9- Inferno d'ambra
Emma
Chilometri e chilometri di fronte a noi, una foresta che pare infinita, notte e giorno in un equilibrio eterno, testimonianze in pietra dell'esistenza di un popolo antico e rimasto sconosciuto al mondo intero.
Mentre percorriamo la lunghissima strada non riesco a pensare ad altro.
So che forse è fuori luogo, ma non posso fare a meno di sentirmi euforica: tra miliardi di persone questo sta succedendo proprio a me, a me che non ho mai smesso di sperarci, anche se mi dicevo di essere grande ormai per certe cose.
Comincio a ridacchiare tra me e me, felice.
Esiste davvero, esiste davvero... Sta succedendo a me.
Vengo strappata ai miei pensieri da una strana sensazione di risucchio, come se davanti a me qualcosa di invisibile mi attirasse in avanti.
«Jeremy! Cos'è questo?» chiedo fermandomi e iniziando a preoccuparmi.
«Non lo so, non riesco a capire!»
Con orrore, prima di poter tentare di fare qualunque cosa per fermarlo, vedo mio fratello avanzare di un passo.
È questione di un attimo, di un battito di ciglia, e Jeremy non c'è più.
L'entusiasmo di poco fa scivola via da me come acqua sulla roccia, il sorriso radioso di cui non riuscivo a liberarmi si spegne completamente senza bisogno di tanti sforzi.
«Jeremy!» urlo in preda al panico che sento crescere in me esponenzialmente ogni secondo che passa.
Lo shock rallenta il flusso dei miei pensieri, certo, ma non riesce a bloccarli: "Se faccio un passo anche io arriverò da lui, ovunque lo strano vortice invisibile lo abbia portato."
Questa è la mia conclusione.
Così prendo un respiro profondo e mi preparo a saltare, ma all'improvviso, come Jeremy è sparito in un attimo, così un'altra persona compare allo stesso modo di fronte a me.
Mi immobilizzo completamente, gli occhi ormai irrimediabilmente incastrati in quelli del nuovo arrivato: due iridi del colore dell'ambra mi stanno fissando così intensamente da farmi sentire trapassata da parte a parte, così intensi che credo riuscirebbero ad illuminare da soli anche la più buia delle notti.
Ha i capelli corti ma molto folti, ricci e neri come inchiostro: alcuni riccioli scuri gli ricadono sulla fronte, su quel viso dalla pelle diafana che solo sugli zigomi lascia spazio ad un po' di colore.
Le sopracciglia ben definite, simili ad ali di corvo, conferiscono a quel volto tanto bello quanto cupo un'espressione cristallizzata a metà tra il terrore e lo stupore.
Sotto al naso dritto la bocca è piegata in una smorfia di sorpresa ad indicare che, forse, era davvero l'ultimo dei suoi pensieri quello di ritrovarsi davanti una ragazza in questo posto.
All'improvviso però il pensiero di Jeremy riesce a rompere l'incantesimo che ci tiene incatenati da ormai troppi istanti e, non curandomi più del ragazzo davanti a me, ricomincio ad avanzare quasi correndo con l'intenzione di superarlo; i miei piani però vanno in frantumi in un lampo: un secondo prima di raggiungere il punto in cui mio fratello è sparito e il misterioso ragazzo comparso, mi ritrovo le braccia di quest' ultimo attorno alla vita. Sono bloccata.
«Lasciami andare! Devo andare da mio fratello! Io lo devo trovare, mettimi subito giù!» grido con quanto fiato ho in corpo e cercando di divincolarmi dalla presa ferrea dello sconosciuto.
«Gettandoti nel portale non ritroverai proprio nessuno, ti perderesti e basta!» sento il suo fiato caldo sul collo, un brivido di paura mi percorre la schiena.
Arrendermi però non è esattamente il mio forte, quindi con quanta forza mi rimane cerco di tirare un calcio al ginocchio del mio "sequestratore" riuscendo a centrare l'obiettivo: il ragazzo subito lascia la presa.
