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38


HUNTER

C'è sempre qualcosa che non va, qualcosa che rovina tutto: un rapporto, un'amicizia, l'amore. C'è sempre una parola non detta, una frase scontata, un gesto orribile, una persona di troppo in grado di far vacillare un rapporto già messo a dura prova dal destino. Per quanto tenti di non guardare i danni, di coprirli per non vederli, lo squarcio rimane e non puoi riempirlo. Non puoi riempirlo di cose belle neanche volendo, puoi solo attutire il vuoto che senti arrivare da quella direzione e sperare che non si creino ulteriori crepe.
Non posso credere che ha avuto la faccia tosta di chiamare dal carcere. Sa che le chiamate sono registrate per evitare brutte situazioni o che qualcuno provi a fare il furbo, quindi deve esserci qualcosa sotto, qualcosa a cui non abbiamo pensato. Nolan è furbo. Avevo sottovalutato questo suo lato da stratega. Mi toccherà fare molta attenzione e, nel frattempo proteggere la ragazza che se ne sta immobile, spaventata e disarmata senza sapere che cosa fare, che cosa dire alla guardia che aspetta una risposta da parte sua.
Prendendo in mano la situazione, cerco di infonderle coraggio, recuperando il mio telefono premo il tasto per registrare mentre Iris se ne sta a metà busto, la coperta stretta intorno e gli occhi fissi sullo schermo come se lui potesse uscire da un momento all'altro e vederlo, trovarselo davanti e affrontarlo ad armi impari.
Le stringo la mano per darle forza ma lei scuote la testa, non vuole parlare con lui. Mi avvicino e l'abbraccio dandole un bacio sulla guancia. «Ce la puoi fare», sussurro mentre si sente un suono dopo che dalla sua bocca sfugge un flebile "sì".
«Hai risposto alla mia chiamata, credevo non né avresti avuto il coraggio.»
Iris gonfia il petto. «Che cosa vuoi?»
Segue un breve silenzio. «Sapere come stai.»
Nolan tira su con il naso. Sembra agitato mentre Iris al contrario è sbigottita.
«Perché lo vuoi sapere? Hai mandato tu quell'idiota, non ti è bastato? Ancora non so a che gioco stai giocando e non voglio neanche saperlo ma ti consiglio di andare dritto al punto, di smetterla di giocare perché non avrai più un'altra occasione come questa per parlarmi», usa un tono duro, carico di amarezza e rabbia malcelata.
In risposta, dapprima, Nolan ringhia. «A quanto pare lo avete spaventato. Ti è piaciuto il mio regalo?»
Parla come se niente fosse accaduto. La cosa mi fa innervosire e agitare visibilmente perché è evidente il fatto che Nolan abbia qualche problema mentale o vuole farlo credere per passare come una vittima. Stringo un pugno così tanto da gonfiare le vene. Iris se ne accorge e vi posa subito la mano sopra costringendomi a rilassarla. Deglutisce, fa respiri lenti. «Perché proprio una microcamera?»
«Quale microcamera?», ancora una volta tira su con il naso. È come se fosse in astinenza. Qualcosa non va.
Iris se ne accorge e corruga la fronte. Anch'io lo sto facendo. «Quella dentro il bouquet di fiori che mi hai mandato con quel messaggio minatorio», replica apparentemente calma ma con un tono acido, Iris.
«Se credi che possa vedere qualcosa da questo buco ti sbagli. Non sono stato io, ti sto chiamando da un telefono controllato. Ti ho solo fatto recapitare il bouquet tramite quel coglione che non riceverà un soldo, visto come sono andate le cose.»
Mi agito ancora e Iris stringe la mia mano sempre più confusa. «Perché hai mandato Asher Jackson?»
«Perché tutti devono sapere chi ti sta davvero accanto. Hunter non è sincero e non lo sarà mai. Ti stai solo facendo abbagliare da lui, proprio come fanno sempre tutte. E per la cronaca, non so niente di microcamere.»
«Nolan... perché hai chiamato?», chiede esitante Iris. Anche se tiene la mia mano, spostando le dita sul suo polso sento forte il battito del suo cuore. È agitata.
«Mi manchi.»
Chiudo gli occhi. Non riesco a sopportare tutto questo e mi alzo dal letto iniziando a camminare avanti e indietro. Lo spazio non aiuta la mia furia. Inizio anche a sentirmi braccato e vado ad aprire la finestra per fare entrare un po' d'aria.
