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IRIS

Abbiamo occhi che nascondono segreti, sguardi furtivi che racchiudono bellezza. Abbiamo braccia che si stringono, mani che afferrano, gambe che si muovono in un mondo pieno di insidie. Abbiamo la forza di andare avanti, di non arrenderci mai. Abbiamo polmoni per respirare, un cuore per emozionarci, per amare. Abbiamo una mente per trovare soluzioni, pensieri per distrarci dal presente, ricordi per tornare dove si è stati bene. Ma abbiamo l'anima fragile, conservata in un posto dove i tramonti muoiono senza colore, in un cielo simile ad uno specchio rotto che lacera il cuore, a riflettere il dolore.
Guardo il cielo terso del tardo pomeriggio e mi domando se e quando questo incubo avrà fine. In fondo abbiamo bisogno di mettere un punto, concludere un capitolo e passare al successivo senza mai doversi fermare a cancellare. Io non ci riesco perché troppe cose sono rimaste in sospeso: gli abbracci, i baci, i tramonti, le albe, i giorni... l'amore. Il mio amore è rimasto sospeso come un pallone incastrato tra i rami di un albero, come un palloncino volato prematuramente dopo essere scappato dalle mani di un bambino.
Vorrei tanto spazzare via tutto. Spero che un colpo di vento faccia il suo lavoro, che allontani dalla mia vita tutte le erbacce e lasci il vuoto vero e reale, quello utile per ricominciare.
A volte penso a come sarebbe stato se tutto questo non fosse accaduto. Se fossimo ancora degli estranei in cerca di un posto, di un cuore, di un amore che ti consuma all'improvviso senza darti la minima possibilità di salvarti o metterti al sicuro. A volte penso a come sarebbe stato se io non mi fossi fatta abbindolare da Nolan, se non gli avessi permesso di entrare nella mia vita, a far parte delle mie giornate, dei miei momenti. Non mi sento stupida per avere dimostrato il mio interesse, mi sento stupida per essere stata tanto ingenua da cedere perché le cose da quel momento si sono come trasformate per me. La mia scelta ha segnato il mio destino e ho sbagliato. Ho sbagliato a fidarmi, a lasciarmi andare, a seguirlo in ogni sua ambizione. E mentre io lo sostenevo, lui non faceva altro che farmi avvicinare a quel baratro oscuro e senza via d'uscita. Ma sono scampata al pericolo, forse dovrò ancora combattere e perdere pezzi ma spero alla fine di riuscire a vincere almeno una battaglia. Spero di potermi liberare di tutto il peso e di questo male che continua a schiacciarmi ed essere finalmente felice. Per esserlo, devo prima riportare da me una persona, la più importante della mia vita. Non sarà facile visto che non ha ancora aperto gli occhi. E pensare che ci odiavamo o meglio: io odiavo lui, ma solo perché non lo conoscevo e perché non sopportavo l'effetto che mi faceva.
Quando Ellen parlava di Hunter non mi accorgevo di essere incuriosita dalle sue parole. Il pregiudizio che avevo si è trasformato in interesse vero e prima ancora, quando ci siamo guardati per la prima volta negli occhi, in amore. Spero di non perderlo, anche se ho paura che questo possa accadere.
A tutti abbiamo sempre detto di odiarci ma con il tempo abbiamo capito solo di tenerci. Perché il destino ha tessuto sin dal primo nostro battito in comune la trama di una storia che non avrà mai fine. Ci siamo urlati in silenzio parole mai dette ad altri, sussurrati pensieri mai rivelati. E ci siamo abbracciati, stretti forte e inciso nelle nostre anime quella parola amore che mai nessuno dei due avrebbe capito all'istante, se non nel momento in cui ci siamo persi, divisi da un istante.
Issac arriva in ritardo al nostro appuntamento. Sa che non c'è tempo da perdere ma deve avere avuto un valido motivo. In questi giorni stiamo lavorando come matti per riuscire ad incastrare Nolan ed Ellen.
Quei due sono proprio diabolici.
Esce dall'auto quasi di corsa, toglie gli occhiali da sole e si siede sulla panchina accanto a me dopo essersi sbottonato la giacca del vestito azzurro ghiaccio che indossa e che risalta molto la sua carnagione. Odora tanto di talco con un lieve sentore di tabacco e colonia costosa.
