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35- Più di me stesso

Axel

Non appena sento chiudersi la porta della stanza di Jeremy, mi blocco. 

Improvvisamente tutto ciò che fino ad un attimo fa non vedevo l'ora di fare smette completamente di avere importanza: volevo uscire, volevo correre nella notte sotto le stelle e tra le ombre, volevo ascoltare il silenzio interrotto solamente dal frinire dei grilli e dal gracchiare delle rane negli stagni, volevo un'ultima, estrema notte per me, prima di rivelare ad Emma chi sono davvero.

Ma senza di lei tutto questo non ha più senso: vorrei che venisse con me, vorrei mostrarle le meraviglie di questo mondo immerso nella notte. Ma non posso.

Quando lei saprà ogni cosa mi odierà a morte; e se anche comprenderà il perché ho fatto ciò che ho fatto, il suo odio sarà generato dal fatto di averle mentito per tutto questo tempo. Avrà voglia di vendicarsi, dunque potrebbe tranquillamente andare a denunciarmi ad Alhena o a mia madre: a quel punto per me sarebbe la fine.

"Ora che è tutto risolto e che Emma e Jeremy sono al sicuro dovrei uscire da questo palazzo e non tornare mai più, dovrei correre via senza voltarmi indietro. Mi nasconderei come ho fatto in questi diciassette anni, da solo. Potrei farcela, ormai sono abituato alla solitudine", penso sospirando.

Ma ogni cellula del mio corpo si ribella ad una simile prospettiva: no, meglio la morte piuttosto che tornare a vivere come prima.

Ora che la mia vita è cambiata, ora che ciò che ho fatto ha finalmente portato i suoi frutti, per quanto insanguinati, ora che ho imparato a sorridere di nuovo, ora che ho conosciuto l'amore... Non posso più tornare indietro, è fuori discussione.

E poi Emma si merita la verità, non posso sparire così senza lasciare tracce: le spezzerei il cuore. Glielo spezzerò comunque rivelandole la verità, questo è vero, ma almeno ne conoscerà il motivo.

Improvvisamente un pensiero prende a stuzzicarmi: "E se le chiedessi comunque di venire con me? Passeremmo un'ultima notte insieme, le ultime ore tranquille prima che ogni cosa bella tra di noi venga distrutta dalla verità."

Forse però il mio è solo egoismo: non riesco ad accettare che tra poco Emma non avrà più sorrisi e carezze da dedicarmi e voglio approfittare del suo non sapere un'ultima volta.

Non è giusto nei suoi confronti, lo so. Ma ho fatto cose peggiori nella mia vita.

Senza soffermarmici troppo a pensare busso leggermente alla porta di Emma: qualche istante più tardi eccola comparire in corridoio, bella e radiosa nella soffusa luce azzurrina.

«Axel...» dice incerta e sorpresa di trovarmi lì.

«È la prima notte di una nuova era, Emma: ti va di condividerla con me? Vorrei che passassimo ancora un po' di tempo insieme prima di dirti la verità, prima che tutto tra noi cambi per sempre, ci stai?» le chiedo speranzoso, tenendo gli occhi bassi.

«Dammi un minuto», dice lei dolcemente dopo qualche istante di riflessione, rientrando in camera per poi uscirne con le scarpe ai piedi e i capelli raccolti in una lunga treccia.

«È un sì?» chiedo, ancora un po' titubante.

«No, mi sono messa le scarpe per tornare a dormire», afferma lei sarcastica chiudendosi la porta alle spalle e iniziando a percorrere il corridoio verso la scalinata. Ed io non riesco a trattenere un sorriso mentre mi volto per seguirla.

Una volta usciti dal palazzo guido Emma tra le viuzze di Yakamoz, ancora piene di gente, in direzione della porta nord della città: la più vicina alle montagne. Più ci allontaniamo dal centro cittadino più le persone che incontriamo diventano rade: ad ogni passo aumenta il silenzio che ci circonda.

