31- Nonostante chi siamo davvero
Axel
Ricordo bene il giorno, o forse la notte, in cui mi imbattei per la prima volta nei Custodi dell'Eternità.
I giorni e i mesi di questi ultimi diciassette anni sono stati per me pressoché uno uguale all'altro, è vero, ma quel momento fu diverso: è infatti ancora inciso nella mia memoria, limpido come una sfera di cristallo.
Riesco ancora a sentire sulla pelle i brividi provati quando vidi per la prima volta i loro riti, mentre mi nascondevo alla loro vista e udivo il loro canto.
Accadde pochi anni dopo quel giorno, durante una delle mie peregrinazioni senza meta in questo mondo.
Cercavo come sempre di fuggire da me stesso, dal mio passato, dalle mie azioni, dal rimorso e dal dolore che mi sconquassava il petto penetrandomi nella carne fino al cuore, invece trovai loro.
Ero nella foresta, poco lontano dal cimitero dei Querceti Ardenti: ero andato a trovare mio padre, Ophrys e Claire.
Udii i loro schiamazzi in lontananza, musica e canti gioiosi, di quelli che si eseguivano durante i tempi felici alle feste di matrimonio dei pastori, nelle radure e nelle selve sotto alle montagne.
Quella gioia giungeva alle mie orecchie come un insulto, come uno schiaffo al lutto che stavo portando e che porto tuttora marchiato dentro.
Mi chiesi chi potesse essere così allegro da organizzare una festa dopo quello che era successo, dopo quello che ognuno di noi aveva perduto, così mi avvicinai.
Ad ogni passo un brivido mi percorreva la schiena.
Vidi una casa, o meglio, una villetta diroccata nascosta dalla vegetazione e dall'edera; davanti ad essa erano stati allestiti tavoli ricolmi di cibi e di crateri pieni di vino.
Un gruppo di uomini e donne vi intingevano coppe e scodelle, così da bere fino a stordirsi per poi ballare e cantare in cerchio, tenendosi per mano, indossando maschere mostruose, dalle fattezze infernali: le maschere usate dagli attori e dai danzatori nelle feste campestri della Gente del Giorno.
Ma quelli non erano attori, erano solo dei pazzi in preda all'ebbrezza del vino che brindavano e inneggiavano all'immortalità che la distruzione dei Nuclei aveva donato.
Nauseato da quella vista, da quelle persone che festeggiavano un evento che aveva portato soltanto morte, la loro morte e la mia, mi voltai e corsi via, il più lontano possibile.
Ed ora eccoli ancora, arrivati a rovinare il giorno che avrebbe dovuto segnare la fine di tutto il male, il giorno della rinascita, il giorno in cui la mia vita sarebbe dovuta ricominciare assieme a quella di migliaia di altre persone, il giorno in cui tutto ciò che ho fatto, tutto ciò che perso, avrebbero acquistato un senso, forse anche una giustificazione.
Sono stato uno stupido a pensare di essere anche io meritevole di una seconda opportunità, di poter ricominciare nonostante il passato; sono stato punito per la mia presunzione, sono stato punito e per colpa mia tutti ora ne subiranno le conseguenze.
Le cose che ho fatto non possono essere perdonate, l'ho sempre saputo, indipendentemente dal loro fine.
Me ne sono dimenticato solo per qualche istante, ma è bastato perché mi venisse portata via la cosa più preziosa che avevo, lei, lei che credevo mi fosse stata mandata dal destino per farmi capire che la mia agonia, forse, avrebbe potuto avere fine.
Quei pazzi hanno portato via la mia Emma, quei maledetti sono riusciti a scappare e io non riesco a muovermi: sono immobile, a terra dove mi hanno scagliato quei bastardi prima di saltare a loro volta nel portale oltre l'apertura circolare della sala.
La mia magia non ha funzionato. Ero troppo fuori di me per concentrarmi abbastanza. Non mi sarebbe importato di essere scoperto, no, avrei fatto qualunque cosa pur di spaccare la faccia a quel verme che si è portato via la mia Emma, anche rivelare la mia vera identità, anche lavare via l'incantesimo che nasconde a tutti il mio vero volto.