«Hai saputo?», esordisce.
Annuisco con un breve cenno della testa. Non so come rispondere, non posso ancora crederci. Appena uscita dall'ospedale, intorno a mezzogiorno, ho appreso la notizia che da tempo speravo di ottenere. Quattro lunghi anni hanno condotto a questo e per che cosa? Per quale assurda ragione? Ho moltissime teorie adesso, molte domande, molti dubbi. Per me non è stato un sollievo ma un altro orribile momento da superare.
«L'hanno individuata?»
Non conferma ma sembra fiducioso o forse non dice quello che ha scoperto per evitare una mia brusca reazione. In questi giorni mi sono sentita parecchio sotto pressione e ho trattenuto a stento i pianti, la rabbia e quelle risposte a tratti acide. Fa un breve cenno della testa prima di accendersi una sigaretta e fumare nervosamente. Aspira una boccata poi butta fuori il fumo voltandosi nella mia direzione. I suoi occhi sondano con attenzione ogni mia reazione ma ho smesso di agitarmi, ho smesso di essere come tutti si aspettano. Ho smesso di sperare. Ho smesso di farmi male. E quando smetti non torni indietro, non guardi verso il futuro, vai solo avanti di giorno e stringi il cuscino di notte sperando di trovare nei sogni un po' di pace. Purtroppo attualmente i miei sogni si trasformano in incubi e non ci sono cose belle all'orizzonte, solo attesa.
«Ci stanno lavorando. Non è poi così semplice come sembra. Una sola soffiata e potrebbe spostarsi altrove rendendo tutto più complicato. Posso sapere come stai?»
«In allerta.»
Non so come sto. Non voglio neanche saperlo. Ecco perché eludo la domanda.
Lascia cadere la cenere con un gesto delle dita dato contro il filtro della sigaretta. Inumidisce le labbra fissando davanti a sé. «Vuoi sapere come procederanno?»
«Hanno già un piano per scovarla?», domando a mia volta. Sto trattenendo la curiosità perché è solo dettata dalla rabbia e dalla delusione che provo nel sapere che la mia amica per tutti questi anni mi ha mentito, mi ha abbandonata.
«Si.»
«Allora no, non dirmelo. Non rovinarmi la sorpresa.»
Sorride seppur mesto. Come me sta soffrendo e ogni giorno che passa lo vedo sempre più sconfitto. Non so a cosa si sta aggrappando per farcela ma lo ammiro, mi piace il suo spirito, il suo atteggiamento nei confronti della vita. Mi piace come reagisce ai duri colpi inflitti dal destino e a quella assenza improvvisa da parte del suo amico che lotta per la vita.
«Non sei emozionata di rivedere la tua amica? Hai sofferto abbastanza e sentito fin troppo la sua mancanza, non vorresti riabbracciarla?»
«No. A quanto pare è furba e sa come nascondersi per anni da chi la cerca e soffre per la sua scomparsa che, a quanto pare, era finta. Avrà pure avuto le sue buone ragioni ma non voglio neanche sentirle perché è una sporca bugiarda. Sai, voglio smettere di credere a chiunque, di essere così buona da lasciarmi prendere in giro. Voglio smettere di avere pietà per chi non ha scrupoli nel pugnalarmi alle spalle o peggio: ad abbandonarmi.»
«Se è vero quello che hai detto su di lei, sai che chiederà di te...»
«Che lo faccia e che si accorga che ha fatto soffrire troppe persone per il suo stupido egoismo, per i suoi sogni. Soprattutto ha fatto soffrire la sua migliore amica, quella che c'era sempre, in particolare quando aveva bisogno e nessuno le stava accanto. Perché non dirmelo? L'ho coperta troppe volte, avrei potuto farlo anche adesso e non dannarmi la vita per lei, rovinarmela persino a causa delle cattive dicerie sul mio conto. E adesso? Non so come andranno le cose, so solo che uscirà tutto fuori e allora lei sarà spacciata e godrò nel vederla in ginocchio. Lo meritava sin dal principio, soprattutto adesso.»
