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L'AVIATORE

"Sai, da bambino sognavo di volare, desideroso di esplorare. Sai, da aviatore amavo pilotare, fiero di servire il mio paese. Ma la tua voce è sempre più lontana... "

Dean spostò lo sguardo verso il finestrino, il cielo si mostrava nella sua immensità di un blu intenso, così profondo da sembrare nero. Anche la Terra era caduta in un buco altrettanto senza fine, come quelli nello spazio che aveva studiato da ragazzo. Risucchiavano luce, chissà cos'altro, mostri oscuri senza vita.
Non esistevano più stelle a illuminare, solo notti eterne senza punti di riferimento. Non esisteva nemmeno più nessun Dio e semmai fosse stato presente, aveva deciso di voltarsi dall'altra parte, stufo di sentirsi invocato da un popolo che non aveva nessun riguardo verso la vita.

«Aviatore, mi senti? Passo.»
Lo chiamavano così perché si presentò il primo giorno di addestramento con in mano il copricapo del suo - non si ricordava quanto bis - nonno, eroe della prima guerra mondiale. Un casco di cuoio marrone con allaccio sul mento e occhiali rimovibili simili a quelli utilizzati per lo snorkeling allo scopo di proteggere gli occhi. Un cimelio di famiglia, portafortuna per generazioni che fu costretto a portare con sé dal padre. In realtà ne andava fiero, le prese in giro per l'antichità da cui non si separava mai, neppure in missione, cessarono quando divenne il miglior pilota non solo del corso, ma dell'aviazione. Sentirsi chiamare così lo inorgogliva ogni volta.

«Aviatore in linea! Come procede la sotto? Passo.» Cercò di celare la preoccupazione, ricacciare il panico che sentiva farsi spazio.
«Tutto come previsto, tra poco potrai rientrare e analizzeremo tutti i dati che hai raccolto. Nel frattempo, puoi farti un altro giro panoramico. Passo.»

Chiuse la comunicazione senza rispondere, non aveva né tempo né voglia di farsi un altro giro esplorativo. Desiderava tornare a casa e riabbracciare la moglie, i genitori e anche il gatto, nonostante almeno una volta a settimana riuscisse a intrufolarsi nell'armadio e vomitargli sulle divise appena lavate e stirate.
Non capiva il motivo che aveva portato i suoi superiori a sceglierlo per la missione che stava eseguendo; per quanto avesse un ottimo curriculum, era un semplice aviatore e i mesi di addestramento suppletivi a cui aveva dovuto sottoporsi non lo facevano sentire migliore.
Non si rendeva del tutto conto di cosa stesse accadendo, le notizie che riceveva risultavano frammentarie, incomplete. Anche sui giornali, negli approfondimenti televisivi che si stavano moltiplicando nell' ultimo anno, sembrava che la verità fosse, se non insabbiata, in parte rielaborata per renderla meno grave di quanto in realtà si presentasse agli occhi della gente. Soltanto sul web potevi imbatterti su servizi che sostenevano di mostrare agli utenti immagini live, reali, in disparate zone del pianeta e che venivano censurati dopo poche ore.

Aveva paura. Forse stava chiudendo gli occhi minimizzando fatti che non coinvolgevano direttamente la sua famiglia e i suoi cari per comodità, egoismo, o soltanto per istinto di sopravvivenza.
Non poteva negare che in alcune zone della terraferma le temperature avessero superato i sessanta gradi centigradi e, come ben sapeva, l'uomo non aveva l'organismo adatto per sopportare questi eccessi di calore che stavano diventando sempre più frequenti.
I ghiacciai stavano scomparendo, non ne esistevano più di perenni, le calotte polari si erano ridotte a poche miglia di superficie portando l'ecosistema al collasso. Per quanto alcuni scienziati sostenessero la tesi che i cambiamenti climatici facessero parte dell'evoluzione e la influenzassero da miliardi di anni in maniera ciclica, Dean credeva che stesse avvenendo troppo rapidamente.
Per la prima volta nell'era moderna la popolazione terrestre stava calando, troppi ambienti inospitali, cataclismi, epidemie, sembrava che il pianeta si stesse ribellando verso chi lo aveva calpestato per migliaia di anni.

Toccò i comandi e virò leggermente a destra, seguendo più l'istinto che una direzione precisa. Doveva mantenere la calma, aveva carburante a sufficienza per "farsi un altro giro", come gli avevano suggerito.
Guardò la foto che lo ritraeva con la famiglia. La sfiorò e quasi percepì sui polpastrelli i lunghi capelli neri della moglie Emma. Si conobbero ai tempi del college, un unico grande amore. La vita aveva esaudito il suo più grande desiderio, costruirla e passarla con lei; forse aveva chiesto o ottenuto troppo.
Scacciò quei pensieri con violenza dalla testa, non doveva essere pessimista, lo avevano informato che gli eventi stavano andando nella giusta direzione e potevano essere gestiti.
Gli occhi castani della donna brillavano del sorriso che le riempiva il volto dai lineamenti delicati, privo di trucco, non ne aveva bisogno. In foto lo stava pizzicando su un fianco per farlo desistere di alzarsi sulle punte e farla apparire ancora più bassa nei suoi confronti. Gli insulti scherzosi e le prese in giro si fondevano con le risate che tra loro due rappresentavano un punto fermo e diventavano contagiose verso gli altri.

"Ti ho sposato perché sei simpatico, non perché sei bello!"
"Ma senti chi starnazza... e spostati che mi fai ombra ai piedi!
"Sei un cog..."
"Coguaro?"

Sorrise al ricordo, scacciò una lacrima mentre l'attenzione fu catturata dalla radio che riprese a rumoreggiare.