Non so esattamente dove mi stiano portando i miei passi: la mia idea è quella di seguire l'istinto, come facevo un tempo, un tempo ormai così lontano...

Ricordo ancora le mie prime sortite notturne appena dopo avere scoperto di non essere mai stato un mezzosangue, dopo che la catenina che avevo sempre avuto al collo mi era rimasta improvvisamente tra le dita, sciolta, e un'ombra scura mi aveva avvolto per la prima volta.

Quanta libertà, quale completezza di spirito avevo provato in quei momenti.

Durante tutta l'infanzia e l'adolescenza avevo sempre saputo quale fosse la mia reale inclinazione, lo avevo saputo ancora prima di rendermene conto razionalmente, però non ne avevo mai parlato con nessuno: non so cosa mi avrebbe fatto Corylus se avesse conosciuto i miei pensieri, i miei desideri.

Neppure con Ophrys avevo mai accennato alla questione, né prima né dopo avere scoperto la verità su me stesso, neppure quando presi a scappare a Yakamoz ogni notte. Di questo, lo so, non riuscirò mai perdonarmi del tutto, mai, anche se lui stesso trovò la forza di farlo e di dirmi: "Ora basta, facciamo tornare le cose come prima: senza di te niente a più lo stesso sapore, fratello mio, nonostante tutto."

Se tuttavia solo ripenso alla sua espressione quando scoprì la verità che gli tenevo nascosta da anni interi, anzi, da tutta la vita, mi sento ancora morire.

Nella mia memoria riesco ancora a vedere nitidamente ogni particolare di quel momento, uno dei più dolorosi della mia esistenza, quello in cui credetti di avere perso per sempre l'unica persona a cui tenevo più che alla mia stessa vita.

Riesco ancora a vedermi mentre spiego a mio fratello che tra me e Claire non c'è mai stato nulla, cercando di fargli capire il perché ho portato l'amore della sua vita a Yakamoz, il perché lei mi avesse chiesto aiuto. E poi il primo raggio di sole portato dall'alba, il mio corpo che si adombra, l'improvvisa consapevolezza della catenina rimasta nella mia tasca.

E il viso confuso e scioccato di Ophrys, che più i secondi passano e più si trasforma in una maschera di dolore e rabbia, i suoi occhi azzurri carichi di lacrime che sembrano lanciare saette, i capelli castani, quasi neri, spettinati dalla brezza del primo mattino. Le grida, gli insulti.

"Io mi fidavo di te! Mi fidavo più di te che di me stesso, Altair!"

Riesco ancora a sentire la sua voce delusa e ferita rimbombarmi nella testa. Ancora. Dopo tutto questo tempo.

Oh Aaron. Come reagiresti oggi se fossi qui? Sarebbero ancora peggiori le cose che mi urleresti contro sé sapessi che tua figlia è qui con me? Se sapessi che lei si è innamorata di me e io di lei, che io desidero cose a cui non dovrei neanche minimamente pensare? Questa volta, fratello mio, neppure tu troveresti la forza di perdonarmi.

È tua figlia, poco importa se il sangue che portiamo non è lo stesso.

Sono solo un'anima dannata, ecco cosa. Forse che Emma vada a denunciarmi, a questo punto, sarebbe la cosa migliore per tutti, anche per me.

«Axel, dove andiamo?» spezza il silenzio Emma distogliendomi dal dolore dei miei ricordi: senza rendermene conto mi ero fermato al limitare della foresta, appena superata la Porta Nord.

«Andiamo dove vuoi, Emma. Scegli tu la strada questa volta, segui l'istinto; dopotutto è la tua prima notte da vera Notturna, è il momento che inizi a vivere come tale.»

Come se non stesse aspettando altro allora la ragazza che ha salvato la mia vita e che presto potrebbe anche porvi fine si volta e inizia a camminare tra gli alberi, trascinandomi con sé.

Le ombre della notte attorno a noi sono scure, ma non eccessivamente: la luna è appena sorta e si staglia limpida e grande, in fase calante; la sua luce inargenta i tronchi degli alberi attorno a noi, proiettando sul terreno umido e soffice del sottobosco le ombre dei rami nodosi e intricati sopra di noi, tra i quali sono visibili piccoli frammenti di cielo trapunti di stelle.