A parlare non sono io ma il mio cuore pieno di enormi buchi causati dalla sua assenza, dalle sue bugie. Perché io ci ho creduto, ho creduto nella nostra amicizia e alla fine ecco come mi sono ridotta. Con un pugnale piantato alle spalle. E mi piacerebbe tornare indietro e negarle il mio bene, per potermi salvare dallo schifo che sento addosso.
Purtroppo le cose accadono. A volte accadono fatti per cui non è possibile ripercorrere i propri passi, tornare indietro. Per quanto si tenti di rimediare, non è possibile annullare o cancellare qualcosa che ha cambiato tutto, perché rimarrà sempre come una macchia dovuta ad una distrazione o ad un attimo di svista.
Ellen non mi ha solo ferita, mi ha anche usata a lungo e poi buttata come se niente fosse. Ed io non intendo più darle alcun potere.
Mi alzo dalla panchina più che turbata da tutta quanta questa storia. La verità è che sto parlando a vanvera. Non so che cosa pensare perché devo ancora risolvere troppe questioni, i troppi problemi che si accavallano. «Non lasciarti abbindolare da lei. Ellen Wood è come una macchia d'olio», dico freddamente. «Le tenterà tutte per convincervi e forse ci riuscirà anche a farla franca, proprio come ha sempre fatto.»
Issac ascolta con attenzione. «Non sarò di certo in prima fila a darle il benvenuto. Dopo avere visto quel video insieme a Nolan a confabulare ho capito che non ci si può fidare di lei. Farà la vittima ma uscirà presto il suo lato oscuro e forse sai anche tu come.»
«Si, ma non importa. Voglio solo la verità e voglio che venga punito chi ha quasi ucciso Hunter e attentato più volte alla mia vita. Persone così non meritano di stare in mezzo alla gente.»
Issac riflette un momento. «Nolan la pagherà. Ce ne stiamo già occupando, no? E comunque dimmi, stai pensando che dietro la microcamera ci fosse il suo zampino?»
«Nolan era estraneo alla cosa. Lo conosco abbastanza da potere metterci la mano sul fuoco su questo, ed era sincero in quel momento quando diceva che aveva solo mandato i fiori e il giornalista. Chi altro avrebbe voluto spiarci assoldando la stessa persona? L'altra domanda è: come ha fatto Ellen a sapere che Nolan stesse cercando di inviarmi quel dono? Sono d'accordo quei due o è solo una montatura da parte dell'uomo che mi vorrebbe tutta per sé? Potrebbe anche avere tenuto Ellen lontana da me con qualcosa di importante per lei. Non dimentichiamoci che la mia amica era facilmente corruttibile. Le bastava poco per perdere la testa. Ogni cosa sarà presto più chiara. In un modo o nell'altro sapremo la verità.»
Issac fa una smorfia. «Devo andare», dice quasi di corsa. «Devo controllare una cosa.»
Corrugo la fronte. «Che succede?»
«Te lo dico dopo. Adesso vado, fammi sapere come va in ospedale. Non buttarti troppo giù, vedrai che andrà bene.»
Lo guardo mentre cammina verso la sua auto. Poco prima però si volta ritornando a metà strada. «Lo so che ogni tanto la speranza ti illude e poi delude. Lo so che smetti di sperarci perché ti sembra di correre contro i mulini a vento o di dirigerti verso un posto che non conosci. Ma sei forte e in cuor tuo sai che arriverà il momento giusto, quello in cui tornerà a risplendere sul tuo viso il sorriso e il sole illuminerà ogni tua giornata rendendoti di nuovo felice. Quindi non arrenderti, non farlo proprio ora.»
Detto ciò si allontana ed io lo osservo andare via con una serie di domande dentro la testa e poco tempo a disposizione per parlare con qualcuno che riesca a mantenersi lucido anche quando non è il momento di esserlo.
Fisso l'ospedale alle mie spalle, la struttura enorme, pallida dalle finestre a specchio, il via vai di gente, ambulanze e auto che si fermano in fretta o a rilento nel parcheggio, la spiaggia in lontananza e poi ancora la strada, il traffico al tramonto che oggi ha il colore dello zucchero filato pieno di colorante rosa. Le luci che iniziano ad accendersi e le persone a rincasare, a tornare dai propri cari. E io? Che cosa faccio?
