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HUNTER
Non bisogna mai essere troppo egoisti. Per egoismo puoi perdere tante, troppe cose. Con il tempo sto iniziando a capire che non sempre si ottiene qualcosa pretendendola ma lottando per essa.
Non ho bisogno di molto e non mi accontento di niente. Mi piace risvegliarmi con un sorriso, con uno sguardo, con quegli occhi puntati addosso a crearmi dentro un buco profondo da riempire di pensieri, parole e tanto di quell'amore da averne paura.
Non ho bisogno di molto. Solo di una mano che sappia stringere la mia senza fare male, di qualcuno che abbia la voglia di capirmi, di esserci, di restare. Ho bisogno di qualcuno che sappia riconoscere ogni parte di me anche al buio. Qualcuno che sappia leggermi dentro quando non parlo, quando rifletto troppo o quando mi ammutolisco di colpo. Qualcuno che sappia leggere nei miei sguardi e sappia farmi ritornare il sorriso in quei giorni bui e tristi dove non vi è alcuna luce. Qualcuno che sappia camminare tra i resti del mio passato e di alleviare il mio presente senza mai esasperare il futuro.
Forse sono insicuro e lo nascondo bene. Ma come tutti ho anch'io bisogno di una certezza.
Mi serve l'odore del caffè caldo al risveglio, una carezza di notte, un bacio al mattino, le coperte condivise e strappate da una parte all'altra quando inizia a fare freddo. Mi servono i litigi, le risate, le lacrime. Mi serve la compagnia, quella che resta per tutta la vita senza finte promesse, senza inganno. Ho bisogno di lei nelle mie giornate. Lei che si è insinuata tanto a fondo da affondare le sue radici dentro la mia anima.
Non bisogna essere tanto egoisti, ma averla qui vicino mi calma e non voglio più farne a meno. Finalmente siamo di nuovo insieme, siamo io e lei. Siamo quel noi nascosto agli occhi della gente che non avrebbe mai scommesso sul nostro amore. Ma siamo noi ad avere perso il cuore. Siamo noi esserci legati come colla.
La guardo, abbasso lo schermo del portatile e allontanandolo mi alzo un momento per usare il bagno.
Svuoto la vescica, mi sposto verso il lavandino e mi guardo allo specchio. Sfioro la barba rendendomi conto di quanto sia lunga solamente adesso, insieme ai capelli che ricadono da un lato superando di poco la fronte, toccando le sopracciglia. Passo la mano togliendoli dal viso sulla quale ho qualche ruga, qualche segno del momento che ho vissuto. Abbasso gli occhi sfilando la maglietta, guardo sull'addome quella nuova cicatrice e penso che la custodirò ricordandomi di non abbassare mai più le difese, di fare attenzione e di non lasciarmi schiacciare un'altra volta.
Recupero un rasoio nuovo e procedo facendo la barba, accorciandola quel tanto che basta da non sembrare più un vichingo e torno in camera spegnendo la luce. Qui mi fermo un momento sulla soglia a braccia conserte. Trovo Iris aggrappata al cuscino proprio come un koala. Sorrido avanzando e mi stendo accanto a lei. È davvero dolce mentre dorme, sembra finalmente avere riacquistato vitalità e colore. Sembra in pace con se stessa.
Le sfioro il viso e lei, avendo il sonno leggero, sbircia assonnata con un occhio solo per accertarsi di non stare sognando, poi quando la attiro verso di me si rannicchia tra le mie braccia tornando a dormire beatamente.
«Da quanto non dormi?», le domando non aspettandomi una risposta.
Faccio una smorfia quando la sento sospirare nel sonno e mi sento in colpa. Ammetto che è stato un brutto colpo vederla entrare in quella stanza d'ospedale consumata dal dolore e dalla stanchezza. Adesso spero che riusciremo ad avere un attimo di pace mentre tentiamo di aggiustare le cose che non vanno nella nostra vita.
Seguo il suo respiro lento. Galoppo insieme ai battiti del suo cuore costanti e mi lascio avvolgere dal suo buonissimo odore. Annuso come un tossico i suoi capelli inebriando i miei sensi della sua essenza fruttata.
«Fa bei sogni piccola», sussurro. «Non andrò più da nessuna parte. Non ti lascerò per nessuna ragione al mondo. Dove andrai tu, andrò io. Perché siamo noi, siamo insieme, siamo un unico pezzo da incastrare. E se non mi vorrai, dovrai solo dirlo, ma non ti assicuro che me ne andrò.»
