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1, Lex Hunter

Cassie mi dice sempre che tra le vie della notte ci sono 3 regole:
1. Non uccidere i comunicatori
2. Non uccidere gli umani
3. Non accoppiare le specie
Ehm sì, fosse stato facile...
Già fanno fatica a rispettare le prime due, figuriamoci la terza.

E voi direte, giustamente: che cosa ci può essere di allettante nel mischiare le specie?
Bella domanda, davvero un'ottima domanda... Vi spiego subito: La supremazia.

Il poter dire di aver stuprato un vampiro o un Lycan... Come se fosse divertente mettere ancora più zizzania tra i clan, che gia da soli, andavano d'accordo per miracolo.

O di star per mettere al mondo una razza superiore... Già, anche questa è una proposta allettante, non trovate? Dire, che un nuovo grande mostro, starà dalla parte dei suoi creatori. E qui ricadiamo di nuovo sullo stesso concetto: la legge del più forte.

Ed è qui, fra le strade di Salem, dietro i coni d'ombra e la nebbia, che trovate me e Cassie, che serviamo proprio, ad assicurarci che nessuno infranga i patti.
Ma poi...
Beh, sì, vi spiegherò tutto con calma.

Diamoci del tu, vi va?
Sono Alexander Danthalion Hunter, ma tutti mi chiamano solo "Lex", sono un avvocato, più precisamente un comunicatore, ora. Sono entrato ad Harvard, a soli 16 anni, con una borsa di studio al merito. Lì ho incontrato il mio migliore amico e compagno di avvenuta, Nick.
Pure lui è un comunicatore ma lo vedo raramente e mi dispiace...

Ricordiamo un po' "Dylan Dog", ma svolgiamo il lavoro di sorveglianti.
Veniamo scelti... Oppure no. Alcuni vengono reclutati ed addestrati.

Il mio scontro con i popoli della notte è stato circa 5 anni fa: avevo 22 anni, ero tornato nella mia città natale, Salem, in Oregon, dopo essermi laureato per la seconda volta a Portland in diritto civile, e ne ero molto fiero.

Ero un ragazzo normale, ancora, non mi sono mai definito genio come invece ho sentito, e volevo riposarmi prima di iniziare il tirocinio per diventare giudice. Avevo il mio bel piano e tutte le intenzioni di realizzarlo: giudice, poi coi permessi, trovare la mia famiglia.

Proprio il giorno di Halloween, che è anche il mio compleanno, avevo trovato a scorrazzare per il mio squallido appartamento da nerd, un uomo, pallido come un lenzuolo che si rigirava un proiettile fra le dita. Si era fermato a guardarmi, aveva sorriso malignanente e aveva enunciato:
-Hunter, sei stato scelto- aveva detto con una voce gracchiante e ben poco incoraggiante. -Sei l'avvocato del diavolo, adesso-

Poi scomparso lui, mi era entrata dalla finestra una ragazza dai fluenti capelli biondi. Si era seduta sulla mia poltrona, aveva accavallato le gambe e aveva iniziato a ridere.
-Tu non sai in che guaio ti sei cacciato, ragazzino- aveva detto e aveva ragione: non lo sapevo o meglio ancora, non lo immaginavo neanche.
Come ancora dopo 5 anni non sapevo perché avevano scelto proprio me.

Ma eccoci di nuovo a oggi, come ormai membro della società della notte, mi sveglio alle 17, con la sensazione di non aver dormito affatto.
La sveglia suona rumorosa e tediosa, puntuale come la morte, anche se forse sarebbe più piacevole. Rivoltandomi nel letto un paio di volte, la cerco, mi piace la sensazione della sua pelle sotto i polpastrelli.
Ma nel posto della mia signora, vuoto ed il lenzuolo spiegazzato. Abbraccio il suo cuscino, che sa di lei e di "Dolce". Mi piace e mi è così familiare.

A quel punto, mi alzo e ancora scalzo ed in pigiama, esco dalla camera per fare un giro per casa, che non si sa mai.
Il sole inizia a calare e so che è il momento di entrare in scena.

Torno in camera, coi suoi colori chiari, rifaccio il letto tirando bene le coperte e spiumacciando i cuscini. Mi infilo nel bagno padronale con le mattonelle a specchio e i due lavabi.
Mi sbarbo, mi infilo in doccia per svegliarmi, l'acqua è gelata ma sorrido al doccia schiuma aperto: è sempre la solita, disordinata e disinteressata. Se non la amassi così tanto la ammazzerei ogni tanto, poi, canticchiando tra me, mi asciugo e mi vesto.
Il mio marchio è la camicia nera e il completo grigio gessato che trovo molto di classe.

