27- Nel palazzo della Notte
Jeremy
«Axel, sei sicuro che sia proprio in questa stanza?» chiedo spazientito quando, guardando dietro all'ennesima fila di libri, noto a malincuore che si tratta di un altro buco nell'acqua.
«No, non sono sicuro. Potrebbe essere ovunque, anche se la biblioteca mi pareva un buon punto di partenza», mi risponde il Notturno senza smettere di frugare nei ripiani più bassi delle librerie, quelli chiusi da spessi pannelli di legno intarsiato.
«Se qui non troviamo niente bisognerà cercare nello studio di Alhena e infine nella sua camera da letto: quella sarà la parte più complicata», interviene Emma dalla sua postazione accanto alla porta, pronta ad avvisarci subito in caso arrivasse qualcuno.
«Beh, mi auguro vivamente che salti fuori ben prima che sia necessario frugare tra le mutande della Guardiana!» sbotto io cominciando a scostare i libri di un nuovo ripiano mentre mia sorella e Axel trattengono a stento le risate.
«Jeremy, concentrati!» mi riprende Emma scherzosamente continuando a sbirciare nel corridoio antistante la biblioteca.
È il terzo giorno che siamo arrivati a Yakamoz, ma solo il primo che abbiamo cominciato a cercare lo scrigno di Alhena, quello che contiene la formula di Deneb che permetterà agli elementi dentro di noi di riemergere: iniziare subito a passare tutto il nostro tempo in biblioteca sarebbe saltato troppo nell'occhio.
In questi due giorni, o meglio, notti, ci siamo ambientati a palazzo e abituati un poco a dormire durante le ore che secondo gli orologi sarebbero quelle diurne e a stare svegli durante quelle notturne, come sono abituati a fare qui a Yakamoz.
Inoltre abbiamo conosciuto meglio Alhena che, almeno dal mio punto di vista, si è rivelata essere un'ottima e attenta interprete dei bisogni della sua città, oltre che una ragazza estremamente sicura di sé e delle proprie capacità, una leader nata.
Secondo me Deneb si sbagliava a volerla tenere fuori dagli affari di governo, ad escluderla a priori dalla successione, ma evidentemente era accecato dall'affetto provato per il figlio ritrovato, accecato come tutti coloro che ad Altair volevano bene: Anthemis, Corylus, mio padre.
Soprattutto mio padre, dal momento che lo considerava il suo migliore amico oltre che suo fratello.
Alhena ci ha permesso fin da subito di usufruire liberamente di tutte le aree del palazzo: ha chiarito subito che qui siamo ospiti, non prigionieri. Ho dovuto dunque dare ragione ad Emma ed Axel: rimanere a Komorebi si sarebbe rivelato un errore; qui se non altro siamo liberi.
A volte bisogna lasciare il sentiero che appare più sicuro per trovarne uno migliore, bisogna perdere l'equilibrio per un attimo e rischiare di cadere per fare un passo avanti. È questo che devo imparare a fare io: rischiare, anche se ora so il perché mi risulta tanto difficile: ce l'ho nel DNA, sono un Diurno.
Questa "sera", poco dopo esserci alzati, senza farci notare troppo ci siamo diretti in biblioteca per iniziare le ricerche, biblioteca che si è rivelata essere una sala rotonda molto ampia e alta, con una cupola di vetro trasparente per soffitto. Attorno alle pareti di pietra sono collocate le librerie che ospitano i volumi, talmente tante da arrivare quasi fino al soffitto, mentre al centro della sala si trovano due eleganti divanetti rivestiti di stoffa blu e un tavolino sotto ad un tappeto dello stesso colore.
«Axel, quante candele consumavate qui a Yakamoz quando c'era ancora la notte? Sai, una città intera che viveva col buio...» chiedo curioso, stimolato dall'idea che quei divani servissero evidentemente per sedervisi a leggere.
«Candele?» risponde lui, perplesso.
«Non ne avevamo bisogno! La pietra grigia con cui è costruita tutta quanta Yakamoz diventava traslucida quando si faceva notte e ogni mattone emanava una fioca luminescenza azzurrina.»
«Ragazzi, Alhena!» ci avvisa improvvisamente Emma scostandosi subito dalla porta.
