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HUNTER

La vita è un caos. Non contano i progetti fatti, i sogni nascosti dentro un cassetto, le speranze avute e perdute, perché il pericolo è sempre dietro l'angolo. Tutto può cambiare in un attimo. Siamo esili come lo stelo di un fiore, reciso da un colpo di vento.
L'amore è una macchina complessa, un sentimento che raramente ti lascia senza un segno. Ma vale la pena rischiare. Vale la pena lottare per una persona che in un attimo diventa il tuo tutto in questo enorme niente che ti circonda e di cui fai parte ormai da una vita. L'amore ti regala emozioni ma sa anche strapparti via l'anima, farti soffrire, accoltellarti il cuore senza tregua. L'amore può fare paura ma può anche liberarti da tutti quei demoni che ti tormentano.
«Lei non sarà mai tua!»
È solo un sussurro. A seguire sento una fitta sotto l'addome. Dapprima guardo la figura che mi ha appena colpito poi i miei occhi si spostano verso la sala, su Iris che invece si è appena fermata come se avesse trovato un grosso ostacolo davanti. Il suo sorriso si trasforma in un qualcosa di doloroso da controllare e da potere sostenere, quando abbassando gli occhi comprendo la ragione del suo improvviso sgomento.
Una macchia rossa si sta allargando sulla maglietta bianca che indosso. Qualcosa non funziona in me perché il mio corpo improvvisamente sembra fatto di piombo e non realizzo in fretta quello che mi è appena accaduto. Non mi rendo conto di essere stato colpito fino a quando le mie gambe non cedono facendomi accasciare a terra dapprima in ginocchio, non riuscendo neanche più a respirare a causa del dolore che sento e che si dirama ovunque sul petto, poi al suolo completamente privo di peso.
Un urlo sovrasta la musica e lei mi raggiunge, preme forte la mano dove la pozza di sangue continua a sgorgare senza mai fermarsi, lasciandomi un freddo dentro indomabile.
«È tutto ok», balbetto adesso consapevole di ciò che è accaduto. Non posso però voltarmi e controllare che lui non sia qui perché non saprei come proteggerla.
Lei che non mi ascolta, che chiede aiuto disperata, che mi sussurra che andrà bene non si accorge del pericolo che sta correndo. Ma non importa. Io ho bisogno di dirle che l'amo prima che sia troppo tardi. Ho bisogno di dirle che, anche se a volte non andiamo d'accordo, non dimentico mai come mi fa sentire. Voglio dirle di non piangere, di essere forte, di non agitarsi così tanto, ma non ne ho la forza. All'improvviso sento come un colpo secco dentro, qualcosa che si squarcia, gli occhi si abbassano e cado nell'oscurità che sembra divorarmi in un istante mentre le orecchie fischiano così tanto da costringermi in un lasso di tempo apparentemente breve ad aprire di nuovo le palpebre di scatto. Boccheggio e mi agito toccandomi il petto, l'addome. Non c'è niente. Non c'è nessuna macchia di sangue sulla mia maglietta, nessun coltello piantato nella carne, nessun uomo accanto a pugnalarmi. E, quando mi guardo meglio, indosso un abito scuro. Sono vivo.
Mi guardo intorno cercando di capire che cosa mi sta succedendo. Sono sul pavimento della villa, il tappeto rosso deve avere attutito la mia caduta, altrimenti non si spiega. Ma come sono finito qui? Siamo venuti a casa perché ero ubriaco? Ho fatto uso di sostante o qualcuno mi ha versato qualcosa nel drink facendomi vedere cose che non esistono? Perché indosso questi indumenti?
«Finalmente! Ce ne hai messo di tempo!»
Trattengo il fiato e mi volto come un automa dopo avere sentito quella voce che riconoscerei tra tante. I miei occhi risalgono sui mocassini marroni che ho davanti, lungo i pantaloni gessati a coprire delle forme generose e rotondeggianti, fino a raggiungere un ventre prominente coperto da una camicia, da un gilet e una giacca di raffinata sartoria. Proseguo raggiungendo il collo dove vi è annodata una cravatta rossa e poi arrivo al viso, quello di mio nonno.
