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8- Destino alle porte

«James... Ti prego, dimmi che non l'hai fatto...»

«Ho mantenuto la promessa, Ada, mi dispiace.»

«Dio, no... Perché!? Perché questo è successo a me!? Non bastava togliermi per sempre mia figlia, anche i miei nipoti ho perso! Io non ce la faccio, io non...» 

«Tesoro, ti prego, non fare così! Loro ce la faranno e torneranno da noi, io lo so!»

«No che non lo sai! Non lo puoi sapere!» 

«Era la cosa giusta da fare, Ada. Questo è il loro destino e quello il luogo a cui appartengono, noi non possiamo interferire: sai bene cosa c'è in gioco...»

***

Jeremy

Mi risveglio di colpo.

Sbatto le palpebre più volte cercando di mettere a fuoco le chiome degli alberi che si trovano ai margini del mio campo visivo, cornice del cielo più cupo che io abbia mai visto.

Una nebbia fastidiosa mi invade la mente impedendomi per lunghi istanti di ricordare cosa sia accaduto, ma poi i pezzi ricominciano a incollarsi tra loro: Boundary... La nonna... La passeggiata... L'assurdo gesto del nonno... Emma...

Emma... Dov' è Emma?

Tirandomi su con fatica la vedo stesa a terra poco distante da me.

Mi trascino subito vicino a lei.

«Emma! Svegliati!» dico provando a smuoverla con delicatezza.

Lentamente anche lei apre gli occhi, così la aiuto a sollevarsi.

«Jeremy... Cos'è successo? Il nonno...»

«Siamo svenuti entrambi quando abbiamo oltrepassato l'arcata di alberi», provo a spiegarle passandomi una mano sugli occhi, ma un senso a ciò che è appena successo non lo trovo neppure io.

«Ma com' è possibile che sia successo a tutti e due?» insiste la mia gemella che, ormai lucida, si sta guardando febbrilmente intorno con occhi smarriti.

Scuoto la testa. Non ne ho idea.

Con cautela proviamo ad alzarci in piedi e ci accorgiamo con piacere di riuscirci senza problemi: il malessere seguito al risveglio si è già completamente dissolto.

Durante il nostro strano sonno deve essersi fatta sera: una lieve oscurità avvolge ogni cosa, ma non tanto profondamente da non riuscire a distinguere ciò che ci circonda; siamo in quel preciso momento della giornata che non si può definire né notte né giorno.

C'è qualcosa di strano nell'atmosfera però, qualcosa di indefinito che inizialmente non riesco a cogliere del tutto. Poi capisco. Il silenzio.

Profondo, assoluto, il più perfetto che io abbia mai sperimentato.

Ogni cosa qui ne è immersa, ogni cosa galleggia in esso: le scure e imponenti colonne degli alberi, i rami immobili, le felci... Noi.

Neppure le nostre voci sono forti abbastanza per scalfirlo.

Del nonno non c'è traccia.

Emma controlla l'orologio che ha al polso, ma non appena il suo sguardo si posa sul quadrante vedo chiaramente il colore rosato delle sue guance abbandonare il suo viso.

«Ma com' è possibile?! Sono le cinque! Siamo rimasti svenuti solo mezz'ora! Dovrebbe essere pieno giorno, non sera!»

A tali parole sento il mio cuore accelerare i suoi battiti, lo stomaco contrarsi e la pelle d'oca invadere ogni centimetro della mia pelle. Questo non può essere.

Questo posto mi mette sempre più a disagio, ogni istante che passa.

«Emma, così mi spaventi! Magari l'orologio si è rotto quando sei caduta!» le dico con voce tremante controllando subito anche il mio, ma pure quello segna la stessa ora.

«Cinque del pomeriggio», confermo.

