39
IRIS
Prima o poi arriva quel momento, in cui ti siedi davanti una finestra con l'alba a lanciare lucidi spiragli di luce sulla neve e ti guardi indietro, in quei ricordi, in quei momenti vissuti, chiedendoti se ci sono cose che hai voluto veramente o semplicemente ne hai accettate altre per non entrare nella solita spirale di problemi, pensieri e paranoie in grado di distruggere il presente. Siamo responsabili dei nostri fallimenti, della nostra infelicità. Lo sappiamo, eppure non riusciamo ad accettarlo. Non riusciamo a perdonarci per tutto quello che abbiamo lasciato per paura, per tutto quello non abbiamo saputo abbracciare per testardaggine, per orgoglio. Come fai a perdonarti quando sai di avere perso treni, voli e occasioni. Come fai a perdonarti quando hai rinunciato per tanto troppo tempo fino ad abituarti a perdere tutto, persino te stessa. Come fai a perdonarti se non sai vivere perché continui a sopravvivere?
Soffio sul liquido caldo riscaldandomi le mani tenute salde sulla tazza bianca dalla forma irregolare con l'interno nero. Me ne sto seduta sullo sgabello girevole posto davanti all'isola della bellissima cucina nella quale mi trovo; oscillo tenendo le dita dei piedi nudi sul pavimento in cotto tendente al rosso. Indosso una felpa abbastanza lunga e larga che ho rubato tra gli indumenti dentro l'armadio di Hunter. Mi tiene al caldo insieme al suo profumo misto a quello dell'ammorbidente mentre osservo le prime luci del mattino in questo posto fantastico, coperto dal freddo manto bianco e dai colori che sono prevalentemente il verde, il marrone e bianco neve che si trova compatta sopra ogni cosa. In lontananza il fumo che esce dai comignoli delle case.
Bevo un sorso di cioccolata calda, lecco le labbra e mi volto. Per poco non mi rovescio tutto addosso e non mi sbrodolo. Perché devo diventare così imbranata quando lui si trova anche solo a pochi passi da me? Perché devo amarlo così tanto?
Prima io non ero così dipendente e assuefatta dall'amore. Non ero così melensa e in cerca di attenzioni e affetto. Non mi lasciavo abbindolare tanto facilmente. Da quando lo conosco invece mi sento come una bambina sul punto di sbagliare e beccarsi una sgridata. Ma l'unica cosa ad urlare in questo momento è il mio cuore. Forse me lo merito un po' di amore. Ancora non l'ho capito con certezza quanto altro mi toccherà superare per poter finalmente stare bene ma ci sto provando ad andare avanti.
I miei occhi scorrono lungo quel corpo sinuoso che urla "pericolo!". Braccia e gambe incrociate con il pollice a sfiorargli le labbra. La lieve barba sul viso concentrato, attento ad ogni mio movimento, piccoli segni ad increspare le palpebre che racchiudono come uno scrigno i suoi occhi azzurri accesi. I capelli scompigliati, scuri con qualche sfumatura più chiara. Infine i miei occhi scivolano lascivi sul suo petto nudo, raggiungono la V sotto l'ombelico, ammirano ogni linea della vita fasciata dai boxer neri. Non sente freddo?
Qualcuno potrebbe entrare e vederlo, divorarlo con lo guardo o sbavargli dietro. Il pensiero mi coglie alla sprovvista e con una fitta di gelosia mordo l'interno di una guancia.
Nessuno dei due si muove per raggiungere l'altro. Bevo un lungo sorso fingendomi indifferente e lui, staccandosi dallo stipite alla quale è appoggiato gira intorno all'isola versandosi una tazza abbondante di caffè amaro. Apre il cassetto, qualche anta controllandone il contenuto e infine posa sul ripiano una confezione di latta piena di biscotti dall'aspetto invitante. Prendo subito quelli con le gocce di cioccolato e lo zucchero sopra e continuo a guardare fuori dove il sole si sta alzando raggiungendo una metà del cielo azzurro intenso.
Si appoggia con i gomiti sul ripiano inzuppando un biscotto nel caffè prima di divorarne uno dietro l'altro come se fosse nervoso. Non si preoccupa di dover poi bere i rimasugli, una cosa che un po' odio.
Ancora non ha detto niente, non mi ha salutata e non si è avvicinato. Qualcosa non va in lui. Questa notte abbiamo dormito come due ghiri, abbracciati. Dopo essere usciti dalla vasca eravamo troppo stanchi per parlare o altro e ci siamo addormentati in una stanza che non ho ancora avuto modo di osservare attentamente ma che farò più tardi.
A volte non contano le parole ma in questo momento sento il bisogno di capire che cosa lo turba o sapere qualcosa di stupido come ad esempio se ha dormito bene; insomma qualsiasi cosa da parte sua andrà bene. Mi avvicino a lui avvolgendo con le braccia il suo busto. È sempre così caldo.