Notando il mio stupore, lo sbigottimento più totale, mi sorride raggiante.
Esito prima di alzarmi come una molla dal pavimento per raggiungerlo. «Sei un fantasma o cosa?», porto una mano sulla tempia mentre lui apre le braccia come se volesse essere abbracciato.
«Sono impazzito? Ho preso una forte botta alla nuca e ti sto vedendo? Cosa diavolo sta succedendo, sei una visione?»
Abbassa le braccia, si volta e avvicinandosi alla finestra, con le mani dietro la schiena, osserva fuori senza dire niente. È rilassato, calmo e a tratti anche divertito.
Mi avvicino più che incuriosito e, in parte anche frastornato. Intorno a noi c'è odore di colonia, la sua, di fiori di campo e sigaro.
«Che cosa ci fai qua?»
E me lo chiede pure? Mi prende in giro?
«Se lo sapessi non starei di certo qui. Dove siamo?»
Sorride scostando la tenda prima di guardarmi. «Lo sai, ma non riesci ad ammetterlo a te stesso.»
Corrugo la fronte. «Spiegami che ci fai qui, non sei morto? Sei una specie di fantasma o cosa?»
Nonno si sposta dentro lo studio, qui si siede dapprima sulla poltrona accendendosi un sigaro, poi va a riempire due bicchieri di scotch invecchiato e me ne porge uno facendomi cenno di sedermi accanto a lui sul divano. «Sono quello che vuoi. Ma tu sai dove ti trovi?»
Mi guardo intorno. «Direi a casa ma so di non esserlo davvero. A meno che... non dirmi che sono morto. Non dirmi che ho lasciato tutti e tutto così in fretta. Cazzo, avevo ancora un paio di cose in sospeso da fare.»
Ride allegramente bevendo un sorso di liquido ambrato prima di aspirare una boccata di fumo riempendo l'aria già satura dell'odore.
Non lo ammetterei mai apertamente ma mi è mancato. Mi è mancato vedere il suo viso, quei segni del tempo, sentire la sua voce, ascoltare le sue battute, vedere i suoi cambiamenti d'umore. Mi è mancato vederlo in azione, ubriaco, allegro e spensierato. Mi è mancato sentire i suoi consigli, quelli che custodirò per sempre perché sono e saranno preziosi per il futuro; sempre se ce ne sarà uno.
«No, non sei ancora morto. Hai la pellaccia dura, proprio come il sottoscritto», replica indicandosi più che compiaciuto.
Inarco un sopracciglio guardandolo più che scettico. «Non hai fatto una bella fine.»
Riflette sulle mie parole forse rendendosi conto che ho ragione e fa una smorfia di disappunto. «Esatto, ma ero vecchio e le mie coronarie non hanno funzionato come avrebbero dovuto. Le tue invece sono in salute e hai ancora tante cose da fare, proprio come hai detto.»
«Ad esempio seguire alla lettera i tuoi piani diabolici per il mio futuro? A proposito, non ti perdonerò mai per questo, sappilo.»
Posa il bicchiere e il sigaro unendo le mani in grembo. Un gesto che mi fa pensare alle volte in cui lo vedevo affrontare questioni importanti proprio con quell'espressione seria e quella posa per lui innaturale.
«Credi che mi sia divertito a scrivere quel dannato testamento anziché andarmi a divertire? Se ti ho fatto dono di tutti i miei averi, seppur a certe condizioni, è perché sei sempre stato il mio preferito, il figlio che non ho avuto ma che Dio, e lo ringrazio per questo, mi ha mandato come erede, come nipote. Tuo padre è sempre stato uno smidollato e tua madre troppo buona. Mi serviva qualcuno con il fiuto per gli affari, qualcuno in grado di gestire con la calma e la forza di un serpente ogni questione. Mi serviva qualcuno che non voleva le mie cose ma che al contempo sapesse come prendersene cura.»
Sono strabiliato dalla sua calma, dalla sua compostezza e da queste sue parole che mi attraversano il cuore facendomi sentire il suo affetto nascosto dietro gesti freddi e misurati. «Potevi anche non farlo, viste tutte quelle clausole che hai usato. Fidanzarmi con una sconosciuta, essere seguito ovunque da guardie inesperte, le riviste, le interviste, il matrimonio per avere tutto il resto...»
