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Preoccupazioni e sottili ironie

Eugene

Eugene contava i suoi passi, cercando di calmare la mente con il ritmo costante dei movimenti. Rifletteva sul suo comportamento inadeguato, rimproverandosi per aver attaccato Allyson con troppa fermezza.

Inoltre, si sentiva a disagio per non essersi fermato quando l'aveva sfiorata, un gesto che non rispecchiava il suo modo di agire.
Colpito da quella ragazza così aperta e professionale, non riusciva a mentire a sé stesso, temendo che stesse soffrendo a causa di una situazione familiare pesante. Quei lividi su quel corpo minuto lo indignavano nel profondo. Non intendeva indagare nella sua privacy, ma ora si chiedeva se non fosse essenziale informarsi su di lei.

Certo, sapeva che non avrebbe apprezzato e non voleva creare un divario tra di loro. Sperava solo che la severità che aveva adottato, la spingesse ad aprirsi e a prendersi cura di sé, risolvendo i problemi che potevano influenzare il lavoro.
Più ci pensava, più il suo atteggiamento personale gli sembrava stupido e inadatto alla misteriosa situazione di Legrant.
Mentre tornava in ufficio, decise di fermarsi nel cortile interno per prendere un po' d'aria. Avvisò Paul che sarebbe arrivato in ritardo per non farlo preoccupare. Si sedette su una panchina e rimase a fissare le colonne del porticato, contandole più volte.

Sapeva per esperienza che si avvicinavano alla trentina, ma assegnare loro un numero lo calmava. Le cifre, che avevano occupato tutta la sua vita, erano per lui una fonte di conforto, un segreto prezioso che custodiva gelosamente.
Si allentò la cravatta, un gesto semplice che gli permise di respirare in modo regolare. In quel momento, si rese conto che doveva essere più cauto nel lasciarsi andare in certe situazioni. Pensò a Elisabeth, confrontandola con la giovane dottoressa e la differenza tra le due gli sembrò ancora più marcata. Betty non necessitava di alcun sostegno morale; al contrario, si prendeva ciò che desiderava senza esitazioni, proprio come aveva fatto con lui.
Il cellulare vibrò nella tasca interna, segnando la fine della pausa. Arianne lo richiamava alle incombenze quotidiane. Sospirò: a metà mattina sperava con tutto il cuore che il resto della giornata andasse meglio.
Quando Eugene raggiunse l'ufficio, le sue speranze si affievolirono non appena vide ad attenderlo il fratello maggiore, Lyndon.

Con dieci anni di differenza, il primogenito continuava a considerarlo il "ragazzo" di casa, e non perdeva occasione per ricordarglielo. Lo aspettava sulla soglia con il consueto sorriso ironico, pronto a entrare. Si preparò mentalmente alle solite schermaglie, ben consapevole che per lui sarebbe rimasto sempre il più piccolo della famiglia Gresham.

Con i genitori ormai da mesi sulla costa, Lyndon aveva assunto il ruolo di capofamiglia, occupandosi della tenuta della madre, lady Whitemore. Inoltre, sosteneva la sorella Mytea, ancora provata dal recente divorzio.

Il rapporto di Eugene con lei era segnato da vecchie incomprensioni, sopite ma mai risolte, peggiorate dopo la separazione.

Il maggiore si accomodò sulla poltrona di fronte alla scrivania e posò una cartella di pelle nera con intarsi dorati. «Caro fratellino, le notizie corrono. Dove ti hanno bucato con tanta solerzia?» chiese divertito lisciandosi i baffi scuri.
Il minore non rispose, fissando il dossier e alzando leggermente il braccio ferito, segno dell'ultimo pericolo affrontato.
«Peccato per il tuo completo firmato! Da buttare suppongo,» disse il più anziano con una risata fragorosa che riempì la stanza.
«Supponi bene, mi farò rimborsare, si tratta pur sempre di lavoro,» sentenziò il diplomatico accettando la provocazione.
«Non è da te chiedere sterline, giovanotto. Comunque, non hai perso la tua sfacciataggine, vuol dire che stai meglio.»