«Ciao», saluto abbozzando un sorriso.
Si appoggia all'angolo. «Ciao», caccia in bocca un biscotto bevendo gli ultimi sorsi di caffè con una smorfia proprio a causa dei residui all'interno della tazza.
Piego la testa di lato. «Perché sembri arrabbiato?»
«Perché lo sono», dice scattante, senza esitazione e con un tono tra il furente e l'indifferente.
Trattengo il fiato. «Perché?»
«Perché sei scappata», replica freddamente con una smorfia.
Un momento... fa sul serio?
«Non sono scappata. Avevo fame e non avevo più sonno e sai che odio starmene ad oziare, specie quando sono lontana da Miami e posso conoscere nuovi posti», rispondo. «Avevo però intenzione di tornare a letto a pancia piena visto che sei tu la mia guida. Ieri siamo arrivati e abbiamo solo bevuto un po' di vino che, per la cronaca era davvero buono ma un tantino forte.»
Prende un altro biscotto. Glielo strappo dalle dita dandogli un morso con foga. Lui accenna un sorriso tornando serio nell'immediato, quasi rigido. «Allora torniamo a letto», sussurra tra i denti.
Mastico rumorosamente. «No, non mi va più», sollevo il mento e come una snob antipatica mi sposto di nuovo sullo sgabello.
Questo sì gira in fretta e Hunter abbassa il viso. Faccia a faccia, sento lo stomaco attorcigliarsi. È come avere milioni di volt ad attraversarmi la pelle e tante falene assassine a svolazzare e a librarsi dentro lo stomaco. Il suo fiato che sa di caffè e biscotti riscalda il mio viso a piccoli respiri che vanno ad incendiarmi la pelle. Il mio cuore invece inizia a battere forte.
«Non ti va più?»
Nego mordendomi il labbro. Si mette dritto sulla schiena e quando penso che sta per allontanarsi mi ritrovo caricata sulla sua spalla. Mi dà una forte pacca sul sedere in grado di provocarmi un breve urlo. Scalcio e rido cercando di scappare, di scendere ma la sua presa è salda, mi tiene ferma conducendomi al piano superiore nella stanza dove mi lancia sul letto. Chiude le tende dopo avere abbassato le tapparelle, battendo le mani spegne le luci delle lampade che hanno i sensori e lasciandosi cadere sul materasso tira addosso il piumone abbracciandomi.
«Perché?»
«Cinque minuti mi bastano», sussurra.
Rido accarezzandogli il viso. «Va bene.»
Attendo appoggiando la guancia sul suo petto. Passo il palmo su questo poi mi sposto sulla spalla e infine la fermo sul cuore ascoltando i suoi battiti. Sollevo il viso e le mie labbra toccano il suo mento dove lascio un lieve bacio. Lui si agita un po' ma continua a tenere gli occhi chiusi.
I cinque minuti passano e raddoppiano.
«Smettila di morderti il labbro», ringhia.
Rilascio la pellicina e il labbro. Non mi muovo, rimango ferma come un opossum. Non so il perché di questo suo comportamento. Che gli succede?
Incrocio le braccia sistemandomi a pancia in giù di nuovo sul suo petto. Sollevo le caviglie e sfioro con il dito il suo naso. «Che cosa c'è che non va?»
«Va tutto a meraviglia, smettila di muoverti.»
Sospiro e gli strizzo il capezzolo facendolo urlare. Ghigno. «Non fare lo stronzo con me, signorino!»
Spalanca gli occhi incredulo per il gesto che, non si aspettava di certo. Sorrido soddisfatta e stringo ancora la presa. «Adesso mi dici che hai?»
Prova a staccare le mie dita dalla morsa che per lui deve essere molto dolorosa ma non lo faccio vincere. Continuo a torturarlo stringendo le dita quando prova a farmi allentare la presa.
«Iris...», mi ammonisce.
«Ti do un'altra possibilità per dirmi che diavolo ti prende.»
Chiude gli occhi, resiste, non demorde, non mi lascia vincere. Che stronzo!
Mentre strizzo il capezzolo affondo il viso nell'incavo del suo collo premendo le labbra sulla pelle.
Si agita. «Iris!»
Mordo il suo collo. Lo sento mugolare ed eccitarsi quando con la mano libera tengo fermo il suo viso. «Resisti?»
«Certo...», mugola. «Per chi mi hai preso?»
Sorrido e scendendo giù con le labbra gli mordo il capezzolo.