Si alza e arrancando raggiunge il centro della stanza con aria solenne. «Era per sicurezza. Non volevo di certo che il mio unico nipote preferito sperperasse così in fretta i miei averi. Dovevo preservare qualcosa alla generazione futura, in modo tale che si potesse tramandare. Ed è quello che farai, vero?»
Passo una mano tra i capelli. «Esattamente... perché sono qui? Non credo di essere finito in questo posto solo per ascoltare queste stronzate. Non è proprio da te fare il sentimentale o farmi la paternale.»
Ride con quel timbro graffiante. «Di te amo proprio questo, ragazzo mio. Sei sempre stato diretto, privo di senso della disciplina e incline ai problemi. Sei sempre stato una testa calda ma ti sei fatto valere. Hai fatto strada. Ero anch'io così da giovane poi mi sono sposato con quella donna buona che me le ha fatte passare tutte lisce ed ecco come sono morto», gesticola scuotendo la testa.
«Sei morto mentre te la spassavi con un'altra donna, nonno. Sei morto con il culo al vento e l'uccello dentro una donna. Non una morte onorevole per certi aspetti ma l'ideale per uno come te.»
Sorride avviandosi alla porta. Lo seguo fuori quando mi fa cenno di non indugiare. La luce acceca le mie iridi sensibili ma mi adatto velocemente e cammino accanto a lui verso il labirinto.
Non fa caldo ma c'è una bellissima e piacevole temperatura. Se mi fermo ad osservare posso persino sentire gli uccelli cinguettare.
«Già, e tua nonna non meritava questo. Non sai quante stronzate continuo a sentire da qui sul mio conto. Alcune sono a dir poco imbarazzanti. Ah, mi è piaciuto il tuo discorso. Divertente vedere come quella santa donna sia quasi svenuta e la gente lì ad assistere e poi a bisbigliare.»
«Non sei all'inferno?»
Alza una spalla. «Penso che la mia punizione sia questa, stare qui da solo. Ma tu non lo sarai.»
Penso immediatamente ad Iris e nonno, come se potesse leggere nei miei pensieri, annuisce. «Mi piace quella ragazza. Non è come tua nonna, non è accondiscendente e non accetta ogni cosa. Sa tenerti testa, sa come contrattaccare, sa controbattere e ti protegge, soprattutto ti ama.»
Fischio. «Però, hai visto proprio tutto da qui eh?»
Ride divertito poi scuote la testa arricciando un po' il naso prima di guardarsi intorno tenendo le mani dietro la schiena. «Diciamo che non mi annoio di certo in questo posto. Non ci sarà la tv via cavo ma c'è qualcosa di diverso. Tranquillo, vi ho lasciato un po' di privacy, anche se buon sangue non mente», ammicca mollandomi una gomitata e una pacca sulla spalla. «Sei dotato come il nonno!»
Arrossisco. Sento proprio le guance prendermi fuoco. «Non capisco ancora perché siamo qui», cambio argomento evitando di pensare a lui impegnato a guardarci mentre io e Iris facevamo tutto tranne che parlare.
«Davvero non ci arrivi?»
Nego. «No. Sono bloccato o cosa?»
Nonno cammina lentamente con la sua tipica andatura. Oscilla da una parte all'altra con quel sorrisetto beffardo da prendere a schiaffi, un dettaglio che ho ereditato proprio da lui. Adesso capisco quello che devono avere visto in tutti questi anni le persone. Comprendo la sensazione di fastidio che provoca.
«Non sono la versione più giovane di te», dico in fretta.
Mi stringe una spalla. «No, non lo sei. Sei migliore di me e io sono davvero orgoglioso dell'uomo che stai diventando. Non sei lo stronzo che vuoi fare credere a tutti. Certo, a volte ti sei comportato da gran bastardo, ma alla fine hai sempre rimediato a modo tuo e sono sicuro che lo farai ancora.»
Massaggio il mento, le guance. «Ti sei pentito di quello che hai fatto?»
«No, neanche per un secondo o una sola volta. So che nelle tue mani i miei non saranno ricordi sbiaditi o dimenticati. So che ti prenderai cura della villa, della famiglia e so che sarai sempre il mio più grande orgoglio. Questo non dimenticarlo mai.»