Cinque secondi dopo, quando la Guardiana fa il suo ingresso, Axel è seduto composto su uno dei divanetti, Emma è appoggiata alla parete dietro di sé e io sono in piedi accanto ad uno scaffale a sfogliare un libro con apparente tranquillità.
«Vorrei salutarvi augurandovi una buona serata come sempre, ragazzi, ma non penso che oggi sia il caso», dice Alhena, gli occhi neri che esprimono chiaramente quanto sia infastidita da qualunque cosa sia venuta a riferirci.
«Cosa succede, mia Signora?» chiede Emma, preoccupata, avvicinandosi a lei, mentre lo stesso facciamo anche io ed Axel.
«Anthemis è di nuovo qui,» dice seria, «ma non per voi, di Fuori: vuole parlare con Axel.»
«Con Axel?» esclamiamo quasi contemporaneamente io ed Emma, mentre il Notturno a fianco a noi sbianca di colpo.
«Con me?» balbetta il diretto interessato dopo qualche istante, con voce fioca e incredula.
«Mia Signora, Axel gode della vostra protezione esattamente come me e Jeremy, vero?» si assicura Emma avvicinandosi al Notturno di qualche centimetro, forse inconsapevolmente.
«Non ne ha bisogno, Emma. Anthemis non può rivendicare alcun diritto su un membro della Gente della Notte, a prescindere dalle sue azioni», dice.
«Dunque, Axel, se deciderai di parlare con lei non devi temere», continua rivolgendosi direttamente al Notturno.
«Non sei obbligato a farlo!» gli dice mia sorella toccandogli il braccio e fissandolo intensamente.
«Parlerò con lei», sentenzia tuttavia Axel dopo qualche istante di riflessione, ancora estremamente pallido.
«Bene, seguimi allora. Ti porto da lei», dice la Guardiana voltandosi e uscendo dalla biblioteca.
Dopo un ultimo sguardo lanciato ad Emma, Axel le va dietro.
«Tutto questo non ha senso!» affermo una volta rimasto solo con la mia gemella, decisamente più preoccupata di me per questa strana richiesta di Anthemis.
«Cosa potrà mai volere da Axel, Jeremy?» mi chiede infatti lei, gli occhi verde-azzurri inquieti, lasciandosi cadere nello stesso punto del divano su cui era seduto il suo Axel fino a pochi attimi fa.
«Probabilmente vuole capire il perché ci abbia aiutati», rifletto.
«In ogni caso non devi preoccuparti, hai sentito Alhena: nostra nonna non può fargli nulla.»
«Non chiamarla così, ti prego, mi devo ancora abituare all'idea!» mi rimprovera lei prendendosi la testa tra le mani.
Improvvisamente sentiamo un vociare provenire dalla stanza attigua alla biblioteca, quella che Axel ci ha spiegato essere l'ex studio di Deneb, quello in cui si dedicava ai suoi studi. Una porticina di legno metteva in comunicazione i due ambienti al tempo del vecchio Guardiano, ma Alhena l'ha fatta chiudere a chiave.
Io ed Emma ci lanciamo subito verso di quella e appoggiamo un orecchio sul legno scuro: subito riconosco le voci della Guardiana del Giorno e di Axel.
«Dunque saresti tu ad aver fatto irruzione nel mio palazzo e ad esserti preso gioco delle mie guardie e della mia autorità!» dice freddamente Anthemis.
«Sono io, Signora. Tuttavia non volevo prendermi gioco di nessuno, solo rimediare a quella che chiaramente era un'ingiustizia», le risponde Axel, pacato.
«Un'ingiustizia?! Volermi assicurare della buona fede di un di Fuori prima di concedergli la libertà nel nostro mondo sarebbe stata un'ingiustizia alla luce di quanto accaduto in passato? Che Guardiana sarei stata se avessi agito diversamente?!» sbotta lei, chiaramente furente.
«Claire non fece nulla di ingiusto nei vostri confronti, Signora: è stato Altair a tradirvi, non lei.»