«Base mi sentite? Passo.»
Nessuna risposta, solo il disturbo elettronico che riempiva la postazione. Tolse la foto dalla posizione in cui l'aveva sistemata prima di decollare e la pose di lato. Averla di fronte lo deconcentrava, la mancanza di lei lo distruggeva.
«Mi sentite? Passo!»
Colpì la radio con la mano imprecando ad alta voce. Attese alcuni secondi e provò di nuovo.
«Qui l'aviatore, in attesa di comunicazione, mi sentite? Fanculo, maledetta radio del cazzo!»
Percuoterla prendendola a pugni non l'avrebbe fatta funzionare meglio, ne era consapevole, ma con gli aggeggi elettrici spesso dava risultati insperati.
«Qui base, aviatore mi senti? Passo.»
Un sorriso di soddisfazione si materializzò sulla faccia spigolosa dell'uomo. Si picchiettò sopra il casco con entrambe le mani dalla felicità nel sentirli di nuovo, le iridi scure si illuminarono di gioia. Ogni volta che partiva per qualche missione si rasava i capelli quasi a zero, con enorme disappunto di Emma. Gli davano noia dentro quel maledetto involucro tecnologico che doveva infilarsi in testa, ma a sua moglie piaceva immergere le dita nei folti e disordinati capelli castani dell'uomo.

«Vi sento forte e chiaro, finalmente! Ditemi che posso rientrare!»
Udì dei rumori, come se il microfono fosse spostato da una mano all'altra.
«Ancora no, ragazzo.»
La voce del comandante Cohen, una montagna alta due metri, di quasi sessant'anni, che incuteva timore grazie allo sguardo gelido che emanava dalle iridi glaciali. I capelli argentei a spazzola, le rughe profonde sul volto perennemente abbronzato, completavano il quadro di un uomo che non amava i compromessi e le mediazioni politiche. Di solito non perdeva tempo a seguire missioni del genere, le bollava come un inutile spreco di soldi pubblici.
«Cosa...»
«Siamo fieri di te, Dean. Stai onorando l'uniforme che indossi. Ma devi ancora pazientare.»
«Signore la prego, mi dica cosa sta succedendo, ho una famiglia anche io!»
Pronunciare la parola "famiglia" gli procurò una stilettata di dolore al petto. Attese alcuni secondi in un silenzio che lo divorava nell'anima.
«Stanno bene, ragazzo. Stanno tutti bene. Le radiazioni sono aumentate ma possiamo sopportarle, sappiamo come difenderci.»
«Ci sposteremo nelle basi subacquee?»
Ancora alcuni, interminabili, secondi di silenzio.
«Nel mare non c'è più vita, nemmeno nelle zone più profonde. L'acqua è talmente contaminata che immergersi là sotto è diventato insostenibile.»
«Attendo istruzioni, chiudo.»

No, lui era un'aviatore, non uno scienziato. Non poteva saltare a conclusioni, non ne aveva le conoscenze. Si chiedeva però come fosse possibile che nessuno dei grandi luminari che riempivano l'etere con le loro interviste e dichiarazioni, non lo avesse previsto. Chi, invece, poneva dubbi e prevedeva scenari apocalittici, veniva bollato come catastrofista incompetente.
Chiuse gli occhi e pensò all'ultima volta che aveva osservato il cielo azzurro specchiarsi nell'acqua salata dell'oceano. Il piacevole rumore delle onde nel loro frangersi sulla spiaggia, nell'accarezzare la sabbia spumeggianti, nel trasportare le conchiglie sulla battigia per poi trascinarle indietro, come se ci avessero ripensato. Da bambino percorreva a piedi la costa vicino casa nei mesi più freddi, quando nessuno vi si avventurava, con la speranza di trovare quelle più belle e più grandi.
Cos'era rimasto del mondo che conosceva, a cosa serviva continuare a esplorare. Per la prima volta non avrebbe ubbidito agli ordini impartiti, non si sarebbe trattenuto un minuto di più in volo. Voleva riabbracciare le persone per cui valeva la pena vivere e lottare.
"Sono fiera di te."
Le dolci parole di sua moglie pronunciate con un filo di voce, tremanti di paura, sostenute dalla speranza. Ancora sentiva il tocco delle loro labbra che si incontravano.

«Qui l'aviatore. Sto rientrando, passo.»
«Qui base, permesso non accordato. Passo.»
«Non ho chiesto il permesso!»
Strinse i comandi con rabbia tale che i tendini delle mani iniziarono a dolere.
«Dean...» Ancora il comandante, la voce autoritaria ma stanca, come mai l'aveva udita. «Non puoi rientrare, ragazzo. Va alla base, almeno uno si deve salvare. Devi... devi essere il testimone dei nostri errori, per non ripeterli.»
«Ma ho raccolto i dati, possiamo farcela!»
«È troppo tardi, non è servito...»
La trasmissione si perse nell'ultima frase, nella sua mente ne risuonava l'eco infinito, si ripeteva di continuo come fosse un atto d'accusa.

Finalmente la vide, una sfera immersa nella solitudine, circondata da un buio insondabile. Uno spettacolo che gli tolse il fiato.
Più si avvicinava più il leggero schiacciamento ai poli diventava meno evidente, mentre le nuvole e i dettagli delle terre emerse si facevano più nitidi. Non era rimasto più niente dello splendido pianeta azzurro, del "Blue marble", dei suoi oceani e continenti. Una coltre di nubi scure, malsane, lo avvolgeva spengendolo lentamente.

Quanta luce, quanto amore, dissolti nel buio.

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