«Perché hai inserito altre clausole illudendo i miei genitori?»
Si concede un'altra risatina. Neanche la morte può fermare il suo caratteraccio. Vecchio bastardo!
«Perché sarà divertente vederli uscire dalla villa quando glielo dirai. A proposito, perché non l'hai ancora fatto?»
Ci pensò su un momento. «Perché con Iris abbiamo deciso di dirlo a tutti quando saranno terminati questi sei mesi. Sempre se il nostro rapporto riuscirà a sopravvivere.»
«Andranno fuori di testa quei cazzo di avvoltoi. Soprattutto tuo padre. Voglio proprio vedere quando gli dirai che è tutto tuo per diritto e che a loro non spetta niente ma hai fatto la carità.»
Scuoto la testa sentendomi sul punto di rispondere d'impulso. Ma con lui perderei in partenza. «Sai che non gli toglierò mai niente, perché continui a stuzzicarmi in questo modo? Che altro mi hai nascosto?»
Ghigna sotto i baffi in modo perfido. «Perché ti sei sposato e i patti sono patti. Con o senza il tuo volere, è tutto tuo. Puoi farne quello che vuoi, vero, ma sei e sarai sempre tu il proprietario legittimo di ogni cosa.»
Guardo l'orizzonte. Qui il tempo è strano. C'è una sorta di calotta, una nebbiolina che avvolge tutto e una pace inquietante. La mia mente sta proprio giocando strani scherzi.
«Hai amato la nonna?»
«Tanto, ma avevo bisogno di altro. Non volevo sposarmi e vivere infelice ma ho fatto quello che andava fatto per la famiglia. Mi sono sposato, ho procreato e poi giovane e stanco ho iniziato a cercare altrove l'avventura, la mia felicità. Perché questa domanda?»
«Credi che farò lo stesso? Che sarò un marito orribile?»
Tossicchia guardandomi offeso. «Sono stato un buon marito per tua nonna, nonostante le scappatelle e i tradimenti. Tu lo sarai ancora di più perché hai accanto una donna meravigliosa che non ti renderà mai infelice. Quindi sta attento a non ferirla perché mi piace come ti fa impazzire.»
«Avevi detto che non avevi sbirciato», mi lamento con un verso di disgusto se penso a mio nonno impegnato ad osservarci.
«Forse avevo bisogno di vedere come procedevano le cose e per errore mi è caduto l'occhio lì...»
Emetto ancora un verso di disgusto. «Ok, non sei solo un guardone, nonno.»
Mi circonda la schiena con un braccio. «Adesso torna da lei.»
Esito. «Tu qui stai bene?»
«Si, mai stato meglio. Ho quello che mi serve.»
Mordo il labbro mentre mi porta di nuovo dentro casa. «Sei migliore di quanto pensi, Hunter. Stai facendo la cosa giusta. Adesso torna da lei e proteggila. Non è ancora finita.»
«Ci rivedremo?»
«Quando avrai bisogno di me e ne dubito visto che sei un uomo meraviglioso, io sarò proprio qui», dice toccandomi il cuore. «Ricorda quello che ti ho insegnato ragazzo e non farmi fare brutta figura.»
Sorrido. «Va bene. Tu non segarti troppo!»
Mi spinge. «Vattene! Mi stai già rompendo le palle!»
Rido e quando varco la soglia di casa, una luce accecante mi investe. Paro gli occhi con la mano ma è così pesante da non riuscire ad alzarla.
Che mi succede?
Un fischio continuo alle orecchie mi investe prima della quiete e alle narici mi arriva subito un odore di disinfettante misto a quello tenue del miele. Lo riconosco. Quell'odore fa parte della mia vita. Lo associo in fretta alla donna della mia esistenza.