Scoppia dapprima a ridere poi si dimena nel tentativo di fermarmi. «Ok, basta!», batte la mano sul materasso in segno di resa ed è senza fiato. Ma non basta. Voglio metterlo ancora alla prova. Le mie labbra scendono lungo lo sterno, superano l'addome, raggiungono la pancia. Sollevo gli occhi e lui blocca il mio viso tenendolo tra le sue mani grandi e calde. Scuote ripetutamente la testa poi mi tira su come una bambola e preme la fronte sulla mia dopo essersi sistemato su di me per tenermi ferma. «Che eri pericolosa lo sapevo, ma non fino a questo punto. Roba da non crederci con te!», sorride scuotendo la testa mentre le sue dita affondano tra i miei capelli e le sue labbra si avvicinano alle mie, si sfiorano, si toccano e poi si cercano avide. Il bacio è lento, coinvolgente e a tratti rude quando di tanto in tanto i suoi denti afferrano quello inferiore tirandolo, tenendolo tra le sue morbide labbra.
«Non volevo lasciarti qui solo. Mi sarei fatta perdonare preparandoti la colazione.»
«Non voglio che fai niente di tutto questo per me. Non sei la mia cameriera o la mia badante. Per quanto mi piaccia, dovrei provvedere io alla nostra colazione o...»
«O smettere con queste idee troglodite e lasciarmi fare. Posso viziarti quanto voglio.»
Apre e richiude la bocca. «Iris io non voglio che un giorno mi rinfacci di avermi servito e riverito e di non averne ottenuto niente in cambio.»
«Allora cosa vuoi oggi? Ieri non eri così pensieroso e nervoso!», sbotto indispettita.
«Lo so, mi sono solo agitato quando non ti ho trovata accanto a me e il mio cervello nel dormiveglia ha giocato sporco.»
«Adesso dovresti chiedere scusa», brontolo guardandolo storto con le braccia intorno al petto mentre il suo sì stringe a me.
«Per che cosa?»
Spalanco gli occhi picchiando istintivamente il palmo sulla sua spalla per spingerlo, per allontanarlo da me. «Per esserti arrabbiato senza motivo.»
«Non è poi così facile. Tu non c'eri. Non eri accanto a me e...», si ferma scuotendo la testa.
Il mio cuore prende il galoppo. Avvolgo le braccia intorno al suo collo in un gesto semplice e lui mi stringe ricambiando l'abbraccio, sospirando e baciandomi la tempia, forte e poi ripetutamente la fronte.
I baci sulla fronte vengono sottovalutati ma hanno il potere di calmare una tempesta interiore e di farti sentire amata.
«Sono accanto a te. E se avevo bisogno del bagno? Hunter, devi calmarti. Sei teso e non è da te avere questo atteggiamento.»
Provo a massaggiargli le spalle e lui affonda le mani sulla mia nuca tenendo gli occhi chiusi, impedendomi di vedere il mare incontaminato che si trova nelle sue iridi mentre siamo in montagna. Sfioro il suo naso. «Non vuoi dirmi ancora che cosa non va? Va bene. Che cosa abbiamo in programma di fare oggi? Almeno questo puoi dirmelo?»
Prende un lungo respiro sollevandosi e tirando con sé anche me. «Andiamo in pista a sciare.»
Ci alziamo e ognuno va a prepararsi ma dallo specchio noto il suo sguardo e mi preoccupa questa sua strana ed improvvisa reazione così distaccata e a tratti assente. Non è proprio da lui. Ho conosciuto una persona diversa da questa e non so come comportarmi.
Mentre se ne sta di spalle, pronto ad indossare una maglietta di cotone, prima di vestirsi a strati, mi avvicino e lo abbraccio da dietro.
Non so se lo colgo alla sprovvista. So che sussulta poi voltandosi mi toglie i capelli dal viso e io gli sorrido come una stupida. Mi sollevo sulle punte dei piedi pur non arrivando alla sua altezza ma basta per essere faccia a faccia con lui. Porto vicino a me il suo viso tenendolo per la nuca e premo le labbra sulle sue senza fare troppa pressione. Lentamente, delicatamente e dolcemente cerco di non farlo agitare o altro e quando mi stacco corro via con le guance che iniziano a prendermi fuoco. Perché quando prendo l'iniziativa non so mai che reazione potrebbe avere o ciò che potrebbe pensare.
Mi vesto a strati per evitare di congelarmi là fuori e scendo di sotto senza dire niente. Denver è già pronto a seguirmi. «Buongiorno signorina Harrison», mi saluta.
«Buongiorno Denver. Mi chiamo Iris non scordarlo.»
Gratta la tempia in imbarazzo. «Ordini superiori, signorina. Mi dispiace.»
Sbuffo. «È sempre il solito», brontolo aprendo la finestra e lasciandomi investire dall'aria fredda.
«Dove vuole andare, signorina?»
«A...»
«Verrà con me oggi. Andremo a sciare poi a farci un giro in paese», replica entrando in cucina Hunter quasi con spavalderia.