Ma non ha funzionato.
«Axel...» mi sento chiamare all'improvviso.
Alhena è china sopra di me, gli occhi scuri pieni di lacrime.
"Ma cosa diamine sto facendo!" penso alzandomi in pedi di scatto.
"Devo andare a cercarli, devo assolutamente trovare Emma e Jeremy, devo salvarli e so di essere l'unico a potercela fare: conosco il loro covo, sempre che sia rimasto sempre lo stesso."
«Axel, sei ferito?» mi chiede la Guardiana della Notte
«Io sto bene, dobbiamo muoverci in fretta però, dobbiamo trovarli subito!»
La sala è nel caos: le guardie rimaste stanno cercando di spingere fuori tutte le persone che attonite hanno assistito a tutta la scena, molte delle quali continuano a gridare e a piangere, a chiedere cosa succederà adesso.
Anthemis sta gridando, dice di stare tranquilli, che si sistemerà tutto, ma la sua voce la tradisce: è isterica almeno quanto la mia.
«Chi erano quelle persone?» sbotta poi furente quando tutti fuorché io, le Guardiane e le guardie sono usciti.
«Dove hanno portato i miei nipoti?!» grida di nuovo lasciandosi andare ad un pianto isterico, portandosi le mani sul volto per coprirsi quegli occhi che conosco così bene. Mi fa male vederla in queste condizioni, e mi si stringe il cuore al pensiero di quanto abbia sofferto in questi anni, forse anche più di me, ma non ho tempo di pensarci ora, adesso devo agire.
«Io so chi sono, mia Signora», affermo mentre l'attenzione di tutti i presenti si sposta su di me.
Lo sguardo della Guardiana del Giorno incontra il mio, furente, forse immaginando che io centri qualcosa con l'accaduto, così mi affretto a spiegare quello che vidi quel giorno di molti anni fa nel cuore della foresta.
«In questi ultimi anni devono aver raccolto molti nuovi adepti, tanto che molte guardie di entrambe le città hanno abbracciato il loro credo», concludo velocemente.
«Quello stronzo di Fagus mi ha immobilizzato per impedirmi di intervenire», dice Abies rivolto alla sua Guardiana.
«Da lui non me lo sarei mai aspettato! Maledetto...»
«Almeno metà delle guardie che erano qui, sia tra quelle di Yakamoz che tra quelle di Komorebi, sono state complici. Ci hanno impedito di intervenire e poi se la sono data a gambe oltre il portale», dice una guardia della notte di cui non conosco il nome.
«Hanno organizzato bene la cosa», dico.
«Ancor prima di afferrare Emma e Jeremy due di loro mi hanno bloccato, sapevano che sarei intervenuto subito in difesa dei gemelli: devono essere state le guardie di Yakamoz a riferire tutto.»
«Abbiamo visto tutti come si sono svolte le cose!» sbotta Alhena.
«Basta parlare di questo, bisogna salvarli adesso, non sappiamo che intenzioni abbiano!»
«Se il loro scopo è davvero quello di vivere per sempre allora Emma e Jeremy sono il loro peggior nemico: non esiteranno a farli fuori, così da eliminare qualunque possibilità di far tornare il tempo. Bisogna trovarli in fretta», interviene di nuovo Abies facendomi gelare il sangue.
«Mandate me!» mi propongo subito.
«So dove si nascondono e so combattere, posso salvarli!»
«Ma per favore!» sibila Abies fulminandomi con lo sguardo.
«Stavo per farti a pezzi a Komorebi, non ne saresti uscito vivo se non mi fossi distratto! Come pensi di cavartela contro tutte quelle persone?!»
«Ho i miei assi nella manica, Abies. Non preoccuparti di questo», affermo di rimando guardandolo storto mentre lui si stupisce del fatto che io conosca il suo nome.
Devo fare più attenzione a ciò che dico.
«Guardie, uscite tutti dalla sala, è un ordine» sbotta improvvisamente Anthemis alzando la voce.
«Tranne te, Abies, tu rimani.»