La sua mano fredda si aggrappa al mio fianco, la gamba si piega sulla mia vita e il suo viso si nasconde nell'incavo del mio collo. Si struscia sul mio petto come un gatto ed io rimango immobile a sfiorarle la schiena con le dita e sorrido come un bambino, piacevolmente colpito dai brividi che mi regala, dal piacere che mi trasmette anche quando non ne è consapevole. Per me è questa la pace. Questo è il senso di ogni cosa. Dell'amore che sento per lei.
Dopo qualche minuto passato avvolto nel silenzio e nella tranquillità più assoluta, il mio telefono vibra sul comodino illuminando parte della parete avvolta dall'oscurità. Lo sollevo con una mano e guardo lo schermo trovando un messaggio da parte di Issac. Mi fa presente che è quasi dietro la porta e di aprirgli. Che ci fa qui a quest'ora?
A malincuore stacco dal mio corpo Iris e alzandomi piano, senza fare rumore, mi avvio alla porta a piedi nudi.
La apro facendo attenzione a non farla cigolare, dopo avere sbloccato tutte quelle sicure come un abile ladro e quando Issac prova ad entrare lo fermo portandomi l'indice alle labbra. Lui non afferra in fretta la ragione del mio ammonimento così gli indico alle mie spalle. «Parliamo fuori se proprio devi a quest'ora», sussurro prendendo la chiave, le scarpe e una giacca. Non sono infastidito da questa visita ma avrei preferito che lo facesse in un altro momento.
Chiudo la porta e seguo il mio amico di sotto, per strada, dove facciamo una passeggiata lungo il marciapiede del quartiere silenzioso.
La temperatura sta cambiando a Miami. Il cielo stasera è coperto da grossi e spessi nuvoloni dalla quale di tanto in tanto si intravedono dei lampi di luce, ma non c'è odore di pioggia nell'aria.
Issac mi cammina affianco a passo lento, di tanto in tanto controlla l'orologio come se avesse i minuti contati. Forse ha uno dei suoi appuntamenti notturni, mi dico cercando di non mettergli ulteriormente fretta per potere tornare dalla mia bellissima compagna. Forse ha bisogno di un consiglio, proprio come facevamo tempo addietro.
Il fatto che non mi abbia ancora salutato la dice lunga sul suo umore. So che è arrabbiato con me e so anche che si è preoccupato parecchio, ma troverò il modo di farmi perdonare da lui.
Sono passati mesi da quando partecipavamo a delle feste per sbronzarci, eppure a me sembra che sia passata una vita intera. Le cose sono cambiate così in fretta da non avere il tempo di scegliere. Adesso però mi sento più me stesso e non un ragazzo da esibire.
«Come sta?», guarda brevemente il palazzo dalla quale siamo appena usciti.
Qualcuno si è addormentato sulla sdraio, nel balcone. Mi domando se anche io un giorno sarò come quell'uomo, sbronzo, con una moglie insoddisfatta a causa mia e stanco. In cuor mio spero vivamente di no.
«È sfinita. Ha bisogno di dormire. Ed era quello che stavo cercando di fare anch'io prima che ti presentassi dietro la porta.»
Me lo conferma con un verso gutturale. All'inizio però non capisco a cosa sia riferito questo verso. Poi però me lo spiega.
«Amico, quella è una donna con la D maiuscola. Un'altra sarebbe scappata a gambe levate da te molto tempo prima, ma lei no. Lei ha cercato di vendicarti e una persona che ti protegge come ha fatto lei, che pur soffrendo continua a lottare per te, è una persona che ama tanto, che merita di essere amata a sua volta. Quindi non fare il coglione e tienitela stretta o ti ammazzo così raggiungi quel bastardo di tuo nonno che, in parte ha causato tutto questo.»
Poso la mano sulla sua spalla. Non so se offendermi per avere sentito parlare male di mio nonno. Lascio correre perché attualmente i problemi reali sono ben altri. «Grazie per esserti preso cura di lei in mia assenza. Ti devo molto. Devo molto ad entrambi.»
Mi fa un cenno del capo. «In realtà lei si è presa cura di me. Non lo faceva apertamente ma so che si preoccupava. Sai com'è, diventa come una mamma apprensiva.»