Abbasso gli occhi sulle mie mani in grembo prima di sfiorare gli anelli e poi affondare le mani tra i capelli. Mi viene da piangere e so di dovere essere forte e sicura di me per non crollare come uno stupido castello di sabbia costruito troppo vicino alla riva. Lo so. Ma è tutto un enorme casino.
Le cose si sono un po' complicate e ingarbugliate. Nolan è in carcere in isolamento con l'accusa, l'ennesima, per tentato omicidio. Ad aggravare la situazione: i miei racconti, le foto che facevo ai lividi, i video dei litigi che tenevo nascosti per poterli usare in caso di emergenza. Il procuratore che dopo avere visto i filmati ha deciso di riaprire il caso sulla scomparsa di Ellen. Grazie alle indagini incrociate si è scoperto che potrebbe essere ancora viva, ben nascosta con un'altra identità o tenuta prigioniera da qualche parte.
Ormai è questione di poche ore e tutto verrà a galla. Ci sono agenti davvero bravi nel loro lavoro che stanno facendo del loro meglio per potere incastrare al loro posto ogni tessera di questo enorme quadro.
Sfioro ancora l'anello ad occhi chiusi e alzandomi dalla panchina torno in ospedale, in quella stanza fredda, silenziosa e triste in cui sdraiato sul letto c'è mio marito.
Mi fa ancora un po' strano parlare di lui così, ammettere che è mio per sempre, anche se adesso il nostro rapporto si trova in bilico. Mi fa strano sentire addosso il peso della sua distanza causata da una brutta coltellata. Mi fa soffrire non potere vedere i suoi occhi addosso e sentirmi completamente visibile al mondo e non più trasparente come aria.
Saluto l'infermiera che, mi sorride un po' troppo a lungo mentre mi dirigo verso la stanza al secondo piano, quella che si trova proprio in fondo al corridoio. Ormai nel corso di questo lungo mese ho imparato quasi ogni angolo, ogni rumore e conosciuto ogni membro del personale.
Cammino con i piedi di piombo, il cuore martellante nel petto. Mi appresto a ricevere quella tipica e brutta sferzata di freddo sul cuore quando mi accorgo che niente è cambiato. Mi accingo ad avanzare piano, a darmi forza per superare qualche altra ora da passare parlando a vanvera ad una persona addormentata, forse per sempre.
Il pensiero mi terrorizza ed entro in punta di piedi lasciando scorrere la porta prima di voltarmi a rallentatore. Rimango spiazzata. Non so proprio come reagire e se avere una reazione. So solo che il mio cuore inizia a battere all'impazzata, più di prima, si fa sentire con prepotenza e poi con inarrestabile violenza. Il labbro trema e gli occhi mi si riempiono di lacrime quando mi accorgo che è sveglio. Hunter è qui davanti a me con i suoi occhi azzurri come il cielo, come il mare cristallino e incontaminato. Quegli occhi che avevo sperato di rivedere aperti e che adesso lo sono sul mondo, su di me.
Corruga la fronte mentre io non oso muovermi, non oso proseguire ma valutare attentamente il da farsi. Non sembra confuso, eppure non sorride, non mi guarda per come ha sempre fatto.
Il mio stomaco si contorce mentre il cuore rischia di collassare.
Che diavolo gli succede?
«Ti sei svegliato...», lascio uscire in un soffio le parole.
Lui non ha alcuna espressione. Mi fissa, mi scruta con attenzione ma non sorride ancora. Batte solo le palpebre. «Chi sei?»
Annaspo visibilmente colpita da questa sua domanda. Dagli occhi scivolano via le prime lacrime, le scrollo girando un po' il viso per non fare notare il dolore che sento. Non avevo pensato a questo. Non avevo previsto che lui potesse svegliarsi senza ricordi.
«Che ne hai fatto di mia moglie?», chiede ancora.
Singhiozzo così forte da fare sussultare persino me stessa. Tappo la bocca e quando mi sorride dando il via dentro di me ad una serie concentrata di fuochi d'artificio, corro da lui che apre le braccia continuando a sorridermi con dolcezza. Mi lancio letteralmente su di lui senza pensare, senza riflettere abbastanza su quello che potrei provocargli, sul male che potrei fargli.
