicio odore di topi" dichiarò trionfante. Rabastan si guardò intorno scrutando il caos generale, erano accorsi alcuni Auror ma non riuscivano a tenere testa ta tutta quella fuga di massa, una scena così divertente e piacevole.
Augustus si girò verso di lui: "E tuo fratello e tua cognata? Non vengono?"
Lui lo guardò serio: "Non hanno motivo di evadere, al momento" fece il verso di Rodolphus. Il compagno ridacchiò: "Ah scusa è vero, sono ancora in lutto. Dov'è finita la loro determinazione? È morta insieme al loro figlio?"
Rabastan non rispose, non gli piaceva che qualcuno potesse parlare male della sua famiglia, ma Rookwood aveva ragione: dovevano andare avanti e compirer la volontà dell'Oscuro Signore, con o senza i loro cari.
Volò verso il cielo seguito da Augustus e insieme, evitando gli attacchi dei Dissennatori che li inseguivano furiosi.
Guardò per un ultima volta la prigione di Azkaban, dove stava lasciando due suoi parenti cari: Rodolphus aveva ragione, Rabastan non poteva capire fino in fondo quello che il fratello e la cognata stavano provando, per lui Antheo era un fantastico nipote, ma un nipote non era un figlio.
Ve lo riporterò, pensò, e quando lo rivedrete, verrete via con noi a servire ancora il nostro Signore, sarà così fiero che avremmo molti privilegi.

La dimora Crouch era uguale al solito, il padrone di casa non aveva mai speso così tanto in rimodernizzazione. Il che al momento era positivo.
La pioggia era cessata e Diagon Alley era solo piena di pozzanghere che bagnavano fino alla caviglia. La luce fioca dei lampioni impedivano, per fortuna, una visione completa delle strade e dei passanti.
La figura si fermò davanti al cancellato, e con l'incantesimo alohomora sbloccò il chiavistello e si fece strada fino al portone.

Il salotto era nero ma riscaldato, ma lui era sicuro che il signor Crouch non fosse presente, ultimamente passava più tempo al ministero che a letto.
Non si curò di bagnare il lungo tappeto con i suoi passi, di sicuro si sarebbe asciugato prima del rientro del padrone.
Sentì una voce, una voce tremante, di un elfo domestico, e la seguì fino alla stanza da cui proveniva.
Winky lo anticipò e gli bloccò il passaggio sgranando gli occhi: "Non è possibile... è il signorino..."
Lui la zittì subito, non aveva tempo per le sue moine; piuttosto pechinese se fosse sola in casa, sapendo che non poteva mentire.
Winky si guardò intorno, incerta su cosa rispondere, e si agitava di più sentendo le pressioni dell'ospite, alchè vuotò il sacco: "No signorino... Winky non è sola... Winky stava controllando il signorino Crouch stesse bene..."
L'ospite allargò un sorriso, era sicuro che Barty Crouch Jr non fosse in prigione, gli era capitato, in una sera di natale, insieme agli zii, glie era capitato di passare davanti alla dimora Crouch e sentire il signor Crouch parlare a Winky, e aveva capito che non erano discorsi di politica.
Intimò l'elfa di condurlo fino al padrone e lei fece come richiesto, nonostante si fosse rifiutata inizialmente.

La stanza era tutto sommato accogliente, la figura si guardava intorno con uno sguardo agitato, lasciando intravedere dal cappuccio l'occhio destro contenente il serpente. Winky lo guardò per un po', per poi chiedergli di uscire, alludendo al fatto che non le era permesso far entrare estranei in casa quando i padroni non c'erano.
"Ma Winky" disse poi la figura sorridendo con un ghigno beffardo "Io non sono un estraneo, e la casa non è disabitata"
Winky non fece in tempo ad allarmarsi che venne sbattuta fuori con un colpo di bacchetta e la porta le si chiuse in faccia.
Per quanto l'elfa battesse contro la porta e implorasse di farla entrare, la figura non accennava a girarsi per accontentarla; percorreva il perimetro della stanza con le braccia allargate, per sentire qualunque cosa nella penombra.
La mano sinistra, coperta dal guanto ignifugo, toccò qualcosa che gli ricordava la stoffa di un mantello.
La afferrò e la tolse con uno strattone: Barty Crouch Jr era lì seduto, con gli occhi vuoti.

Lo fissò per pochi secondi, con un'espressione di chi sta cercando una soluzione e sta studiando la scena, la maledizione Imperius inflitta dal padre era ancora attiva.
"Che dolore vederti così" gli disse con tono compassionevole "Ringraziamo comunque tuo padre, che non ha avuto un totale cuore di pietra da spedirti ad Azkaban a calci"
Con la bacchetta interruppe la maledizione e vide il suo amico e compagno riprendere pian piano controllo di sé.

Barty si guardò intorno spaesato, cercava di ricordarsi che giorno fosse e dove si trovasse, non prestò molta attenzione alla figura che aveva davanti, stava cercando di ricomporsi come si deve.
Si alzò, in preda ai formicolii e alle gambe addormentate, e fece un breve giro della stanza per risvegliare muscoli e riflessi.
Solo in quel momento si rese conto che qualcuno lo guardava, e con una faccia divertita.
Si girò verso colui che lo aveva liberato, che si era tolto il cappuccio fradicio e che stava bagnando la stanza con il Montgomery gocciolante. Riconobbe subito quel volto, anche se erano sette anni che non lo vedeva e anche se i segni di una battaglia lo avevano sfigurato.
Gli si avvicinò, a piccoli passi, per essere sicuro che non fosse un altro tiro di suo padre, ma dubitò che il suo vecchio fosse tanto astuto.
"Ma tu sei..." provò a dire, la l'ospite gli fece segno di non parlare portandosi un dito alla bocca.

Ora dovevano scappare da lì, ma passare dalla porta era decisamente troppo pericoloso, Winky era ancora lì a battere contro la porta e avrebbe potuto avvertire il padrone in qualsiasi momento.
Si guardarono intorno per cercare una via alternativa, potevano tranquillamente smateriallizzarsi, ma Winky non permetteva loro di concentrarsi, allora Barty si ricordò una cosa: "La stanza accanto! C'è un camino, possiamo usare la metropolvere"
Condusse il suo ospite nella stanza accanto, guardandosi dietro per assicurarsi che nessuno li avesse seguiti; il camino si attivò e i due si avvicinarono al camino: "Non sai che favore mi hai fatto" gli disse Barty sorridendo "Sento che questo preannuncerà un fantastico periodo"

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Eccomi qui! Spero che come prologo vi piaccia! Io personalmente ne sono molto soddisfatta!
Ditemi cosa ne pensate!

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