«Noi non prendiamo ordini da voi, Signora», puntualizza una guardia della notte in tono freddo, facendo così intervenire Alhena.
«Fate come dice. Fuori», dice autoritaria.
Senza aggiungere altro il piccolo manipolo bianco e blu si allontana, contrariato.
«Non mi fido delle guardie, alcune di loro potrebbero far parte dei Custodi dell'Eternità ed essere rimaste qui per riferire loro come intendiamo muoverci», spiega Anthemis.
«Sono d'accordo, hai fatto bene a farle uscire... quasi tutte», dice Alhena fissando dubbiosa Abies.
«Di Abies mi fido, so che lui non avrebbe mai potuto tradirmi», specifica la Guardina del Giorno.
«Bene allora», annuisce Alhena.
«Abies ha ragione, non puoi andare da solo, Axel», riprende il discorso Anthemis.
«Un gruppo troppo numeroso attirerebbe l'attenzione, su questo sono d'accordo: dobbiamo coglierli di sorpresa, dunque andrete voi due, insieme. Subito», ordina la Guardiana.
«Cosa?!» sbottiamo io e Abies contemporaneamente, spalancando gli occhi.
«Non possiamo fidarci di nessun altro: le altre guardie sono off-limits al momento, dovrete farlo voi. Unite le forze e portate a casa sani e salvi i miei nipoti, mi sono spiegata?»
«Sì mia Signora, ai vostri ordini», dice subito Abies.
«D'accordo», confermo anche io.
L'idea di collaborare con Abies non mi entusiasma, lo ammetto; con lui presente non potrò permettermi di usare la mia magia: lui capirebbe tutto e io sarei finito. So infatti che cova già dei sospetti.
Certo, se dovesse essere l'unico modo per salvare Emma e suo fratello, lo farò comunque senza esitare.
«Li salveremo, mia Signora: tengo a loro esattamente quanto voi, non permetterò che venga fatto loro del male», aggiungo deciso.
«Lo so, Axel, me ne sono accorta: per questo oggi mi fido anche di te», dice Anthemis.
«Andate adesso, noi vi aspetteremo nel palazzo di Komorebi.»
Io e Abies ci guardiamo per un attimo, quel tanto che basta per stipulare una pace provvisoria in nome del bene più grande.
«Al cimitero dei Querceti Ardenti», gli dico prima di saltare nel portale.
***
Tornare nel cimitero dei Querceti Ardenti non è mai semplice per me: le crisi peggiori le ho avute proprio qui, piegato dal dolore e dal rimorso sopra alle loro tombe.
Il nome del cimitero deriva dalle querce che circondano questo grande spazio pieno di lapidi e statue di pietra, querce che per un motivo che nessuno è mai riuscito a capire, prima che il tempo si fermasse, producevano ogni anno foglie rosso fuoco anziché verdi.
Ed eccole lì, immobili come ogni cosa, rosse come il sangue delle vittime di omicidio sepolte qui, a ricordarmi alcuni dei momenti peggiori della mia vita.
«Che ci facevi qui il giorno in cui hai scoperto i Custodi dell'Eternità?» mi chiede Abies, appena comparso al mio fianco.
«Ci vengo spesso, mio padre è sepolto qui», rispondo misurando le parole.
«È stato ammazzato?» continua lui in tono di scherno, facendomi ribollire il sangue dalla rabbia.
«Non prendermi in giro, sai benissimo che è così: se fosse morto nel suo letto sarebbe sepolto a Yakamoz, non di certo qui», sibilo tra i denti lanciando al mio compagno un'occhiata di fuoco.
«Che cosa faceva tuo padre, Notturno?» insiste Abies mentre ci avviamo insieme verso il sentiero che ricordo di aver percorso quel giorno di molti anni fa.
Abies non è uno stupido, so cosa sta cercando di fare.
Ha dei dubbi su di me e sta cercando di farmi cadere in trappola con le mie stesse parole: dopo che Emma ha gridato il mio nome a Komorebi deve avere intuito la verità.
