12- Komorebi
Jeremy
Continuando l'esplorazione del palazzo diroccato, oltre alla grande sala circolare trovo anche un'altra stanza ben conservata: la biblioteca.
I volumi sono tantissimi, tutti disposti sulle decine e decine di scaffali che ricoprono interamente le pareti di questo ambiente tanto suggestivo.
La sala è ampia, rettangolare, in pietra grigia come tutto il resto del palazzo.
Alzando lo sguardo mi accorgo che il soffitto della stanza, a volta e sostenuto da una decina di pilastri, è impreziosito nella sua parte centrale da un affresco: raffigura una donna e un uomo che danzano insieme sorridendo.
Lei porta ampie vesti blu scuro e un diadema con una mezzaluna nel centro, lui un ciondolo a forma di sole sopra gli eleganti abiti bianchi: evidentemente si tratta delle personificazioni della notte e del giorno.
È davvero meraviglioso e vorrei osservarlo meglio, ma non voglio perdere troppo tempo: per l'arte ci sarà tempo quando troverò Emma e usciremo insieme da questa situazione.
Avvicinandomi agli scaffali e cominciando a sfiorare le rigide copertine marroni dall'aspetto antico, improvvisamente mi sento pervadere da una strana sensazione: qui è tutto così misterioso, così affascinante...
Chissà quale popolo meraviglioso era quello che ha costruito tutto questo, chissà qual è la sua storia, le fondamenta della sua civiltà... Perché hanno voluto che nessuno sapesse di loro? Perché rimanere nascosti?
Omne ignotum pro magnifico, diceva Tacito: "Tutto ciò che è sconosciuto è sublime". Mai queste parole mi sono sembrate tanto vere.
Riportando la mia attenzione sui libri noto che alcuni volumi sembrano romanzi, altri saggi, altri ancora atlanti geografici.
Il territorio raffigurato deve essere quello del mondo in cui mi trovo, quindi decido di concentrarmi prima di tutto su questi ultimi; gli unici due centri abitati che sono indicati da tutte le mappe vengono chiamati Yakamoz e Komorebi.
"Devo raggiungere assolutamente uno dei due", penso un attimo prima di essere interrotto da una voce alle mie spalle.
«Fermo dove sei.»
Non appena sento pronunciare queste tre parole ben scandite mi volto di scatto: subito incrocio lo sguardo di un ragazzo non molto alto che mi fissa in maniera truce davanti alla porta dalla quale sono entrato io stesso poco fa; ha capelli rossicci e grandi occhi marroni, sia i pantaloni che la maglia che indossa sono bianchi.
"Allora c'è ancora qualcuno qui! Qualcuno che può dirmi tutto e che può aiutarmi a trovare Emma!" penso al settimo cielo.
«Oh, non immaginavo di trovare qualcuno!» affermo sorpreso.
«Ti prego, dimmi che puoi aiutarmi, non so dove mi trovo e mia sor...»
«Sei uno schifoso cane della notte, vero? Che ci fai qui, eh?» mi interrompe però il ragazzo in tono decisamente aggressivo.
«Cosa? No!» ribatto io alzando le mani.
«Mi sono perso durante una passeggiata!»
L'entusiasmo di poco fa si sbriciola inesorabilmente tra le mie mani... Ovviamente sarebbe stato troppo facile incontrare qualcuno di gentile e ben disposto.
«E secondo te me la bevo? Parla, cosa state tramando voialtri? Qualcosa ci deve essere di sicuro, altrimenti non ti avrebbero mandato a frugare tra i libri dell'Accademia!»
«Non so di che cosa tu stia parlando, io non sono di qui! Sono svenuto oltrepassando l'arcata di alberi spogli, mi sono teletrasportato e ho vagato per ore! Non ho idea di dove mi trovo e per di più io e mia sorella ci siamo persi!» mi difendo.
A tali parole vedo i suoi occhi scendere a osservare meglio i miei vestiti: evidentemente prima non aveva fatto caso ai miei jeans. La sua espressione cambia di colpo.
«Ti prego, dimmi che stai scherzando, non puoi venire davvero da Fuori!» sibila in tono quasi disperato.
«Se con "fuori" intendi un mondo che non sia questa dannata foresta, sì, vengo da fuori!» ribatto cominciando a spazientirmi.
«Oddio no, non di nuovo...» sussurra tra sé e sé lui scuotendo piano la testa.
«Ascolta, non so che razza di problemi tu abbia, ma io ho bisogno di ritrovare mia sorella e di uscire da qui, quindi se non mi puoi aiutare puoi anche andartene!» dico cercando di darmi un tono.
«Non sei nelle condizioni di dettare leggi, ragazzino, ora tu vieni con me: starà ad Anthemis decidere e per tua sfortuna non credo sarà clemente come l'ultima volta», ribatte il ragazzo tornando di colpo l'arrogante di poco fa.