Emma allora si volta, lo sguardo fisso sul sentiero che prosegue nella direzione opposta rispetto a quella da cui siamo arrivati; con gli occhi sembra setacciare ogni ombra sperando forse che qualcuna di loro risponda alla domanda più importante: cosa c'è oltre? Perché il nonno ha affermato che le nostre risposte si trovano qui?

«Torniamo a casa, Jeremy», dice poi Emma, improvvisamente.

«Vorrei tanto proseguire, Dio se lo vorrei,» continua, «ma dobbiamo tornare a casa per capire quello che è passato per la testa al nonno e tranquillizzare la nonna.»

«Ciò che ha detto il nonno prima di spingerci non ha senso! Cosa mai potrebbe esserci qui da scoprire? È solo un bosco...» dico rabbrividendo di nuovo nel ripensare ancora una volta allo strano discorso del nonno prima di abbandonarci qui.

«Non lo so, Jeremy... Qualcosa dento di me dice che questo posto qualche segreto lo nasconde davvero, ma prima dobbiamo chiarire le cose col nonno!»

«Certo, andiamo; qui possiamo sempre tornarci in un altro momento», affermo convinto.

Mia sorella così, dopo aver annuito e avermi fatto cenno di seguirla, si incammina verso l'arcata, ma prima di riuscire ad oltrepassarla la vedo andare a sbattere contro qualcosa.

"Non ha senso, lì non c'è proprio nulla!" penso.

Lei spalanca gli occhi e allunga le mani davanti a sé.

«E questo cosa diavolo significa?!» grida meravigliata.

«Cosa c'è lì, Emma? Contro cosa sei andata a sbattere?» le chiedo sempre più confuso e a disagio.

«Contro un muro, Jeremy, un muro trasparente!» mi risponde lei quasi spaventata. Quasi.

Subito mi avvicino a lei e allungo anche io una mano: subito la sento colpire qualcosa di liscio, duro e freddo. Mi sento sbiancare.

«L'arcata di alberi deve essere una passaggio: lascia entrare ma non lascia uscire», ipotizzo mentre un brivido, l'ennesimo, mi scorre giù per la schiena.

«Questa è magia!» afferma mia sorella sgranando i suoi grandi occhi verde-azzurri con una mano ancora appoggiata al muro invisibile.

Guardandola riesco a cogliere l'istante esatto nel quale la paura abbandona completamente il suo viso per tramutarsi in stupore e meraviglia.

Emma è sempre stata attratta dai misteri, dai fenomeni inspiegabili, ma questo supera di gran lunga ogni cosa lei abbia mai potuto sperimentare durante la vita che conoscevamo fino a un'ora fa: deve sentirsi completamente elettrizzata nello scoprire che, forse, la magia non esiste solo nei libri fantasy che le sono sempre piaciuti tanto.

E io, nonostante la situazione, non posso fare a meno di esserlo a mia volta.

«Scartiamo subito l'ipotesi che possa trattarsi di qualche fenomeno naturale?» provo a chiedere io per cercare di mantenere una certa lucidità.

Lei scuote la testa.

«Nessuna ipotesi è da scartare, tutto è possibile, però questo... Questo è davvero straordinario!» risponde voltandosi a guardarmi.

«È vero,» affermo meravigliato quanto lei, «ma intanto questo muro ci impedisce di tornare a casa», continuo, la gola stretta sempre di più da una morsa ormai d'acciaio.

«Possiamo provare a telefonare ai nonni, hai portato il cellulare?» chiede Emma tentando di mantenere, a differenza mia, il sangue freddo.

«Sì, ce l'ho!» dico estraendolo dalle tasche della felpa con mani tremanti, ma subito mi accorgo che esso non ci potrà essere d'aiuto: non c'è alcun tipo di segnale qui.

«Non c'è campo», informo mia sorella guardandola preoccupato, ma all'improvviso vengo folgorato da un ricordo di ieri notte.

...Claire amava i suoi figli, se avesse ritenuto che quel mondo fosse troppo pericoloso per loro non ce lo avrebbe chiesto. Dobbiamo fidarci di lei e rispettare le sue volontà...