«Iris è così», sorrido orgoglioso prima di tornare serio. «Come mai sei da queste parti a quest'ora? Hai bisogno di un consiglio?», domando notando un certo nervosismo nei suoi modi.
«Dobbiamo parlare», inizia lasciandomi entrare in auto dopo essersi guardato intorno con fare furtivo.
Chiusa la portiera mi mette davanti il suo portatile senza neanche darmi il tempo di replica.
«Iris al momento non deve saperlo. Per quanto sia forte e dice di volere la verità so che ci starebbe male a sapere che la sua amica non è vittima di Nolan ma solo dei suoi vizi», dice premendo il tasto play sullo schermo per darmi conferma di quello che dice.
Vedo Ellen in un locale, balla su un cubo in maniera provocante, con addosso un costume striminzito, mentre un gruppo di ragazzi le sbavano davanti, la toccano e le offrono da bere baciandola a turno. Dopo il ballo si sposta verso il bancone, parla con una donna dai capelli neri corvini raccolti finemente, una sigaretta tra le dita, un tailleur bianco costoso e lo sguardo da falco. Dopo avere intascato un rotolo di denaro dalla donna, Ellen raggiunge dall'altra parte della sala un uomo facendosi largo in mezzo al gruppo riunito proprio davanti a lei, iniziando così a flirtare visibilmente con lui. I due parlano, bevono e ben presto si spostano al piano di sopra prendendo le grandi scale presenti in quel locale a luci rosse.
Il filmato si interrompe.
«Che cosa significa tutto questo?», chiedo confuso. «Ellen si guadagnava da vivere facendo la escort o cosa?»
Issac morde una pellicina sul labbro. Un gesto che mi fa pensare tanto ad Iris. Spero stia dormendo e non si spaventi se mai non dovesse trovarmi a letto.
«Quella ragazza ci porterà solo guai, Hunter. Non hai notato con chi era? Voglio risparmiarti quello che ho visto perché è a dir poco nauseante, a meno che tu non sia tanto curioso da volere osare. E dovresti credermi sulla parola se ti dico che ho ancora i conati.»
Mentre parla mette indietro il video indicando l'uomo in questione con l'indice. «Guarda.»
Abito elegante da pinguino, carnagione scura, altezza media. Avvicino il viso allo schermo per vedere meglio. «Porca puttana!», esclamo allibito cercando ulteriore conferma dal mio amico.
«Esatto! Quella stronza si fotteva il padre di Nolan.»
Arriccio il naso. Il disgusto non riesco proprio a nasconderlo e non oso neanche immaginare quello che deve essere successo "al piano di sopra" tra quei due. «Pensi quello che penso io?»
«C'è di più», dice con sguardo grave. «Nolan probabilmente lo ha scoperto.»
Corrugo la fronte. «Quindi? Stai dicendo che è stato lui ad ucciderla o ad allontanarla?»
Conferma con gli occhi. «Ha fatto in modo che si togliesse di mezzo, esatto. Ma non l'ha uccisa.»
«Per arrivare ad Iris?»
Annuisce. Però ha ancora quello sguardo. Corrugo la fronte. «Che altro c'è? Davvero non vuoi mostrarmi quello che succede tra quei due? Dovrei saperlo. Questi filmati risalgono a prima della sua scomparsa?»
«Si, prima Ellen si fotteva gli uomini sposati, non solo i professori. Il lupo perde il pelo...», borbotta guardando lo schermo poi si volta. «In realtà ti ho chiesto di parlare per la microcamera», inizia.
«Si?»
«Sono riuscito a rintracciare l'indirizzo e... insomma roba da cervelloni e ho trovato questo.»
Issac preme ancora una volta il tasto play sullo schermo. Davanti a me si para l'immagine di Ellen comodamente seduta su un divano di pelle color senape, in bikini rosso a pois e capello enorme in testa, fissa davanti come se ci guardasse. Fa una serie di smorfie, beve un cocktail e poi spalanca la bocca e per poco non sputa il liquido che ha ingerito. «Stanno davvero insieme quei due? Quella stronza!», urla digrignando i denti. Si alza di scatto e lancia qualcosa contro la parete con rabbia mentre inveisce poi torna a guardare verso lo schermo.