Mi piace quando assume il pieno controllo ma ci sono volte in cui è un tantino arrogante e dispettoso per i miei gusti.
«Bene, signore. Avverto subito la squadra.»
Rimasti soli, Hunter mi si avvicina con cautela. Mi pizzica una guancia indugiando sulla pelle prima di farmi anche una carezza. «Pronta?»
«Nelson e Myrtle?»
Alza le spalle. «Ho lasciato per loro un messaggio. Ci raggiungeranno se ne avranno voglia. Andiamo!»
Usciamo dalla porta principale. Hunter mi tiene per mano mentre le guardie continuano a seguirci mantenendosi a debita distanza da ogni angolazione. Non mi sento braccata, è ben peggiore la sensazione che sto provando. Ho come la strana sensazione che non serviranno a niente tutte queste attenzioni, che qualcuno prima o poi commetterà un errore; perché c'è sempre una falla anche in uno dei piani più perfetti.
Hunter nota che adesso il mio umore è cambiato ma non dice niente. Si limita a stringere la mia mano indicandomi la strada. Saliamo lungo una collina fino al primo rifugio poi troviamo la nostra pista che, a quanto pare, è stata affittata solo ed interamente per noi. La cosa mi dispiace, pensavo di ritrovarmi tra la gente, invece di dovere fare attenzione.
«Che c'è?», mi coglie di sorpresa la sua voce. Un tono simile ad un ammonimento.
«Non c'è nessuno.»
«È per la tua sicurezza.»
«E della tua invece che mi dici, eh?», strillo spingendolo con rabbia e mi allontano, allaccio gli sci e inizio la mia discesa ignorando la sua voce, allontanando per un momento tutto quanto.
In breve mi raggiunge. «Perché hai reagito in quel modo?»
«Perché sei uno stronzo! Non smetterò mai di dirtelo.»
Non vedo la sua espressione dietro gli occhiali e me ne frego, proseguo fino ad arrivare in fondo alla pista poi risalgo il percorso a piedi, ignorando la funivia. Lo faccio pestando i piedi sul terreno, scaricando il sentimento negativo che sento dentro senza controllo.
Il problema non è quando ti arrabbi, il problema è quando non riesci più a perdonare, ad essere buono con chiunque. Il problema è quando ti senti così in bilico da potere precipitare da un istante all'altro ma ti aggrappi con tutte le tue forze ad ogni briciola di coscienza e di amore per non ferire chi ti sta intorno, chi ami.
«Iris, aspetta!»
Sento i suoi passi sulla neve, lo scricchiolio causato dagli anfibi e poi il suo fiato sempre più in affanno. Inizio a correre come se qualcuno mi stesse inseguendo. Non so la ragione di questo mio atteggiamento, so solo che ne ho bisogno, ho bisogno di sentire scorrere nelle vene l'adrenalina, quella sensazione di frenesia in grado di annebbiare tutto il resto che rischia di farmi impazzire.
Finisco a terra. L'impatto non è dei migliori ma non mi faccio male. Cerco solo di capire come sono finita a faccia in giù sulla neve. Non sono inciampata e non sono neanche scivolata. Mi giro a fatica e lui è addosso a me, mi placca mentre mi dimeno come un piccolo animale in pericolo. «Molla la presa o chiamo le guardie!», minaccio.
«Che cazzo ti succede?», urla.
Lo spingo ancora. «A me? A me che cosa mi succede? È da questa mattina che sei strano. Se hai qualcosa da dire, se ci hai ripensato e non mi vuoi...», non riesco a continuare. Sento le lacrime ormai sul punto di uscire. Sono giorni che incasso. Giorni in cui tento di frenare ogni sensazione negativa che mi attraversa il cuore. Sono giorni che non riesco a consolarmi e lui, lui è stata l'unica mia costante. Ma adesso, sento che è lontano per qualcosa che non comprendo e mi spaventa la facilità con cui si perdono le cose, le persone.
Mi fissa in cagnesco come se fossi il suo acerrimo nemico. «Stiamo davvero litigando senza una ragione?»
Mi tiro indietro riuscendo a divincolarmi dalla sua presa. «Una ragione c'è ed è proprio qui davanti a me a fingere che sia tutto in ordine. Ma hai qualcosa e mi stai mentendo.»
«Ti ho detto che cosa ho. Non sono di ottimo umore, capita anche a me. Sono una persona, Iris. Non sono un robot o un oggetto. Posso sentirmi anch'io giù di corda. Dovresti solo rispettare i miei silenzi ogni tanto.»
«Si, puoi ma non comprendo il perché. E questo mi fa stare male. Questo mi fa sentire a disagio. Voglio tornare alla villa, non mi va più di sciare.»
