Capitolo 2. Guelfi e Archi
«Oh, cazzo.»
Michela non riuscì a trattenersi e le parole fluirono senza controllo. Quel ragazzo all'apparenza deboluccio e gracilino era il figlio di Giorgio Archi! Se non si fosse trovata in una situazione diversa, si sarebbe fatta una gran bella risata.
Aveva studiato tutte le peculiarità delle famiglie dello Statuto Magico e gli Archi erano dipinti come potenti e pericolosi maghi, capaci di ridurre in cenere qualsiasi nemico con il potere della loro scuola arcana. Giorgio Archi era il patriarca più temuto di tutti... prima che decidesse di uccidersi, di punto in bianco, circa otto anni prima. A seguito della sua morte, l'attività di famiglia subì un poderoso tracollo, tanto da lasciare gli ultimi membri degli Archi in seria difficoltà economica, dalla quale si sarebbero ripresi soltanto dopo qualche anno. L'improvviso suicidio di Giorgio e il conseguente fallimento dell'azienda si tradussero anche in una perdita di potere degli Archi all'interno dello Statuto: attualmente qualsiasi altra famiglia poteva considerarsi gerarchicamente superiore a loro.
«Se tutto questo l'avete organizzato voi...» Le esitanti parole di Leonardo riscossero la ragazza dai suoi pensieri, soltanto per mutare la sua preoccupazione in una rabbia repentina.
«Sei serio?» abbaiò lei, puntando gli occhi su quelli spenti ed esitanti del figlio di Giorgio Archi. Aveva una gran voglia di prenderlo per quei suoi capelli castani e scuotergli la testa fino a far uscire la merda che conteneva. «Sono chiusa qui dentro insieme a te, se non l'avessi notato.»
Incredibile, era incredibile! Come poteva anche solo pensare che persone rispettabili come i Guelfi si dessero ad azioni grette come il rapimento? No, tutto sommato non era così impensabile. I genitori di Michela, crescendola, le avevano inculcato nel cervello un'atavica diffidenza nei confronti delle altre casate e, per Leonardo, doveva essere stato lo stesso. Non era mai corso buon sangue tra i membri dello Statuto, soprattutto dopo l'ultimo conflitto nel sedicesimo secolo. Era un dato di fatto: nessuno di loro si fidava degli altri, i rapporti erano molto limitati e i capifamiglia non si riunivano in consiglio dal 1947.
Però, a dispetto delle abitudini che erano state imposte, Michela sapeva bene che non era quello il momento della diffidenza. Anche lei, così come Leonardo, non ricordava come fosse arrivata in quel luogo: era andata in università quel venerdì mattina, ma non l'aveva mai raggiunta, si era invece risvegliata in quella gelida trappola insieme a un ragazzo svenuto e... a quell'altro, ma a lui ci avrebbe pensato dopo. Riflettendo in modo oggettivo, era ovvio che quella non fosse una casualità: due membri dello Statuto erano stati rapiti e rinchiusi insieme. Chiunque avesse organizzato quella faccenda sapeva benissimo chi stava andando a colpire. Lo sapeva, sì, ma non si era reso conto di aver risvegliato un mostro. Michela era furente per quello che stava succedendo, non vedeva l'ora di uscire da quella merdosa stanza e trovare l'individuo che aveva avuto quell'idea del cazzo! Gli avrebbe fatto patire le pene dell'inferno e poi l'avrebbe portato da suo padre, che avrebbe cancellato il ricordo suo e di tutta la sua stirpe dalla storia dell'umanità. Ma prima di lasciarsi andare a piacevoli pensieri di vendetta, Michela doveva trovare un modo per uscire da lì e quel ragazzo della famiglia Archi poteva diventare la sua chiave per la libertà.
La ragazza sbuffò e si concesse qualche attimo per ritrovare la consueta lucidità mentale, quella calma analitica che aveva ereditato dal padre e che le aveva permesso di uscire indenne e vittoriosa da molte situazioni scomode. Se voleva andarsene, avrebbe dovuto collaborare con quel ragazzo e quello significava calpestare un gran numero di divieti che ogni mago dello Statuto era costretto a rispettare. Il primo fra tutti: mai mostrare agli altri i propri segreti.
