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Oltre i cancelli di Whitehall

Eugene

La riunione era entrata in una situazione di stallo e i delegati oziavano dentro la sala.

Sir Nigel conversava con un sottosegretario, mostrando un'aria composta e rilassata. Allyson, al suo fianco, scriveva. Eugene immaginò che stesse monitorando i dipendenti presenti, e ne stilasse delle schede con varie osservazioni.

Al contrario, lui si annoiava e sentiva tutta la tensione accumulata

Aveva trascorso gran parte del tempo a riempire pagine di numeri allineati, ma l'ordine si era spezzato per un piccolo errore. Si accorse troppo tardi che la dottoressa lo osservava; lo sguardo indugiava su quei fogli e, con un sorriso appena accennato, picchiettò con l'indice sulle annotazioni.

«Che ne dice di lasciar perdere e fare due passi fino alla ripresa della riunione?» suggerì con un tono leggero. «Una boccata d'aria ci farà bene.»

Alzò gli occhi, grato per l'idea. «Potremmo visitare l'interno di Whitehall,» propose riponendo le carte nella valigetta. «Prenda il pass e lo appunti. Nei giardini interni ci sono diversi varchi di controllo.»

Legrant annuì cercando il suo, dentro la borsa.

Gresham appese il lasciapassare del Cabinet Office sulla giacca. I cartellini variavano nel colore in base alla gerarchia: quello della dottoressa era bianco, a indicare la sua appartenenza alla professione medica, quelli dorati, invece, erano riservati agli alti dirigenti.

«Venga, le mostro da dove arrivano i turisti. Possiamo accedere dall'ingresso interno.»

Si incamminarono attraverso i cortili e i porticati che conducevano alla zona aperta al pubblico. Mentre avanzavano, incontrarono le guardie addette alla vigilanza. Ogni volta, Eugene veniva salutato con deferenza, un rispetto che si estendeva anche a Legrant che lo accompagnava.

Allyson ridacchiò, divertita da tutto quel cerimoniale ossequioso. «È così conosciuto che non avrebbe nemmeno bisogno del pass.»

«Beh,» replicò lui con tono misurato, «dirigo gran parte della sicurezza di Whitehall. Inoltre, mi occupo del benessere della famiglia reale e, al momento, di quello del Primo Ministro. Non esattamente per mia scelta.»

«Un lavoro piuttosto stressante,» osservò la giovane, rallentando il passo.

«È vero, ma ci si abitua.» Mentre parlava Eugene, estrasse il cellulare dalla tasca e attivò il GPS.

Lei lo scrutò con un'ombra di preoccupazione. «Lo sta usando per avvertire Paul, visto che è sotto scorta?»

«Devo farlo,» borbottò il Genio a bassa voce. «Essere sempre rintracciabile è uno dei fastidi inevitabili ricoprendo la mia posizione.»

Sul volto della donna comparve un'espressione di sottile disapprovazione. «Sarà pure fastidioso, ma è senz'altro meglio che correre inutili rischi. Anche se, quando l'ho conosciuta, quella protezione è stata piuttosto carente.»

Gresham fece una smorfia di disappunto. «Quel giorno ho dovuto pensare al Primo Ministro, che si ostinava a rifiutare la scorta. Una situazione che ha irritato parecchio Paul, che aveva due persone da proteggere. Non lo biasimi.»

«Warton è molto protettivo nei suoi confronti,» disse Allyson, studiandolo con uno sguardo acuto.

«Lo è. Forse un po' troppo,» ammise Eugene, lasciandosi sfuggire una risatina nervosa mentre si massaggiava il braccio all'altezza della ferita.

«Tutto bene?» chiese lei, tradendo un accenno di preoccupazione.

Il dirigente esitò, colto alla sprovvista dalla sua attenzione. «Tranquilla, è solo un brutto ricordo,» rispose, sorpreso da quella premura che non si aspettava.

Raggiunsero un portone laterale sorvegliato da due guardie in uniforme rossa, con il caratteristico colbacco di pelo d'orso. I militari lo riconobbero all'istante e lo salutarono con uno sbattere deciso di tacchi.

Il più anziano dei due si avvicinò con un'espressione rispettosa. «Desidera entrare, signore? È per un controllo?» domandò imbarazzato.

Eugene lo rassicurò adottando una cortese familiarità. «No, sergente, vorrei mostrare alla dottoressa Legrant la parte interna. Posso accedere?»