Annuisce. Non ribatte nemmeno e aiutandomi ad alzarmi scendiamo lungo il sentiero alberato e pieno di neve ma silenzioso. C'è una pace che mi inquieta.
Hunter si ferma un momento quando Denver ci fa cenno di non muoverci e mi avvicina a sé come se volesse farmi da scudo.
Un rumore mette in allerta chiunque. Mi allontano dalla presa di Hunter e mi avvicino un po' agli alberi.
«Dove vai?»
Non rispondo. Supero un tronco caduto e dopo qualche passo mi ritrovo in una piccola radura. Al centro vi sono dei cervi in cerca di cibo. Li indico. «Falso allarme», dico tornando da loro. «Siete proprio paranoici», sospiro e proseguo senza aggiungere altro.
Hunter è sempre più teso e quando arriviamo alla villa sparisce lasciandomi sola.
In cucina trovo Myrtle. «Signorina, non pensavamo...»
«Mi stavo annoiando, non sono dell'umore per sciare o divertirmi oggi. Continua pure, non voglio disturbare», dico notandola in imbarazzo mentre stringe addosso la vestaglia e su un vassoio prepara la colazione per Nelson.
I due devono amarsi davvero tanto. È difficile al giorno d'oggi trovare coppie così innamorate come il primo giorno.
Mi siedo sullo sgabello, il gomito appoggiato sul ripiano. Guardo fuori attraverso la finestra e sospiro.
Myrtle mi passa una tazza di caffè e un piatto con dei brownies. «Qualcosa non va, signorina?»
«Chiamami Iris. Forse mi puoi aiutare. Sarò breve, non voglio disturbare il vostro momento, la vostra vacanza. Hunter è mai stato taciturno all'improvviso? Lo vedo preoccupato e questa cosa mi sta facendo pentire di essere venuta qui.»
Myrtle si appoggia alla superficie della cucina dopo avere disposto due muffin su due piattini e i brownies tagliati a quadretti. «Il signor Ford è sempre stato taciturno in realtà. Quando qualcosa lo preoccupa si chiude un po'. Se posso permettermi, non gliene faccia una colpa. Quando sarà pronto sarà lui a parlarne con lei. Qualsiasi cosa sia, troverà un modo per dirglielo.»
La risposta di Myrtle non mi aiuta di certo. Faccio una smorfia bevendo un sorso di caffè prima di azzannare il brownies. «È sempre stato spigliato, aperto con me, non capisco...»
Posa la mano sulla mia. «Nessuno ha mai visto il signor Ford come da quando sta con lei, signorina. È cambiato in meglio. Molte cose per lui sono ancora nuove e deve concedergli il suo tempo. A volte è impulsivo ma non fa mai niente senza volerlo. Prima non ringraziava mai nessuno, non si preoccupava del personale. Non so che cosa lei abbia detto al signor Ford ma sembra avere preso ad esempio le sue parole. Adesso è più sereno, meno imbronciato o insoddisfatto. Adesso è più cortese e meno scorbutico, meno snob. Tutto grazie a lei. Se lo vede improvvisamente strano o distante, non stia lontana da lui.»
Sono sempre più confusa ma non ho il tempo di porre un'altra delle mie domande perché proprio lui sbuca dalla soglia e Myrtle a sguardo basso, congedandosi con un cenno, ci lascia soli.
Allontano la tazza e lo guardo. Lui guarda me mentre si avvicina. Mi alzo, provo a parlargli e lui mi abbraccia. Solleva poi la mia testa tenendomi per il mento e mi bacia senza fretta, a lungo.
Staccandosi mi chiede: «Hai fame?»
Turbata e confusa annuisco. Lo aiuto con il pranzo e poi ci spostiamo nella sauna dove rimaniamo per qualche ora io a leggere e lui ad ascoltare musica e a fare un sudoku, gli occhi chiusi e la testa appoggiata al pannello, una penna tra le dita e una rivista piccola in bianco e nero con il gioco ancora da terminare mentre il vapore riempie i nostri corpi.
Di punto in bianco solleva le mie gambe appoggiandole sulle sue. Smetto di leggere chiudendo il libro. Lui toglie le cuffie, ferma la musica, posa tutto quello che ha in mano e mi attira a cavalcioni su di sé.
Mi fissa le labbra prima di risalire verso i miei occhi. Non dice niente eppure cerca di dirmi tutto ed io lo abbraccio provando a confortarlo. «Quando sarai pronto...»
Annuisce dandomi conferma del fatto che in fondo c'è sempre stato qualcosa ad impedirgli di parlarne con me. Mi avvicina al petto e mi rannicchio tra le sue braccia come una bambina, lasciandomi accarezzare e di tanto in tanto baciare la fronte con possesso.