Il video prosegue con ogni espressione da parte di Ellen, fino a quando non si sente in sottofondo Iris rompere il vaso e lei che tenta di spegnere tutto in tempo continuando ad imprecare e a minacciare rabbiosamente mia moglie con frasi del tipo: "traditrice, questa me la paghi!", "lurida stronza, ti rovino!", "come hai osato? Ti faccio vedere io se ti fotti il ragazzo altrui"...
Guardo inebetito il mio amico. «Il motivo sono io?», indico Ellen e poi me.
«Amico, Iris non deve saperlo. Non sappiamo come potrebbe reagire. Anche se penso che lei sappia già delle ambizioni della sua amica riguardo gli uomini ricchi. Tu eri una di queste. Quella ragazza, Ellen, amava possedere trofei. Quando l'hai rifiutata, non le è andato giù e adesso...»
«Adesso il trofeo le è stato sottratto dalla sua migliore amica che ha abbandonato lei per chissà quale ragione ed è arrabbiata ma deve nascondersi dai genitori, dagli agenti e da chiunque la stia ancora cercando.»
Passo una mano sul viso prima di massaggiare la nuca. Un gesto che faccio spesso ed è ormai come un tic nervoso. «E poi, Iris non deve sapere che cosa? Che l'amica è una sporca manipolatrice? Che cazzo sta succedendo qui?», urlo frustrato e preoccupato al pensiero che Ellen possa ferire Iris a causa mia in qualsiasi modo o momento.
«Quella stronza è gelosa e starà escogitando un piano per dividervi. Ragiona, Hunter, era fissata con te e teneva morbosamente Iris in pugno prima di sparire. Ancora non sappiamo la ragione della sua fuga quella notte ma sappiamo che è viva e che continua a tenerti d'occhio nonostante abbia la propensione ad andarsene a letto con uomini ricchi e sposati. Adesso è anche incazzata con Iris perché le ha sottratto quello che vuole da anni, cioè te. Sei sposato. Immagina...»
«Cazzo!»
Issac scuote la testa. «Dobbiamo cercare di non perdere di vista Iris neanche per un secondo e di tenere Ellen lontana da lei. Una donna gelosa è una donna pericolosa.»
«Iris è ferita, reagirà male quando verrà a conoscenza della verità o di quello che abbiamo appena visto e non possiamo nasconderglielo altrimenti si chiuderà in se stessa e non si fiderà più di nessuno.»
Ellen ha proprio causato una rottura nel cuore di Iris. Adesso tocca a me ricucire quello strappo. Ma come posso fare?
Le persone quando se ne vanno ti lasciano un vuoto. Una voragine che ti rimane dentro a lungo. Quando vieni abbandonato o tradito, usi il dolore che senti costruendo una corazza e la usi per proteggerti da tutti gli altri. Perché il dolore ti fa sentire debole e vulnerabile. Il dolore ti fa capire che hai il cuore che può spezzarsi per una svista o un attimo di esitazione e non puoi proteggerlo. Il dolore ti mette in allerta e ti fa scansare dagli abbracci improvvisi, dai gesti spontanei, pieni di tenerezza che i tuoi occhi vedono come un modo semplice per ferirti. Il dolore è l'altra faccia della medaglia dell'amore: ti riempie il vuoto che hai dentro ma ti cambia l'anima.
Guardo subito il palazzo. «Pensi che Ellen potrebbe scappare e riuscire a farle del male?»
«Non lo penso, temo che questo succederà presto se non facciamo in modo che Iris sia pronta.»
Scuoto la testa passando le mani sul viso. «Cazzo! Che cosa mi consigli di fare?»
Non credo di essermi mai sentito tanto perso e colto alla sprovvista. Il mio amico invece sembra avere la risposta, anche se lo vedo titubante. Lecca le labbra agitandosi. «Dobbiamo prepararla, dobbiamo starle accanto in ogni momento, anche quando non ci vuole attorno e, dobbiamo trovare quella pazza prima che sia lei a fare le prima mossa. Dobbiamo anticiparla.»
Sospiro. «A questo pensa tu. Io nel frattempo cerco di parlare con lei», provo ad aprire la portiera.
Issac mi ferma. «Hunter, per questa notte non aggiungere sulle sue spalle anche questo peso. Non è forte come lascia intendere e la notizia che la sua amica potrebbe farle del male a causa tua, non so come o in quale misura potrebbe destabilizzarla. Conosci meglio di me Iris e sai che potrebbe fare qualcosa di insensato.»