«Stronzo!», piango come una bambina tra le sue forti braccia che adesso mi stringono a sé, riportandomi a casa, nel mio luogo preferito e sicuro. E non mi vergogno, semplicemente lascio andare via ogni giorno passato nell'angoscia.
Sollevo la testa e accarezzo il suo viso come se stessi sognando ad occhi aperti, mentre lui fa lo stesso con il mio abbassandosi, tenendo i suoi occhi meravigliosi chiusi. La punta del mio naso sfiora la sua e le nostre labbra in breve si toccano mandando scintille nel mio cuore afflitto da così tanto dolore da sussultare per il sollievo.
Preme le labbra sulle mie con una certa forza ed io ritrovo la pace, la serenità, il mio posto nel mondo, il mio cuore, la mia casa.
Con il pollice accarezza le mie labbra guardandole con bramosia ma non fa nessun gesto azzardato; si limita a premere il polpastrello trovando così un contatto con la mia pelle. «Ciao», sussurra con un sorriso tenero, una tono basso, profondo.
Singhiozzo e accarezzo ancora il suo viso più che incredula. «Ciao», rispondo con la voce spezzata dalle lacrime. Inumidisce le labbra e scuoto la testa.
Me le asciuga con delicata attenzione, come se potessi rompermi tra le sue braccia. «Sei proprio brutta quando piangi, Bestiolina. Ti prego, smettila.»
Mi sfugge un sorriso e tiro su con il naso circondandogli il collo con le braccia. «E tu non morire più davanti a me.»
Chiude gli occhi premendo la fronte sulla mia. Gonfia il petto inalando un gran quantitativo di aria. «No, non lo farò più. Te lo prometto. Morirò dentro di te, proprio come mio nonno con la sua amante.»
Scuoto la testa. «Non puoi sdrammatizzare in questo modo e proprio in un momento del genere. Sei un grandissimo bastardo!»
Sorride raggiante mostrando quei denti dritti sul davanti. «Sono un bastardo fortunato», replica cercando ancora le mie labbra.
Mi sono mancate. Sanno come lo zucchero dopo giorni di astinenza dai dolciumi. «Non farlo più. Ti prego...»
«Mai più», sussurra. «Adesso però Spiegami che diavolo è successo perché sto impazzendo, non ricordo molto e ogni cosa è confusa. Rimetti in ordine questo casino che ho dentro la testa.»
Mi preparo a spiegargli brevemente quello che è successo.
«Nolan è uscito su cauzione del carcere. Qualcuno ha pagato, ha usato tutti quei soldi per liberarlo. Issac mi aveva chiamato per dirmelo, erano giorni che cercava di contattarci per avvertirci ma noi eravamo distratti. Chissà per quanto tempo quel pazzo ci ha seguiti. Era alla festa e ne ha approfittato della mia lontananza per pugnalarti con un colpo preciso e sei morto davanti ai miei occhi. Non respiravi più, non ti muovevi. I medici temevano che i danni al tuo cervello sarebbero stati gravi qualora ti fossi svegliato perché sei rimasto senza ossigeno per troppo tempo. Io... io ho cercato di rianimarti ma non funzionava, tu non rispondevi e non riuscivo a riportarti indietro», le mie spalle vengono scosse dai singhiozzi e lui mi stringe il viso tenendolo fermo, tra le sue calde mani che ho atteso a lungo di sentire di nuovo addosso.
«Sei stata il mio ossigeno, Iris. Senza di te non sarei riuscito a tornare. La tua voce mi ha fatto restare. Ma adesso dimmi... da quanto sto qui dentro?»
«Quasi un mese.»
Spalanca gli occhi. «Così tanto?», il tono gli esce stridulo.
Dovrebbe guardare allo specchio per capire il cambiamento sul suo volto. I suoi capelli sono più lunghi così come la barba che gli dà tanto quel tocco selvaggio e dannatamente sensuale.
Mordo l'interno guancia. «È stato orribile», dico con voce spezzata. «Mi sei mancato, troppo. Ho avuto il terrore di perderti, di non vederti più.»