Devo stare attento, lo so, ma se di una cosa sono certo è di essere sempre stato più furbo di Abies.
«Lavorava per Deneb», dico asciutto ripetendo la stessa bugia che ho raccontato anche ad Emma e Jeremy, superandolo senza degnarlo di uno sguardo.
«Quel maledetto figlio di puttana», sibila allora il rosso alle mie spalle facendomi seriamente rischiare di perdere il controllo. Ma non posso. Devo salvare Emma prima di tutto.
«Deneb non ha mai fatto nulla di male, sono tutte menzogne inventate dai Diurni per giustificare quelle amnesie e tutte ciò che non capivano», dico stringendo i pugni.
«Stai forse insinuando che Corylus abbia mentito? Lo so di che pasta siete fatti voi Notturni, solo capaci a mentire ed ingannare. Se fossi stato in Anthemis non ti avrei mai permesso di andare alla ricerca di due persone tanto importanti per questo mondo!»
Un secondo dopo queste parole ho già sbattuto Abies contro un albero: lo sto tenendo fermo con tutte le mie forze.
«Adesso facciamo come dico io», dico freddo a pochi centimetri dalla sua faccia.
«Tu te ne stai zitto e mi segui senza dire una parola finché Emma e Jeremy non saranno al sicuro. Un'altra parola contro i Notturni o contro Deneb e non mi importerà cosa mi farà Anthemis quando dovrò giustificarmi per il tuo omicidio, mi sono spiegato?» continuo.
Non ho alcuna intenzione di ucciderlo, naturalmente, ma ho bisogno che non dica altro che potrebbe infrangere la mia concentrazione.
Trattare con Abies da pari a pari è una vera tortura, specialmente in un momento come questo. Quanto rimpiango i tempi in cui potevo dargli degli ordini.
«Lasciami. Andare. Subito», scandisce lui, così dopo averlo spinto contro il tronco con ancora più forza mollo la presa e riprendo a camminare.
La sceneggiata purtroppo lo fa stare zitto solo per pochi minuti. Dovevo aspettarmelo.
«So che ora anche Anthemis è convinta che i Notturni non siano i mostri che dipingeva suo marito, ma credo anche che sia stata indotta a pensarla così dato che ha scoperto di avere una nipote Notturna. Vuole credere che sia vero. Anche se stimo Anthemis non credo a ciò che ha detto quel giorno davanti a tutta Komorebi. I Notturni sono mostri.»
Avrei una battuta pronta per provocarlo ora, oh se l'avrei... ma tirare in ballo il fatto che sia stata proprio una Notturna a fare innamorare Ophrys mi scoprirebbe troppo.
«Abies, hai mai perso una persona a cui tenevi tantissimo, una persona che amavi e che non sei riuscito a salvare nonostante fosse in tuo potere farlo?» gli chiedo invece in maniera più calma possibile, pur conoscendo già la risposta.
«Sì», risponde semplicemente lui, serio.
«Bene, allora in nome di quello che hai provato il giorno in cui hai perso quella persona, ti chiedo di smetterla di provocarmi e di cercare di collaborare con me. Se oggi non riesco a salvare Emma e Jeremy io proverei lo stesso, e so bene che il dolore che si prova in quella certa situazione non lo si augurerebbe neppure ad un cane. Dunque aiutami, a meno che io per te non valga meno di una bestia. Se oggi non riesco a salvarli è la volta buona che la faccio finita, non reggerei un'altra sofferenza di quel genere.»
Abies sembra sorpreso dal mio discorso, come se fosse estremamente stupito dall'avere appreso che noi Notturni possiamo provare sentimenti quali il senso di colpa, l'empatia, il dolore, l'amore.
Corylus ha fatto più danni con le sue parole che con le sue azioni, questo è sicuro.
«Tu la ami, vero?» dice Abies guardandomi per la prima volta con occhi diversi.
Non ho bisogno di pensarci, conosco da sempre la risposta.
«Sì, con tutto me stesso. Anche i Notturni sanno amare, Abies.»
«Ti aiuterò, Axel. Ma solo perché Anthemis me l'ha ordinato e perché voglio che tutto ritorni come prima», afferma lui ritornando a parole il solito Abies di sempre.