Di sera usciamo scendendo nel piccolo paesino fermandoci in un locale per la cena. Ho indossato indumenti comodi e affatto appariscenti. Non voglio dare troppo nell'occhio.
«Buona sera e benvenuti qui alla "Locanda". Oggi c'è un ottimo stufato e carne alla griglia di ottima qualità. Preferite un tavolo per due dietro il divisorio o un posto a sedere normale?»
La donna che ci sta parlando ha il viso rosso, forse bruciato dal freddo, pieno di lentiggini, gli occhi grandi nocciola allungati con le palpebre coperte da un ombretto verde sfumato all'angolo e labbra carnose rosse. I capelli dai riflessi rossi sono legati in una coda alta ma sono così corti da uscire a stento dall'elastico.
«Un posto isolato con un divisorio e la vista rivolta al paesaggio andrà bene, grazie.»
Hunter prende le redini usando un tono tra il secco e il cortese. Non ha voglia di parlare. Non lo avevo mai visto così taciturno e distante.
La donna sorride mostrando un dente giallo sul davanti. «Certo, avete preferenze sul menu?», chiede facendoci cenno con la mano di seguirla.
Indossa una gonna lunga, ciabatte e una camicia sopra aperta a mostrare una canottiera bianca che trattiene l'enorme seno. Le persone qui dentro sembrano quei montanari che si vedono spesso nei film, non hanno l'aria felice e alcuni sono già ubriachi e stanno facendo un certo baccano; ma i presenti che al nostro passaggio ci osservano, non sembrano notarli.
«Ci porti il menu e una bottiglia del suo vino migliore. Non è un problema il prezzo.»
La donna rimane per un momento ferma mentre Hunter mi sposta la sedia e poi prende posto accanto a me dando le spalle alla vetrata.
«Vuole sceglierlo o vuole che porti direttamente la bottiglia?»
«Porti direttamente la bottiglia o il vino migliore che avete nelle cantine», ripete un po' più rigido.
La donna arrossisce maggiormente e sta per replicare quando aggiungo: «un rosso corposo non troppo alcolico andrà bene, grazie.»
Si dilegua e intorno inizia a crearsi una strana agitazione. Soprattutto quando notano le guardie sedute in vari punti a coppia di due tenerci d'occhio. Da questo dettaglio chiunque capisce che siamo gente che conta.
Hunter legge di sfuggita il menu. Io invece dedico un paio di minuti alla tavolozza di legno che ho davanti con un foglio plastificato attaccato sopra. C'è una grande vastità di carne.
La donna torna con compostezza rispetto a prima. «Avete già deciso il primo piatto o avete bisogno di qualche altro minuto?»
«Per me andrà bene la zuppa con carote e patate, niente aromi solo un po' di sale e pepe, con del pane appena tostato, grazie», dico in fretta porgendole il menu.
Segna subito la mia ordinazione poi guarda Hunter con riverenza. Lui però non la degna di uno sguardo mentre le passa il menu. «Lo stesso anche per me con aggiunta di carne nella zuppa.»
La donna annota e sparisce. Al tavolo arriva un ragazzo, posa la bottiglia che in realtà è una caraffa dentro una sorta di cestino in vimini della stessa forma. «Grazie.»
La tovaglia è color panna, altre due piccole tovaglie sono disposte nei nostri posti a sedere e sono in legno intrecciato. Due piatti, posate avvolte nel fazzoletto e due calici a testa. Al centro una candela accesa dentro un bicchiere trasparente.
Hunter prende la mia mano e le sue dita lasciano dei disegni sul dorso.
Osservo l'ambiente per aggrapparmi a qualcosa. Tutto in legno, un enorme camino in fondo alla sala dove davanti sono addormentati comodamente su un tappeto e due cuscini un cane e un gatto.
Un bancone in cui la gente che entra sedendosi sugli sgabelli chiede da bere. Una tendina invece conduce alla cucina dalla quale proviene l'odore dello stufato, quello del pane e di altri cibi apparentemente squisiti.
«Sei sempre venuto qui?»
«Si», replica brevemente.
Intuisco che non ha voglia di parlare e quando arriva la prima portata mangio lentamente cercando di non alzare gli occhi e di non fare nessun'altra domanda.
Mi sto sentendo sola.
La cena si rivela la più lunga e difficile da sopportare della mia vita. Così tanto che rischio di scoppiare, di mettermi a urlare come una pazza.
Non apro bocca quando ci portano il conto e non bisticcio con lui davanti a tutti per pagare a metà. Mi limito a seguirlo fuori e poi in giro dove mano nella mano facciamo una passeggiata.
Il cielo è sgombro, pieno di stelle. Le persone affollano la piazza per farsi immortalare con lo sfondo delle montagne che anche al buio si notano come se fosse giorno.