«Sono qui. Non so quanto e in quale misura tu riesci a sentirmi ma i medici hanno detto di fare in questo modo ed io... ci sto provando per la prima volta a parlarti. Sono stata egoista, lo so. Mi sono preoccupata più del mio dolore che del tuo. Vederti morire davanti ai miei occhi è stato orribile, una delle esperienze più brutte e dure della mia vita. Non dimenticherò niente di tutto questo, rimarrà sempre un orribile incubo senza fine. Ma non riesco a perdonarmi perché non sono riuscita a dirti che mi dispiace per quello che è accaduto. Non sono riuscita a sentire le tue parole perché ero nel panico. Non sono riuscita ad essere coraggiosa perché non mi aspettavo di perderti in questo modo. Non mi aspettavo che mi avresti lasciata così facilmente», prende un po' d'aria.
Iris sta parlando in fretta e con un tono di voce arrochito, basso.
Provo ad aprire la bocca ma il mio corpo è fermo, immobile. Solo la mia mente è vigile, attenta.
Cazzo!
Non voglio sentirla così triste, non voglio che sia così carica di dolore da commettere qualche follia.
«Io non ti ho lasciata», urlo dentro di me. Mi agito e sento un rumore simile a quello di un macchinario che va in tilt.
Qualcosa non va in me. Ho bisogno di svegliarmi, di abbracciarla, di rassicurarla.
«Che sta succedendo?», domanda con voce carica di preoccupazione. Si allontana da me perché la sua fragranza scompare. «Dottore?», urla.
«Signorina deve uscire un attimo dalla stanza, il signor Ford sta avendo una crisi e dobbiamo sedarlo prima che le cose si complichino ulteriormente per lui.»
No, non allontanatela da me. Sto avendo una crisi di nervi perché non posso svegliarmi, tutto qua, ma sto bene.
Sento come una serie di mani addosso poi qualcosa pizzicarmi il braccio ed entrarmi in circolo alla velocità della luce. I miei muscoli si rilassano all'istante e mentre il mio corpo si affloscia, la mia mente rimane concentrata.
«Adesso può entrare, signorina Harrison. Il peggio è passato.»
«Che cosa è successo?»
«Una crisi passeggera dovuta all'alterazione del battito. È la prima volta che succede al signor Ford. Stiamo facendo le dovute analisi ma sembra essere stata solo una crisi passeggera. Torni pure a parlare con lui. Lo aiuterà a svegliarsi.»
«Ok, grazie.»
Sento il rumore della porta che scorre e si chiude. I suoi passi lenti, delicati sul pavimento, la sua piccola mole che prende posto probabilmente su una sedia scomoda e poi la sua mano fredda sulla mia guancia. Con il polpastrello raccoglie qualcosa dal mio viso intorpidito. «Spero siano lacrime di gioia le tue.»
C'è una sorta di anomalia. Un suono che si connette e segue il ritmo del mio cuore.
Iris singhiozza. «È la prima reazione vera che stai avendo dopo settimane. Quindi scusa se mi sto emozionando e se sembro una stupida emotiva.»
Settimane? Cerco di aprire gli occhi ma non funziona. Sono bloccato in questo limbo per una ragione a me sconosciuta.
«Scusami se non sono riuscita a restare qui. Io... io non ce la facevo. Io non ci riesco, Hunter. Tu mi manchi. Sembrerà assurdo da dire ma mi manchi nelle piccole e nelle grandi cose. Non avrei mai immaginato che qualcuno potesse insinuarsi così tanto e così a fondo nella vita di una persona ma tu lo hai fatto nella mia. Tu mi hai sfiorato il cuore, me lo hai rubato e te lo sei tenuto stretto, ed io mi sono ritrovata sola ad affrontare quello che avevo temuto.»
Perché mi parla in questo modo? Che cosa sta succedendo? È così grave lo stato in cui mi trovo?
«Sta passando così tanto tempo da avere il terrore di non potere rivedere più i tuoi bellissimi occhi puntati addosso o rivolti a qualcosa. E stanno succedendo così tante cose da avere sempre più consapevolezza di averti perso. Ma c'è una parte di me che non accetta e non accetterà mai una cosa così brutta, un distacco così forte. C'è una parte di me che vuole rivederti e abbracciarti e... non lasciarti più andare. Perché è questo quello che avrei dovuto fare da tempo: non lasciarti.»
Però... ce ne hai messo di tempo. Sorrido e ancora una volta sento scivolare dagli occhi qualcosa mentre la sua mano sulla mia guancia continua ad accarezzarmi e con l'altra a tenermi in una lieve stretta la mia mano.