Mi abbraccia. «Non ti libererai così facilmente di me», mi sussurra sulla spalla. «Ho la scorza dura e a quanto pare anche tu. Ma in qualità di marito devo anche essere sincero e posso rimproverarti dicendoti che sei dimagrita tantissimo e non voglio toccare ossa in questi punti, ma carne da mordere», mi sfiora i fianchi. «Rivoglio la mia Iris in forze e non una ragazza pallida e preoccupata.»
Lo spingo. «È colpa tua se sono ridotta in questo stato, lurido stronzo!»
Ghigna e picchio il palmo contro il suo petto. «Tu non ti rendi conto che c'è chi ti ama, chi farebbe di tutto per te. Non te ne accorgi ma è così. Ci sono io ad esempio che non sopporterei l'idea o anche solo il pensiero di non poterti rivedere.»
Mi avvicina a sé. In qualche modo cerca un contatto come se da questo dipendesse la sua lucidità. Come se gli regalasse conforto la mia presenza.
«Me ne rendo conto», mormora senza smettere di guardarmi negli occhi. Mi fissa per troppo tempo scavandomi dentro un buco senza fine in cui vengo risucchiata e seppellita senza via d'uscita, senza scampo.
«Non volevo farti preoccupare. Non volevo creare così tanti pensieri. Mi dispiace, è stato un attimo di distrazione...»
Mi infurio. «Distrazione che ti sarebbe costata la vita. Mi dispiace ma non permetterò che questo accada di nuovo. Tu non puoi lasciarmi così. Tutto ma non così.»
Mi sfiora la guancia guardandomi ancora in quel modo, come se fossi bella, vistosa, rara. Come se fossi l'unica cosa di valore nel suo mondo. «Avvicinati», sussurra.
Rimango ferma, immobile e incapace di fare qualcosa. Sento solo una forte scossa che va a depositarsi sul basso ventre regalandomi un attimo di sollievo e di pace dovuto al suo sguardo.
Lui strizza una palpebra. «Fidati di me.»
Mi avvicino e lui fa lo stesso. Ci troviamo a metà strada ad un passo dall'amarci, ad un secondo dal distruggerci. «Ancora di più», mormora piano.
Sorrido. «Che hai in mente?»
Mi tira a sé con impeto e per poco non urlo. «Ti amo.»
Non riesco a contenere quello che sento. È una gioia enorme e distruttiva quella che mi spinge su di lui. Lui che ricambia con lo stesso impeto ogni mio gesto. «Ho capito che la vita è breve e che bisogna dire le cose prima che sia tardi.»
«Cosa te lo ha fatto capire?»
«Mio nonno. Credo di averlo sognato mentre ero in coma.»
Non so che cosa dire. «Come stava?»
La mia domanda sembra sorprenderlo. «Il solito bastardo. E non ci crederai ma a quanto pare ha visto quello che abbiamo fatto insieme... non so se hai capito che cosa intendo. Non era affatto scontento. Ah, abbiamo anche parlato del contratto e ho il sospetto che presto ne vedremo delle belle.»
Rido e lui si imbambola mentre nascondo il viso più che imbarazzata al pensiero che qualcuno possa avere visto tutto quello che abbiamo fatto, in particolare una persona morta. «Spero non abbia visto quello che abbiamo fatto in quel vicolo a Parigi.»
Ride pure lui e in breve ogni traccia di insicurezza e dolore si affievolisce. Mi sento meglio. Sono rinata adesso che so che è qui accanto a me, che è vigile e che ricorda ogni cosa.
«Lo spero anch'io, anche se mi ha fatto i complimenti. A quanto pare ho ereditato il suo pacchetto e non quello di mio padre. Come abbia fatto a saperlo non voglio neanche pensarci.»
Inspiro il suo profumo. «Mi sei mancato», sussurro nell'attimo di un lungo silenzio in cui entrambi ci aggrappiamo l'una all'altro senza mai smettere di toccarci, di trovare un contatto.
«Scusami se ho fatto tardi a tornare.»
Arrossisco. Lui sentiva tutto?
«Sei tornato, è quello che conta davvero.»
Mi accarezza la nuca stringendomi a sé. «Adesso ho voglia di tornare a casa, di mangiare una pizza e di guardare un film. A tutto il resto penseremo domani.»