Guardo davanti a me. «Non voglio che si faccia male. È impulsiva, testarda...»
Sta annuendo. «Penseremo a tutto tra un paio di ore, ok?»
Storco le labbra. «È un fottuto casino. Forse non le abbiamo nemmeno delle ore.»
«Già, ma riusciremo a srotolare questa matassa. Adesso va e riposati anche tu. Mi servite svegli e vigili.»
Esco dall'auto. «Chiamami se hai notizie.»
«Goditi il tuo ritorno da tua moglie. E per la cronaca sono incazzato con te. Non mi hai permesso di essere un testimone di nozze come si deve.»
Sollevo l'angolo del labbro. «Quando e se finirà tutto questo, potrai organizzare una festa, cazzone.»
Sorride, finalmente. «Contaci. Mi sbronzerò e poi dovrai regalarmi una lunga vacanza. Ah, e per la cronaca mi sei mancato.»
Saluto il mio amico e torno da Iris con un enorme peso dentro. Non posso dirle la verità. Devo prima trovare un modo per anticiparle quello che ho visto. Non posso avere segreti con lei e, allo stesso tempo, non posso neanche metterle sulle spalle un altro peso.
Entro in casa in punta di piedi. Mi fermo sulla soglia. La osservo. Non si è ancora mossa e dopo avere chiuso piano la porta, mi spoglio e mi sistemo sotto il lenzuolo accanto a lei.
Col tempo siamo diventati una costellazione di stelle, ci siamo bruciati di luce e abbiamo assorbito tanta di quella oscurità da non poter tornare a brillare come un tempo. Ma siamo luce. Siamo amore e viviamo per esso. Siamo ingenui, testardi in cerca di un posto felice in cui stare. Sopravviviamo anche quando è difficile farlo e arranchiamo superando un altro giorno in attesa che il tempo o il destino si rivelino a noi con le loro immancabili sorprese. Siamo fragili seppur apparentemente forti come l'acciaio.
Iris è fragile ed io non posso perderla. Non permetterò a nessuno di farle del male o di portarmela via.
Dopo un paio di ore, inizio ad avvertire una certa stanchezza e mi appisolo per qualche minuto.
Il movimento del suo corpo mi fa aprire gli occhi proprio prima che i suoi si abbattano su di me. Sorrido in riflesso accarezzandole la guancia e lei posa subito la mano sulla mia abbassando di nuovo le palpebre.
«Buongiorno», mormora.
Guardo verso la finestra ed è ancora buio. «Dormi, non è ancora giorno.»
Guarda l'ora poi mi si avvicina e l'abbraccio. «Dormito bene?»
«Si, molto.»
«Sono comodo?»
«Molto.»
Trattiene il fiato ed io una risata. Non sa dire altro?
Solleva la testa e mi sorride. «Tu come hai dormito?»
«Bene.»
Prova ad alzarsi e l'abbraccio placcandola, tenendola ferma prima che possa scappare. «Dove vai?»
«Voglio prepararti la colazione. Devi avere fame. Mi sei dimagrito.»
Nego. «No, voglio solo stare con mia moglie sotto le coperte.»
Inarca la schiena sollevando un sopracciglio. «Non mi volevi in carne?»
«Si, ti preferisco in forze. Hai fame?»
«Un po'.»
Mi sollevo a metà busto. «Allora ti aiuto a preparare la colazione.»
«No, tu rimani sdraiato. Devo ricordarti che sei appena uscito dal coma e dall'ospedale?»
Metto il broncio. «Non mi lascerai fare niente, vero?»
Protende le labbra e catturo il suo bacio al volo prima che lei se ne scappi in cucina. «Waffle o pancake?», chiede iniziando a prendere gli ingredienti e a disporli nell'unico spazio libero della piccola cucina.
«Pancake», replico.
«Banane e scaglie al cioccolato?»
Vederla ai fornelli mi fa impazzire dalla voglia di alzarmi, raggiungerla e stuzzicarla. Mi sto eccitando da morire. Tutta questa astinenza mi si sta ritorcendo contro. «Si, abbonda con le scaglie di cioccolato bianco e spalma un bel po' di cioccolata al centro. Ho bisogno di zuccheri.»