«Pretendi di sapere meglio di me come si svolsero i fatti, ragazzino?! Che ne sai tu di cosa accadde davvero, eh?! C'eri forse quando i miei figli portarono Claire in casa mia? C'eri quando lei promise di diventare una Diurna? C'eri quando disonorò il nome di mio figlio Ophrys e quello della mia famiglia?»
Dopo qualche secondo di silenzio durante il quale Axel non risponde, la Guardiana parla ancora, stavolta in tono più pacato anche se altrettanto freddo e tagliente.
«Se fossi un Diurno saresti già stato punito adeguatamente, ma non sono qui per questo», dice.
«Da quanto mi hanno raccontato le mie guardie più fidate, risulta evidente che sai muoverti molto bene nel palazzo di Komorebi: conosci passaggi, disposizione delle stanze, scalinate secondarie. Com' è possibile questo?»
«Effettivamente me lo ero chiesto anche io», sussurro ad Emma.
«Tu sai come può conoscere così bene il palazzo?» le chiedo, ma lei scuote la testa.
«Non sono tenuto a rispondere ad alcuna delle vostre domande, Signora», dice Axel oltre la porta, gelido.
«Come preferisci, Axel», sibila allora la Guardiana, calcando particolarmente sull'ultima parola.
«Vogliate scusarmi», dice infine il Notturno con l'evidente intenzione di uscire dalla stanza: pochi istanti dopo sentiamo infatti richiudersi la porta oltre la parete.
«Abies si sbaglia... Lo avrei capito subito altrimenti», dice piano Anthemis una volta rimasta sola, facendomi chiedere quale sia il significato di tali parole.
Emma si stacca subito dalla porta e inizia camminare avanti e indietro per la biblioteca:
«Abies è la guardia che si è scontrata con Axel prima che noi fuggissimo, vero?» mi chiede poi fermandosi al centro della stanza.
«Sì, è la guardia che mi ha trovato nel palazzo diroccato, quella che mi ha raccontato di nostra madre», dico.
«A proposito, era innamorato di papà», aggiungo.
«Come scusa?» Emma si volta stralunata verso di me.
«Hai capito bene, ma era solo una curiosità: questo non ci aiuta a capire cosa Abies abbia riferito ad Anthemis; è chiaro infatti che la Guardiana sia tornata qui solo dopo che lui le ha esposto una sua teoria a proposito di Axel», spiego.
«Devo parlare con lui, voglio sapere cosa ne pensa di questa faccenda», sentenzia mia sorella dirigendosi verso l'uscita.
«Ci vediamo dopo», mi saluta poi richiudendo la porta.
***
Aspettando che Emma ed Axel tornino mi sono spostato in un'altra stanza del palazzo, un salotto sormontato da una delle cupole e con pareti grigie scolpite a formare grandi semicolonne e archi.
La finestra alla quale sono appoggiato dà sul retro del palazzo: da qui si riesce a vedere uno scorcio di Yakamoz, le mura in lontananza e, oltre a quelle, la foresta che sale fino a lasciare spazio alla roccia delle montagne che incombono maestose sulla città, così vicine che sembra possibile toccarle solo allungando una mano.
"Sono stanco", penso passandomi una mano tra i capelli biondi e arruffati. La mia vita ha preso una piega talmente improvvisa e inaspettata che devo ancora abituarmi all'idea che nulla di ciò che avevo prima d'ora in poi sarà lo stesso.
Anche se riuscissimo a sbloccare il tempo, a salvare questo mondo, a tornare dai nonni... Cosa succederebbe dopo? Di certo non potremmo tornare a Wells e ricominciare la vita di prima come se nulla fosse.
L'idea di andarmene un giorno da qui infatti non mi dà né speranza né un qualche senso di gioia, ma solo angoscia: è come se questo posto mi fosse entrato dentro, sotto la pelle, come se un filo invisibile tenesse legato qui il mio cuore.
Questa è la mia terra, che io lo voglia o meno: sono nato qui, mio padre e la metà dei miei antenati hanno vissuto qui le loro vite fin dall'inizio dei tempi, mia madre l'ha scelta come sua nuova patria. Questa è casa mia, nonostante tutte le mie paure e i miei timori, nonostante la sensazione di non avere più un terreno stabile sotto ai piedi.
