9
IRIS
Hunter si posiziona davanti a me come se volesse farmi da scudo. Come se non bastasse quello che ha già fatto, mi dico, osservando i suoi muscoli tesi in evidenza mentre apre la porta con una certa forza. Così tanta che per un nano secondo temo possa strapparla dai cardini.
Non avanza, non si muove. Se ne sta davanti a me a farmi da muro contro chiunque si trovi dall'altro lato. Ma, non ho dubbi su chi possa esserci.
Sbircio oltre la sua spalla e ogni mio dubbio si dissolve. Davanti a noi c'è Nolan.
Il viso... pieno di lividi, l'occhio così gonfio da non riuscire ad aprirlo e macchie di sangue asciutto sui vestiti.
Come se si fosse appena reso conto di Hunter, solleva l'occhio aperto su di lui e lo apre maggiormente.
«E tu che diavolo ci fai qui?», chiede trattenendosi a stento. Fuma di rabbia in modo evidente e, il mio stomaco si contorce.
Sguscio davanti ad Hunter, sul punto di colpirlo o spingerlo fuori dal cancello di casa mia. In un certo senso non voglio fare delle scenate, anche se penso che questo sia inevitabile.
Incrocio le braccia al petto e guardo male Nolan, pur sentendo la preoccupazione farsi strada dentro, nel vederlo ridotto in quello stato a causa mia.
I suoi occhi scuri ancora una volta si aprono quando osservandoci meglio si rende conto che siamo entrambi in asciugamano.
«Non hai aspettato, a quanto vedo», esclama.
«Non è come pensi», passo sulla difensiva.
In un certo senso mi sento ferita da questo suo pensiero. Davvero crede che io sia una di quelle che si lascia subito tutto alle spalle?
Dio, a volte vorrei proprio essere come Ellen, fregarmene e avere la vita che merito. Senza preoccupazioni, senza impedimenti, senza problemi come un ragazzo geloso dietro la porta mentre un altro è pronto a proteggermi da lui.
Vorrei schioccare le dita e cambiare tutto. Poi però riflettendo su questo, mi rendo conto di non essere così. Io non sono come Ellen. Non lo sarò mai. Sarò sempre la patetica amica di una ragazza scomparsa, quella che si trova sul gradino inferiore della scala sociale. Sarò sempre quella timida, insicura e diffidente. Mai la prima, mai la migliore.
«Allora com'è? Com'è se non come sto vedendo? Non hai neanche avuto la decenza di lasciarmi. Sei proprio una stronza!»
«Che cosa le hai detto?»
«Nolan, dovresti andartene da qui», rispondo, mantenendo la calma, quando Hunter si intromette, più che rigido e sul punto di dargli il resto.
È evidente dalle sue spalle tese e dal suo sguardo così freddo da farmi spavento, la sua intenzione di fare fuori Nolan.
«Quello che dovrebbe andarsene sei proprio tu se non vuoi che ti faccia a pezzi. Non ho paura di toccare un Ford.»
Hunter stringe il pugno in vita. «Lo so. So che non hai neanche paura a toccare una donna, lurido bastardo! E comunque, Iris mi ha voluto qui. C'ero io al posto tuo questa notte. Forse dovresti chiederle scusa in ginocchio e lasciarla in pace dopo quello che le hai fatto! Forse dovresti solo vergognarti e sparire dalla sua vista!»
Nolan lo guarda fisso. Non sembra ascoltare. «È così oppure stai solo cercando di manipolarla come fai sempre con la gente? Ma Iris è intelligente, più di molte altre di cui sei solito circondarti, dubito che riuscirai a farla cedere tanto facilmente. È evidente il fatto che tu le abbia messo addosso gli occhi sin dal primo istante. Adesso se non ti dispiace, sparisci dalla mia vista e non farti più vedere. Lei non è tua.»
Mordo l'interno guancia. «Questo non significa niente. Che cosa vuoi?»
«Sei la mia ragazza, sono venuto nell'unico posto dove sapevo che saresti stata. Non pensavo di trovarti insieme ad una persona di un certo tipo, proprio come quelle che detesti e da cui ti tieni a debita distanza da anni.»
Hunter soffia aria calda dal naso come un toro pronto a colpire. Esce fuori e lo spinge con rabbia facendolo barcollare. «È quello che vuoi farle credere ma lei sa esattamente quello che vuole. Vattene!»
«Altrimenti che fai? Mi fai pestare di nuovo a sangue dai tuoi amici? Farai rischiare ad altri per non sporcarti le mani? Sei solo un cane che abbia e non morde, Hunter.»
Hunter, offeso e fuori di sé, lo solleva per la camicia imbrattata di sangue. «Stammi bene a sentire lurido parassita. Non riguarda me questa storia. Adesso te ne vai e lasci in pace Iris o ti farò allontanare con la forza. E sai che ottengo sempre quello che voglio. Quindi se non vuoi diventare pasto per i pesci, ti consiglio di allontanarti, adesso.»
«Mi stai minacciando ancora dopo quello che mi hai fatto?», ride, Nolan. «Sei fuori strada. Io sono qui dalla mia ragazza mentre tu sei solo un estraneo che pensa di potermi fregare ciò che è mio. Sei sempre stato invidioso, pieno di odio e mai originale. Questa volta però sai di non potere avere quello che vuoi, cioè lei.»