«Lo sai che avrai si è no la mia età, vero?» gli ringhio contro mentre lui mi afferra brutalmente e comincia a legarmi le mani dietro la schiena con una spessa corda estratta dalla piccola borsa che porta a tracolla.
Per quanto provi a divincolarmi non riesco a sottrarmi alla sua presa: è più forte di me, non c'è altro da aggiungere. Questa proprio non ci voleva.
«La tua età?! Non parlare di cose che non sai, che è meglio! Avanti, cammina!» mi urla contro cominciando a spintonarmi.
«Sì, sì, d'accordo, ma non serve essere maneschi», ribatto io cominciando a camminargli davanti.
Usciamo così in silenzio dalle rovine e imbocchiamo un ampio sentiero, procedendo dalla parte opposta rispetto a quella da cui ero arrivato; il rosso continua a spingermi in avanti ogni volta che rallento il passo.
Lo sapevo, ho sbagliato di nuovo. Non sarei mai dovuto entrare in quel palazzo, maledetta la mia curiosità. Come faccio ora ad uscire da questa situazione? Perché il destino continua a confermarmi il fatto di essere un totale fallimento?
«Mi dici almeno dove mi stai portando?» provo a chiedere per essere almeno un po' preparato a quello che mi aspetta.
«A Komorebi, ovviamente. La Città del Giorno», risponde lui, secco.
Estremamente irritato dall'antipatia del ragazzo alzo gli occhi al cielo e continuo a camminare, ma non avere scelta non è esattamente uno dei miei hobby preferiti; se non altro sto per conoscere la verità su questo luogo, o almeno credo.
Dopo un quarto d'ora circa di cammino entriamo in una piccola radura con al centro due pietre enormi, alte circa il doppio di me e posizionate una a fianco all'altra: più ci avviciniamo a quelle e più mi sembra di essere attratto verso di esse da una forza invisibile. Stiamo per teletrasportarci ancora, me lo sento. Per lo meno stavolta sono preparato.
Come previsto, nel momento stesso in cui passiamo in mezzo alle due pietre, sento il vuoto sotto ai piedi.
Quando riapro gli occhi mi accorgo di essere finito lungo il pendio di una collina che degrada dolcemente verso il mare, un mare immenso ma spento per via della mancanza di luce e stranamente silenzioso, come se le sue onde fossero bloccate, come se fossero state private della possibilità di rifrangersi a riva col loro consueto scroscio.
Davanti a me, nella grande pianura delimitata da una catena di colline boscose e dal mare, si estende quella che evidentemente è la Città del Giorno: Komorebi.
Da qui riesco a vedere strade lastricate in pietra bianca, case ed edifici di mille forme e dimensioni diverse ma tutte dello stesso, candido, materiale. E poi, giardini e fiori a non finire.
Poco sotto a noi invece, arroccato sul pendio del promontorio e in posizione dominante sia sulla città che sul mare, si trova un grande palazzo bianco dalle forme architettoniche sinuose e irregolari: sembra quasi che sia stato costruito in più fasi, senza un progetto unitario che gli conferisse una qualsiasi parvenza di simmetria.
Ogni sua parte è differente dall'altra, ogni finestra ha forme e dimensioni proprie, così come i ponti coperti e i terrazzi pieni di vasi fiori e di erbe aromatiche. Nonostante il caos della struttura tuttavia non si può di certo negarne la bellezza e il fascino.
Anche in una situazione del genere non posso fare a meno di notare quanto questo sia un luogo davvero meraviglioso; vivere qui deve essere una favola: fuori dal mondo, circondati dalla natura, una vita semplice ma anche estremamente vera.
Certo, magari se il sole decidesse di farsi vedere ogni tanto sarebbe meglio: chissà quanto risplenderebbe la pietra bianca della città sotto ai suoi raggi...
Il rosso, una volta deciso di avermi concesso abbastanza tempo per ammirare il panorama, riprende a spingermi in direzione del palazzo attraverso l'erba alta; raggiunto l'edificio percorriamo una scalinata laterale che conduce ad una grande terrazza, dalla quale si può ammirare tutta Komorebi.
«Se te lo stai chiedendo questo ingresso è solo per la famiglia del Guardiano e pochi altri eletti. Che onore hai!» mi stuzzica il rosso con ironia.
Decido tuttavia di non rispondergli a tono, tanto sarebbe inutile; cerco invece di frenare la rabbia provando a porgli qualche domanda.
«Il Guardiano è il vostro re?»
«Una specie, sì.»
«Mi stai portando da lui?»
«Da lei, vorrai dire. In assenza di eredi, dopo la morte di Corylus, il potere è passato a sua moglie Anthemis. E ora smettila di parlare che mi innervosisci.»