«Ai suoi ordini. Vuole che chiami la scorta?» si informò il militare, avanzando di un paio di passi per aprire il pesante cancello.

Il dirigente scosse la testa, mantenendo un profilo più rigido del necessario. «Sono già monitorato, stia tranquillo. E non mi tratterrò a lungo.»

Il soldato accennò un saluto rispettoso e si ritirò, lasciandoli attraversare il varco.

«Va tutto bene, Gresham? Siamo un po' allo scoperto,» osservò lei non appena oltrepassarono la soglia, posando lo sguardo sull'atrio animato dal flusso di turisti.

Lui si concesse un sorriso rilassato. «Farò arrabbiare Paul, ma sa dove mi trovo. Non si preoccupi.»

Nel cortile, gruppi di visitatori conversavano, mentre altri immortalavano con le loro fotocamere le imponenti colonne e gli archi del porticato. Poco più avanti, i soldati a cavallo in alta uniforme montavano la guardia nelle garitte, immobili e solenni.

«Un posto impressionante, vero?» si limitò a dire Eugene osservando la scena. «Questo edificio è sempre affollato, ma la sicurezza è impeccabile,» disse indicando gli agenti di Scotland Yard armati.

«Lo conosco. L'ho frequentato con i miei genitori, anni fa», lo informò Allyson.

Mentre camminavano, un ufficiale lo riconobbe e si avvicinò con una certa esitazione.

«Buongiorno, signore,» balbettò, incerto.

«Buongiorno, comandante,» rispose Gresham in modo rassicurante. «Stia sereno, non sono in servizio. Volevo solo visitare le stanze interne.»

Il graduato si passò una mano sulla fronte sudata. «Prego, seguitemi,» disse, allungando il passo verso l'ingresso con un'energia improvvisa.

Una volta varcata la soglia, si trovarono in un lungo corridoio, illuminato da ampie vetrate che offrivano una vista mozzafiato sui giardini interni.

In pochi passi raggiunsero le eleganti sale che ospitavano il museo vero e proprio. Si diressero nella zona dove erano esposti dipinti e arazzi di grande valore storico.

Eugene ringraziò il comandante, che si congedò, lasciandoli soli a esplorare la galleria d'arte. Le luci soffuse esaltavano i colori vividi dei quadri, creando un'atmosfera avvolgente. Vide Allyson rapita, mentre ammirava le tele appese alle pareti.

«Lyndon lavora per tutto questo?» chiese ricordando l'impiego del più anziano dei Gresham.

«Sì, uno dei suoi due uffici è poco più avanti. Lo frequenta un paio d'ore la mattina. Questa è l'ora in cui solitamente fa una pausa,» disse l'uomo, pensando a quanto fosse metodico il fratello.

Non passarono che pochi minuti, che lungo il corridoio, notò la sua figura snella. Il sovrintendente camminava con passo sicuro, lisciandosi i folti baffi con un gesto rilassato.

«Beh, che ci fate qui?» chiese appena li vide, mimando un'espressione di sorpresa.

«Facciamo una passeggiata,» precisò il giovane, accompagnando la risposta con un segno della mano. «C'è una pausa tecnica alla riunione.»

«Capisco. È sicuramente il posto ideale per trascorrere un po' di tempo,» rispose l'uomo avvicinandosi a Allyson e prendendola sottobraccio in modo amichevole. «I dipinti e gli arazzi sono magnifici, non trova?»

«Assolutamente,» ribadì la dottoressa. «È sempre un piacere rivedere queste opere d'arte.»

«Lo dice anche il mio compagno Scott! Solo il mio fratellino,» esordì Lyndon con una smorfia, «vede ogni cosa come una sequenza di calcoli.»

Lei sorrise divertita. «Infatti, durante la riunione ha consumato il blocco degli appunti scarabocchiando cifre in quantità,» aggiunse ridendo. «Così l'ho portato a fare una passeggiata.»

«Non li prenda per scarabocchi,» brontolò Eugene preso in causa, seguendoli a qualche passo di distanza.

«Adesso il genio ci dirà che tutto è formato da numeri,» scherzò lui, alzando il braccio per indicare una tela. «Vediamo se il mio fratellino riesce a trovare una sequenza in questa.»

Legrant sorrise stupita. «Mi faccia capire... il mio capo vede solo delle sfilze numeriche, anche in un'opera d'arte?»

Il sovrintendente soffocò una risata. «In questo dipinto non ci sono cifre visibili, ma si trovano comunque, giusto, Hug? Altezza, larghezza, peso, ecc.»