Mi sento un oggetto. Decido di intervenire.
«Nolan, vattene!»
Lui mi guarda come se lo avessi appena colpito. «Che cosa?», urla colto alla sprovvista.
«Non ti voglio qui a casa mia, vattene!»
Spinge Hunter. «Che cazzo le hai detto, eh?»
Perché proprio questa domanda? Perché ha esitato?
Hunter mette le mani bene in vista. «Io? La verità. Le ho detto che sei un bastardo, un parassita, una sanguisuga che si approfitta degli altri per salire su un gradino alto, che non gli spetta. Iris sa già come sei e dopo quello che le hai fatto ancora di più. E se ti dice di andare, lo fai e non discuti. Rispetta il suo volere e sparisci.»
Quando lo spinge, Nolan gli molla un pugno ben caricato.
Urlo spaventata correndo a dividerli. Mi infilo nel mezzo sentendo i loro respiri frenetici e caldi arrivarmi come colpi di vento impetuoso.
«Che diavolo ti prende?», urlo a Nolan. Mi volto verso Hunter. «Stai bene?»
«Mai stato meglio. Allontanati Iris, adesso ci penso io a sporcarmi le mani. Spremerò per bene questa sanguisuga!»
Hunter, per fortuna non è stato scalfito ma è arrabbiato come una bestia. I suoi occhi sono così freddi da scagliarmi lungo la spina dorsale una fitta in grado di farmi sentire freddo.
Spingo Nolan. Puzza di alcol e sangue. Mi disgusta vederlo in questo stato e mi preoccupa, ma sono arrabbiata, così tanto da continuare a picchiare i pugni contro il suo petto per allontanarlo da Hunter, soprattutto da me.
La guancia prende fuoco ed è come se mi avesse dato un altro schiaffo ben assestato. Averlo davanti mi ferisce. Non doveva venire qui a casa mia. Avrebbe dovuto lasciarmi lo spazio e il tempo di riflettere, di calmarmi, forse di riuscire anche a perdonarlo. Anche se un gesto simile, non puoi accettarlo.
«Sei uno stronzo! Non sai che non ti perdonerò mai per quello che mi hai fatto. Io ti odio!»
Le parole mi escono stridule e cariche di rabbia e di risentimento dalla bocca. Le ho tenute dentro per tutta la notte mentre mi lasciavo cullare dalle braccia di uno sconosciuto che mi ha fatto sentire viva, forte, capace di prendere da sola ogni decisione.
Nolan mi afferra entrambi i polsi. Lo strattono per allontanarmi dalla sua presa. «E non toccarmi. Non farlo mai più», la voce mi si affievolisce mentre lo guardo dritto negli occhi vedendolo appannato. «Tu non hai la minima idea di come mi sento. Non hai idea di quello che provo.»
«Iris, davvero vuoi credere ad uno come lui e non a me? Stiamo insieme da quattro anni e ci conosciamo da quanto? Vuoi rovinare tutto per uno schiaffo?»
Spalanco gli occhi, mi sento derisa, umiliata, schiaffeggiata un'altra volta e pugnalata al petto. Fermo subito Hunter, pronto ad attaccarlo.
«Entra e rivestiti», gli ordino. «Qui me la vedo io.»
Prova a dissentire ma indurisco i lineamenti e lui indietreggia tenendomi d'occhio, prima di entrare dopo avere minacciato Nolan. «Mettile le mani addosso un'altra volta e ti faccio fuori.»
Nolan prova ad avvicinarsi a lui ma lo fermo guardandolo con disgusto.
«Non entrerai a casa mia.»
«Davvero, Iris? Mi stai tagliando fuori?»
«Tu non mi hai solo dato uno schiaffo, Nolan. Tu mi hai strappato il cuore a metà e lo hai buttato via come se fosse carta straccia. Adesso smettila di fare il patetico o la scena del ragazzo geloso e vattene! Ho di meglio da fare che ascoltarti o guardarti.»
Gli do le spalle pronta ad entrare. Mi afferra per un polso avvicinandomi a sé. «Iris, mi stai lasciando?»
Il suo tono è aggressivo. Conosco perfettamente la cadenza e l'ombra di una minaccia silenziosa.
«No, ti sto dicendo di andartene e di meditare sulle tue azioni, soprattutto sulle ultime.»
Lascia la presa come se si fosse scottato. «Credi che non sappia di avere sbagliato? Ero furioso con te e non avrei mai dovuto colpirti. È stato più forte di me...»
Distolgo lo sguardo. Le lacrime affiorano e bruciano ma non le lascio cadere. Piuttosto le ricaccio dentro, che mi anneghino pure, lentamente.
«Scusa ma non ci riesco. Mi fai schifo in questo momento. Non capisci nemmeno il danno che mi hai provocato e ti giustifichi. Nolan, tu non hai una giustificazione. Non esiste giustificazione al fatto che ti sei comportato da animale e da mostro», la voce mi trema e disgustata e poi ancora delusa, corro in casa. «Non tornare perché non ti voglio qui. Lasciami... per un po' da sola. Ho bisogno di spazio.»