Lo fermo quando prova ad alzarsi, proprio come aveva detto Issac. «Non puoi tornare adesso a casa. Sei appena uscito dal coma», provo a spiegargli ma testardo come sempre scosta la coperta alzandosi lo stesso.
Mordo il labbro per non ridere quando si stiracchia e il suo fondoschiena si rivela dal camice che gli hanno messo addosso e che si apre ampiamente sul retro ad ogni suo movimento. Se ne accorge e inarca un sopracciglio. «E poi sarei io il guardone? Hai della saliva proprio qui», dice avvicinandosi in fretta, sistemandosi tra le mie gambe e baciandomi.
Rido tra le sue labbra. «Ok, ok, frena gli ormoni!», lo allontano e scendo dal letto. «Vado a chiamare il dottore per vedere se puoi tornare a casa.»
Mi guarda contrariato. «Certo che posso. Sono Hunter Ford, ho una equipe medica personale in caso di bisogno e adesso voglio tornare a casa con mia moglie», si ferma posando una mano sull'addome, poco più sopra della ferita.
«Che c'è? Stai male?»
Drizza la schiena. «Hai detto qualcosa ai miei?»
«Quelli che sanno di noi si possono contare sulle dita di una mano. Io, tu, Nelson, Myrtle e ultimo non per ordine di importanza, Max.»
«Max?», spalanca gli occhi. «Il tuo Max? Quella pettegola?»
Lo colpisco alla spalla. «Mio fratello non dirà niente. Me lo ha promesso. Ma tu dovresti dirlo ad Issac.»
Prendo il telefono. «Chiama direttamente tu. Era in pensiero per te.»
Prende il telefono e sedendosi, in parte sentendosi stanco, pur non ammettendolo apertamente, chiama il suo amico.
«Sono io», morde il labbro e mi guarda poi sorride. «Si, sono tornato. Si, lo farò. Va bene. Si, ne ho tutte le intenzioni ma c'è una cosa che vogliamo dirti e so che ci resterai male ma lo abbiamo fatto di nascosto, spero potrai capire», ascolta e mi stringe la mano. Appoggio la testa sulla sua spalla ascoltando Issac che risponde.
«Io e Iris ci siamo sposati in Canada.»
Issac urla dapprima mandando a quel paese Hunter poi dalla gioia e infine ci chiede di aspettarlo o di fargli sapere se stiamo tornando a casa perché tra qualche ora ci raggiungerà.
Hunter lo informa che saremo a casa poi riaggancia e mi abbraccia mentre in camera entra una delle infermiere che si è presa cura di lui. «Vedo che si è già ripreso signor Ford», gli sorride.
Provo a farmi da parte ma lui non me lo permette, mi circonda con un braccio in maniera alquanto possessiva. «Come le avevo anticipato, vorrei tornare a casa. Non esiterò a chiamare se starò male o altro.»
«Le porterò i documenti da firmare per il rilascio anticipato. La informo che esulano l'ospedale da qualsiasi responsabilità qualora le succedesse qualcosa.»
«Perfetto.»
La donna se ne va scuotendo la testa, forse persino borbottando. Mi volto. «Avevi già parlato con lei e con i dottori?»
Annuisce. «Sono sveglio da qualche ora, ti stavo solo aspettando per tornare a casa.»
«Allora vestiti, nel frattempo chiamo tutti per informarli.»
«L'ho già fatto io. Ecco perché non sono ancora qua», risponde ad una mia domanda inespressa che stava già per arrivare.
Scuoto la testa. «Sei incredibile!»
Ghigna. «Sono organizzato. Non mi andava di stare con loro ma con te. Abbiamo un mese da recuperare.»
«Ci toccherà rimandare», replico appoggiandomi allo stipite del bagno mentre sciacqua il viso toccandosi i capelli e la barba con una strana espressione e si veste.
«Perché?»
«Perché c'è il processo di Nolan di cui mi sto occupando e la possibilità di trovare Ellen viva e di farci dire il perché delle sue azioni.»
Inarca lievemente un sopracciglio sentendosi un po' estraneo ai fatti. «Ellen?»
«Già, abbiamo il sospetto che sia stata lei a mandare quella microcamera.»