L'aria è fredda, elettrica e piena di odori, suoni e vita ma non riesco a godermi niente di tutto questo. Hunter ancora non parla e non accenna a lasciare la mia mano che continua ad artigliare. Le campane della chiesa riempiono la piazza con il loro suono. Hunter guarda assorto il campanile poi corrugando la fronte mi conduce di nuovo alla villa usando l'auto che ci aspetta in uno dei parcheggi meno affollati del paese.
Arrivati alla villa, mi chiudo per qualche minuto dentro il bagno. Qui cerco di non pensare facendo un lungo e rilassante bagno dentro la vasca. Quando entro in camera con addosso una vestaglia, Hunter è seduto con le mani sulla testa sul bordo del letto.
Mi avvicino e alza subito il viso inchiodandomi al suo sguardo. «Ok, adesso basta. Ho rispettato i tuoi tempi, non mi sono lamentata durante la cena e non ho tentato di scappare. Ma adesso merito una spiegazione e se non ne hai una, smetti di comportarti in questo modo e dimmi che cosa ti succede.»
Passa la mano sul viso, il suo respiro cambia mentre si alza e io, ancora inginocchiata davanti a lui, faccio lo stesso.
«Non so come dirtelo.»
«Provaci.»
Massaggia la nuca poi inizia a girare da una parte all'altra dentro la camera da letto mentre me ne sto al centro della stanza sempre più agitata e convinta che mi lascerà da un momento all'altro.
«Ci ho pensato ore e giorni...», dice quasi parlando tra sé.
Mordo il labbro. «A cosa?»
«Lasciami riordinare le idee», alza l'indice.
Mi siedo sul bordo del letto e aspetto che sia pronto.
Dopo qualche istante si volta, si ferma, mi guarda e poi avvicinandosi mi porge la mano. Mi porta fuori ed io mi abbraccio sentendo freddo, così tanto che rischio di morire per ipotermia ma resisto per lui. «Che ci facciamo qui fuori?»
«Dobbiamo parlare e ho bisogno d'aria per farlo», balbetta quasi.
Corrugo la fronte. Sono sempre più confusa e spaventata. «Hunter, sto congelando. Dobbiamo proprio parlare qui fuori? Possiamo sempre aprire la finestra...», mi fermo di fronte al suo sguardo che pur essendo silenzioso è in grado di urlarmi dentro parole non dette simili a colpi secchi nel cuore. Smetto di tremare, di battere i denti e di agitarmi. Smetto di lamentarmi e aspetto.
«Ricordi quello che ti ho detto ieri?», stringe i pugni in vita.
«Si», rispondo sedendomi sul bordo della vasca idromassaggio. Il calore del vapore raggiunge il mio corpo alle spalle e smetto di sentire freddo, anche se dentro di me sto ancora tremando.
«Ho detto che mi piaci...»
«E non era vero quello che hai detto?»
Si avvicina. Allarga le mie gambe sistemandosi nel mezzo. Il primo vero contatto che abbiano dopo ore snervanti e piene di silenzio.
«Non solo è vero ma voglio aggiungere qualcosa a quello che ho detto perché quello che sento per te è quasi impossibile da spiegare e anche da gestire. Quello che sento per te è difficile da dire perché sono tante cose che nell'insieme formano una sola parola. Ma non starò qui a ripetere quello che ho detto. Non starò qui ad elogiarti perché l'ho già fatto e non è questo quello che mi fa sentire così agitato, Iris.»
Stringe le mie mani e lo lascio fare mentre i brividi tentano di immobilizzarmi e farmi fuori.
«Questa notte ho avuto modo di pensare, di riflettere su cose che non avevo mai lontanamente immaginato. Ho passato ore sfiancanti, non lo nego e forse anche questo ha influito sul mio umore al risveglio quando non ti ho trovata accanto a me, ma non volevo farti arrabbiare o altro, volevo solo trovare il modo giusto. A quanto pare però non ne esiste uno corretto per dire alla persona che ami che la vuoi nella tua vita senza riserve...», solleva gli occhi guardandomi da sotto le ciglia.
Mi agito mettendomi comoda sul bordo mentre lui si avvicina ancora a me. Passa una mano tra i capelli poi lecca le labbra e riempie ancora una volta il petto d'aria. «Mi dispiace per quello che sto per dire e mi dispiace per quello che sto per fare ma sento che è la cosa più giusta per togliermi dalla testa quei pensieri e tutte quelle paranoie che non fanno altro che mangiarmi vivo, di divorarmi da quando ti ho conosciuta e ho capito di essermi perso, di essermi innamorato.»
Deglutisco a fatica mentre lo lascio parlare senza mai fermarlo. Anche se ho paura di quello che potrebbe dire, non lo freno, non lo anticipo. Per una volta rispetto i suoi tempi e il suo pensiero e aspetto ogni conseguenza.