So che qui non ci sarebbe nulla di sicuro per me, nulla di scritto, nulla di certo, però è anche vero che qui la mia vita sarebbe totalmente nelle mie mani, mia come mai potrebbe esserla nel Mondo di Fuori. Come potrei tornare alla mia vecchia esistenza dopo aver conosciuto questo nuovo modo di vivere, questo mondo speciale? Come potrei accettare la vita frenetica e spesso vuota del Mondo di Fuori sapendo che esiste un'alternativa, una bellissima alternativa?
Sento così tanta vita dentro di me adesso, un desiderio così grande di superare qualunque mio limite, qualunque ostacolo creato dalla mia mente, qualunque barriera... il desiderio di prendere in mano la mia esistenza e renderla meravigliosa, qui.
Sono sicuro poi che Emma abbia già deciso: lei rimarrebbe di sicuro da questo lato dell'Arcata; è troppo tempo che aspettava che le succedesse una cosa del genere, senza contare quello che prova per Axel.
Devo dire di essere un po' preoccupato per lei: da quando siamo arrivati a Yakamoz non la riconosco più, è sempre distratta, taciturna, distante, con la testa mille miglia lontana da qui.
So che è sempre stata una ragazza molto riflessiva, la conosco, ma adesso c'è qualcosa di diverso, lo sento... È come se stavolta il pensiero che la tormentasse fosse solamente uno, un pensiero che, sinceramente, credo di conoscere già alla perfezione. Devo parlare con lei il prima possibile.
«Sei qui tutto solo?» mi sorprende improvvisamente una voce alle mie spalle.
«Mia Signora, salve», saluto la Guardiana di Yakamoz appena entrata nel salotto. "È la prima volta che mi ritrovo solo con lei", penso lievemente a disagio.
«Chiamami pure Alhena, Jeremy. In genere apprezzo i formalismi, ma non con le persone che abitano nella mia stessa casa», dice sorridendo furbescamente.
«Oh, d'accordo. Grazie Alhena», le rispondo un po' sorpreso.
«Anthemis se ne è andata?»
«Sì, l'ho accompagnata al portale del palazzo non appena ha finito di parlare con Axel. Colloquio assai breve, tra l'altro, non capisco proprio perché si sia scomodata tanto», dice sollevando un sopracciglio.
«In ogni caso non penso abbia ottenuto ciò che voleva sapere», affermo.
«Immagino di no, Axel è uscito dallo studio neanche un minuto dopo esserci entrato», constata Alhena.
«Sai, questa è una delle mie stanze preferite,» cambia poi discorso, «da piccola venivo sempre qui a giocare mentre mia madre e zio Deneb chiacchieravano tenendomi d'occhio», continua sorridendo e guardandosi intorno.
«Axel mi ha spiegato come diventava il palazzo quando si faceva notte: doveva essere bellissimo», le rispondo immaginando una bambina dai capelli scuri seduta a giocare sul tappeto, circondata dalla tenue luce azzurrina, con la luna e le stelle visibili oltre la cupola.
«Oh sì, lo era davvero. Mi manca molto tutto quello che avevamo, sai? La magia, le avventure in solitaria tra le ombre della foresta, il palazzo e le case dell'intera città trasformati in costruzioni simili a ghiaccio splendente, illuminati quel tanto che bastava per vederci ma senza oscurare le stelle», confessa.
«Ma anche a te deve mancare molto il tuo mondo. Mi dispiace per ciò che è accaduto a te e tua sorella», continua guardandomi comprensiva.
«In realtà mi mancano di più le persone che facevano parte della mia vecchia vita: i miei nonni e i miei migliori amici. Per il resto, secondo me, questo mondo è migliore dell'altro», rispondo sincero.
«Presto di stuferai di questa penombra, Jeremy, talmente tanto che maledirai il giorno in cui sei arrivato qui», dice lei guardando oltre il vetro della finestra con espressione dura.
Di certo non posso dirle che probabilmente questa situazione ha le ore contate, manderei all'aria il nostro piano, dunque mi limito a sollevare le spalle.
«Si vedrà, Alhena», dico.
«Ti piace Yakamoz?» mi chiede poi la Guardiana dopo poco, senza distogliere lo sguardo dalle montagne.