"Ma questo è sempre così!?" penso tra me e me con i nervi ormai a fior di pelle.
Un elegante salotto ci accoglie quando entriamo dalla porta che dà sulla parte laterale della terrazza: le pareti sono candide e lisce, curve e unite in un tutt'uno col soffitto, come se invece di una stanza fosse una grotta scavata nella roccia bianca.
Un camino, tavolini bassi di legno scuro ricoperti da stoffe colorate, divanetti e poltroncine riempiono l'ambiente assieme a vasi e ceramiche finemente lavorati.
Un'ampia vetrata si apre sulla facciata frontale dell'edificio, regalando una vista invidiabile sulla città e sul mare visibile oltre la balaustra della terrazza.
Un ragazzo, più grande del rosso ma vestito come lui, si trova di fronte alla porta dalla parte opposta della sala; appena ci vede spalanca gli occhi dalla sorpresa.
«Abies, che sta succedendo? Chi è questo?!» si rivolge al rosso indicandomi.
«Manda a chiamare Anthemis, è urgente.»
Quello annuisce ed esce correndo.
«Abies, dunque», dico per rompere il silenzio.
«Qualche problema?»
«No, figurati», borbotto sbuffando per l'ennesima volta.
Dopo interminabili minuti finalmente vedo la porta riaprirsi: fa il suo ingresso una distinta signora sulla cinquantina, elegantemente vestita di turchese; ha lunghi capelli biondi raccolti in una treccia e gentili occhi... verde-azzurri? Spero tanto che capisca la mia situazione meglio di quanto abbia fatto Abies.
«Abies, mi hai mandata a chiamare? Cosa...» inizia a dire la signora, ma non appena quella si accorge della mia presenza subito si blocca, evidentemente basita.
Dopo qualche istante di silenzio la donna sembra però riprendersi dallo stupore.
«Slegalo e lasciaci soli, Abies, grazie per averlo portato qui. Puoi andare.»
«Certo, mia Signora», risponde allora il rosso liberandomi finalmente le mani e scoccandomi uno sguardo soddisfatto, come a dire: "Ora si che sei nei guai".
Rispondo a mia volta con un'occhiataccia prima di vederlo sparire oltre la porta dalla quale è entrata la Guardiana.
«Spero che Abies non sia stato troppo scortese, è una delle guardie più in gamba e degne di fiducia che ho, ma ha un carattere decisamente migliorabile», afferma Anthemis guardandomi con intensità.
«Siediti pure e non temere», continua indicandomi uno dei divanetti.
Un po' titubante faccio come mi è stato chiesto, poi lei si sistema di fronte a me.
«Come ti chiami?» inizia.
«Jeremy, Signora», rispondo cercando di essere il più cortese possibile: è pur sempre una sorta di regina.
«Raccontami la tua storia, Jeremy. Come sei finito qui?»
E così, non potendo fare altro, racconto alla donna di fronte a me tutto quello che mi è successo in questi ultimi due giorni, i più assurdi di tutta la mia esistenza.
«Capisco...» ricomincia lei, seria, alla fine della storia.
«Fortunatamente non ho molti impegni in questo periodo, quindi se vuoi posso rispondere alle tue domande: ne avrai molte, immagino.»
«Oh sì, ve ne sarei davvero grato!» le rispondo, anche se mi dispiace tantissimo che Emma non sia qui con me ad ascoltare.
Pazientemente allora, rispondendo a tutte le mie domande su questo mondo, Anthemis mi spiega ogni cosa sulle due Genti, sulle città, sul Confine e sui portali, soffermandosi poi con particolare enfasi sull' insita tendenza al male che caratterizza la Gente della Notte, inevitabile per chi ha, o meglio aveva, solo tenebre dentro di sé.
Quando Anthemis arriva a quest'ultimo punto mi sento quasi venire meno: se davvero metà della popolazione di questo mondo è malvagia per natura, Emma è in gravissimo pericolo... E se dovesse incontrare qualcuno di loro?
Alla fine della spiegazione sono davvero basito: mai avrei immaginato qualcosa del genere.
Vorrei tanto sapere cosa c'entri tutto questo con i miei genitori, ma non credo che Anthemis possa rispondere anche a questa domanda; gliene pongo quindi un'altra, l'ultima che mi rimane:
«Mia Signora, perché non diventa mai notte o giorno qui? Perché non ci sono mai il sole, la luna o le stelle? Perché questa penombra perpetua?»
La sua espressione allora cambia di colpo, come se le mie parole l'avessero colpita come un pugnale nel cuore.
«Questo riguarda la pagina più oscura della nostra storia, Jeremy, il momento in cui tutto è cambiato», dice titubando con voce leggermente tremante guardando il mare oltre la vetrata alle mie spalle, gli occhi persi in chissà quale ricordo lontano.