Il Genio sorrise e puntualizzò. «Fratello, dovrai sopportarmi ancora per un po'.»
Lyndon fece una smorfia, sistemandosi i capelli sulle tempie e concluse. «Fino a quando qualcuno non ti centrerà, per la gioia di nostra sorella.»
Eugene sbuffò, alzando gli occhi al cielo. «Non iniziare. Lo sai che non voglio discutere.»
Il maggiore sospirò e cambiò atteggiamento vedendo l'irritazione nel giovane, che però aveva ripreso il controllo e chiese interessato: «Bene, allora, fratellino, dimmi che vuoi da me.»
In risposta, l'uomo aprì la cartella e gli porse dei fogli contenenti la dettagliata descrizione di alcuni pezzi artistici museali.
«Sai cosa devi fare: niente deve sparire durante la mostra a Edimburgo. Catalogati e numerati in sequenza, proprio come piace a te.»
Il dirigente esaminò i documenti con attenzione, poi ribadì con un sorriso: «Grazie per la tua consulenza, così farò più presto! Potrei mai deludere il sovrintendente dei beni culturali della Corona?»
Il maggiore lo guardò divertito. «Stai attento a non rovinare secoli di storia. A proposito, a che ti serve Paul se poi ti hanno bucato?» soffiò con tono scherzoso. «Che ne diresti di far dimettere quell'incompetente di Sir Garrel?»
Il genio sospirò. «Warton ha fatto il possibile, ma la presenza del PM lo ha limitato, lo sai quello che pensa della scorta. Inoltre, ho dovuto aggiungere un membro allo staff, un medico che mi aiuti quando Sir Nigel eccede con il cherry e con il cibo.»
Lyndon lo osservò con occhi attenti. «E come l'ha presa il nostro Primo Ministro?» chiese incuriosito.
«Ho presentato la novità accampando un aumento della sicurezza interna,» spiegò il giovane con tono distratto, evitando di incrociarne lo sguardo.

«Chi è il fortunato?» domandò l'altro, sollevando un sopracciglio.

«La fortunata è la dottoressa Allyson Legrant,» rispose quasi fosse un'informazione banale.

«Una donna! Ti sei finalmente emancipato, ragazzo!» commentò il più anziano, ridendo. Ma la sua risata nascondeva una leggera provocazione. «Elisabeth sarà contenta!»

«Cosa c'entra Betty? È solo per lavoro,» ribatté il giovane tradendo un leggero fastidio.

«Conoscendola! Immagino che, dopo quello che ti è successo, si sia dispiaciuta perché non sei stato a sua completa disposizione,» disse con sarcasmo. «D'altra parte, è passata da un ricevimento all'altro vantandosi di frequentarti.»

«Lo so, conosco il suo carattere,» obiettò lui, avvertendo il peso della loro relazione altalenante.

«Questo è il punto che non capisco, Hug. Per quale motivo stai ancora con lei? Non mi è mai stata simpatica e nemmeno il padre,» continuò, scuotendo la testa con disapprovazione.

«Diciamo che è piuttosto abile nel sedurre, e così, smettono di considerarmi uno scapolo ambito,» rispose, rendendosi conto solo dopo, quanto fossero superficiali le sue stesse parole.

«Contento te, ragazzo, finché riesci a nasconderle i tuoi numeri dannati!» replicò l'altro con tono di rimprovero. «E poi, caro Genio, non hai pensato che assumere una dottoressa potrebbe portarla a scoprire che...»

«Smettila! Non sono più il ragazzino che avete allontanato da casa. So regolarmi,» lo interruppe seccato non ammettendo repliche.

Lyndon si alzò dalla poltrona, sospirando. «Ora non voglio discutere del passato, Hug. È meglio che me ne vada prima di litigare. Bada a non farti bucare di nuovo, non vorrei vedere festeggiamenti in famiglia.»

Eugene sciolse la tensione, accompagnando la battuta con una smorfia. «Cercherò di farlo in religioso silenzio.»