Chiudo a chiave la porta, mi appoggio contro la superficie alzando gli occhi sul tetto e quando sento un boato alle mie spalle singhiozzo tappandomi la bocca.
Nolan picchia forte i pugni contro la porta. «Iris, non puoi farmi questo. Lo sai. Sai che stai sbagliando. Io ci sono stato quando tutti ti hanno puntato il dito contro. Ci sono stato quando non eri in grado di proteggerti da sola. Ci sono sempre stato per te. Ci sono anche adesso e ti chiedo di non affidarti troppo a lui, perché i Ford pensano solo a se stessi. Lo vedrai quando ti piegherà al suo volere e non potrai dirgli di no. Allontanati da loro finché sei in tempo.»
Segue un lungo silenzio e quando alzo gli occhi dal pavimento, Hunter è davanti a me. Non si è ancora cambiato. Mi stava aspettando, mi stava tenendo d'occhio dietro la porta, pronto a proteggermi.
Si avvicina e tirandomi a sé mi abbraccia.
Per la seconda volta mi ritrovo ad annaspare per non crollare e ad aggrapparmi a lui come se fosse l'ultima scialuppa di salvataggio in mezzo all'oceano nel bel mezzo di una brutta tempesta.
Mi concedo solo due minuti poi staccandomi, ricomponendomi, salgo al piano di sopra senza ringraziarlo, senza dirgli niente di tutto ciò che penso e che, mi terrà sveglia nei prossimi giorni.
Apro l'armadio e scelgo l'outfit per la riunione. Adesso la mia priorità sarà dedicarmi al lavoro. Non posso e non devo avere altre distrazioni, mi dico chiudendomi in bagno.
Mi vesto indossando un tubino accollato nero e accorgendomi del livido sul viso e poi ancora del succhiotto sul collo, mi trucco abbondando con il fondotinta e il correttore coprendo tutto per non destare sospetti.
Sto perdendo la testa. In pochi giorni tutto si sta trasformando in un incubo.
Aggiusto i capelli, metto in ordine il bagno, aziono la lavatrice e quando esco mi occupo del letto per tenermi impegnata.
Hunter, si ferma sulla soglia con un borsone caricato sulla spalla. Qualcuno deve averglielo portato mentre dormivo.
Indossa un paio di pantaloni eleganti e una camicia bianca. Niente cravatta o giacca e, ha persino arrotolato le maniche sugli avambracci e dato poi ai suoi capelli un'aria sbarazzina. Si veste così per una riunione?
«Pensavo venissi con un vestitino a fiori e un enorme cappello con le piume, tanto per fare incazzare i miei genitori.»
«Non ho ancora quel grado di confidenza con i tuoi. Quando si tratta di lavoro non mi piace scherzare. Inoltre, oggi ho avuto tutto il tempo per prepararmi», replico sistemando per bene i cuscini sul letto prima di cercare dentro l'armadio dei tacchi comodi da indossare.
«Quindi non hai avuto tempo per il funerale? Non era una provocazione? Che delusione!»
Lo guardo. «In realtà volevo provocare mia madre. Mi ha avvisata solo quindici minuti prima.»
Si ferma davanti alla finestra ammirando l'ambiente esterno. «Non hai lasciato Nolan, perché?»
Mi siedo sulla cassapanca. «Non è semplice.»
Si volta. «Invece lo è. Dovevi dirgli che è finita, ma non lo hai fatto. Perché?»
Sospiro. «Perché per me c'è stato. Perché in qualche modo io... ci tengo a lui.»
«Come? Come puoi continuare ad amare uno che ti ha fatto un simile torto?»
«Non lo so. Non è facile staccare la spina dopo anni», agito le mani.
Hunter sbuffa dalle narici. «È facile, basta dire due parole: "è finita". In cuor tuo sai che è così. Lo sai ma non riesci ad accettarlo, mi chiedo come mai.»
Scuoto la testa. «Non lo so, ok?»
Alza le spalle. «Fa come ti pare», replica rigido.
Mi sorprende il suo tono distaccato. Mi alzo e lo raggiungo. «Stai tornando lo stronzo che ho conosciuto allo stand?»
«Forse.»
«Perché?»
«Vuoi davvero sentirtelo dire?»
«Si.»
«Perché non mi piace essere il secondo. Perché il secondo è solo il primo dei perdenti. Il tuo ragazzo aveva ragione su questo.»
Lo guardo stupita allontanarsi da me e dirigersi verso le scale.
«Ma io non sono un premio da vincere, Hunter. Ho una vita e dei sentimenti. Non puoi davvero pensare che sia facile allontanarsi da una persona. Non è di certo come premere un interruttore.»
«Aspetterò che ti decida a prendere una posizione e a non cambiare idea», dice, e senza aggiungere altro scende al piano di sotto.
Recupero il telefono e la borsetta. Scendo in fretta le scale sentendomi nervosa.
Lo trovo mentre scambia qualche messaggio con qualcuno con aria seria. Senza alzare gli occhi dallo schermo domanda: «Vuoi un passaggio o vuoi mantenere le distanze e fare finta di non avere provato niente per me?»
Riempio due tazze isotermiche passandogliene una. «Accetto il tuo passaggio. Ho l'auto rotta e ancora da aggiustare.»