«Grazie Abies», gli rispondo semplicemente, consapevole della sua non completa sincerità.
Il ragazzo accanto a me annuisce, un'espressione ancora tesa, seria e pensierosa sul viso.
Forse anche la guardia più fidata di Anthemis comincia a credere a quello che già sa la sua padrona: i Notturni non sono cattivi, i Notturni sono esseri umani tanto quanto i Diurni.
***
Dopo una decina di minuti trascorsi correndo arriviamo alla villa diroccata che ricordavo, ma con orrore mi rendo conto che qui non è rimasta anima viva.
Tavoli, sedie e anfore sono sparpagliati nella radura antistante all'edificio, ricoperti di sterpi. La villa è ancora più inghiottita dai rampicanti di quanto ricordassi, la porta d'ingresso di legno intarsiato e smalto colorato è completamente divelta dai cardini.
«Qui non c'è un bel niente», dice Abies mentre io impallidisco, iniziando a sudare freddo. Il cuore mi batte forte per la paura, paura di non arrivare in tempo.
«Sono passati anni dall'ultima volta che li vidi riunirsi qui, nel frattempo devono aver cambiato posto. D'altra parte così vicini al cimitero non erano abbastanza nascosti», affermo velocemente cercando di rimanere lucido.
«Proviamo ad entrare, magari troviamo qualche indizio su dove possono essersi "trasferiti"», consiglia il Diurno.
Ci precipitiamo così di corsa verso la villetta, poi scostiamo alcuni rampicanti per riuscire ad entrare. L'interno è buio: la pochissima luce che c'è all'esterno non riesce a penetrare all'interno per via della vegetazione che ricopre il vetro opaco delle finestre.
Cominciamo ad arrancare nel buio finché i nostri occhi non si abituano un po' all'oscurità, facendoci in fine scorgere un ampio salone impolverato dalle pareti affrescate.
Il silenzio è assoluto.
«Dividiamoci: tu prendi la porta a destra, io quella a sinistra», dico dopo qualche secondo.
Abies annuisce, poi entriamo in azione.
Per qualche momento visito l'edificio cercando di essere attento e veloce allo stesso tempo, ma dopo più di venti minuti di ricerche non ho ancora trovato nulla. Frustrato e in ansia più che mai sto per tornare nel salone d'ingresso per chiamare Abies, ma improvvisamente sento delle grida. Subito mi precipito a controllare.
Arrivo nella grande sala appena in tempo per vedere Abies trascinare fuori da una stanza un uomo con delle carte tra le mani.
«L'ho trovato dentro ad un vecchio armadio, deve essersi nascosto quando ci ha sentito entrare», spiega il Diurno tenendo fermo l'uomo minuto e tremante che non si azzarda a proferire parola.
«Bene, portiamolo fuori; senza dubbio saprà dirci qualcosa», dico con molta più speranza nel cuore rispetto a pochi istanti fa.
Una volta all'aperto mi prendo alcuni secondi per studiare meglio il nostro "prigioniero": dimostra circa cinquant'anni, è calvo e indossa abiti piuttosto consunti. Sembra parecchio spaventato.
Abies lo trascina fino ad uno degli alberi che delimitano la piccola radura e lo fa sedere con uno spintone, iniziando poi a legargli le mani dietro al tronco.
«Non essere manesco, Abies! Finché collabora non ha alcun senso fargli del male!» rimprovero la guardia di Komorebi lanciandogli un'occhiataccia.
«Abbassa le ali, Notturno. Dobbiamo collaborare, certo, ma questo non significa che tu sia il capo!» ribatte lui facendomi alzare gli occhi al cielo.
Decido di non rispondere e di concentrarmi sull'uomo che abbiamo catturato.
«Allora, sei un Custode dell'Eternità?» gli chiedo nel tono più autorevole che riesco a trovare, inutilmente: l'uomo rimane immobile e zitto senza neanche guardarmi in faccia.
In tutta risposta, Abies lo colpisce in pieno volto.