Prima di andare al lavoro e dedicarmi agli impegni, do uno sguardo a Charlie. Lascio la camera e percorro a grandi passi la metratura della casa, con il parquet beige che non lascia spazio al silenzio, tanto scricchiola.
La piccola disegna sul tavolo della cucina, quello di vetro che sua madre ha avvolto in un rotolo di carta marrone su cui lei può colorare, e quando mi vede, sorride aspettando che le vada vicino per prenda in braccio.

-Ciao principessa, com'è andato l'asilo?-
Charlotte ha 4 anni, la chioma biondo-dorata le circonda il viso rotondo, fino a toccarle le spalle; ha gli occhi molto chiari, tra il grigio ed il verde, sicuramente presi da me, e la pelle rosea di una bambina in ottima salute. È alta poco più di un metro e non pesa più di 15 chili, pur mangiando come un leone.
Somiglia più alla madre che a me. Ma la amo con tutto il mio cuore, è il mio bene più prezioso e per quanto possa, voglio che rimanga normale.
-Bene... Ora vai al lavoro?- mi chiede dolcemente.
-Certo principessa e tu che devi fare mentre papà lavora?- le chiedo come ogni giorno. Voglio che lo ricordi bene perché è davvero importante.
-Eh, pupa? Che devi fare se arriva un cliente di papà?-
Charlie ridacchia. -Andare nel cerchio di sale-
È risaputo, il sale tiene lontano i demoni e prole.
-Bravissima Charlie, sono molto fiero di te- poi mi guardo intorno, sinceramente speravo di trovarci la sua bionda madre ma non è così.
Strano, per casa non l'ho vista... Mi fermo ad annusare l'aria, alla ricerca di "Dolce" di Dolce&Gabbana, del quale vi è traccia. Allora dov'è? Se la bimba c'è, perché non c'è la madre.

-Amore...?- chiedo, aspettando la sua voce, ma nulla. Allora guardo Charlie. -Senti amore, dov'è mamma?- le chiedo.
-Al lavoro- risponde dondolando.
-Papà, non ricorda che mamma, dovesse iniziare presto... Sei sicura Charlotte?-
Annuisce, ma io ancora stranito, forse per essermi appena svegliato, con Charlotte tra le braccia, lascio la stanza, avviandomi verso l'altra ala della casa.

Tornando verso la mia camera, sulla destra vi è il bagno e la camera di Charlie, sulla parete sinistra di quel corridoio, la porta scura, sbarrata in ferro col grosso lucchetto a combinazione. Giro, 1-2-1-1: la data di nascita di Charlie. Apro la porta, entro e me la chiudo alle spalle, sbarrandola un'altra volta. Schiaccio un interruttore e non sembra di essere più in casa mia:
le pareti sono più scure, la moquette più spessa e così la carta da parati scarlatta.
Le tende sono di velluto rosso e le finestre sono cosparse di sale.

Nel corridoio sulla destra vi è la piccola stanza ricreativa, in cui lasciare la bambina, sulla sinistra la sala d'aspetto angusta, con le sedie di ferro e le pareti grigie, ancora vuota. Dritto il mio ufficio.
Entro in quest'ultimo, dai toni caldi del marrone e la grande scrivania di quercia con dietro gli schedari e la libreria; sedendomi sulla poltrona, guardo l'agenda, ci sono i miei appuntamenti, le mie note a margine: è tutto più o meno normale.

Poi apro l'agenda della madre di Charlotte, quella dalla copertina di pelle rossa, che fino a quel momento non aveva tracce sospette: soliti appuntamenti, liste di attesa, un paio di appunti per ricordarsi la spesa o di passare da qualche parte. Ma in quell'ora, un segno minuscolo e molto sottile, somigliante ad una croce, dopo quella croce niente, nessun appuntamento o scritta, vuoto.
Premo l'interruttore del microfono centralizzato che ho lì a fianco.
-Agnes, sai dov'è la signora?- chiedo altalenante.
-No, signore, la signora ha lasciato la bambina e se n'è andata- le sue parole mi turbano.
-Non sai dov'è andata?-
-No, signore, ma non si preoccupi tornerà presto-

La prendo in parola e a malincuore e con passo più pesante, riporto Charlotte nel cerchio di sale nella stanza dalle pareti turchine che ho lì a fianco.
Le lascio un bacio sulla guancia e torno in ufficio, deve arrivare il primo cliente.
Siedo alla scrivania, sulla mia poltrona di pelle verde scuro e mentre aspetto, cerco nei 6 cassetti qualche segno del suo passaggio, ma che io veda non c'è nulla di strano.
Forse mi preoccupo per niente e sta bene.

