CAPITOLO 12.2
La vera natura
Nel pomeriggio del 2 novembre, la neve cominciò a cadere sulla cittadina. La mattina seguente tutto sarebbe stato coperto di bianco, ma nel frattempo, in quel cupo pomeriggio, mentre i fiocchi scendevano sull'asfalto, la detective si trovò nel quartiere di Bailey Walks, accompagnata gentilmente da Lord Charles, che si era offerto quando lei era giunta alla mansione chiedendo informazioni sulla zona. Il vicinato si trovava a pochi chilometri dalla periferia, ma a differenza di essa, era abitato da molte case di valore.
I cittadini lo chiamavano il quartiere d'oro, a causa della ricchezza che si trovava in quelle strade. C'erano circoli, negozi di lusso e persone di alto livello. Tuttavia, essendo una piccola città, queste famiglie erano poche e si mescolavano con la gente comune. La famiglia Leroy era la più ricca del paese, persino il sindaco non poteva permettersi tanto. Ma Henry trascorreva poco tempo nella cittadina, preferendo le affollate strade di Londra, tanto da pensare di chiudere il ristorante. La sua casa, nonostante fosse la più lussuosa, sembrava trascurata. La porta era chiusa, sbarrata da un lucchetto, perché, come spiegò Lord Charles, il ragazzo aveva intenzione di trasferirsi definitivamente nella capitale e abbandonare per sempre Spellmount.
La detective si fermò davanti alla porta, seguita dall'uomo interessato al suo modo di lavorare. Esaminò attentamente ogni dettaglio e, con le chiavi prese da un vicino, entrarono lentamente. L'aria era stagnante e piena di polvere, ogni passo risuonava nella stanza rompendo il silenzio. Lord Charles si mosse nel buio, aprendo le finestre e lasciando entrare la luce. Le pareti erano spoglie, gli arredi coperti da lenzuola polverose che sembravano fantasmi.
Loren iniziò la sua ispezione con attenzione, salendo subito le scale ed entrando nella stanza da letto ordinata, quasi intatta. Frugò nei cassetti, sotto il letto, dietro le tende pesanti. Si spostò nelle altre stanze, sostando un po' più a lungo nel salotto, passando accanto a una vecchia libreria priva di libri. Anche qui, come nella camera da letto, non trovò nulla di incriminante; non c'erano lettere, fotografie o oggetti sospetti. Tutto sembrava essere l'ombra di sé stesso, come nella stazione. La detective si fermò, pensierosa. Non c'era nulla che potesse suggerire un segreto o un indizio nascosto. La casa era silenziosa e immobile, sembrava custodire solo rimpianti e nessuna risposta nel presente. Loren sospirò, uscì dall'abitazione e chiuse la porta alle sue spalle. Lord Cabot l'osservava, interrogandosi su cosa stesse pensando quella giovane donna.
- Posso domandarvi il vostro punto di vista?
- Volete che vi dica se è stato il signor. Leroy? - chiese a sua volta tenendo gli occhi fissi sulla strada – la casa parla da sé. Non abbiamo trovato nulla. -
***
Camminando verso l'androne della stazione, seguita dall'uomo sempre più curioso, Loren entrò in quel corridoio più ampio che dava lo sguardo all'altro. Il passaggio, oltre ad essere molto lungo, sul fondo c'era una scrivania solitaria dove una presunta guardia notturna doveva fare la sua vigilanza. Ma quella città era tranquilla, non succedeva mai nulla d'insolito...
Le tre celle erano tutte sulla parete sinistra, ognuna con un letto e un piccolo tavolino. Nell'ultima prigione, Henry era seduto sul letto con la testa tra le gambe, con un'espressione cupa e angosciante che cambiò non appena la detective apparve davanti a lui, osservata a sua volta da Lord Charles e Hunter in fondo al corridoio. Quando il ragazzo si alzò e si avvicinò alle sbarre, lei gli rivolse uno sguardo che sapeva di scuse, ma le sue parole risuonarono in un altro modo.
- Per il momento siete libero di andare, ma non potete tornare a Londra. –
Il ragazzo annuì e la ragazza aprì la cella, spostandosi per permettergli di uscire. Hunter e il Lord rimasero immobili sulla soglia della porta, mentre li guardavano rivolgersi nella loro direzione. L'investigatrice si precipitò nell'ufficio senza sapere che i tre la seguivano attentamente. Tutti avevano delle domande, ma non sapevano o sospettavano che anche lei ne avesse, altrettanto importanti come le loro, forse anche di più. Svuotando la superficie della scrivania, posizionò gli oggetti che avevano a disposizione: il fucile, il diario, l'autopsia del signor. Ellis e quella spilla che aveva trovato nella foresta. Li osservò sperando che iniziassero a parlare. Controllò la mappa, puntando il dito sulla zona in cui era stato trovato il suo cadavere. Sapeva dove stava andando o stava camminando alla cieca? Oppure, qualcuno lo aveva condotto lì?
- Non voglio essere scortese nel mandarvi via, ma ho bisogno di concentrazione - esordì dopo un po', sentendosi osservata.
I tre si guardarono imbarazzati e chiusero la porta dell'ufficio. Loren era abituata a lavorare sotto pressione, immersa in atmosfere tenebrose e stressanti, tipiche di quell'accademia prestigiosa frequentata solo da pochi privilegiati. Ma gli eventi che si stavano verificando stavano prendendo una piega diversa e non potevano più essere ignorati, soprattutto in una città dove i pettegolezzi si diffondevano rapidamente. Si sedette per terra, incrociando le gambe e appoggiando i polsi su di esse. Chiuse gli occhi e cercò di trovare un collegamento tra i quattro oggetti.
Iniziò a picchiettare sulle ginocchia come se fosse davanti a un pianoforte. Le immagini si susseguivano rapidamente senza un ordine definito. I suoni, gli odori, i colori e le atmosfere si mescolavano, creando un grande interrogativo che era sempre stato il problema principale: dove si trovava Isabelle? Ma guardando più attentamente, si accorse di altre domande che emergevano da quella mappa che si era formata. Interrogativi importanti che potevano fare la differenza: La verità era ciò che c'era scritto sul diario o era solo il delirio di una persona malata? Perché i proiettili perforanti? La morte del signor. Ellis era stato un incidente o c'era qualcos'altro sotto?
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