Afferra il bicchiere e a passo spedito esce fuori dove, seguendolo, ritrovo a pochi passi dal cancello, la sua auto.
Mi apre la portiera. «Non possiamo essere in ritardo oggi.»
Allaccio la cintura mettendomi comoda dentro il suo spazioso suv dai vetri oscurati. C'è odore di vaniglia ma è così tenue da non pizzicare le narici. Ed è tutto pulito, persino gli specchietti interni sono brillanti.
«Perché? Pensavo fossi un ribelle e volessi scappare altrove, arrivando in ritardo», lo stuzzico.
Posa la tazza con il caffè sull'apposito spazio sotto lo stereo dell'auto. Faccio lo stesso dopo averne bevuto un sorso per inumidire la bocca che, sento asciutta.
È strano il suo comportamento. Prima mi salta addosso poi mi tiene a debita distanza. Così, mi confonde e non poco.
E so di avere sbagliato questa notte. So di essermi esposta. So di non avere una giustificazione sul comportamento che ho avuto con Nolan. Dovevo essere più determinata e spietata con lui, non solo per capire che cosa sente davvero ma anche per capire quello che voglio io. Ora come ora non lo so più. È bastato uno schiaffo a farmi aprire gli occhi dopo quattro anni e, passare la notte nel mio letto con uno sconosciuto per farmi capire quante cose mi sto perdendo nell'assecondare una persona che ama solo ricevere.
Ripenso al volantino che ho trovato e mi irrigidisco. Dopo la scomparsa di Ellen, ho messo via una parte di me per andare avanti. Ho rotto quel ghiaccio per non morire sott'acqua e sono riemersa cercando di non assiderare. Mi sono lasciata abbracciare da un ragazzo che nella nebbia, si è accorto di me e forse, adesso riflettendoci, si è un po' approfittato della mia bontà, della mia ingenuità e fragilità, dovuta ad una mancanza. È stato bravo a trascinarmi dietro ogni suo programma improvviso. Ci siamo ritrovati spesso in situazioni con una sola via d'uscita, mai con una porta d'emergenza e tutto per il suo successo.
Troppe volte ho chiesto scusa per gli errori commessi da altri. Con il tempo penso di avere costruito una forte armatura per non lasciarmi ferire nei punti più fragili della mia anima. Ho sempre cercato di esserci, di non lasciarmi scalfire, di non sbagliare con chi non ha mai avuto un briciolo di affetto nei miei confronti. Nessuno ha notato quanto stavo sanguinando nei momenti più bui. Nessuno si è accorto del mio dolore. Tutti si sono soffermati sempre e solo sui miei errori, piccole sbavature di un animo in tempesta. E, anche se mi sono protetta, continuo a sentire forte nel petto ogni graffio, ogni ferita. Adesso che noto tutto questo, non mi pento di avere fatto del bene, mi pento di avere donato un pezzo del mio cuore, del mio amore, a chi non ha saputo ascoltare i miei silenzi, il mio grido di aiuto. Mi pento di non essere stata forte abbastanza da girarmi e da non guardarmi più alle spalle.
«Iris?»
Le orecchie mi fischiano e non appena sento la voce roca di Hunter, vengo strappata via dai pensieri. Le guance diventano calde e le sfioro bruciandole con le dita sempre fredde.
«Cosa?»
«Mi hai fatto una domanda ma non stavi ascoltando la risposta.»
«Si, scusa. Dicevi?»
Cambia marcia, l'espressione impassibile, gli occhi nascosti dalle lenti scure puntati sulla strada che inizia a snodarsi in stradine secondarie che non ho mai visto o avuto la curiosità di visitare.
«A cosa stavi pensando?»
Fisso le dita poi alzo lo sguardo dando un'occhiata alla zona erbosa in cui stiamo arrivando.
«Mi sento confusa. Per rispondere alla tua domanda, no, non a causa tua. Cioè, anche, ma solo un po'. Però è tutta questa faccenda con Nolan che non riesco proprio a risolvere.»
Gli parlo come se avessi davanti a me un amico di vecchia data. Perché in qualche modo, riesco a sentirmi a mio agio qui con lui. Tra di noi, attualmente, non c'è malizia, non c'è tormento, non c'è niente a parte una straordinaria calma che mi riempie i polmoni e una certa complicità che mi fa provare un calore accogliente.
«Lo ami?»
«Pensavo di amarlo.»
Sulla fronte gli si forma un solco. «Che cosa è cambiato?»
«Mi è bastato parlare con Crystal per iniziare ad avere dei dubbi. Pensavo fosse l'uomo della mia vita. E non per tutte quelle stronzate da ragazzine romantiche. Evidentemente mi sono sbagliata sin dall'inizio, quando gli ho permesso di coinvolgermi e forse di approfittarsi di me mentre ero debole. E... Dio, mi sento una persona orribile.»
Hunter rallenta cambiando marcia prima di svoltare lungo un sentiero non asfaltato costellato da prati e alberi alti che, di tanto in tanto, vanno a coprire il cielo azzurro.
«Crystal, la cameriera del locale?»