«Quindi prenditi tutto il tempo che ti serve, io ti aspetto.»
Nel suo 'ti aspetto', si nasconde la paura e la flebile speranza che nasconde per continuare a difendersi dal dolore. E vale più di ogni altra parola che potrebbe dire in questo momento. Perché lei è qui. È qui accanto a me e non importa se non si è sentita coraggiosa abbastanza da reggere il peso di una nuova sofferenza. Importa solo che è qui. La mia piccola stella in questo cielo buio e tenebroso, in questo silenzio assordante.
Sospira. «Torna da me», sussurra. «Torna che mi manchi. Mi manca il fatto che anche se siamo in mezzo a tanta gente i tuoi occhi sono puntati soltanto su di me. Tu mi guardi come se non ci fosse più niente intorno a noi. Mi vedi come se fossi qualcosa di unico. E un po' mi ci fai sentire rara. Torna da me, perché abbiamo ancora tante cose da fare insieme. Soprattutto dobbiamo distruggere chi ti ha fatto tutto questo. Dobbiamo anche dire ai nostri genitori che ci siamo sposati. Dobbiamo trovare una casa...»
Corrugo la fronte. Che cosa ha scoperto?
Ho i ricordi offuscati e non riesco proprio a ricordare niente.
«Io e Issac abbiamo trovato un video che vi scagiona tutti e incrimina una sola persona. Adesso inizierà un processo e forse il caso di Ellen verrà revisionato e poi archiviato se non si troverà il suo corpo o lei ancora viva. Si arriverà ad una sentenza prima o poi, ma io ho bisogno di te accanto per potercela fare, per potere reggere il peso di quello che verrà.»
La sua mano sulla mia, le sue dita a sfiorare lento il dorso. Vorrei potere ricambiare la stretta. Ci provo e non ci riesco. Allora ci riprovo e non demordo. Deve sentire che sono ancora qui, che ci sono.
Non siamo mai pronti a lasciare andare le cose, tantomeno le persone che ci fanno sentire ad un passo dalla felicità. Non sono pronto a rinunciare a lei, a questo noi che abbiamo creato in questi mesi così frenetici e unici. Ogni emozione, sensazione, nuovo battito, tutto si è trasformato in qualcosa di forte. Non sono pronto a lasciare andare tutto questo. Non voglio perdere la ragione del mio sorriso proprio perché il mondo o qualcuno sta tentando di ostacolarci e dividerci. Se mai dovessi svegliarmi da questo incubo ad occhi aperti, non sarei più così tanto codardo. Lo direi a tutti che questa è la mia vita, che questa è la mia storia e che nessuno può decidere per me, per noi. Lei è il mio tutto, il mio raggio di sole, la mia speranza. È quel pezzo mancante che si incastra alla perfezione nel mio cuore. Non voglio nient'altro che lei. Perché perderla sarebbe come perdermi. E lei deve sapere che non intendo rinunciare a noi.
La sento singhiozzare, tirare su con il naso. «Ti prego rifallo. Se riesci a sentire la mia voce, fallo di nuovo.»
Preme le labbra sulla mia fronte ed io provo ancora una volta a stringerle la mano, farle capire che non sono ancora morto. Inspira di scatto poi sento le sue lacrime rigarmi il viso. «Ti amo», sussurra.
Una piacevole sensazione mi si insinua sotto pelle attraversandomi e penetrandomi le ossa.
Sentire i suoi singhiozzi mi fa stringere le viscere e mi consuma il cuore. Sono solo dispiaciuto di non potere aprire ancora gli occhi. Anche se mi muovo però sento di essere stanco e non riesco più a fare niente, solo a percepire il mondo come se fossi chiuso dentro una bolla.
Forse mi allontano per qualche istante perché è come se avessero appena spento di nuovo quella lieve luce.

«Progressi oggi? Tieni, ti ho portato qualcosa da mangiare.»
«Grazie. Mi ha stretto la mano e ha pianto ma non so se considerare quest'ultima reazione come un qualcosa di positivo o di negativo.»
«Davvero?»