I miei piedi si muovono agilmente nell'oscurità nonostante le invisibili insidie del terreno, così come non ho bisogno di vedere un certo ostacolo di fronte a me per aggirarlo: è tutta questione di istinto, un istinto risvegliatosi in me assieme alla notte e alla magia ed essa legata. Quanto mi era mancato tutto questo.

Per Emma naturalmente è lo stesso: la vedo muoversi agilmente quanto me tra le ombre e il buio, sicura e senza paura.

Ricordo bene la prima volta che provai queste sensazioni: fu la notte in cui mi recai per la prima volta a Yakamoz da solo, per capire davvero come poter essere me stesso fino in fondo. Una volta arrivato là, però, avevo già la mia risposta.

Proseguiamo sempre più velocemente e senza dire una parola, io e la mia Emma, vivendo solo di sensazioni, di emozioni; ci fermiamo solo quando un rumore di acqua gorgogliante giunge alle nostre orecchie: siamo arrivati alle sponde del fiume, l'unico corso d'acqua degno di questo nome in questo mondo.

Una volta emersi dalla vegetazione camminiamo sulla ghiaia chiara e fine fino a raggiungere l'acqua che scorre facendosi strada tra i ciottoli e le pietre; oltre ad essa, sull'altra sponda, incombono le pendici delle montagne inargentate dalla luce della luna.

Ora che il cielo è sgombro dai rami degli alberi mi prendo del tempo per osservare ancora la volta celeste, per trovare e riconoscere le mie stelle del cuore.

«Emma, guarda là: vedi la costellazione del Cane Maggiore?» chiedo poi quando trovo ciò che cerco.

«Sì, la vedo», mi risponde lei socchiudendo gli occhi, il volto rivolto verso l'alto.

«L'ultima stella a destra: quella è Adhara, la tua stella», le dico indicando quel puntino azzurrino così luminoso.

«Sai, noi Notturni crediamo che la stella con cui condividiamo il nome abbia il potere di influenzare positivamente la nostra vita: è una protettrice, un aiuto prezioso contro le sfortune e i mali dell'esistenza.»

Emma al mio racconto sorride nel buio, annuendo.

«E a te non dispiace di non avere la tua stella protettrice, Axel?» mi chiede poi voltandosi a guardarmi.

Vorrei tanto poterle dire che pure io ho la mia stella, una stella che ogni abitante di questo mondo ha maledetto, là, nella costellazione dell'aquila.

Ma non ancora. Lo farò al nostro ritorno al palazzo.

«No, non mi dispiace. Non la ritengo una cosa così importante», mento allora, sperando che sia davvero una delle ultime volte in cui sarò costretto a farlo.

«Ti ricordi quel giorno sul lago, accanto alla casa di Hamal?» cambia poi discorso Emma andandosi a sedere su di una grande roccia ai margini del fiume, evidentemente rotolata qui dalle montagne.

«Ti dissi che ero triste perché ero convinta che non avrei mai più potuto rivedere le stelle, così tu mi hai fatto chiudere gli occhi per mostrarmele lo stesso. Guardaci adesso, Axel: non c'è più bisogno di immaginare niente. Stavolta è tutto vero.»

«Se in quel momento qualcuno mi avesse detto come si sarebbero sviluppate le cose da lì in avanti, non ci avrei mai e poi mai creduto», ammetto andando a sedermi accanto a lei, tanto vicino che le nostre gambe incrociate si sfiorano, tanto vicino da far aumentare il ritmo del mio cuore stanco, stanco di desiderare ciò che non potrà mai avere. È sempre stato così per me, sempre.

Volevo cose impossibili da raggiungere, soffrivo, poi incredibilmente le ottenevo davvero, ma solo per alcuni attimi fugaci prima che tutto mi si sgretolasse tra le dita, inesorabilmente.