«Emma... Stamattina non ti ho detto tutto», inizio, così le racconto il resto della conversazione dei nonni.

«Io credo che i nostri genitori avessero scoperto il segreto di questo luogo e volevano che anche noi lo conoscessimo! La promessa doveva essere questa: i nonni ci dovevano portare qui ad un certo punto della nostra vita affinché noi scoprissimo la verità», aggiungo poi chiudendo il ragionamento anche grazie alle ultime parole del nonno.

«Allora non ci resta altro che proseguire: volevamo delle risposte, ora ci è data finalmente la possibilità di ottenerle», afferma lei decisa voltandosi nuovamente verso la foresta scura che ora sembra quasi invitarci ad entrare per scoprire i suoi misteri.

«Ma Emma, non abbiamo né cibo, né acqua, né vestiti adeguati! E fra poco sarà notte! Come faremo a sopravvivere per chissà quanti giorni nella foresta?!»

Ormai sono sull'orlo di un attacco di panico: tutto questo è troppo per me, troppo.

Non ho più appigli, non ho più sicurezze, niente di niente... Attorno a me c'è solo caos e io non so né gestirlo né abbandonarmi ad esso.

«Jeremy, vedi anche tu che tornare indietro non è possibile, l'unica strada percorribile è quella, ovunque essa porti. È la strada che ci condurrà alla verità che da tanto aspettiamo. Sapremo cosa ne è stato di mamma e papà, chi erano davvero!» tenta di incitarmi Emma.

Tutto ad un tratto allora qualcosa dentro di me cambia: la mano invisibile che conosco ormai molto bene allenta la presa sul mio collo e un germoglio di coraggio fiorisce nel mio cuore.

Inspiegabilmente, mi rendo conto che sotto alla paura che mi attanaglia quello che voglio davvero è proseguire e sapere, anche se si tratta del luogo più inquietante in cui io sia mai stato. E poi un appiglio ce l'ho eccome: la mia gemella.

«Andiamo a prenderci le nostre risposte, allora», affermo sorprendendo anche me stesso.

Sono consapevole che non ci sarà nulla di chiaro e lineare in questa storia, so che dovrò sfidare e sconfiggere tutti i miei limiti, so che non potrò permettermi di sbagliare e ho paura di tutto questo, lo ammetto, ma l'euforia che mi ha invaso nel momento in cui sono entrato in questa foresta non mi ha ancora abbandonato, anzi, dopo i vari shock di questi ultimi minuti sta tornando più forte di prima.

Non sono come Emma, certo: lei aspettava un momento come questo da sempre, ma anche io ora sono pronto ad affrontare qualunque cosa accada.

Per Emma, per i miei genitori, per me stesso e le mie fobie.

Così ci voltiamo e ricominciamo a camminare dando le spalle all'arcata di alberi e alla nostra vecchia vita, perché sì, sono sicuro che questo è un nuovo inizio, il compimento del nostro destino.

Qualunque cosa sia successa ai nostri genitori è legata a questo luogo, me lo sento, per questo i nonni non hanno mai voluto parlarcene: sapevano che sarebbe giunto il momento in cui avremmo avuto la possibilità di scoprire tutto, scoprirlo sulla nostra pelle anziché tramite un racconto.

È tutto così dannatamente assurdo.

E se questo fosse un comunissimo bosco?

Se ci stessimo sbagliando?

Ma quel muro invisibile, quegli alberi, le parole del nonno...

No, qualcosa di speciale c'è, l'ho percepito ancora prima di mettere piede in questo intrico di alberi e arbusti, e lo ha sentito anche Emma.

Non ci resta che proseguire per scoprirlo.

***

Dopo mezz'ora di cammino il cielo non dà segni di voler cambiare colore: un grigio-azzurro scuro, cupo, immenso; l'atmosfera che si respira è ancora quella di quando siamo rinvenuti.