Annuisco. «Quel giorno allo stand sono andata a sedermi al mio tavolo preferito in quel locale e lei mi ha posto delle domande che mi hanno fatto riflettere. In quattro anni non avevo mai vacillato così tanto. Mi sono lasciata condizionare da quello che stavo vivendo e adesso sento di essermi impantanata. Mi chiedo solo... perché non prima ma proprio adesso?»
Scuoto la testa abbassando il finestrino, facendo entrare un po' d'aria dentro l'abitacolo.
«Che cosa ti ha fatto vacillare?»
«Il fatto di essermi resa conto della sua assenza e di non avere provato mancanza. Il fatto che quando si è presentato a casa con un mazzo di fiori e mi è saltato addosso io... non sono riuscita a provare quella scintilla, quell'emozione che credevo di provare i primi tempi. So che un rapporto con il passare degli anni cambia e non è sempre come la prima volta, ma qualcosa si è perso o forse, non c'è mai stato niente. Tutto questo è imbarazzante, mi dispiace.»
Si ferma un momento. Esce dall'auto e, venendo ad aprire la portiera, mi sgancia la cintura porgendomi la mano, attendendo paziente che lo segua.
Poso la mano sulla sua più che insicura lasciando che me la stringa e, uscendo dall'auto mi lascio condurre giù, lungo una piccola collina piena di erba e papaveri rossi, di un colore così acceso da rimanere a bocca aperta.
Qui, in questo paradiso terrestre che profuma tanto di fiori, si siede su una pietra ed io faccio lo stesso cercando di non cadere o sembrare un dinosauro a casa dei tacchi.
Mi indica la spiaggia in lontananza, i tetti delle case dietro la fila di alberi. Osservo e tengo a mente ogni dettaglio sentendomi una bambina in gita scolastica. Ho davanti un pezzo della mia città, quella che non ho mai visto da questa prospettiva.
«Non è imbarazzante. Ti ho fatto io una domanda e tu hai solo risposto in modo sincero. Quando ti ho chiesto se lo ami, hai esitato. Questa è una risposta, Iris. Non puoi continuare a stare con lui se non sei certa di provare qualcosa di forte e profondo. L'amore non è un gioco. Non lo sono neanche le persone. E non puoi amare a comando. Puoi volere bene chiunque ma l'amore è un'altra cosa...»
«Disse colui che si scopa chiunque per divertimento e per non avere legami. A proposito, come mai non hai una fidanzata storica? Spunterà all'improvviso oggi? Voi Ford non avere una tradizione di famiglia su queste cose?»
Massaggia la barba guardando davanti a sé. «In realtà sono in astinenza da giorni e credimi: è davvero troppo tempo per uno come me. Mi sento sotto pressione. E per rispondere alla tua domanda no, non ho una fidanzata storica, direi anche che questa sia una fortuna. Nessuna tradizione di famiglia a parte qualche agguato da parte dei miei nonni alle feste. Un po' come quello del bastardo che è morto. Lui sì che organizzava matrimoni all'insaputa delle persone o dei nipoti. Forse per questo non ho ancora voluto sapere cosa c'è nel suo testamento. Non ho paura ma conoscendolo so già che avrà riservato un po' di cattiveria da scagliare sul piccolo di casa, ovvero: su di me.»
Mi piace ascoltarlo quando è serio nonostante le pessime battute che di tanto in tanto si lascia sfuggire. Non è una zucca vuota come vuole fare credere. Penso nasconda una parte di sé che non mostrerà mai a nessuno.
«E che cosa ti ha impedito di portarti a letto qualcuno in questi giorni?»
Solleva gli occhiali sulla testa per guardarmi. «Ho avuto altri istinti da tenere a bada», ammette, grattandosi la guancia.
Estrae dalla tasca posteriore un pacchetto di sigarette accendendone una.
Osservo come aspira una boccata di fumo per poi tenerlo dentro prima di rilasciarlo sollevando la testa.
«Tipo?»
Alzandomi cammino per un po' verso il basso prima di voltarmi. Lui mi osserva tenendo la sigaretta all'angolo del labbro, l'occhio strizzato a causa del fumo e l'altro spietatamente puntato su di me. Sento un brivido e un formicolio continuo che raggiunge ogni parte del mio corpo.
«Tipo la voglia di toglierti quel vestito proprio adesso o di morderti quando e come voglio, senza motivo, per provocarti ancora quella risata.»
Mi avvicino a lui abbassandomi con le mani sulle ginocchia. Piego la testa di lato. I suoi occhi tentano di posarsi sul mio seno coperto da uno strato di pizzo ma posando due dita sotto il suo mento, sollevo la sua testa. «Solitamente vai in giro a mordere le persone?»
Mi abbraccia stringendomi. Lascia uscire il fumo spegnendo la sigaretta e affonda il viso sul mio collo. Per poco non caschiamo giù, sull'erba. Urlo scoppiando a ridere e lui prova a mordermi, a lasciarmi un altro segno che, non andrà tanto facilmente via.
«Non le persone, te.»
Rido scappando dalla sua presa. «Sai parlare seriamente senza perderti?»
Si avvicina e indietreggio tenendo una risatina sciocca dentro.
«Perché parlare quando puoi passare ai fatti?»
Punto il dito a poca distanza dalla sua faccia. «I fatti solo se hai davanti una persona libera e consenziente.»