Volevo essere un Notturno: scoprii di esserlo davvero e poi dovetti distruggere la notte con le mie stesse mani.

Volevo conoscere il mio vero padre: Deneb mi rivelò la verità e quello stesso giorno mi supplicò di ucciderlo.

Volevo che Ophrys mi perdonasse per ciò che gli avevo nascosto: lo fece, ma poco dopo morì assieme alla sua Claire.

Adesso vorrei solo poter amare Emma: anche lei vorrebbe lo stesso, ma fra poche ore sarò costretto ad allontanarla da me per sempre.

Perché, mi chiedo, la mia vita è stata maledetta in questo modo?

«Sei meno loquace del solito stasera», mi fa notare improvvisamente lei rompendo di nuovo il silenzio, facendomi rendere conto di quanto tutti questi pensieri mi stiano rovinando la possibilità di godermi appieno questo ultimo, estremo momento di felicità; cerco dunque di scacciarli al meglio che posso.

«Hai ragione, scusa, sono solo sommerso da tanti pensieri», la rassicuro tornando a concentrarmi solo su di lei, guardando i suoi lunghi e morbidi capelli tra i quali vorrei far scorrere le dita, gli occhi grandi così limpidi e luminosi, il naso lievemente all'insù e quella bocca che vorrei così tanto sentire un'ultima volta sulla mia...

E come se i miei desideri si fossero tramutati in parole, come se il suo subconscio li avesse percepiti, Emma si avvicina ancora di più per appoggiarsi a me, per posare la testa sulla mia spalla e contro il mio collo.

«Ti amo», dice poi accoccolandosi ancora di più contro di me, abbracciandomi, facendomi provare tanto di quell'amore nei suoi confronti da bloccarmi il respiro, così tanto da mettere a dura prova il mio autocontrollo.

Esistono delle cose, tuttavia, che nessuno è in grado di controllare, cose che nessun essere umano riuscirebbe mai a negarsi. Nessuno. Nemmeno io.

«Vieni qui», dico a bassa voce prima di sollevare leggermente Emma per farla sedere sulle mie gambe, prendendola tra le braccia e affondando il viso tra i suoi capelli, per respirare il suo profumo e lasciarle lievi baci sul collo.

Sento il suo cuore battere forte contro il mio petto, sento le sue braccia circondarmi le spalle, le sue mani tra i capelli.

«Ti amo, Emma. Non sai quanto ti amo.»

Le parole fluiscono fuori dalla mia bocca senza che io trovi la forza di fermarle mentre risalgo per lasciarle un bacio anche sullo zigomo, un altro sulla fronte.

I nostri occhi allora si incontrano, vicini, senza lasciarsi andare per infiniti istanti, fino a quando non si chiudono da soli perché, senza sapere chi dei due si sia mosso per primo, ci stiamo baciando di nuovo. Un bacio dolce e lento, senza fretta, a cui dovrei oppormi, ma non lo faccio. Non posso farlo.

«Ti prego, Axel, non dire nulla. Non dire che domani me ne pentirò o altre cose così. Questa notte è ancora nostra, non roviniamola», dice Emma quando ci separiamo, svariati minuti più tardi.

E io non posso far altro che annuire e stringerla a me ancora più forte, consapevole che tra poco dovrò lasciarla andare per sempre.

Rimaniamo così per molto tempo, stretti uno all'altra, a scambiarci sussurri presto portati via dal vento della notte, carezze e altri mille baci.

Questo e nient'altro, anche se per ben più di una volta entrambi siamo stati ad un passo dal perdere definitivamente il controllo, spinti dalla necessità di perderci definitivamente uno nell'altra, ma con quel macigno che incombe davanti a noi, quella verità tanto orribile, non avrei mai potuto permettere che accadesse.

Quando il sole ricompare ad illuminare questo mondo e le nostre figure unite si adombrano, a malincuore, decidiamo che è meglio rientrare a Yakamoz.

«Andiamo, Emma, torniamo al palazzo. È il momento che tu sappia ogni cosa», trovo il coraggio di dire alzandomi in piedi, le gambe leggermente tremanti.