Prima di essere riacciuffata faccio il mio ultimo passo in avanti prima di sentire il terreno venire meno sotto ai miei piedi, ma mi rendo conto troppo tardi di avere qualcuno aggrappato al mio braccio.
Un secondo dopo mi ritrovo stesa a terra con la faccia al suolo. Fantastico.
"Ma che diamine è successo? Mi sono... teletrasportata?"
Almeno adesso non ci sono più dubbi: la magia esiste e questa foresta ne è impregnata.
Mi rialzo velocemente cercando febbrilmente mio fratello tra gli alberi che hanno ripreso a circondarmi, ma con mio rammarico accanto a me si trova solamente il ragazzo dagli occhi ambrati.
La speranza di ritrovare Jeremy al di là del portale è ormai spenta, quindi mi prendo qualche altro istante per osservare meglio lo sconosciuto che mi ha seguita fin qui per chissà quale ragione: dimostra all'incirca vent'anni ed è poco più alto di me, è vestito con dei semplici pantaloni di tessuto grigio e una giacca verde.
Quando il mio sguardo scivola sui pugnali che tiene legati alla cintura sento lo stomaco contrarsi e la pelle essere percorsa da mille brividi, per non parlare del cuore che comincia a battere ancora più furiosamente di prima.
Scappare però non aiuterebbe, di certo mi riacciufferebbe in un attimo, ne sono sicura.
«Te l'avevo detto che non avresti ritrovato tuo fratello attraversando il portale!» la sua voce blocca completamente il flusso dei miei pensieri, al momento assai intricati.
Sollevo lo sguardo di nuovo, accorgendomi solo ora dell'espressione contrariata con la quale il ragazzo mi sta guardando, mentre è ancora intento a togliersi della terra dai vestiti finita lì a causa della caduta.
«Non eri costretto a seguirmi se è per questo!» decido di ribattere con finta sicurezza incrociando le braccia, anche se di sicurezza ormai me ne rimane ben poca: lo shock per la repentina separazione da Jeremy mi fa tremare le gambe e non sono neanche in grado di formulare nella mia testa un pensiero sensato.
«Ah sì?! Avresti preferito vagare alla cieca per giorni se non per mesi in questa foresta? Ti è andata bene, fidati!» mi tiene testa il ragazzo continuando a guardarmi storto e indicando con un gesto gli alberi dalla corteccia ricoperta di muschio attorno a noi.
«Non mi farai del male, vero? Non sei un assassino o roba simile, spero...» chiedo pacata senza smettere di fissarlo, indietreggiando di un passo e stando sulla difensiva.
Lui sgrana gli occhi e ammutolisce come se le parole appena uscite dalla mia bocca lo avessero lasciato esterrefatto, o meglio, ferito.
«Ti ho seguita solo per aiutarti, ragazzina», ribatte in tono freddo dopo svariati attimi di silenzio, distogliendo lo sguardo da me proprio nel momento in cui un'ombra scura cala sul suo viso.
«Non preoccuparti, non ti farò del male. Posso aiutarti se mi racconti quello che ti è successo», riprende lui sospirando.
Il suo tono stavolta è diverso, sembra intriso di una tale tristezza... Riesco a percepirlo chiaramente.
Non può di certo essere stata solo la mia reazione a incupirlo così, era un dubbio lecito il mio, ma allora perché?
In ogni caso ora che ho la certezza che quei pugnali rimarranno al loro posto i miei muscoli irrigiditi si sciolgono un po' e il mio respiro torna regolare, anche se il mio cuore non vuole proprio saperne di rallentare.
«Allora, come ci sei finita qui?» mi incalza lui con più dolcezza tornando a guardarmi. I suoi occhi ora trasmettono così tanta sofferenza che quasi mi si stringe il cuore, tanto che l'astio che fino a pochi secondi fa nutrivo per lui scompare completamente.
"Beh, se vuole aiutarmi, perché no?" penso. "Se vive qui deve conoscere bene la foresta."