«Di zuccheri non del diabete», risponde prontamente.
Osservo ogni suo movimento per non perderne neanche uno, per tenere a mente ogni suo gesto, ogni sua espressione. Mi piace quando ancheggia, quando sposta i capelli dal viso pur avendoli legati in quella crocchia scomposta sulla testa, quando sorride di nascosto guardandomi dall'altra parte della stanza, quando guarda con occhi sognanti e da bambina. Sembrerà banale ma lei è il mio respiro, la mia forza, i miei occhi quando mi fa paura questo mondo pieno di insidie. Attraverso i suoi gesti vedo tutto in maniera diversa e mi sento più coraggioso e pronto a camminare al suo fianco lungo il sentiero che da qualche mese abbiamo intrapreso.
Adesso, mi rendo conto della bellezza che racchiude e nasconde. Mi piacerebbe raggiungere i suoi pensieri, frugarci dentro per avere un vantaggio. Mi piacerebbe vedere attraverso i suoi occhi per capire quello che le piace. Perché molto spesso non lo dice.
«Perché continui a guardarmi in quel modo?», arrossisce guardando ovunque tranne che me.
Gioco con il bordo del lenzuolo. «Sei molto bella», dico sincero.
Porta una ciocca dietro l'orecchio mordendosi il labbro. «Tu sai di insonnia e stanchezza. Smettila di dire sciocchezze!»
Sorrido portando i palmi sugli occhi. «Adesso non posso neanche farti un complimento?»
Lecca un dito per assaggiare la pastella. «I farmaci che ti hanno somministrato in ospedale devono avere ancora effetto su di te.»
Dio, quanto amo questo suo lato!
Mi alzerei per poterla pigliare a morsi, ma rimango fermo per non spezzare quel velo tenue pieno di tranquillità che aleggia tra di noi. «Non sono i farmaci. Sei tu.»
Mi punta il mestolo contro. «Smettila. Sono un relitto», sbadiglia.
Mi dispiace per lei. Mi dispiace per averla fatta preoccupare e per averla ridotta in quello stato. «Mi dispiace», sussurro.
Abbassa il mestolo piegando la testa di lato. «Adesso non fare il cretino e preparati a mangiare i tuoi primi pancake dopo il coma. Un'esperienza del genere quando ti ricapita?», mi prende in giro per alleviare la tensione.
Iris ha questa capacità, alleggerisce anche il più brutto e difficile dei momenti.
In breve crea dei pancake perfetti e quando mi raggiunge con un unico piatto, ne spezzo subito un pezzo ancora caldo imboccandola.
Assaggio a mia volta gustando il mio primo pasto dopo un mese. Sono deliziosi e il cioccolato a scaglie fuso insieme al sapore tenue della banana mi piace parecchio. Mi guarda mangiare e notando che è ferma, le passo il pollice all'angolo del labbro e le porgo un altro pezzo di pancake.
«Mi piace vederti mangiare. Possiamo farlo insieme per tutto il resto dei nostri giorni?»
Sorride. Le guance le si arrossano. «È una richiesta?»
«Includiamola nel pacchetto, che ne dici?»
Avvicinandosi mi imbocca e mi bacia una guancia. «Dico che ti toccherà fare molta palestra se vuoi mantenere questo bel pacchetto e non diventare come il vicino di casa che si addormenta spesso fuori sul balcone», esclama sfiorandomi i muscoli.
Uno solo dei suoi gesti mi fa rizzare i peli sulla nuca e mi eccito. Stringo le gambe, mi appoggio alla testiera del letto ad occhi chiusi.
«Stai male?», posa il piatto allarmata.
«No, mai stato meglio.»
Apro le braccia e lei si adagia con un sorriso rilassando le spalle. «Quando ti sei spogliato?», chiede corrugando la fronte.
«Prima», replico baciandole la testa. Dio, è sempre così attenta ai dettagli. Non riuscirò mai a nasconderle le cose, neanche una sorpresa.
«Scusami se sono crollata», gioca con la cicatrice.
Blocco la sua mano tenendo il polso leggermente a mezz'aria. «No, eri stanca, lo capisco.»
Sospira. «E tu? Non sei stanco?»
«Mi sto mettendo a letto. Voglio che mia moglie mi faccia compagnia.»