«Parla, imbecille, o non ne esci vivo! Sei un Custode dell'Eternità oppure no?»
«Lo ero», risponde quello sputando un grumo di sangue.
«Bene, cominciamo a ragionare», dice Abies.
«Dove hanno portato i gemelli? Parla immediatamente e forse ti lasceremo andare.»
«Non lo so, non frequento i Custodi da mesi! Sono venuto qui solo per portare via delle cose che potevano fare risalire a me le guardie delle due città! Dopo quello che è successo ai figli del principe Ophrys non volevo essere coinvolto!»
Un pugno ancora più forte del precedente si abbatte sulla mascella del malcapitato.
«Abies, vacci piano!» sbotto.
«Sta parlando!»
«Sì, ascolta il tuo amico, è più saggio di te», dice l'uomo riuscendo a stento a sollevare la testa.
Senza pensarci un attimo estraggo il mio pugnale dalla cintura, chinandomi per puntarlo sul collo del prigioniero.
«Se non gli do il permesso di colpirti di nuovo è solo perché ho bisogno che tu sia in grado di parlare; non pensare neanche per un secondo che lo faccia perché mi importi qualcosa di te», dico in tono freddo con lo scopo di spaventarlo ancora di più.
«Adesso parla, so che sai qual è il nuovo covo dei Custodi!» insisto facendo penetrare il coltello di qualche millimetro nel suo collo, fino a far sgorgare un rivolo di sangue: se era un Custode dell'Eternità deve avere una gran paura di morire.
Sono sufficienti infatti pochi secondi per farlo capitolare.
«Il Bosco di Far!» grida.
«È il covo dei Custodi da anni ormai!»
«Come facciamo a sapere che dici la verità? Insomma, è il posto più inquietante di questo mondo, non mi sembra molto adatto per strani rituali e banchetti», dice Abies inarcando un sopracciglio.
«Lo avevamo scelto proprio perché è un posto temuto da tutti: sapevamo che nessuno vi si sarebbe avventurato. Speravamo di essere al sicuro lì!»
«Hai delle prove? Puoi dimostrarci di averci indicato il posto giusto e non il luogo più lontano al covo a cui sei riuscito a pensare?» intervengo io ormai sull'orlo di una crisi di nervi.
«Nella tasca della mia giacca c'è un fiore di ossa. Sapete bene che crescono solo lì. L'ho raccolto durante uno degli incontri dei Custodi.»
«Cosa ne pensi, ci fidiamo?» chiede Abies estraendo un sacchetto dalla giacca dell'uomo davanti a noi e mostrandomi il contenuto: una sorta di pietra dai bordi frastagliati simili ai petali di un fiore.
«Abbiamo alternative?» rispondo allontanando la lama dal collo dell'uomo.
«Andiamo allora, dobbiamo tornare al cimitero: lì c'è un portale», dice la guardia dai capelli rossi iniziando a correre verso il sentiero di prima.
«Hey, avevate promesso di liberarmi!» grida l'uomo ancora legato all'albero.
«E rischiare che tu vada ad informare i tuoi amici nel caso in cui non fossero nel Bosco di Far? Scordatelo! Torneremo a prenderti solo dopo che i Custodi saranno stati sconfitti», dico prima di voltarmi e raggiungere Abies.
***
La corsa fino al portale del cimitero dei Querceti Ardenti mi sembra non finire mai: ogni passo che faccio mi porta più vicino a Emma, più vicino alla sua salvezza.
Io e Abies ci scagliamo a tutta velocità sotto all'arco formato dalle spade incrociate di due statue enormi, poste una di fronte all'altra nel centro del cimitero: il portale.
È la prima volta che sfreccio accanto alla tomba di Ophrys e Claire senza degnarla di uno sguardo: mi perdoneranno, devo salvare i loro figli ora.
Abies prima ha detto bene, il Bosco di Far è davvero uno dei luoghi più inquietanti che si possano immaginare: lì gli alberi sono morti, tutti morti. Non una goccia di linfa scorre all'interno dei loro tronchi e rami.