«Qui non diventa mai notte o giorno perché il tempo si è fermato», dice poi tornando a guardarmi.
«Il tempo cosa?!» sbotto stranito mentre un brivido freddo mi pervade, confuso più che mai.
«Sì, Jeremy; immagino che per te questa sia una cosa difficile da prendere per vera, ma è la verità, per quanto possa risultare assurda ai tuoi occhi da di Fuori.»
«Com' è successo?» trovo a stento la forza di chiedere.
«In questo mondo il trascorrere del tempo era scandito solo ed esclusivamente dall'alternarsi del giorno e della notte», mi risponde seria la Guardiana.
«Ora, come vedi tu stesso, qui il giorno e la notte non esistono più, dunque anche il tempo ha subito il loro stesso destino.»
«Ma, mia Signora, com'è possibile che non esistano più? È impossibile...»
«Il giorno e la notte in questo mondo esistevano solamente grazie a due Nuclei, Jeremy, due piccole sfere più antiche ancora dell'Universo, due sfere dal potere enorme che secondo le leggende furono affidate ai nostri antenati fin dall'inizio della nostra civiltà, millenni or sono. Il Nucleo del Giorno e il Nucleo della Notte però sono stati distrutti diciassette anni fa, dunque ogni cosa è morta insieme ad essi: il sole, la luna, le stelle, il tempo, la scintilla di luce o di buio che esisteva dentro di noi, ogni cosa.»
«Quindi da diciassette anni qui non invecchia o muore nessuno, ho capito bene?» chiedo sconvolto.
«Sì, è così, e anche tu e tua sorella siete nella nostra stessa condizione da quando avete attraversato il Confine, ma non pensare che l'immortalità che questa condizione ci ha "regalato" sia una consolazione. Siamo condannati ad una eterna vita a metà, senza i nostri poteri, con la nostalgia costante dei tempi passati e privati di ciò su cui si basava la nostra stessa identità: la notte e il giorno.»
Per diversi minuti non riesco a pronunciare una parola, ho assimilato troppe informazioni sconvolgenti tutte insieme: la magia, il tempo che si è fermato, i Nuclei, l'immortalità.
Solo una cosa mi dà la forza di alzare nuovamente lo sguardo su Anthemis e parlare di nuovo:
«Mia Signora, mi aiuterete a ritrovare mia sorella prima che lo faccia qualcuno della Gente della Notte?»
«Ma certo, Jeremy, non voglio che le accada nulla di male.»
«Vi ringrazio, Signora», affermo allora visibilmente sollevato.
Anthemis annuisce, poi afferra un piccolo campanello d' argento da sopra un piccolo tavolino in legno; appena quello tintinna Abies rientra nella stanza con il solito sorriso beffardo sulla faccia, accompagnato dalla stessa guardia che avevamo incontrato appena entrati nel palazzo.
«Abies, abbiamo una ragazza di Fuori da trovare ad ogni costo; potrebbe essere ovunque, ma l'ultima volta che suo fratello l'ha vista si trovava sulla Lunga Strada. Cominciate da lì, poi setacciate ovunque: la voglio qui il prima possibile. Vai e organizza le ricerche assieme alle altre guardie.»
«Certo, Anthemis», dice lui prima di uscire velocemente, ma non prima di avermi squadrato con odio un'ultima volta.
«Fagus,» continua poi la Guardiana rivolgendosi alla seconda guardia, «porta il ragazzo in una delle stanze libere del palazzo e assicurati che non possa uscire.»
A tali parole mi volto di scatto verso di lei, non potendo credere a quello che ho appena sentito.
«Cosa? Avete intenzione di rinchiudermi? Perché?» grido facendo qualche passo indietro e mettendomi sulla difensiva, inutilmente: Fagus mi ha già afferrato e bloccato le mani.
«Mi dispiace, Jeremy, ma per me il tempo della fiducia è finito per sempre: non posso permettere che un di Fuori, o peggio due, circolino liberamente per questo palazzo e questo mondo. Io e mio marito commettemmo già questo sbaglio in passato e l'unica cosa che ottenemmo fu l'essere pugnalati alle spalle. A causa di quell'unico errore io quel giorno persi non uno, ma entrambi i miei figli, tra l'altro nello stesso giorno in cui anche mio marito fu ucciso. Sono sicura che capirai il perchè non posso permettermi di fidarmi di nuovo. Lo devo al mio popolo. Lo devo a me stessa. Spero comunque di farti ricongiungere al più presto con tua sorella: vi voglio entrambi sotto il mio controllo.»
Non appena la Guardiana finisce di parlare Fagus comincia a spingermi verso la porta, senza che io possa fare nulla per fermarlo.
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