«È una città stupenda, ma...» mi blocco, rendendomi conto troppo tardi che forse dire la verità non sarebbe molto vantaggioso per me.
«Ma preferisci Komorebi», mi anticipa lei voltandosi nuovamente verso di me e facendomi sgranare gli occhi.
«Ecco, io...» provo a giustificarmi, ma lei mi ferma subito con un cenno.
«Va bene, Jeremy, è normale! L'ho capito subito che in te c'è più predisposizione al giorno che alla notte e questo non è un male. Di per sé la Gente del Giorno non ha nulla che non vada, semplicemente la maggior parte di essi si reputano superiori a noi Notturni, angeli dalla parte della luce, e questo solo perché non ci capiscono, perché sono stati convinti a pensarla così: ai loro occhi noi saremo sempre delle creature oscure. Ma tu non c'entri con loro, tu sai la verità: saresti un ottimo Diurno, Jeremy.»
«Ne sono lusingato», dico rassicurato.
«Emma invece è una Notturna nata, su questo non ci sono dubbi», continuo sorridendo.
«Oh sì, me ne sono accorta!» risponde lei ridendo.
«A proposito... Tra lei e Axel c'è qualcosa? Non ho potuto fare a meno di notare che tra loro ci sia un'intesa particolare», mi chiede la Guardiana.
«È complicato», affermo dopo qualche secondo di esitazione: questi sono affari di Emma, non voglio dire nulla ad Alhena sull'argomento.
«Quale storia d'amore non lo è, Jeremy?»
«Alhena, mi chiedevo...» cambio discorso per evitare che lei insista nel fare domande a cui non sarebbe giusto che io rispondessi:
«A Komorebi ho avuto modo di vedere la sala del Nucleo del Giorno e mi piacerebbe molto vedere anche quella del Nucleo della Notte. Me la potresti mostrare?» dico la prima cosa che mi passa per la testa.
Lei sembra sorprendersi alla mia richiesta, ma non tanto da insospettirsi:
«Quello è un posto davvero molto triste, Jeremy, è il simbolo di tutto ciò che abbiamo perso...» dice titubante.
«Certo, me ne rendo conto, la mia era pura curiosità estetica. Dimentica la mia richiesta, Alhena, è stata fuori luogo», mi scuso; l'importante è che abbia distolto la sua attenzione da Emma e Axel.
Lei però sembra rifletterci su e poi cambiare idea:
«Ma no, figurati, non hai detto nulla di sbagliato; vieni, te la mostro volentieri: entrarci in compagnia sarà sicuramente meno dura che farlo da sola come al solito», dice sorridendo e avviandosi fuori dalla stanza.
Io la seguo subito, sorpreso ma davvero incuriosito di scoprire se la sala del Nucleo della Notte sia bella quanto quella del Nucleo del Giorno.
Alhena mi guida attraverso il palazzo fino ad arrivare ad una grande porta scura a doppia anta situata all'ultimo piano; qui si leva dal collo la catenina dorata che già le avevo notato addosso, catenina che regge una chiave prima nascosta dal corpetto del vestito.
Alhena fissa per un attimo quel piccolo oggetto tra le sue mani, poi lentamente infila la chiave nella toppa e la fa girare: la serratura scatta e la porta si apre.
Una volta dentro mi ritrovo in un ambiente grande, circolare, dalle pareti e dal pavimento rivestiti di un marmo scuro dalle venature blu e verdi.
Gran parte della sala è occupata da una un'enorme vasca a forma di mezzaluna a livello del pavimento, piena d'acqua fino all'orlo. Dall'acqua emerge un piedistallo vuoto simile a quello di Komorebi nella forma, ma costruito con lo stesso marmo bluastro del resto della sala. Sopra di noi, l'ennesima cupola trasparente.
«Come vedi qui le pareti non sono di pietraluce come nel resto del palazzo: bastava la luce blu scura del Nucleo per rischiarare la stanza, oltre a quella della luna che si rifletteva nell'acqua della vasca creando una bellissima atmosfera madreperlacea», spiega Alhena.
«Doveva essere meraviglioso», dico sinceramente colpito continuando a guardarmi intorno.