Nonostante questo quegli ammassi legnosi, grossi e nodosi fino a quando il tempo scorreva continuavano a crescere, diventando sempre più grandi. Oltre a questo, già abbastanza spaventoso di per sé, sugli alberi morti si formavano in continuazione delle strane protuberanze biancastre, spesso a forma di fiori. Uno studio più approfondito di quelle escrescenze aveva rivelato che erano costituite dallo stesso materiale delle ossa umane.
Perfino noi Notturni con il nostro amore per i misteri ci siamo sempre tenuti lontani dal Bosco di Far: è un posto che fa accapponare la pelle solo a sentirne parlare, figuriamoci andarci di persona.
Io stesso mi rifiutai di inoltrarmici troppo l'unica volta in cui vi fui trascinato per pura bravata da Ophrys.
Ma ora è diverso, adesso devo farlo, per Emma e il suo gemello.
Una volta superato il portale io e Abies ci ritroviamo direttamente al centro del Bosco.
Siamo circondati da enormi tronchi nodosi e butterati, da rami ricoperti di fiori bianchi uno più inquietante dell'altro.
Mentre cerco di reprimere il brivido che mi percorre la schiena sento delle voci, un canto, quel canto. Lo stesso che avevo sentito al cimitero dei Querceti Ardenti anni fa. L'uomo ci ha indicato il posto giusto.
Dopo esserci scambiati uno sguardo d'intesa io e la guardia di Komorebi ci mettiamo a correre verso il punto da cui proviene la musica, facendoci strada tra le ramaglie con le mani e con i coltelli.
Ci fermiamo solamente ai margini di una grande radura; quello che vedo mi fa provare il più grande sollievo della mia vita e disperare allo stesso tempo: Emma e Jeremy sono legati uno all'altra, schiena contro schiena, al centro del grande spazio vuoto. Sono vivi, ringraziando il cielo, anche se Jeremy è pallido come i fiori di ossa della foresta che ci circonda mentre Emma continua a guardarsi in torno febbrilmente, aspettando forse che qualcuno venga a salvarla.
Indossano ancora gli abiti da cerimonia, ormai completamente stracciati, e ad Emma chissà come è rimasta sulla testa la coroncina di sua madre, anche se tutta storta.
"Sono qui amore mio, sono qui", penso mentre la guardo e mi si scioglie il cuore.
Attorno a loro ci sono almeno un centinaio di persone, tutti con addosso le maschere dalle fattezze mostruose che ben ricordavo.
Tutti cantano, tutti si muovono in cerchio attorno a loro con fiaccole accese tra le mani. Con orrore mi rendo conto che i gemelli sono in ginocchio sopra ad una pira di legno scuro.
La consapevolezza di ciò che questi pazzi vogliono fare mi colpisce dolorosamente, assieme a quella di essere arrivato appena in tempo.
«Axel, sono troppi, non riusciremo mai a sconfiggerli tutti! E se anche tentassimo, mentre noi saremmo impegnati a combattere, qualcun altro accenderebbe la pira!» constata Abies con voce alterata dalla paura di perdere l'unica speranza di salvezza di questo mondo davanti ai suoi occhi, forse anche dalla paura che anche i figli di Ophrys vadano in contro ad una sorte simile a quella del padre.
Solo io posso fermarli. Io e la magia che mi ha insegnato adusare mio padre.
Posso fermarli tutti, subito. Devo farlo. Immediatamente. Nonostante la presenza di Abies qui con me, nonostante la certezza che una volta a Komorebi racconterà tutto ad Anthemis. Ma non è importante quello che succederà a me: l'unica cosa che conta è salvare Emma e Jeremy.
«Abies, fidati di me. Quello che sto per fare ti sembrerà strano, lo so, ma è l'unica chance che abbiamo», dico senza distogliere lo sguardo dai gemelli.
«Stai per estrarre i tuoi assi dalla manica?» chiede lui piuttosto dubbioso.
«Sì, ti spiegherò ogni cosa quando sarà tutto finito.»
«D'accordo allora», dice.
Bene, adesso è il momento di concentrarmi: non posso permettermi di perdere il controllo sui miei poteri come accaduto nella sala dell'Accademia.