«Girati,» disse Michela, piantando gli occhi su quelli scuri di Leonardo.
«Perché?» chiese lui di rimando. Il suo nervosismo era evidente dal tono della voce e dal modo in cui la guardava.
Senza rispondere, rapida, cinse con entrambe le mani la nuca di Leonardo e lo costrinse a voltare la testa; a occhio non le sembrava molto lucido e Michela temeva che la colpa fosse di quel forte colpo che aveva ricevuto sulla testa.
«Questa è una situazione strana e scomoda,» esordì lei, alzando la mano destra e appoggiando il palmo sulla nuca, sfiorando la zona contusa. «Dobbiamo collaborare se vogliamo uscire da qui.»
Socchiuse per un attimo gli occhi e inspirò, focalizzando l'attenzione sulla mano destra. L'aveva fatto un numero infinito di volte, ma, per la prima volta, stava usando la magia su qualcuno di esterno alla sua famiglia e il solo pensiero le causò un sottile nervosismo. Esitò per un istante, mentre il volto severo e autoritario che tanto temeva faceva capolino nei suoi pensieri.
«Mio padre mi ucciderebbe se mi vedesse ora,» sussurrò, con un tremito nella voce.
Beh, Giovanni Guelfi avrebbe capito, visto la situazione. E, comunque, aveva già fin troppe altre cose da rimproverarle, una di più non avrebbe fatto alcuna differenza.
Allontanò i dubbi e si congiunse alla Trama Magica, concentrando quell'energia tanto familiare sulla mano: sentì le dita ribollire di forza arcana. Con un lieve sorriso causato dall'euforia che la magia le causava, inviò onde di potere oltre le dita, scagliandole contro la testa di Leonardo. La sensazione di calore che sentiva lungo tutto il braccio si stava diffondendo anche nel corpo del ragazzo, Michela ne era sicura: aveva sperimentato tantissime volte su sé stessa la capacità curativa della famiglia Guelfi e l'emozione era, tutte le volte, indimenticabile. Era come se tutto il dolore e le preoccupazioni della vita svanissero in un istante, come tornare bambini e non dover pensare più a nulla di spiacevole: era come nascere una seconda volta. Vide il ragazzo sotto la sua mano chinare appena il capo e rilassare le spalle mentre la magia gli scioglieva la tensione accumulata in tutti i muscoli del corpo.
Durò qualche secondo, poi Michela prese aria e interruppe la connessione con la Trama. Tolse la mano dal capo del ragazzo e iniziò ad aprire e chiudere le dita nel tentativo di scacciare in fretta la sensazione di formicolio che permaneva sempre per qualche minuto.
«Grazie,» disse Leonardo, toccandosi la testa. «È... pazzesco quello che sapete fare.»
Michela annuì. Era grazie alla loro scuola arcana che i Guelfi erano diventati la famiglia più rispettata dello Statuto. Da generazioni, i maghi della sua discendenza erano custodi dei segreti della magia di guarigione e di difesa, da molti considerata la branca più passiva e innocua. Nel corso dei secoli, i Guelfi avevano studiato e approfondito quell'arte, unendovi anche lo studio della medicina, della chimica e della biologia. Qualsiasi Guelfi, fin da giovane età, era capace di guarire una ferita, curare una malattia, proteggersi da altri incantesimi o da qualsiasi altra minaccia esterna. Il metodo era uguale per tutti i maghi: ciascuno di loro poteva percepire la Trama Magica avvolgere la realtà, il passo successivo era manipolarla in modo da alterare le normali leggi del mondo. Quella era la base della magia che Michela, così come anche Leonardo, applicava. La differenza tra i due era una: la famiglia Guelfi manipolava la Trama a scopo terapeutico e difensivo; gli Archi, invece, lo facevano per portare distruzione e morte. Le sei casate avevano il monopolio di una diversa applicazione del potere magico, definite scuole arcane dalle leggi dello Statuto. A nessun mago era concesso conoscere i segreti della scuola di una qualsiasi altra famiglia: erano le ferree regole che erano state varate dai loro antenati secoli addietro, quando era stato creato lo Statuto Magico Italiano.