Lui, seccato, intervenne deciso. «Non credo che le interessi, Lyndon.»

La donna si voltò sorpresa. «Mi ha incuriosita, la prego me lo dimostri.»

Preso in causa, Eugene si schiarì la voce e, con la solita precisione, spiegò:

«Seguo le proporzioni: Il disegno è, in fondo, uno schema che può essere analizzato matematicamente. Per esempio, la casa sullo sfondo dista dodici centimetri dall'albero e trenta dal fiume. Il sole è a venticinque. Il fumo del camino è inclinato di quattro gradi rispetto all'orizzonte.»

La dottoressa lo osservò per un lungo momento. «È un sistema diverso di vedere le cose.»

«Sì,» confermò il Genio, mescolando orgoglio e un pizzico di seccatura. «Ogni elemento può essere analizzato e misurato. La bellezza della tela non risiede solo nelle immagini, ma anche nella struttura aritmetica che nasconde.»

Lyndon rise. «Ognuno ha il suo modo di apprezzare l'arte.»

Allyson rivolse lo sguardo verso il suo capo e ribadì. «Immagino abbia una dote rara.»

Il sovrintendente intervenne divertito. «Ha detto bene, mia cara. La maggior parte delle persone si concentra sui colori, sull'immagine, sulle emozioni che la scena suscita. Come noi due.»

Eugene non riuscì a trattenere l'impeto. «Mio fratello si prende gioco di me, ma io sono nato con questa specie di dono che, a volte, è più una dannazione.»

«Vuoi litigare con me, ragazzo?» sbottò il maggiore ridendo.

Legrant si intromise prontamente per calmare la disputa. «Per carità, non voglio sapere altro se questo la mette a disagio.»

«Non mi crea problemi, è una questione di abitudine e di autocontrollo.» rispose lui, «ma nel mio lavoro, i numeri sono fondamentali.»

Lyndon si scostò con fare canzonatorio, preso dalla piega della discussione. «Gli chieda cosa vede in questa stanza.»

Il Genio sospirò, ma non si sottrasse alla domanda. «Misure, cubatura... Nel pavimento ho contato ottanta piastrelle con lo stemma araldico, quaranta con il simbolo della Corona e altre con san Giorgio. Calcolando il perimetro, direi che l'insieme ha tremila inserti. Insomma, somme matematiche.»

Il sovrintendente scoppiò a ridere. «Ho un fratello architetto. Ti chiamerò quando dovrò ristrutturare.»

Eugene perse la pazienza. «Avresti potuto spiegare il dipinto alla dottoressa, invece di mettermi in imbarazzo.»

Il maggiore dei Gresham, con un sorriso sornione, concluse: «Tanto, per Allyson è solo una questione di tempo.» E, lasciandogli il passo, aggiunse misterioso: «Bisogna imparare a conoscerlo, il mio fratellino geniale.» Ridacchiava, divertito dallo sconcerto che gli causava.

Legrant rimase pensierosa per quella frase, ma non la raccolse e cambiò argomento.

«Lyndon, lo sa che sono ospite a villa Camelia?»

L'uomo aggrottò la fronte, notando il cerotto sulla mano.

«Hug me ne ha parlato e approvo la sua scelta.» Si fermò un attimo scrutando il fratello minore, poi continuò. «Sia indulgente con lui: è molto protettivo con le persone a cui tiene, ma a volte non si rende conto di quanto possa travolgerle. È successo anche con nostra sorella. Sa qualcosa della famiglia Gresham?»

«Norah me ne ha accennato,» precisò Allyson, misurando le parole per tutelare la governante.

«Mytea è la seconda,» la informò l'uomo con un sorriso ironico. Poi, con uno sguardo che tradiva una certa rassegnazione, aggiunse: «Ma, con mio grande dispiacere, non è in buoni rapporti con il Genio, giusto ragazzo?»

«Penso che alla dottoressa non interessino le nostre beghe familiari. Sai bene che si trattava di una questione di lavoro,» obiettò lui, osservando la donna con l'intento di coglierne la reazione.

«Ora non iniziate a litigare, per favore. Il tempo stringe, godiamoci questi pochi minuti,» intervenne Allyson, cercando di smorzare la tensione. Lyndon sbatté le palpebre sorpreso.

«Ottimo, mia cara amica,» mormorò apprezzando il suo tentativo di conciliazione. «Vedo che tiene molto al mio fratellino nonostante i suoi eccessi, e questo mi piace. Ha ragione, è meglio fermarsi qui. Si tratta di un tasto dolente, che lui le spiegherà quando sarà pronto,» aggiunse con una nota diplomatica.