Riflette un momento. «Con te è più o meno la stessa cosa. Solo che non sei libera ma sarai consenziente», si protende in avanti, la sua voce diventa un sussurro. «Quello che ho sentito so che lo hai sentito anche tu, non puoi negarlo.»
Non sbaglia. Ha ragione, non solo ho sentito quello che ha sentito anche lui, ma il suo tocco è stato come una bruciatura letale nell'anima. Non ha solo appiccato un forte incendio dentro di me da cui sono stata costretta a sottrarmi, ma mi ha anche lasciato addosso la sensazione di calore e quella piacevole dell'attrazione che, non è ancora scemata del tutto.
Mi sfugge un sorriso e i suoi occhi si fanno attenti.
Quando vedo quello sguardo, mi rendo conto che è come se catturasse piccoli pezzi di me per unirli nel quadro che ha in testa. Mi sento desiderata. Mi sento reale e non uno stupito scarabocchio incomprensibile.
«Non puoi essere certo.»
Inarca un sopracciglio. «Ah no?»
«Non sappiamo ancora come andranno le cose alla riunione quindi come reagirò. A proposito, forse...»
Annuisce. «Si, sarà meglio andare.»
Provo a raggiungere l'auto e mi ritrovo contro il suo petto. Mi manca l'aria mentre la sua mano scivola lungo la mia spina dorsale per fermarsi sul fondoschiena, aperta e calda. Porto la mano sulla sua spalla e lui cattura l'altra iniziando a ballare.
«Preparati ad avere tutti i riflettori puntati addosso, Bestiolina.»
«È un avvertimento?»
«Conosco la mia famiglia e conoscendo un po' anche te so che farai una bella figura quando inizierai a dissentire su ogni cosa con quell'aria da so tutto io», sorride.
«Mentre io dissentirò su tutto, tu che cosa farai?»
Ghigna abbassandosi all'altezza del mio orecchio dopo avermi fatto fare una giravolta e avermi stretta forte a sé. «Ti immaginerò su quella scrivania o davanti il camino, sotto di me.»
Arrossisco e spingendolo lo guardo male. «Non avrei dovuto permetterti di dormire nel mio letto, tantomeno di vedermi nuda.»
Continua a sorridere. Questo mi agita dentro e mi elettrizza.
«Si, avresti dovuto chiudere a chiave la porta del bagno ma non avresti avuto un assaggio del mio corpo a stretto contatto con il tuo. Adesso non sapresti quello che ho da offrirti.»
Ancora una volta si abbassa sul mio orecchio. «Devi solo capire quando sei pronta a cogliere l'attimo, Iris», sussurra e superandomi entra in auto.
Stordita dalla sua voce, dal suo profumo e dai brividi, salgo anch'io in auto. Non ho il coraggio di guardarlo ma lui, con disinvoltura, caccia in bocca una gomma offrendomene una. La prendo sentendomi nervosa. Non so che cosa aspettarmi da questa riunione improvvisa di lavoro, soprattutto dopo l'avvertimento di Hunter.
«Non ho avuto voglia di trovarmi a letto con un'altra. Ho puntato gli occhi su una donna diversa. Mi sa di proibito ed è sensuale, molto, anche quando se ne sta zitta a fissare il vuoto», pronuncia dopo un paio di minuti.
«Ti piace rischiare?»
«Le palle? Si. Mi eccita contendermi un pezzo raro.»
Lo spingo e sorride. «A parte gli scherzi», torna serio. «Non omologarti mai a tutte quelle ragazze, Iris.»
Corrugo la fronte. «Credi che io possa diventare come una delle ragazze che ti porti sotto le lenzuola?»
Non saprei dire se la sua espressione sia per il disgusto o l'eccitazione al pensiero. Forse più la prima.
«Spero vivamente di no. Altrimenti dovrei cacciarti dalla mia stanza, bruscamente.»
«La tua stanza? Non correre troppo, Hunter. Ancora non siamo amici.»
Solleva l'angolo del labbro in un breve sorriso. «Questo lo dici tu.»
Raggiungiamo la villa e prima che Hunter possa scendere dall'auto, l'uomo che era allo stand insieme a lui, uscendo dal portone, ci raggiunge.
Apre le nostre portiere facendoci scendere. Mi saluta con un veloce baciamano. «Signorina Harrison, sono Nelson, piacere di conoscerla.»
«Mi chiami pure Iris, non sopporto queste etichette.»
Stringo il manico della borsetta e acquistando tutta la mia compostezza faccio il mio ingresso nella villa, seguendo i due che stanno parlando a bassa voce capendosi al volo. Sembrano proprio padre e figlio.
Superiamo il soggiorno ritrovandoci davanti una porta intarsiata con disegni intricati resi ingrigiti dal legno antico seppur mantenuto ancora lucido.
C'è odore di crostata alla marmellata e frutta fresca nell'aria insieme ad uno spray per ambienti alla camomilla. Alcune domestiche stanno spolverando in silenzio. Nessuna di loro osa alzare lo sguardo. Hanno tutte il loro posto, il loro compito.
«I suoi genitori sono arrivati poco fa e la stanno aspettando, signorina Harrison. Ci siamo scusati per il poco preavviso con loro e ci scusiamo anche con lei.»
«E i miei?»