Mi stendo e lei si mette su un fianco accanto a me. Posa la mano sulla mia barba. «Hai anche accorciato la barba.»
«Devo farmi tagliare i capelli.»
«Non sono poi così brutti.»
«Sembro un selvaggio. Non mi piace, mi fa sentire in disordine. Ho una reputazione da mantenere.»
Sorride. «Io ti trovo sensuale.»
Mi avvicino alle sue labbra. «Allora bacia il tuo sensuale marito dai capelli selvaggi.»
Devo essermi addormentato come un ghiro perché quando mi desto mi ritrovo comodamente sdraiato sotto il lenzuolo. Iris dorme dandomi le spalle. Poverina, deve essere proprio stanca. Le bacio la testa e mi alzo per andare a fare una doccia. Recupero prima gli indumenti puliti da indossare e chiudo la porta del bagno cercando di fare il minore rumore possibile.
Entro nella doccia e mi rilasso sotto il getto caldo. Mi sto insaponando quando sento lo scatto della porta e poi Iris usare il water. Sorrido mordendomi le labbra.
«Hai bevuto solo acqua in questo mese?»
Emette un verso simile ad un urlo. Sbircio dalla tendina e lei mi guarda male tirando su le mutandine, lanciandomi addosso il rotolo di carta igienica. «Mi mancava la videocamera di sorveglianza vivente sempre puntata addosso.»
Rido. «C'ero prima io.»
«Non ti ho trovato e non hai fatto il minimo rumore. Pensavo fossi uscito.»
Esco dalla vasca insaponato afferrandole il polso. «No, stavo facendo una doccia. E forse non hai notato la luce accesa. Ti va di aiutarmi?»
Sorride provando a rifiutare ma sollevandola per i fianchi la porto all'angolo della vasca, contro le piastrelle fredde e attacco subito il suo collo di baci. «Mi manchi», sussurro.
«Hunter...»
Apro il getto e il pigiama che indossa le si inzuppa. Glielo sfilo via mordendole la spalla, facendola mugolare. «Ripeterai il mio nome un'altra volta e lo farai tra poco», la sollevo per le natiche premendola al mio corpo.
Ride affondando le dita tra i miei capelli. Mugolo eccitandomi e lei mi dà accesso alla sua bocca. Le slaccio il reggiseno e abbassandomi gli bacio il seno piano, facendola agitare e affondare le dita nella sua pelle per tenerla ferma. Inarca la schiena passando i palmi sul mio petto mentre la schiuma scivola via. Sollevo le sue natiche e le sfugge un gemito quando mi sistemo in mezzo alle sue gambe muovendo i fianchi.
«Che stiamo facendo? Hunter sei in convalescenza e non puoi affaticarti.»
«Stiamo riprendendo da dove ci eravamo persi. E posso fare quello che voglio insieme a mia moglie. Fare l'amore è una medicina contro ogni dolore.»
Morde il labbro prima di rilassare le spalle dopo avere notato il mio sguardo intenso e convincente.
«Allora questi non servono», sussurra abbassando i miei boxer.
Sono pronto, non riesco a trattenere neanche l'impeto. Le strappo gli slip e anche un urlo e premendomi contro il suo corpo mi insinuo dentro di lei godendomi il suo urlo, la sua presa, il suo affanno, le sue labbra sulle mie mentre mi muovo e i nostri corpi si fondono.
«Hunter...»
Si, si, si. «L'hai detto...», gemo. «Si, ripetilo!»
Allarga le gambe e sprofondo dentro sentendo il suo dolore insieme al suo piacere.
«Iris...», mi sfugge mentre sento di non potermi trattenere. Premo le labbra sulla sua spalla rallentando. Lei trema graffiandomi la schiena.
«È tutto ok...», sussurra mentre proseguo piano. «Portami a letto...»
L'accontento e mentre la lascio scivolare sul materasso lei mi avvicina desiderosa e bisognosa di avermi tutto per sé.
«Posso portarti anche altrove se vuoi.»
Stringe la presa sulle mie braccia. Si agita e muove i fianchi venendomi in contro. Tira indietro la testa mentre raggiungo il punto di non ritorno. Schiude le labbra mentre io ansimo incredulo per la violenta sensazione che sto provando.
«Altrove?»
«Si.»
«Altrove...», mugola confermando con affanno.