La voce di Issac mi arriva come una lieve brezza estiva. Chiara, cristallina, con una nota piena di sorpresa ma anche di stanchezza.
«Si. Prima però ha avuto una crisi. Mi sono spaventata a morte.»
Sento il rumore della carta stagnola, quello di una sedia che viene spostata. «Il nostro piccolo di casa sta lottando per restare.»
«Pensi che si arrenderà?», mugugna Iris.
Perché ha questo dubbio? Io non voglio arrendermi. Non posso farlo. Ho ancora tanto da fare e voglio stare insieme a lei.
«Conoscendolo ti risponderebbe: 'col cazzo che mi arrendo'. Hunter è forte. Ha superato cose ben peggiori.»
«Dici sul serio?»
«Una volta abbiamo mangiato dei funghi allucinogeni e non immagini quello che è successo. Siamo anche finiti per giorni in ospedale per avvelenamento da cibo e tante altre cose che a raccontarle neanche ci si crede. Ha la pelle dura, vedrai che prima o poi aprirà gli occhi e come se niente fosse si alzerà e pretenderà di andare via.»
Iris ride ma è un suono spento, attutito dalla voce roca, bassa e triste.
E mi viene da chiederle: sai che cos'è davvero un sorriso? È un muro che si sgretola ai piedi della persona che lo ha creato. È un buco dalla quale inizia a filtrare la luce. È sabbia che scorre dentro una clessidra fino a fermare il tempo.
Il suo sorriso è il dolore che si scioglie per un istante alleggerendo quel peso che si porta dietro. Lei è come un fiore maltrattato dal vento. Una piccola anima resistente alla brutale forza devastante del destino che continua a trascinarla verso il buio dove l'unica luce presente è solo dentro di lei.
«Spero lo faccia presto.»
«Da quanto non dormi? Sono preoccupato per te. Prima o poi crollerai e così facendo non fai di certo del bene al tuo corpo.»
«Un paio d'ore. Posso farcela.»
«Voi due siete proprio identici. Quando c'è qualcosa che non va non dormite, non riposate, non mangiate. Incredibile!», esclama Issac con esasperazione. «Almeno finisci di mangiare quello che ti ho portato», aggiunge irrigidito.
«Come procede?», domanda subito lei per cambiare discorso.
«Sapere la verità non è sempre un bene ma ci stiamo lavorando e stiamo per avvicinarci sempre di più alla risoluzione. Il caso è stato riaperto e ogni agente è già al lavoro. Stanno setacciando ogni posto, controllando il traffico del denaro di Ruiz e poi si occuperanno delle ricerche vere e proprie. Se è viva, la scoveranno.»
Iris non risponde subito. Pensa a qualcosa mentre io sono confuso. Che cosa sta succedendo? Che cosa c'entra Ellen?
«Viva o morta voglio vederla.»
Issac annuisce con un breve verso. «E se è viva?»
«Voglio delle spiegazioni.»
«E poi?»
«Poi voglio che tutto torni come era prima. Non come era quattro anni fa, ma come era quando Hunter era ancora qui.»
Ma io ci sono, piccola. Provo a muovere le dita per chiuderle a pugno e sento il mio amico aspirare aria di scatto. «L'hai visto?», dice con un tono stridulo, stenta a trattenere la felicità. «Dio, questo sì che è un buon segno.»
«Non gioirò fino a quando non aprirà gli occhi», risponde prontamente lei che nel frattempo ha smesso di mangiare.
Se mai dovessi svegliarmi la obbligherò a smettere di punirsi. Perché Iris è così, si punisce anche quando le colpe non sono le sue.
Seguono dei rumori in camera. «Adesso devo andare. Se succede qualcosa o hai bisogno non esitare a chiamare. Ti farò sapere qualcosa sul caso quando avrò notizie.»
«Issac?»
«Si?»
«Grazie.»
«Quando quel coglione si sveglia digli che mi deve una vacanza. E per la cronaca lo faccio perché ti voglio bene.»
Sorrido dentro di me. Issac in fondo è sempre stato sentimentale. Il fatto che si stia prendendo cura di Iris va ad alleggerire un po' della mia preoccupazione iniziale. Lei non è sola. Ha il mio amico, ha i suoi fratelli, la sua famiglia, la mia. Lei ha me.