«D'accordo, andiamo», mi risponde lei tornando seria, consapevole che la magia di questa notte ormai è finita, consapevole che è il momento di guardare in faccia la realtà, adesso.

Pure io me ne rendo conto: al pensiero di ciò che sto per fare vorrei solo piangere.

"Coraggio, Axel, devi farlo. Forse l'amore che lei prova per te farà sì che ti perdoni, come fece anche Ophrys", penso in preda alla disperazione e all'ansia che ha preso a invadermi lo stomaco.

"Ma anche se mi perdonasse stare insieme rimarrebbe una cosa sbagliata", continua a macchinare la mia mente per via dell'abitudine, anche se non posso fare a meno di pensare che questa notte abbia cambiato tutto: come può essere sbagliato un legame tanto profondo? Se un sentimento così bello e potente è sbagliato, cosa c'è al mondo di corretto e giusto?

"Ti odierà, non farti illusioni": alla fine è questa la frase che continua a rimbombarmi nella testa fino a quando non avvistiamo in lontananza le mura di Yakamoz.

Nel percorrere le strade della città noto come queste siano particolarmente deserte, tuttavia non do troppo peso alla cosa: tutti sono stati in piedi fino all'alba, l'intera città sarà sotto le coperte in questo momento.

Una strana sensazione di disagio però non mi abbandona fino al momento in cui percorriamo il vialetto antistante al portone d'ingresso del palazzo.

"Non ci sono guardie a sorvegliare l'entrata", noto improvvisamente mentre un brivido mi scorre lungo la spina dorsale.

«È successo qualcosa, Emma, tutto questo non è normale!» dico iniziando a correre verso l'ingresso seguito a ruota da lei.

Subito spalanco le pesanti ante del portone, ma non appena vedo cosa si nasconde dietro ad esse mi rendo conto che non sarei dovuto essere così precipitoso: l'immenso atrio del palazzo è infatti gremito di guardie, sia bianche che blu, disposte a semicerchio attorno alle pareti.

Al centro della sala stanno in piedi Alhena, Jeremy e Anthemis; tutti hanno volti pallidi e tesi, forse spaventati, tuttavia è mia madre quella chiaramente più scossa: sembra essere invecchiata di anni in poche ore.

Il silenzio che si respira qui dentro è surreale, gli occhi di tutti sono puntati dritti su di me.

«Ma che diamine sta succedendo?» sbotta Emma raggiungendomi dentro l'atrio e rendendosi conto della situazione.

«Emma!» il grido di Jeremy spezza ulteriormente il silenzio: subito si getta in avanti afferrando sua sorella, trascinandola di forza lontano da me tra i suoi lamenti di protesta.

«Jeremy, ma che fai?! Cosa sta succedendo?! Lasciami andare subito!» grida Emma fino a quando suo fratello non riesce a tirarla a distanza di sicurezza per poi abbracciarla.

«Emma, grazie al cielo stai bene... Emma, non sai quanto mi dispiace, ti prego, devi essere forte», le dice lui, tremante, senza avere il coraggio di rivelarle la verità, quella verità che avrei dovuto dirle io stesso molto, moto tempo fa. Ora è troppo tardi.

"Per me è la fine, lo hanno capito da soli", è l'ultima cosa che riesco a pensare prima che due guardie del giorno protendano le mani verso di me: senza che io abbia il tempo di reagire da esse scaturiscono all'istante lunghi filamenti spessi e luminosi che si avvolgono attorno al mio corpo in poche frazioni di secondo, immobilizzandomi e facendomi cadere a terra dopo avermi fatto sbattere dolorosamente contro le ante del portone, nel frattempo richiuse da altre guardie.