Hunter non sembra poi così felice di essere tornato qui dentro. Si nota dalla sua faccia.
Le nostre dita si sfiorano e lui drizza le spalle, attenendo una risposta da Nelson che, ci sta osservando di nascosto.
«Volevo avvertirla ma...»
Hunter spalanca la porta senza neanche farlo concludere e rimane impalato per un momento.
Sbircio e rimango anch'io spiazzata. Chi è tutta questa gente? Che diavolo sta succedendo qui dentro? Non era solo una riunione informale per un affare? Sembra una commemorazione funebre.
Hunter guarda Nelson con rimprovero poi i suoi genitori e infine, girando sui tacchi, prova ad andarsene.
«Bella trovata. Mi dispiace ma non ci casco. Non ascolterò quello che aveva da dire quel porco!»
«Hunter!», strilla la signora Ford. Harriet Bayle, minuta e bellissima tenta di fermarlo. Indossa una tuta intera elegante grigio antracite con le maniche aperte ai lati e i polsini a stringerle la pelle chiara. Gira intorno alla scrivania in mogano con contorni in oro e pestando i tacchi alti sul parquet si appresta a raggiungere Hunter.
Notandomi a sbarrarle la strada, si ferma, e non appena i miei genitori pronunciano il mio nome, mi guarda con una certa curiosità mentre io, sentendomi sotto osservazione, scusandomi, corro dietro Hunter.
Poso la mano sul suo braccio e lui si volta. «Non provarci nemmeno!», ringhia.
«Se vuoi farti rincorrere da tua madre come un bambino capriccioso davanti a tutta la tua famiglia, fa pure. Ma, dovresti entrare lì e affrontare tutti a testa alta, anche tuo nonno dall'oltretomba!»
Detto ciò, mi incammino verso lo studio. Prima però mi volto e lui mi guarda. «Sei l'uomo che ho incontrato allo stand e che ho abbracciato o sei un codardo?», lasciandolo di stucco me ne vado.
Quando entro nello studio i miei sembrano rilassarsi. «Scusate, dovevo fare ragionare un bambino viziato. Sono sicura che a breve tornerà qui a fare i capricci e a degnarci della sua presenza», dico con arroganza, sistemandomi i capelli dietro l'orecchio.
«Buongiorno a tutti sono Iris Harrison per chi non lo sapesse», aggiungo con un breve sorriso, andandomi a sedere accanto ai miei con disinvoltura e compostezza.
Mia madre passa una mano sulla mia schiena con affetto. «Per un attimo pensavamo che ci avresti abbandonati.»
«Stavo per farlo quando ho sentito puzza di trappola. Ma sarà l'ultima volta.»
«Il bambino viziato qui deve ascoltare le parole di un bastardo che, a quanto pare continuerà a tormentare questa famiglia anche da morto. Sbrighiamoci, ho altro da fare.»
Hunter fa il suo ingresso intercettandomi, guardandomi male. Reggo il suo sguardo sfidandolo e lui non cede.
Attorno non vola una mosca per un paio di minuti. Questo, fino a quando il signor Ford, schiarendosi la voce richiama l'attenzione di tutti.
In questa stanza ampollosa, un po' come il resto della casa, a quanto pare, ci sono molte persone. Riconosco la signora Hill, la nonna di Hunter nonché vedova del defunto, Gertrud e August il nonno con un occhio di vetro, perso a caccia se non ricordo male, il fratello che continua a guardare me e poi suo padre e poi ancora i miei genitori, manca sua moglie e non vedo i suoi figli da nessuna parte. Manca anche sua sorella e mancano i miei fratelli di cui non ho nessuna notizia da giorni.
«Quando l'avvocato ha letto il testamento ha chiamato gli Harrison per una ragione. I Ford da anni, se non da secoli, fanno affari con questa famiglia e, a quanto pare sono stati inclusi nel testamento.»
Iniziano le voci, le domande. I miei sono calmi, non si intromettono, attendono pazienti, con compostezza, anche se anche loro, come tutti, sono curiosi.
La cosa proprio non mi piace, così come non piace a Hunter.
«Va dritto al dunque», lo esorta quest'ultimo.
Albert Ford, esita prima di fare un cenno a Nelson che, facendo un passo avanti nell'ampia stanza, prende un foglio iniziando ad elencare ogni avere fino a raggiungere la parte che tutti stiamo aspettando.
Trattengo il fiato guardando intorno. Le pareti sono tappezzate da una carta da parati in stile barocco di un rosso scuro, quasi borgogna. Una grande libreria con volumi antichi, ricercati, forse vinti all'asta. Delle clessidre, un mappamondo. Due finestre a qualche metro di distanza tra loro e al centro, una scrivania enorme su cui vi è un portatile, un posacenere di pietra apparentemente pesante, penne, fogli e cartelle. Una enorme poltrona dietro questa su cui è seduto Ford, il padre di Hunter. Poi ancora un enorme camino e sopra di esso un quadro di famiglia e qualche cimelio. Di fianco al camino una vetrina piena di bottiglie di liquori, bicchieri e un tavolo accanto con un vassoio. Al centro della stanza un tappeto persiano con i fronzoli e due divani spaziosi, su cui siamo ammassati.