«Sai, c'è un motivo se la sala del Nucleo è stata strutturata proprio così: nella nostra lingua antica, la lingua dei nostri antenati, la parola "yakamoz" aveva un significato ben preciso», continua la Guardiana.
«Ovvero?» le chiedo guardandola, rapito da tali parole.
«Riflesso di luna sull'acqua*», risponde lei sorridendo flebilmente.
«Allora direi che questo posto sia la concretizzazione più efficace possibile di quella parola», dico davvero colpito.
«Oh, anche a Komorebi sono stati altrettanto bravi», confessa lei.
«Vuoi dire che anche la sala del Nucleo del Giorno riflette il significato della parola komorebi?»
«Esatto: "komorebi" significava "luce del sole che filtra tra le foglie degli alberi*".»
È in questo momento che mi accorgo di una cosa, una cosa che cattura immediatamente tutta la mia attenzione: il piedistallo al centro della vasca non è vuoto. Sopra di esso c'è qualcosa: una piccola scatola di legno che prima non avevo notato.
«Alhena, cosa c'è sopra il piedistallo?» chiedo immediatamente alla Guardiana, cercando di non far notare l'entusiasmo che mi ha appena assalito.
«Oh, quello...» risponde lei incupendosi.
«È una lunga storia, Jeremy, e non una delle mie preferite.»
«Non me la devi raccontare se non vuoi», dico, ormai già sicuro di cosa contenga quello scrigno.
«Sai, da quando sono Guardiana non ho mai ho mai raccontato a nessuno di quella scatola: è legata a dei ricordi di cui mi vergogno molto», confessa.
«D'altra parte prima di oggi non avevo neanche mai fatto entrare nessuno in questa stanza, dunque...» continua.
«Se vuoi sfogarti io sono qui», dico il più dolcemente possibile: ora non si tratta più della scatola, voglio davvero ascoltare la storia solo per fare stare meglio la ragazza accanto a me.
«Devi sapere che prima di quel maledetto giorno, quello della distruzione dei Nuclei, ero molto diversa da come sono ora: molto più sciocca e immatura, sempre convinta di essere una spanna sopra agli altri», inizia.
«Il giorno della battaglia tra Komorebi e Yakamoz, poco prima che arrivasse l'esercito di Corylus, ascoltai di nascosto una conversazione tra Deneb e Altair: mio zio stava rivelando a quel mostro di essere il suo vero padre e che la successione sarebbe toccata a lui. Io non ci vidi più dalla rabbia, ero sempre stata convinta come tutti che Deneb non avesse figli e che sarei stata io la futura Guardiana della città. Piombai nella stanza facendo una sfuriata e strappai quello scrigno dalle mani di Altair, pur non sapendo cosa contenesse, basandomi solo sul presupposto che Deneb doveva averlo appeno averlo dato ad Altair come una specie di simbolo della successione», continua.
«In quel momento arrivarono in città Corylus e i suoi uomini, così mio zio e Altair si precipitarono fuori per combattere, ma non prima che Deneb mi comandasse di prendermi cura di quello scrigno: disse che conteneva la chiave della salvezza del nostro mondo. Non so cosa intendesse dire con quelle parole, non sono mai riuscita ad aprire quella maledetta scatola, anche se di certo mio zio non poteva aver previsto ciò che avrebbe fatto suo figlio di lì a poco, altrimenti non avrebbe di certo messo la chiave della nostra salvezza nelle sue mani. Si sarà trattato di una sorta di arma per sconfiggere Corylus, probabilmente. Sai anche tu come finì quel giorno: né Deneb né Altair fecero ritorno e io fui nominata Guardiana. Da allora tengo qui lo scrigno in attesa di trovare un modo per aprirlo, aggrappandomi alla speranza che mio zio avesse davvero previsto le azioni di Altair e che avesse pensato ad un modo per rimediare», conclude lasciandomi basito e senza fiato.
"L'ho trovato io", non posso fare a meno di pensare nonostante le mie buone intenzioni.
Ho trovato lo scrigno di Deneb.
{* in realtà yakamoz e komorebi sono due parole realmente esistenti e il loro significato è davvero quello riportato, tuttavia la prima viene dal turco e la seconda dal giapponese.}
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