L'uomo ridacchiò pronto ad andarsene, ma in quel momento il giovane Gresham ebbe un ripensamento e lo fermò, alzando la mano.

«Che ne diresti se ti presentassi alla mia nuova collega? Non ci siamo lasciati nel migliore dei modi stamattina. Sono stato un po' troppo duro.»

Il sovrintendente lo guardò sorpreso, comprendendo la situazione. «Hai creato un pasticcio e ora cerchi un paciere? Va bene, Genio. Incontriamola.»

«D'accordo, allora andiamo,» rispose lui sollevato.

Uscirono insieme e si diressero verso il nuovo ambulatorio medico.

Paul fu lasciato in ufficio a oziare, poiché all'interno di Whitehall il suo servizio di scorta non era richiesto con la stessa frequenza che all'esterno.
Rimasero in silenzio durante il breve tragitto lungo il corridoio, i loro passi erano l'unico suono udibile ed Eugene, come spesso faceva, li contò mentalmente.
Appena raggiunsero la porta, il giovane si fermò, ricordando la sgridata che aveva inflitto alla dottoressa poco prima.
«Uhm, paura Hug? Dovresti contenerti di più con i tuoi sottoposti.» ridacchiò il maggiore toccandogli la spalla.
Il diplomatico accettò quel gesto e schioccò con la lingua. «Cerca di non mettermi in imbarazzo.» gli chiese a voce bassa.
Bussarono ed entrarono trovando la donna che stava riordinando lo studio, sistemava dei libri nello scaffale.
Quando vide il capo, aggrottò la fronte, poi notò l'uomo sulla quarantina che lo seguiva. Alto quanto Gresham, aveva i capelli neri corti spruzzati di grigio sulle tempie. Il volto, dai tratti gentili, era adornato da folti baffi scuri e, in alcuni aspetti, ricordava Eugene.
Il dirigente si schiarì la voce. «Non volevo disturbarla, ma ci tenevo che conoscesse mio fratello Lyndon che è il sovrintendente curatore dei beni storici della Corona.»

L'uomo le porse la mano e lei la strinse con cortesia. «È un piacere conoscerla. Ho sentito tessere le sue lodi quando ero al Crown. È vero che gestisce l'intero patrimonio dello Stato?» si informò Allyson con interesse.

«In un certo senso, si potrebbe dire così,» rispose lui con un sorriso sornione. «Io mi occupo di arte e bellezza, a differenza di Eugene, che preferisce concentrarsi sugli aspetti operativi della gestione.» La sua voce era intrisa di ironia, mentre lanciava un'occhiata divertita al fratello, che lo osservava da dietro con le braccia conserte.
La dottoressa rise. «Immagino,» sottolineò sarcastica.
«Il Genio, qui presente, l'ha già infastidita?» chiese lui, accettando l'invito di Legrant di accomodarsi in una delle due poltroncine di fronte alla scrivania. «Deve sapere che entrare a gamba tesa, nella vita dei suoi dipendenti, è una sua specialità! È un perfezionista.»