Nelson prende un po' di tempo prima di proseguire. «Signori, c'è anche un video che, a quanto pare devo mostrarvi.»
La tensione è alta dentro la stanza e lo diventa ancora di più quando Nelson, trascina su un carrello di legno una tv a schermo piatto, inserisce la chiavetta premendo il tasto play con il telecomando e davanti a noi compare la faccia del vecchio bastardo che fissa un momento tutti noi seduto sul suo trono, una poltrona enorme imbottita, come se fosse nascosto da qualche parte ad osservarci.
«È acceso questo dannato arnese?», chiede a qualcuno mettendosi composto dopo avere bevuto un sorso di liquore.
«Si, può parlare.»
Ride tutto rosso in viso passando la mano grassoccia sul colletto della camicia. «Che cazzo di situazione assurda. Devo proprio? Non era meglio una lettera per ciascuno?»
«Proceda quando vuole, signore.»
Beve fino alla fine picchiando il bicchiere vuoto sulla superficie della scrivania. Lecca le labbra massaggiandosi il mento. «Bene», prende un respiro e solleva un foglio. «Ho fatto una lista per non dimenticare niente di quello che possiedo. Sono troppe cose. Noi Bayle siamo accumulatori seriali», dice nervoso, forse con rimprovero. «In ogni caso ne avranno una copia con tutti i dettagli. Io e i miei folletti abbiamo fatto un ottimo lavoro, no?», sorride tossendo prima di accendersi un sigaro.
Prende una lunga boccata di fumo e alla fine torna a fissare davanti a sé.
«Ciao a tutti», sorride. «Sono Archibald Bayle e se state vedendo questo video o leggendo il mio testamento arraffandovi i miei averi, significa che non ci sono più. Spero almeno ti essere morto nel letto di una bella donna con il seno enorme. In ogni caso, perdonatemi se qualcuno di voi ha visto il mio culo al vento», ride. «Soprattutto tu, mia bellissima moglie fedele.»
La signora Hill piange silenziosamente. In fondo, lo amava quell'uomo e, forse lui amava a suo modo anche lei.
«Ma passiamo alle cose serie, mi sto dilungando troppo e non ho voglia di annoiarvi», dice. Guarda alla sua destra. «Cristo Santo, mi si sta ammosciando per tutto questo tempo perso dietro a questa stronzata. Questa parte non tagliarla, voglio che tutti sappiano che non volevo tenerli troppo sulle spine», ride.
Schiarendosi la voce prosegue elencando i suoi averi, che vanno distribuiti alla moglie, alla figlia, al genero, ai nipoti. Vengono nominati tutti, tutti tranne Hunter.
Qualcosa mi dice che quel vecchio alla fine avrà una sorpresa da regalarci. Mi agito. Mia madre se ne accorge e torna ad accarezzarmi la schiena.
«Tutto bene?»
«Non capisco perché siamo presenti.»
Attendo, osservo ogni loro espressione, fino a quando Archibald Bayle non pronuncia le parole che fanno crollare la terra sotto i miei piedi e mi fanno precipitare nel vuoto.
«Adesso che ho concluso con voi, passo alle questioni più importanti», aggiunge dopo una breve pausa in cui tutti si lamentano della mancanza di qualcosa. Che sia una villa dimenticata, una terra, un quadro.
«A mio nipote Hunter Ford, si, esisti per me piccolo stronzo, anche se non ci credi. Comunque a mio nipote, andranno tutte le mie proprietà compresa la villa che mio genero si fa spacciare per propria e la mia azienda con cui ha incassato milioni, se e solo se, ascoltatemi bene, manterrà un fidanzamento di almeno sei mesi, con l'ereditiera di casa Harrison, l'unica figlia femmina di Thomas e Carol Harrison. A quest'ultima, andrà la mia casa editrice e la relativa libreria in centro a Miami, potrà gestirla in piena autonomia o farne quello che vuole, anche venderla e, se reggerà il peso di un fidanzamento, con il piccolo viziato di casa, il bastardello che non lecca mai il culo e i piedi a nessuno, il mio nipote preferito, e no, non sei mai stato tu Archie, tu sei troppo impegnato a compiacere tuo padre per comportarti da uomo. Ad ogni modo, tornando a noi, la signorina e mio nipote otterranno non solo un fondo cospicuo depositato a nome dei due da usare per il fidanzamento, il matrimonio e tutto il resto, ma anche una piccola isola dove è già stata costruita una villa. Avranno tutto quello che è in mio possesso, ecco perché prima stavate sicuramente contando i miei averi cercando di capire quello che mancava all'appello. Non vi tornavano i conti, eh? Siete dei brutti avvoltoi!», tossisce con quel ghigno.
«In caso contrario, ogni mio avere andrà a delle associazioni che potranno farne quello che vogliono dei cimeli di famiglia, delle proprietà, delle fabbriche, insomma di tutto quello che andrà a Hunter, potranno persino metterli all'asta. Sono già stati avvisati dell'eventualità ed è tutto organizzato nel dettaglio. Ogni cosa, è sulle tue spalle Hunter. E se mi stai guardando, sappi che ti ho voluto bene e che spero non mi deluderai e metterai finalmente la testa sulle spalle.»
♥️
Nelson ♥️
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