-Lex il tuo appuntamento delle 6- mi dice la signora Agnes entrando nello studio.
È una strega di circa 150 anni e si è offerta volontaria per darmi una mano; ha i capelli lunghi grigi e degli occhiali a mezzaluna sul naso, oltre ad un collo lunghissimo che in genere nasconde sotto il collo alto di qualche dolcevita enorme dai colori più assurdi: quello di quel giorno è verde bottiglia e sopra ha un gilet viola scuro. Oltre a dei pantaloni palazzo sempre viola con dei grandi fiori gialli.
Scelte di abbigliamento discutibili ma è un ingranaggio fondamentale della mia vita come avvocato del diavolo.

Perché si, il diavolo esiste ed è sulla terra, ma no, non si chiama Lucifer.
Sinceramente, l'ho incontrato solo un paio di volte, per piccole cause, ma ho sempre una mezz'ora libera per lui se gli servissi.

Ma nella stanza entra il beta, John Baker, un Lycan.
-Signor Hunter...-
-John- dico salutandolo ed invitandolo a sedersi su una delle altre due poltroncine verdi presenti di fronte a me.
-Cosa posso fare per te, oggi-
-Vorrei modificare il mio testamento- e alle sue parole mi giro e nella libreria, cerco la cartellina.
Sono tutte in ordine alfabetico, curate minuziosamente dal sottoscritto.
-Eccola...- dico, prendendola e posandola sul tavolo.
Estraggo il foglio di pergamena e aspetto.
-Voglio lasciare la macelleria alla piccola Lesley, è così giovane, è alla prima muta, sa avvocato, deve vedere come cresce...-
Sorrido.
Una parte del mio lavoro è anche ascoltare, tanto, assimilare e capire i problemi, gli affetti e farmi un idea il più chiara possibile su chi ho davanti.

Modifico il testamento e continuiamo a parlare. Poi un 40 minuti dopo che è entrato, va via e mando avanti gli appuntamenti: Loren Shnaider, una strega vuole fare una polizza antifurto, perché sta partendo. Timothy Moon, un vampiro, mi chiede di valutare una moneta di suo nonno. Jessica e Greef Rontor, due lillons vogliono sposarsi e quindi devo documentare un accordo prematrimoniale. Chase Salinger, un Lycan, mi chiede una consulenza per fare causa al suo vicino che fa mangiare al suo cane le ortiche. 

Vado avanti fin verso le 21, quando torno da mia figlia. Lascio quella parte della casa e torniamo alla nostra vita come persone normali. Mangiamo insieme un tramezzino, poi le faccio il bagno prima di metterla a letto.
Alle 22, stando ben attento che tutto sia in ordine, riprendo servizio e la giornata continua.

L'ultimo della giornata è Derrik Maverick, un vampiro anziano, che vuole iniziare il suo sonno eterno e mi chiede di scrivere ai suoi discendenti di svegliarlo solo in caso, di determinati avvenimenti o dopo cento anni. Egli se ne va verso le 6; io mi fermo a guardare il programma del giorno dopo, aspettando di vedere entrare mia moglie. Giro un po' sulla sedia a vuoto e finisco il mio tè, e verso le 7 alzo Charlotte.

La vesto a sua scelta: un vestito verde con sotto una camicetta bianca. Le pettino i capelli biondi, facciamo colazione e tutta allegra è pronta ad andare all'asilo.
Le metto il cappotto poi, prendendola per mano ed afferrando lo zainetto rosa, usciamo. L'aria è fresca di prima mattina, ma sto crollando di stanchezza, però sono un bravo papà e in assenza della madre faccio il mio dovere.

In dieci minuti siamo lì e già una marea di bambini, coi rispettivi genitori è in attesa di entrare. Lei da qualche piroetta, saluta i suoi amici, torna da me, e continua a ballare mentre ancora mi tiene la mano. Quando è ora, e le porte sono aperte le metto lo zaino in spalla e mi piego per guardarla bene.
-Allora, principessa, ti viene a prendere Agnes, così poi giochiamo insieme, va bene?-
Lei mi abbraccia forte.
-Okay, a dopo, papà- e salutandomi con la mano entra nel suo asilo, lì a Salem, ed io mi incammino verso casa.

Che pensate della versione 2.0?

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