Eugene, che si sorbiva la presa in giro del maggiore, sbuffò, declinò l'offerta di sedersi e rimase in piedi vicino alla finestra. Gli sembrava una via di fuga illusoria.
I due si accomodarono, scambiandosi sguardi e sorrisi mentre notavano l'evidente imbarazzo del più giovane, che preferì restare in silenzio ad ascoltare.
«Comunque ho percepito che è una persona attenta al personale,» intervenne lei in difesa del suo capo.
«Se ha bisogno di aiuto lo posso rimettere in riga. Sono pur sempre il capofamiglia!» rispose il maggiore rivolto a Eugene che lo osservava con un cipiglio risoluto.
Il sovrintendente continuò la conversazione, dopo aver riportato lo sguardo sulla dottoressa. «Mi dica, mia cara, come procede il nuovo lavoro? Certo è un bel cambiamento dal British Crown Hospital.»
Lei sospirò. «Devo prendere ancora le misure, ma Arianne è una buona consigliera,» precisò con sincerità.
Lyndon arricciò le labbra. «Gestire anche il PM non le sarà facile, è imprevedibile.»
«C'è sempre suo fratello che gli tiene saldamente le redini,» rettificò lei, divertita dal colloquio in cui Eugene non interveniva.
L'uomo la guardò con apprensione. «A volte il PM ha le briglie sciolte. Lo avrà capito.»
«Sì, mi hanno informato delle sue intemperanze.»
La donna allungò la mano sulla scrivania e lui notò il livido in via di guarigione sul polso, vide anche quello sul collo che si era quasi riassorbito.
«Troppo sport, dottoressa?» affermò l'anziano Gresham senza indugiare.
«Un gesto maldestro a casa e motivo di preoccupazione per il mio capo, per cui sono stata già sgridata.»
Lyndon strinse le labbra. «Capisco, il nostro dirigente ci tiene molto alla buona salute dello staff, giusto, Genio?» disse interpellando il più giovane rimasto silenzioso. «In effetti a volte può risultare un po' pesante.» aggiunse ridacchiando.
Eugene sentì il bisogno di intervenire. «Caro fratello, ho già spiegato a Legrant cosa penso.»
«Non avrete litigato, vero? Tu, ragazzo, devi darle del tempo per ambientarsi prima di diventare oppressivo. Lo scusi, mia cara.»
«È già scusato, ma fuori di qui ho la mia vita,» rispose lei con gentilezza.
Il sovrintendente intervenne per mettere fine alla disputa. «Dovrete comprendervi a vicenda, in fondo siete solo agli inizi della vostra collaborazione.» Si alzò con un sorriso divertito e si diresse verso il più giovane. «Lo porto via, Legrant, ma spero di incontrarla di nuovo per presentarle il mio compagno Scott.»
«Ho tutte le schede mediche del personale e conosco l'agente Talbot, sarò contenta di conoscerlo di persona.»
«Bene allora, trascino via il Genio e vi invito a fare i bravi,» aggiunse ridendo.

Diede un buffetto al fratello e lo spinse via.
Prima di chiudere la porta, si riaffacciò dentro con un sorriso rassicurante. «Conti su di me, Allyson. Non permetterò che venga maltrattata da questo cerbero.»
Risero insieme mentre Eugene sentiva il calore in volto.

«Si può sapere perché l'hai redarguita?» chiese il maggiore appena fuori dallo studio con un tono di curiosità.
«Quei lividi mi hanno insospettito, specialmente quelli che aveva sul collo. Sembravano segni di dita,» rispose lui, la voce carica di tensione.
«Che hai pensato di grazia? A un amante focoso?» Il sovrintendente alzò un sopracciglio divertito ma anche perplesso.
«Non ho voluto approfondire, ma se continua a mostrarsi in quello stato, prenderò informazioni,» disse deciso.
«Bada a non intrometterti nella sua vita. Credo che te l'abbia fatto capire chiaramente. Ma cosa ti prende, Genio? Hai sempre messo il tuo lavoro sopra a tutto!» Lyndon lo guardò con un'espressione incredula e poi scoppiò a ridere. «O Gesù, non sarà che tu... Povera Elisabeth!»
«Non dire stupidaggini!» sbottò lui, infastidito e un po' sulla difensiva.
«Però lei è davvero carina. Non fossi gay, le farei la corte a dispetto del mio compagno Scott,» continuò con leggerezza.
«Non corri troppo? È solo che mi preoccupo per lei,» ammise, abbassando lo sguardo.
«Stupido! È proprio questo il punto. Non ti preoccupi mai per nessuno!» esordì con una risata cristallina. «Ciao, fratellino. Ne vedremo delle belle.»
«Lyndon!!» sbuffò lui mentre il maggiore se ne andava agitando la mano e lo lasciava nel corridoio perplesso.
Quando tornò in ufficio salutò a malapena Arianne e riprese a lavorare.

Passò il resto delle ore a sbrigare documenti, con una breve pausa a pranzo consumando solo un toast. Preferì non andare in mensa temendo di incontrare la dottoressa.

Per quella giornata gli erano bastate le prese in giro del fratello.

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