«La vita è breve, spesso frenetica e incompleta. Rincorriamo ciò che ci fa stare male e non ci accorgiamo invece della ricchezza che abbiamo davanti ai nostri occhi. Ero uno stronzo egoista prima di incontrarti. Non mi importava della vita degli altri, non mi importava se qualcuno soffriva o aveva bisogno. Ero chiuso nel mio mondo. Un giorno però sei capitata nella mia vita con quella maglietta con i cactus stampati sopra e quel tuo carattere prorompente e conoscendoti mi sono avvicinato un po' di più agli altri. Ho smesso di essere perfido e lentamente mi sono lasciato andare. Ho liberato me stesso dalla mia stessa tirannia e ho vissuto momenti, giornate nuove in cui ho sentito il mio cuore vivo e colmo di un sentimento nuovo, incontrollabile, forte, direi quasi distruttivo. Io mi sono liberato e ho cominciato ad amare, a conoscere la vita senza dare tutto per scontato, perché a volte non conta quello che hai avuto ma quello che è rimasto realmente nella tua vita. Tu sei rimasta anche quando non avresti dovuto. Sei qui anche adesso in mezzo al freddo e solo per me, per ascoltarmi e farmi sentire apprezzato, amato. Tu mi hai capito anche quando non riuscivo a capire me stesso. Mi hai fatto rivalutare tante cose, principalmente quello che sono. Accanto a te io esisto, sono reale, mi riconosco. Accanto a te io mi sento fortunato, provo felicità, un sentimento effimero e illusorio ma che con te diventa come un sogno che si realizza.»
Chiude per qualche istante le labbra e gli occhi concentrandosi sui suoi battiti che riesco a percepire spostando le dita verso i suoi polsi.
Si stacca per un momento chiedendomi di non muovermi. Torna con una coperta con la quale mi avvolge sistemandosi ancora tra le mie gambe. Mi abbraccia e preme la fronte contro la mia.
«Non saranno mai abbastanza le volte in cui ti dirò che ti amo, lo so e so anche che per questo non basterà una vita per dimostrarti quante cose mi fai provare e sentire dentro. Ma sono più che certo di amarti. E so anche che ti vorrò sempre accanto a me. E non importa se scapperai, se avrai voglia di ammazzarmi. Non importa dove andrai, dove mi ferirai. Questo non fermerà il mio amore. Non fermerà la voglia che ho di perdermi ogni giorno al risveglio nei tuoi occhi, nei tuoi silenziosi sguardi così belli e così profondi da incastrarmici dentro, da non uscirne più. Non fermerà la voglia che ho di sentire le tue mani sempre gelate sulla mia pelle, a contrastare il mio calore proprio come il tuo carattere contrasta il mio. Non fermerà la voglia che ho di assaporare i tuoi baci, i tuoi sorrisi, i tuoi abbracci lunghi in cui posso sempre entrarci e starci dentro senza mai sentirmi soffocato. Non fermerà la voglia di sentire la tua voce, quando canticchi distrattamente o quando urli mostrando la tua forza e, al contempo, la tua debolezza. Non fermerà la voglia di sentire il tuo profumo inconfondibile e denso come quello della tua anima, della tua pelle. Non mi fermeranno gli addii, i litigi, le urla, i silenzi perché tutte queste cose non mi faranno smettere di amarti. Abbiamo ancora tante cose da fare insieme ed io spero che vorrai ancora condividere con me ogni giorno da adesso fino all'ultimo dei miei respiri.»
Si inginocchia e dalla sua mano stretta a pugno, quando apre il palmo, compare un anello sottile con un diamante simile ad una stella, un punto luce bellissimo.
«Non importa chi tenterà di fermarci. Io ci ho riflettuto abbastanza e sono davvero pronto a combattere per quello in cui credo, ovvero: il nostro amore. Io ti vorrò sempre nella mia vita con o senza il permesso delle persone. Voglio te proprio così come sei. Voglio te che sei l'unica persona importante e di cui posso fidarmi senza bisogno di chiedere. Voglio te che mi rendi migliore nonostante io sia sempre il peggiore. Ti voglio, Iris. Ti voglio come mia compagna, come mia amica, come mia socia in affari, come mia nemica, come mia fidanzata e... ti voglio nella mia vita anche come mia moglie», sussurra con un filo di voce mentre i miei occhi si riempiono di lacrime.
«Non mi importa se sto correndo, se sembro pazzo o impaurito. Ho passato la notte a valutare i pro e tutti i contro ma... io, io non voglio vederti tra le braccia di un altro. E, anche se non funzionerà, voglio provarci lo stesso. Non voglio avere alcun rimpianto. Non voglio rinunciare a te perché ti amo. Quindi... sposami.»
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