Alla base di quella scelta c'era un semplice principio: qualunque essere vivente capace di controllare la magia in tutte le sue forme sarebbe stato troppo potente: un essere del genere avrebbe rotto il già precario equilibrio che teneva in piedi le famiglie dopo l'ultimo conflitto. La magia venne catalogata in diverse scuole arcane e i testi che contenevano le antiche nozioni vennero spartiti in modo equo tra le stirpi che avevano aderito allo Statuto: le sei scuole sarebbero in questo modo state divise tra i diversi casati e non sarebbe mai più esistito un mago che potesse vantarsi di conoscere la magia nella sua interezza e che potesse definirsi superiore a tutti gli altri. Quelle leggi stavano effettivamente funzionando: era dalla fine del sedicesimo secolo che non c'era una guerra tra maghi.
«C'è una porta!» fu l'improvvisa esternazione di Leonardo. Aveva alzato il braccio per indicare una delle pareti della stanza sulla quale si apriva un ingresso composto di un nudo metallo grigiastro.
Michela aveva osservato la porta prima che il ragazzo si svegliasse: era chiusa a chiave e molto solida, impossibile da sfondare con mezzi normali o senza ricorrere ad attrezzature professionali. Aveva avuto una buona ora di tempo per rimuginare su quella situazione; per fortuna il suo rapitore non le aveva tolto l'orologio dal polso ed era stata almeno in grado di seguire lo scorrere del tempo: quando si era svegliata il quadrante segnava le 19:07 del 17 gennaio 2020.
Prima che Leonardo tornasse in sé, Michela aveva fatto un rapido giro della stanza ed era incappata nella prima sorpresa della serata: a dispetto di quanto notato a prima vista, erano tre gli occupanti di quella cella. In un angolo della camera, così buio che aveva faticato a notarlo, stava rannicchiata una terza persona; alla ragazza era gelato il sangue nelle vene quando lo aveva visto: sembrava uno di quei monaci buddisti mummificati, era seduto con la schiena contro il muro e teneva le gambe alzate contro il petto, con le braccia cingeva le ginocchia e il volto era nascosto dietro di esse. Michela aveva provato a parlarci, ma non aveva ottenuto alcuna risposta: il misterioso figuro respirava e la ragazza riusciva a percepirne le energie vitali grazie alla magia, ma non dava alcun segno di reagire alle sue parole. Dopo qualche minuto di tentativi, la Guelfi si era scocciata ed era tornata a rivolgere l'attenzione al resto dello spoglio ambiente.
«Sì,» rispose al ragazzo, tentando di mantenere un tono neutro. «C'è una porta. L'hai notata solo ora?»
Leonardo le lanciò uno sguardo contrito; tutto nei suoi atteggiamenti sembrava emanare paura e incertezza, possibile che quello fosse davvero un Archi?
«Ho perso i miei occhiali,» rispose il mago, come un bambino che confessa alla mamma di aver rubato il cioccolato.
Michela si sentì molto stupida.
«Oh, scusami!» disse lei. Lo aveva trattato davvero a merda in faccia fino a quel momento, ignorando ogni scintilla di empatia e comprensione che avrebbe dovuto provare. Anche Leonardo si doveva sentire spaesato e spaventato, non aveva alcun diritto di giudicarlo male solo perché lei aveva avuto più tempo per metabolizzare la situazione.
«Ci penso io!» aggiunse, sperando di poter fare ammenda, in qualche modo, per il suo comportamento.
Si fece avanti senza dare possibilità al suo compagno di replicare e, tenendolo fermo per la spalla, andò a coprirgli gli occhi con la mano destra. Era così vicina che poteva sentirne il respiro accelerato, quasi affannoso, come di una preda già caduta nelle grinfie del maestoso carnivoro.
«Non sono mio padre, non sarà permanente,» spiegò lei, mentre, una seconda volta, canalizzava il potere nella mano e lo lasciava espandere sugli occhi del ragazzo. La magia avrebbe agito sulle retine compromesse, guarendo per qualche ora i suoi difetti visivi.