«Mi metti di cattivo umore,» rispose Eugene, ormai esasperato. «Lascia che Legrant si goda la tua arte, quella che custodisci con tanta passione.»

La sua voce tradiva un misto di frustrazione e ironia, ma cercò di mantenere la calma per non peggiorare la cosa.

Il maggiore scoppiò a ridere e riprese con tono allegro: «Non faccio altro che metterla in guardia, ragazzo! Comunque, se devo dirti la verità, preferisco di gran lunga la nostra Allyson a quel pezzo di ghiaccio di Elisabeth.»

Eugene non riuscì a trattenersi. «Lyndon, basta! Perché tiri in ballo Betty adesso?»
«Secondo me fa parte del gioco.» ribatté lui, facendogli l'occhiolino.
«Smettila fratello!» sbottò il giovane, esausto per l'ennesima battuta. «Ogni volta con te è una lotta.»

La dottoressa intervenne ancora, decisa a troncare l'argomento. «Andiamo, fate i bravi, e poi la pausa è quasi finita.»
L'anziano Gresham tacque, aggiustandosi i polsini della camicia con un gesto soddisfatto.
«Mi perdoni, Allyson per la mia irruenza. Ora le consiglio di tenergli le briglie strette, altrimenti ne approfitta. Ciao, Genio.»
Eugene scosse la testa, visibilmente sconfortato.
«Venga, capo,» lo esortò lei divertita, posandogli le mani sulle spalle. «Suo fratello adora provocarla.»

Intanto, il sovrintendente si allontanava lungo il corridoio, agitando, le braccia per salutarli.

«A volte Lyndon non si rende conto di quanto possa diventare fastidioso,» mormorò lui con lo sguardo perso nel vuoto che tradiva il disagio. «Mi scuso per tutto.»
«Non è un problema,» disse lei, regalandogli un sorriso rassicurante. «Godiamoci gli ultimi quadri.»
Camminarono in silenzio attraverso la sala, gli occhi fissi sulle opere d'arte, il suono dei loro passi che risuonava sul pavimento lucido. Il cellulare del dirigente vibrò. Lanciò un'occhiata allo schermo e, senza dire una parola, fece una smorfia.

«È Paul. Dobbiamo tornare alla riunione,» la informò Gresham, riponendo l'iPhone in tasca. «La nostra pausa è finita,» aggiunse, con un accenno di rammarico nella voce.
«Ho trascorso del tempo piacevole in sua compagnia. Non se la prenda per suo fratello,» lo rassicurò Allyson con un sorriso addolcito.
«Non si preoccupi,» precisò, le dita che tamburellarono sul bordo del cellulare. «La mia famiglia è sempre stata un disastro, e Mytea è il mio punto debole.»
«Mi spiace,» mormorò la giovane avvicinandosi di più. «Sento che le dispiace vivere questa separazione. Ma almeno da piccoli sarete stati vicini,» continuò, cercando di consolarlo.

Lui scosse la testa, un'ombra di tristezza attraversò i suoi occhi. «Beh, non ho avuto problemi.» spiegò con voce calma. «Visto che sono andato in collegio fin da bambino.»
«Non lo sapevo, mi scusi,» lo consolò la donna, sorpresa dalla rivelazione.
«Non ha nulla di cui scusarsi,» si affrettò a dire, forzando una debole smorfia. «Lo strambo della famiglia ero io.» Si massaggiò le tempie, perso nei ricordi di un'infanzia solitaria.
La dottoressa lo scrutò di sottecchi, mentre un respiro profondo le sollevava le spalle. Lui intuì che stava lottando con il desiderio di chiedere più informazioni e le fu grato quando rinunciò.

Attraversarono il corridoio principale; le guardie e il capitano della struttura li salutarono con deferenza. Gresham rispose con un cenno del capo, mantenendo il passo sicuro fino all'uscita.

«Ora la smetterà di compilare fogli pieni di numeri,» commentò Allyson impensierita.

«Forse, Legrant,» sbuffò lui, un guizzo di ironia negli occhi. «Vedremo.»

Appena varcò la soglia, l'aria fresca lo investì, dissolvendo le ultime tracce di tensione. Quella breve pausa gli aveva giovato. Si sentiva più lucido, e senza indugi relegò al passato l'episodio con Lyndon.


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