L'impatto è talmente forte da farmi perdere lucidità per alcuni secondi: solamente quando riesco a riprendermi sento le grida di Emma che chiede spiegazioni, che ordina vanamente di lasciarmi andare. E l'unica cosa che riesco a pensare, con dolore, è che fra poco lei verrà a conoscenza di chi sono davvero non dalla mia bocca come avrei voluto, ma da coloro che mi dipingeranno come una sorta di demone senza sapere niente. Ho paura anche per me stesso, certo, molta di più di quanto non pensassi all'inizio: per quanto ci si possa preparare psicologicamente alla morte, non si è mai veramente pronti per essa, anche se la vita che si è avuta è stata la più miserabile che si possa immaginare. Adesso lo so.

Uno strattone improvviso mi coglie di sorpresa: due guardie mi hanno afferrato brutalmente e tirato in ginocchio, un pugnale pronto sulla mia gola.

Nonostante la testa che pulsa dal dolore mi costringo ad aprire gli occhi: Jeremy sta tenendo ferma Emma, che cerca di divincolarsi dalla sua presa chiedendo spiegazioni che non arrivano, mentre Alhena e Anthemis incombono su di me.

È la Guardiana della Notte a parlarmi per prima, afferrandomi i capelli per farmi sollevare lo sguardo su di lei.

«E così, per tutto questo tempo, sei stato vivo. Puoi pure sciogliere l'incantesimo che ti tiene nascosto, tanto ormai sappiamo la verità; la festa è finita, Altair», dice con voce impastata di disgusto, la bocca contratta in una smorfia di odio puro, un odio che cova per me da ben prima che io distruggessi i Nuclei.

«Ma Alhena, cosa stai dicendo?!» sbotta Emma gridando.

«Quello è Axel, non Altair! Altair è morto! Ma cosa vi prende a tutti quanti?!» continua imperterrita a difendermi, invasata e rossa in viso, continuando a divincolarsi.

«Emma...» dico debolmente, stremato dal dolore alla testa, dalla paura e dalle parole che sto per pronunciare.

«Calmati, ti prego. », dico dopo qualche attimo di esitazione, lasciando contemporaneamente scivolare via dal mio viso l'illusione che mi teneva nascosto a tutti fuorché ai gemelli.

L'intera sala immediatamente si riempie di grida di sorpresa, forse di paura, non saprei dire con esattezza.

Anche Anthemis emette un gemito portandosi le mani alla bocca per non gridare, gli occhi verde-azzurri pieni di lacrime, il volto talmente pallido da sembrare di porcellana.

Emma invece è crollata in ginocchio, senza emettere un fiato, senza divincolarsi e gridare più: i lunghi capelli biondi le sono ricaduti sul viso, ma lei non muove un dito per spostarseli da lì. Se ne sta semplicemente immobile, sorretta da Jeremy, gli occhi persi e vacui puntati su di me, come se non mi riconoscesse più.

«Portatelo via», ordina allora Alhena freddamente, ma mentre le guardie iniziano a strattonarmi trovo ancora il coraggio di parlare, di cercare di difendermi, un ultimo ed estremo tentativo.

«Emma, io posso spiegare ogni cosa! C'è un motivo, c'è un motivo se ho fatto ciò che ho fatto! Vi prego, lasciatemi spiegare! Non ho mai ucciso Ophrys e Claire, mi sarei tagliato la gola da solo piuttosto che fare una cosa del genere! Mamma, tu lo sai questo! Tutto il resto lo posso spiegare! Se fossi malvagio come credete, perché vi avrei aiutati a ricreare i Nuclei?!» ma nessuno nel grande atrio è ormai più disposto ad ascoltarmi. Potrei fornire loro tutte le ragioni, potrei raccontare loro tutta la storia, ma tutti continuerebbero a sentire quella a cui hanno creduto per diciassette anni.

«Emma, ti prego...» faccio un ultimo tentativo prima di essere trascinato fuori dal grande atrio.

«Io mi fidavo di te, mi fidavo più di te che di me stessa...» è tuttavia l'unica cosa che sussurra lei, il tono freddo e distaccato di chi è appena stato distrutto.

Parole pronunciate sommessamente, certo, ma che mi cadono addosso come la più potente delle bombe. Per la seconda volta nella mia vita.    

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