Suo padre, con un pizzico di superbia, diceva che l'unica cosa che non fosse capace di curare era la morte. Era triste che un dono del genere dovesse rimanere nascosto al resto della società: la magia avrebbe potuto cancellare malattie e sofferenza e creare un mondo migliore; purtroppo le persone normali non avrebbero mai compreso, i governi avrebbero visto quella capacità solo come un'arma e avrebbero dato inizio a una caccia ai maghi per sfruttarne i poteri a scopo politico, economico e bellico. C'erano delle famiglie, i Graziani e i Guarneri, che da anni spingevano perché le comunità magiche nel mondo si rivelassero e pretendessero un ruolo di predominio nella società; per fortuna gli oppositori erano in numero maggiore, e Giovanni Guelfi era tra di loro.
Per la seconda volta nel giro di pochi minuti, la magia le abbandonò la mano, lasciandosi dietro soltanto quel fastidioso formicolio. Michela si era lasciata andare all'estasi della magia e si era appoggiata con il busto alle scapole del ragazzo, mentre la connessione magica fluiva attraverso i loro due corpi. I loro respiri sembravano seguire lo stesso ritmo, come se lo scambio di energie avesse sincronizzato cuore e polmoni. Passò un attimo di troppo prima che la ragazza si rendesse conto dell'eccessiva vicinanza e si scostasse immediatamente, rimettendosi in piedi di fretta.
Scacciò la vocina nella testa che le chiedeva di tornare a cingere quel piacevole calore corporeo e si voltò per nascondere a Leonardo il volto arrossato da scolaretta del cazzo in delirio ormonale.
«Non mi ringraziare,» disse Michela categorica, anticipando le parole di lui. «Mi servi per uscire da qui.»
Vide con la coda dell'occhio Leonardo voltarsi e lanciarle un sorriso. Si alzò in piedi e le si avvicinò con passo fermo; sembrava stare molto meglio rispetto a prima e non si sarebbe stupita di vederlo lanciare fuoco e fulmini dalle mani nel giro di pochi attimi, come una giovane imitazione del malvagio Palpatine.
«Ma, prima, dobbiamo sistemare una cosa,» disse la Guelfi, voltandosi verso l'angolo buio dove la mummia era rimasta silenziosa per tutto il tempo.
Ovviamente il suo nuovo amico Archi non si era ancora accorto del terzo occupante della stanza: lo sentì trattenere il respiro, anche lui impietrito da quella macabra vista.
«Chi è?» sussurrò lui.
«Non lo so, era qui quando mi sono svegliata,» rispose Michela, facendo un paio di passi per avvicinarsi all'uomo misterioso.
Piegò la schiena per abbassarsi su di lui e gli picchiettò sul braccio per tentare di attirare la sua attenzione, ma la mummia continuò a rimanere imbalsamata.
«Ehi, noi stiamo per uscire!» gli gridò a pochi centimetri. «Se vuoi venire con noi, questa è la tua ultima possibilità!»
Seguì solo il rimbombo di quelle parole nella stanza vuota.
«Forse non parla Italiano,» ipotizzò Leonardo, facendo un timido passo in avanti.
Michela raddrizzò il busto, sempre guardando con occhi ostili la gracile sagoma rannicchiata a terra.
«Beh, non m'interessa,» sbottò, voltandosi. «Andiamocene da qui. Se dopo vorrà uscire sarà una sua decisione.»
L'Archi annuì e si girò a guardare la solida porta metallica. Era giunto il momento di scendere in pista!
«Ok,» disse lui con un filo di voce, mentre si cingeva il busto e iniziava a sfregarsi le braccia per scacciare la sensazione di freddo.
Michela era molto curiosa di vedere che cosa un Archi fosse capace di fare. Aveva sentito a lungo parlare della loro magia di evocazione: sua madre le aveva raccontato che erano in grado di richiamare forze elementali per portare distruzione e seminare morte; il defunto Giorgio Archi poteva addirittura evocare creature da altri piani di esistenza e farle combattere per lui. Erano tutte storie che aveva sentito ma mai sperimentato di persona, per ovvie ragioni; nella sfiga di essere stata rapita e imprigionata, la maga riuscì a trovare un punto positivo: avrebbe potuto raccontare di aver assistito all'inferno che un Archi può generare grazie alla magia! Un brivido d'eccitazione le corse lungo la schiena e il viso avvampò, questa volta non di imbarazzo ma di genuina aspettazione.
«Ok,» ripeté Leonardo, tornando a voltarsi verso di lei e smorzando il suo entusiasmo con un sorrisino ebete. «Come pensi di uscire?»
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