«Lo farò.»
Dopo una manciata di istanti, sento il tocco delicato di Iris sul viso e mi rilasso. Mi accarezza lentamente, piano e con cautela. «Abbiamo molte cose da fare insieme», sussurra. «Sto aspettando per tornare a sorridere. Da quando sei distante mi sono resa conto che sei tu ad innescare quel meccanismo di gioia dentro di me. Mi hai fatto prendere questo vizio e adesso me lo hai tolto ingiustamente. Sei uno stupido!»
Stringe la mano a pugno sul mio petto. Vorrei tanto liberarla da questo peso ma non so proprio come fare. Le mie palpebre continuano a non sollevarsi ed io navigo nel buio lasciandomi circondare dal suono piacevole della sua voce e dai rumori esterni che ci circondano.
Io lo prometto. Un giorno riuscirò a farle dimenticare tutto il male che le hanno fatto, tutto il male che lei continua a farsi. Un giorno riuscirò a farla sentire felice, a farle dimenticare tutto il dolore che sta provando come un dardo nel petto. E l'abbraccerò forte, la stringerò, la legherò se sarà necessario e così tanto da non lasciarla più andare via. L'abbraccerò, la bacerò e ogni traccia di dolore si dissolverà.
Mi sfiora il naso con il polpastrello. «Non ti ho mai detto che sei bello per me. E non l'ho mai fatto per non lasciarmi abbagliare da quel ghigno provocante che poi fai quando sei soddisfatto di qualcosa. Non mi sono mai tirata indietro, eppure con te è diverso. È tutto diverso e complicato ma maledettamente semplice», le si spezza la voce. Le sue labbra si posano sulla mia fronte ancora una volta. «Sbrigati a svegliarti perché ci stiamo perdendo i nostri primi momenti da sposati.»
Segue un lungo silenzio.
«Abbiamo ancora un inizio da scrivere io e te.»
Ha ragione. Bisogna sempre partire dall'inizio, farlo ogni giorno come se fosse l'ultimo. Bisogna dirsi ti amo quando se ne ha l'occasione, quando si sente il bisogno. Bisogna urlarsi addosso l'odio per poi fare l'amore, farlo piano, senza fretta. Bisogna perdersi, dirsi addio e poi incontrarsi di nuovo, cercarsi tra la folla e ripartire da lì, da quei tre puntini di sospensione. Bisogna viversi come due estranei, come due che per caso decidono di stare insieme perché quello che lì lega è più forte di quello che tenta di dividerli, come la diversità, le idee, la vita. Bisogna ricominciare, allontanare il dolore e amarsi.
Io non so descrivere l'amore, non so parlarne. So solo che dentro di me ce n'è così tanto da scoppiarmi nel petto. C'è tanto sentimento, tanta speranza, tanta di quella felicità da non essere contenuta. Io non so spiegare l'amore. Può essere chimica, attrazione, brividi, risate tutto, ma so solo che per me è la voglia di vivere assieme una storia superando i massi che la vita ti manda addosso. Per me l'amore è lei che mi aspetta. Lei che resta.
Ancora una volta il mio mondo si inclina ed è come se fossi appena caduto in acqua perché non sento più niente.
Un bip continuo, un ronzio fastidioso, lo scorrere continuo di una porta e poi ancora dei passi, delle voci, dei suoni provenienti dalla strada, una sirena...
Apro gli occhi cercando di capire dove mi trovo, che cosa diavolo mi è successo. La luce al neon mi acceca. La testa mi pulsa e ogni suono generato dal mio battito che viene trasmesso sull'elettrocardiogramma mi fa ancora più male. Ringhio nervoso e strappo il tubicino dal naso provocando un altro fastidioso allarme da parte di un altro macchinario infernale.
Dalla porta entra qualcuno a passo spedito forse per controllare la situazione. Una donna minuta, i capelli con fili grigi raccolti in una coda piena di piccole trecce, la pelle color ebano, gli occhi felini di un colore scuro, con una cartella in mano avanza e vedendomi sveglio mi sorride come se mi conoscesse.
«Bentornato, signor Ford!»

♥️

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