Fidarsi è sicuramente un rischio, probabilmente il più grande della mia vita, ma che alternative ho? Da sola non sopravvivrei due giorni.
Prendo così la mia decisione, sperando di non dovermene in seguito pentire amaramente.
«Io mi chiamo Emma», comincio così, il più decisa possibile.
«Io e mio fratello ci siamo persi dopo esserci... ehm... teletrasportati credo, ti prego, se conosci la foresta bene come credo, puoi aiutarmi a ritrovarlo?»
Dopo alcuni istanti di silenzio lui si decide a rispondermi.
«Lasciatelo dire, Emma, vi siete infilati proprio in una brutta situazione», dice scuotendo la testa.
«Ti prego, dimmi che puoi aiutarmi! Da sola non saprei proprio come fare», lo supplico.
«Ti devo portare a Yakamoz», sentenzia lui.
«Io con te non vengo proprio da nessuna parte se prima non ritroviamo Jeremy!» ribatto tentando di farmi valere: non voglio sprecare nemmeno un secondo di tempo.
«Tuo fratello potrebbe essere a decine di chilometri da qui, non potremmo mai trovarlo da soli», dice il ragazzo, serio, alzando un sopracciglio.
«Loro possono aiutarti molto più di quanto riuscirei a fare io, credimi», ribadisce poi cercando di calmarmi.
Capendo così che non mi resta altro da fare se non fidarmi lui ripeto tra me e me, come un mantra, le ultime parole dei nonni: «Siate coraggiosi.»
Lo sarò.
Devo esserlo.
Andrò con questo ragazzo e farò di tutto per ritrovare mio fratello.
Il mio salvatore poi, se così lo posso chiamare, deve per forza sapere tutto su questo luogo.
«Vengo con te ad una condizione», dico allora alzando lo sguardo e guardandolo in quegli occhi ambrati tanto magnetici.
«Ovvero?» chiede lui titubando, forse timoroso di quello che potrei chiedergli.
«Voglio conoscere il segreto di questa foresta», affermo.
«Dal momento che non puoi tornare nel tuo mondo non vedo perché no. Incamminiamoci intanto, va bene?» mi risponde rilassandosi ma tornando a incupirsi forse anche più di prima.
Per il momento mi limito ad annuire.
Lo vedo così cominciare a guardarsi intorno, probabilmente per capire la nostra posizione, per poi dirigersi con tutta sicurezza in una direzione che io non riesco a capire cos'abbia di diverso rispetto alle altre.
Camminiamo fianco a fianco senza dire niente per un po'; ogni tanto guardo di sfuggita questo ragazzo tanto particolare che mi sta facendo da guida, uscito da chissà dove.
Lo vedo avanzare in silenzio muovendosi con sicurezza in quest' ambiente per lui evidentemente molto famigliare, ma la mascella contratta rivela quanto in realtà sia teso nel trovarsi in questa situazione.
"Non dovrei essere io quella più turbata da tutta questa vicenda?" mi chiedo.
Vorrei scoprirne di più sul conto della mia guida, la curiosità che nasce in me è forte tanto da sorprendermi di me stessa, ma la priorità è ovviamente quella di capire in che posto esattamente sono finita.
Dopo un po' non ce la faccio più a tacere, ho troppe domande che mi girano per la testa; sto per chiedergli che cosa sia Yakamoz, ma improvvisamente mi viene in mente di non sapere ancora il suo nome, così glielo chiedo:
«Mi dici almeno come ti chiami?»
Il ragazzo si volta a guardarmi; sembra come indeciso se rispondermi oppure no, ma poi finalmente parla:
«Axel», dice velocemente, quasi avesse paura di pronunciare il proprio nome.
Io annuisco soddisfatta e mi preparo a porgli la mia raffica di domande:
«Fra quanto pensi che scenderà la notte, Axel?» continuo alzando gli occhi verso il cielo grigio-azzurro, sempre uguale da ormai troppo tempo.
«Non arriverà, Emma. Le stelle ci hanno abbandonato da anni ormai, credo proprio che dovrai abituartici.»
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