Più il tempo passa e più esso sembra non esistere più in questo luogo: ogni cosa è ferma, statica, immobile.

Non c'è un filo di vento che muova le chiome degli alberi, gli unici rumori che sentiamo sono quelli dei nostri passi, le precoci ombre che ci circondano non sembrano né volersi intensificare per dare vita all'oscurità della notte né diradarsi per riconsegnarci la luce calda e intensa che dovrebbe caratterizzare le ore pomeridiane di una normale giornata di giugno.

Finalmente giungiamo in un punto in cui il sentiero sembra emergere dagli alberi, così affrettiamo il passo per arrivare più velocemente allo slargo che abbiamo scorto più avanti.

Quando lo raggiungiamo, però, un enorme e nuovo senso di inquietudine mi assale.

Su di noi troneggia un enorme arco di pietra scura sorvegliato da due enormi statue, in pietra anch'esse, poste davanti ai due pilastri dell'arco.

Raffigurano un uomo e una donna dallo sguardo serio con un braccio alzato ad indicare il cielo.

È antico e misterioso, qui da chissà quanto tempo a testimoniare l'esistenza di una qualche civiltà sconosciuta.

Oltre all'arco il sentiero si trasforma in un'ampia strada sterrata, rettilinea, tanto lunga da non riuscire a scorgerne la fine: la vediamo proseguire fino al lontano orizzonte e poi ancora oltre.

È costeggiata sia a destra che a sinistra dalla foresta piena di ombre, immensa e senza fine pure quella, anche se tagliata in due dall'enorme strada.

È il luogo più surreale che io abbia mai visto.

La sicurezza che ho ostentato poco fa mi sembra così poco concreta ora... In che guaio ci stiamo infilando? Sarò in grado di andare fino in fondo?

«Qualunque cosa accada la affronteremo insieme, Jeremy», mi rassicura mia sorella che evidentemente ha notato la mia espressione smarrita.

«Se non ci fossi qui tu penso che sarei già impazzito, mi sembra di essere dentro ad un sogno», ammetto.

«Anche a me sembra di essere in un sogno, ma se questo non è reale allora nient'

altro lo è stato nella mia vita. Non lo so, è come se sentissi di essere nata solo per questo momento», mi confessa lei.

«Quante volte ho fantasticato di capitare un giorno in un posto misterioso e affascinante come questo? Un luogo al di fuori di qualunque legge umana, sconosciuto, pieno di segreti e storie tutte da scoprire...» continua guardando l'arco con sguardo sognante e con la pelle d'oca sulle braccia.

«Mi piacerebbe avere il tuo stesso entusiasmo, io riesco a vedere solo difficoltà e pericoli», dico sospirando.

«Non abbiamo scelta, Jeremy. Non l'abbiamo mai avuta.»

«Lo so. Non crollerò, Emma, non questa volta. Te lo prometto.»

Senza aggiungere altro passiamo sotto all'arco di pietra e ci incamminiamo lungo l'enorme strada immersi nella penombra, sperando che non sia davvero così lunga come appare.

Mi sento a disagio qui, come se fossi troppo esposto, scoperto, osservato: gli alberi distano infatti una decina di metri da noi da entrambe le parti e il silenzio assoluto non contribuisce molto a rassicurarmi.

Mentre proseguiamo un unico pensiero comincia a martellarmi nel cervello: devo proteggere Emma. E lo farò, lo farò ad ogni costo.

Improvvisamente avverto una sensazione strana: un risucchio, qualcosa che mi attira in avanti.

«Jeremy! Cos'è questo?» chiede Emma preoccupata.

«Non lo so, non riesco a capire!» rispondo io, confuso.

Facendo un ultimo passo in avanti mi sento mancare il terreno sotto ai piedi.

Prima di riuscire a capire quello che sta succedendo mi ritrovo trasportato altrove: sono di nuovo in mezzo alla foresta.

Emma non è più con me.

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