Si morde il labbro. «Cosa ve lo fa pensare?»
«Il fatto che uscita dalla festa si sia incontrata con Nolan. Quei due avevano qualcosa in mente. Forse sono complici.»
Hunter prende un po' d'aria. Riflette sulle mie parole poi passa la mano tra i capelli e infine solleva il borsone lasciato da Nelson che, sarà più che felice di vederlo.
«Otterremo presto delle risposte.»
Provo a non pensare al possibile fallimento e lo seguo dapprima verso il banco di accettazione dove firma tutti i documenti per esonerare l'ospedale e per il rilascio anticipato, poi fuori dove proprio Nelson ci attende con un ampio sorriso e un mazzo di fiori.
«Signore, è bello vedere che sta bene.»
Hunter lo abbraccia, prende i fiori e voltandosi me li porge. «Per ringraziarti, anche se è riduttivo», dice sfiorandomi la guancia con il palmo.
Mi emoziono, arrossisco e lo abbraccio con impeto facendolo tossire. Con il palmo aperto mi massaggia la schiena. «Sono qui, accanto a te. Non vado più da nessuna parte», mi sussurra.
Asciugo gli occhi. «Scusami, è solo bello vederti», sorrido. «E questi... sono meravigliosi.»
Nelson ci apre la portiera lasciandoci entrare in auto e ci conduce a casa mia dove Hunter si sistema subito sul letto con l'aria stanca.
«Dovevi restare in ospedale ancora qualche giorno e avere a disposizione un letto più comodo e degli infermieri preparati, ma non ascolti mai», dico contrariata sistemandogli i cuscini dietro la schiena.
Passa le dita sul dorso del naso. «Ho dormito abbastanza. Mi sono solo affaticato un po' ma starò bene anche qui.»
«Signore posso portarle qualcos'altro?», Nelson ci interrompe.
Guardo il tavolo pieno di buste della spesa poi Hunter che mi fa capire dove ho sbagliato. So che è arrabbiato. So che non sopporta quando non mangio o mi trascuro ma che cosa dovevo fare? Mi si è chiuso lo stomaco e non avevo proprio voglia di mangiare mentre lui stava lottando per la vita.
«No, tienimi aggiornato su ogni novità e saluta tutti da parte mia. Dì loro che ci vedremo presto.»
Nelson si congeda con un cenno del capo e rimaniamo soli. Mentre io sistemo la spesa nella credenza, lui avvicina sulle ginocchia il portatile, accende il suo telefono e indossa gli occhiali.
Mi sposto in bagno per una doccia calda e rigenerante. Ne ho proprio bisogno e rimango sotto il getto per un lungo tempo cercando di far scivolare via insieme all'acqua ogni sensazione provata nel corso di questo lungo mese.
Quando torno in camera lui è ancora lì. È presente. È tornato.
Mi guarda da sopra le lenti da capo a piedi. Mi stacco dalla soglia avanzando verso di lui e mi adagio sul materasso abbracciando il cuscino. Si abbassa posandomi un bacio sulla fronte.
E poi c'è lui, è sveglio. Adesso è sveglio. C'è lui e fa sembrare tutto questo più facile, meno triste, indelebile.
Ci vuole un certo quantitativo di coraggio a lasciarsi andare, a lasciarsi amare senza controllo. Un coraggio simile ad un atto di puro egoismo. La maggior parte delle persone non sa amare perché ha vissuto una storia che ha lasciato dentro una voragine e pertanto si diventa duri, distanti, diffidenti. Si ha paura di vivere un nuovo amore con un'altra persona, e ancora di più di aprirsi di nuovo come un fiore che sboccia solo di notte quando tutti dormono e la natura si diverte a maturare. Ma abbiamo tutti bisogno di provare amore, tenerezza, conforto. Abbiamo bisogno di innamorarci ancora, e di essere felici. Abbiamo bisogno di ricominciare a stare bene.
«Non andrai via e non sarai solo un sogno, vero?»
«No, piccola. Starò qui per tutto il tempo.»
«Bene», mugugno e lo guardo lavorare al computer senza più parlare, mentre le mie palpebre si abbassano appesantite. Adesso posso riposare.

♥️

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