Chiudo gli occhi e respiro profondamente cercando di ricordare le parole che mio padre mi ripeteva quando ci esercitavamo insieme nella biblioteca del palazzo di Yakamoz, poi protendo la mano di fronte a me:
"Tutte le cose sono collegate tra loro, un filo invisibile le unisce.
Concentrati, percepisci i fili che ti collegano al tutto e muovili a tuo piacimento.
Puoi già controllare l'energia che è in te, quando sarai pronto potrai controllare anche quella delle altre persone attorno a te."
Quando riapro gli occhi tutti i Custodi dell'Eternità sono a terra, svenuti.
«Che diamine hai fatto? Come ci sei riuscito?» grida Abies, ma io non ho né il tempo né la voglia di ascoltarlo.
Comincio a correre a perdifiato verso il centro della radura, verso Emma, che quando mi vede inizia a gridare il mio nome.
Non appena li raggiungo estraggo il pugnale e taglio le corde che li tengono legati da chissà quanto tempo, concedendomi finalmente un sospiro di sollievo.
«Axel, sei qui... Sei venuto a salvarci», dice Emma scoppiando a piangere e saltandomi in braccio, facendomi esplodere il petto di gioia e d' amore nel momento stesso in cui la stringo a me, nel momento in cui la sento finalmente sana e salva tra le mie braccia.
«Stai bene? Emma stai bene?» le chiedo allontanandola da me quel tanto che basta a guardala negli occhi.
Lei annuisce sorridendomi, decretando così la mia rovina.
Senza pensarci un secondo di più, senza riuscire a trattenermi, mi chino su di lei e la bacio, sentendomi così finalmente rinascere.
E lei mi bacia a sua volta stringendosi forte me, come se fossi io la sua ancora di salvezza anziché lei la mia.
Mi godo la meravigliosa sensazione delle sue labbra morbide addosso alle mie, mi godo il loro sapore così dolce dopo essermene privato tanto a lungo, chiedendomi solo ora come ho potuto resistere senza per tutto questo tempo.
La bacio senza ritegno, senza preoccuparmi minimamente del fatto che Jeremy e Abies ci stiano guardando, accantonando tutti i motivi che fino ad ora mi avevano trattenuto.
La bacio nonostante io sia perfettamente consapevole di chi siamo davvero io ed Emma. E questo rende il mio gesto ancora più sbagliato, lo so, ma non sono abbastanza forte per fermarmi.
La bacio anche se la meravigliosa ragazza che amo è la figlia di Ophrys, la figlia di Aaron: non un ragazzo che ho conosciuto pochi mesi prima del giorno della distruzione dei Nuclei, ma colui che per tutta la vita ho considerato mio fratello, anzi, più di un fratello: un'estensione di me stesso.
La bacio tentando di dimenticare tutte quelle volte in cui le ho mentito pur di proteggere la mia vera identità, in cui le ho detto che mio padre era un fantomatico consigliere di Deneb anziché Deneb stesso.
La bacio e lei ancora è all'oscuro del fatto che per un bene più grande sono stato costretto ad uccidere sia il mio padre naturale, Deneb, sia l'uomo che mi aveva cresciuto, Corylus.
La bacio nonostante io non le abbia mai detto che l'incantesimo che nasconde il mio vero volto non serve solo a non farmi riconoscere da Alhena, ma da ogni singolo abitante di questo mondo.
La bacio senza che lei immagini che se so muovermi così bene nel palazzo di Komorebi è perché ci sono cresciuto, e che se ho avuto un attacco di panico dopo avere incontrato Anthemis è stato perché rivedere per la prima volta dopo diciassette anni la donna che mi ha fatto da madre e trattarla con freddezza mi ha fatto soffrire, tanto da spezzarmi.
La bacio nonostante lei creda ancora che Axel sia il mio vero nome e non il nome segreto con cui mi chiamava Ophrys quando eravamo bambini e poi anche da ragazzi.
La bacio amandola più che mai, anche se lei ancora non sa che io in realtà mi chiamo Altair.
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