Sorrido soddisfacendo quel bisogno di possederla, di amarla, di trascinarla al sicuro, di sentirla ancora mia dopo una brusca rottura involontaria.
Rotolo sul materasso completamente sfinito. Sudato passo il palmo sulla fronte e quando mi volto lei è lì, si volta e ci fissiamo a lungo senza dire niente.
In questo lungo silenzio ci immergiamo l'uno negli occhi dell'altra fino a perderci. Ma il suo sorriso ripaga mesi di lotte continue. Mi giro su un fianco e le porto la mano sul mio cuore. «Lo senti? Senti quanto cazzo batte? È a causa tua, piccola bestia di satana!»
Ride colpendomi con il cuscino. «Smettila di chiamarmi così!»
Nego. «Sei un piccolo essere del demonio, non c'è soluzione. La tua è una bellezza disumana, invitante e seducente.»
Mi avvicino e lei trattiene il fiato. La mia mano le sfiora il braccio. Fissa il mio gesto mentre io osservo la sua pelle rizzarsi.
Schiude le labbra ed io poso le mie proprio all'angolo, scagliandole addosso un'altra fitta, altri brividi che l'avvolgono come una coperta. Abbasso le labbra sul mento e proseguo lungo la gola, mi soffermo sotto l'orecchio lasciandole un lieve segno rosso dovuto al morso che la fa mugolare e tentare di divincolarsi dalla mia presa. Ma non ci riesce ed io continuo a baciarle il busto, il seno sodo e perfetto per la mia mano che lo tiene a coppa. «Ero in astinenza e adesso che sei qui davanti a me... non so se riuscirò a fermarmi.»
Se ne sta ad occhi chiusi, una mano sul mio collo, una sul lenzuolo che stringe.
«Hunter, devi fare attenzione», ansima.
Ghigno. «Procederò con cautela. Ma adesso... lasciami recuperare un po' di tempo perso», le sussurro all'orecchio.
Quando la mia mano scende verso il suo ventre, lei mi ferma. «Baciami.»
La sua è una semplice richiesta all'apparenza. Ma io che la conosco so esattamente il messaggio nascosto.
Mi avvicino alle sue labbra premendole piano sulle sue. Lei si agita all'inizio mentre la faccio scivolare sotto il mio peso sollevandole le ginocchia. Accarezzo la sua coscia mentre con la mano sinistra affondo tra i suoi morbidi capelli legati ed esploro con la lingua la sua bocca.
I suoi palmi frugano sulla mia pelle prima di intrecciarsi sulla mia nuca e avvicinarmi sempre di più a sé.
Sono così avido, così concentrato da non accorgermi delle sue lacrime. Mi fermo e lei mi trattiene ma non posso e non riesco a proseguire. Sono scioccato. «Ti ho fatto male? Hai bisogno di qualcosa?»
Gliele asciugo con baci e una pressione dei polpastrelli mentre lei nega.
«Che cosa ti succede?»
«È bello averti qui con me», tira su con il naso. «Scusami, pessimo momento, lo so.»
Nego avvicinandomi a lei. «Dimmi di cosa hai bisogno.»
Le sfugge un singhiozzo. «Non andartene mai più via da me. Non smettere di amarmi.»
Spalanco gli occhi. Una fitta mi attraversa il cuore creando uno squarcio. «Io ti amerò anche quando non lo ricorderò perché sarò vecchio, pazzo e svitato. Mi ricorderò di te anche quando non saprò chi sono. Anche quando non saprò niente di me ma saprò tutto di noi. Certe sensazioni non puoi spegnerle, piccola. Certi brividi non puoi fermarli, ti attraversano la pelle e rimangono lì, impressi come un tatuaggio nascosto.»
Ci sono segni che non passano. Segni simili a lividi, a cicatrici permanenti. Ci sono emozioni che non puoi cancellare, gesti che non puoi eliminare. C'è lei, lei che non riuscirò mai a dimenticare.
Adesso lo so per davvero che dell'amore che sento per lei non riuscirò mai a liberarmi.
«È stato orribile. Non avevo mai provato una sensazione così distruttiva. Questo mi ha fatto capire che voglio stare con te e non sopporto il pensiero di lasciarti andare.»
L'abbraccio. «Io sono qui. Non me ne vado. Vuoi che te lo prometta?»
«No, perché il destino sa essere crudele. Quindi non fare promesse. Cerca solo di restare.»
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