Dalla strada proviene il rumore incessante dei clacson, il vocio attutito delle persone, il cinguettio degli uccelli. Fisso l'ambiente esterno, le nuvole che si allontanano, il cielo che si rischiara.
«Sai non stiamo più insieme. Dovresti smettere di chiamare, di mandarmi fiori o di farmi male. Dovesti avere capito che non ti amo e che ho una nuova vita. Quindi per favore, se tieni davvero un po' a me, smettila e lasciami in pace.»
Si sente un rumore in sottofondo. Un tonfo sordo, come se Nolan avesse appena colpito una superficie. Qualcuno che gli urla di calmarsi e lui che sbraita contro le guardie dicendogli di farsi gli affari loro. Di seguito sentiamo un respiro affrettato, come quello di un animale proprio ad attaccare.
«Iris, preparati perché quando uscirò da qui noi due faremo quattro chiacchiere e finirò quello che ho iniziato. Prima metterò al tappeto lui poi mi riprenderò quello che mi appartiene», urla. «Te
Vedo Iris impallidire, sussultare e portare le gambe al petto circondandole con le braccia. «Nolan, non c'è più niente tra di noi. Non c'è mai stato. Io... presto mi sposerò con Hunter e tu dovrai stare lontano da me perché non fai più parte della mia vita.»
«Che cosa?», urla. «Ripeti quello che hai detto, stronza!»
Iris sussulta ancora. «Hai sentito bene quello che ho detto», i suoi occhi saettano brevemente su di me. «Non sono tua, non lo sarò mai. Adesso smettila di cercarmi o troverò il modo di farti restare dietro le sbarre se continuerai a tormentarmi. So che non vuoi restare lì dentro...»
«Non puoi farlo! Iris, qui è un vero inferno! Ed è tutta colpa tua!», sbraita.
Nolan sembra avere un disturbo della personalità. Alterna momenti di serenità ad altri di rabbia in cui rischia di fare male a qualcuno. Richiederò una perizia psichiatrica. Non oso immaginare quello che potrebbe fare ad Iris. Per questa ragione, dobbiamo andarcene da qui, fare perdere per qualche giorno le nostre tracce mentre qualcuno si occuperà di lui. Ho ancora in mente di portala in Canada, non so se lei accetterà la mia proposta ma ci proverò.
«Addio... Nolan.»
«Se riattacchi non saprai mai che fine ha fatto la tua amica quattro anni fa.»
La vedo esitare poi scuotere la testa. «Sei un manipolatore nato, proprio come lei. A volte penso proprio che in fondo sareste stati bene insieme voi due. Adesso riaggancio, addio.»
«No, no...», urla. «Te lo dirò solo se verrai a trovarmi!»
Sospira e riaggancia quasi con rabbia. Posa i telefoni sul comodino con disgusto, come se volesse allontanarli dalla sua vista e si rannicchia tirando la coperta fin sopra la testa e non si muove.
Mordo il labbro, accantono i pensieri e tutti i sentimenti negativi provati fino ad ora e mi avvicino a lei. «C'è spazio nel tuo rifugio?»
Solleva la coperta guardandomi con i suoi occhi grandi e tristi. Non sta piangendo ma ha tanto l'aria di una che sta per farlo. Si trattiene e si dà forza in un modo che spesso non comprendo. Ha la straordinaria capacità di trattenere dentro tutto, di non mostrare troppo dolore agli altri per paura di infettarli. La ammiro e mi distrugge sapere di non poter essere completamente il suo scudo, la sua roccia, la sua forza proprio perché Iris è forte abbastanza da sola, ma è anche così tanto fragile che potrebbe essere uccisa in un attimo.
«Ho intenzione di usare la villa in Canada. Di divertirmi. Ti va di accompagnarmi?»
So che le parole pronunciate per combattere quel vile adesso continuano a farla sentire in colpa. Ma se pensa che mi illuderò perché ha detto che ci sposeremo, si sbaglia. Io ho intenzione di stare con lei, sono convinto di quello che voglio e, spero che lei lo sia altrettanto. Non importa se le servirà del tempo per decidere, aspetterò.
Le accarezzo la guancia e non si scansa. Premo il palmo sulla sua pelle fredda e lei chiude gli occhi. «Non avrei dovuto. L'ho stuzzicato troppo. Questo lo farà impazzire e...»
Premo le labbra sulle sue. Odio quando inizia a farsi le paranoie. «Abbiamo un piano?»
Posa la mano sulla mia spalla giocando poi con una vena sul braccio. «Hai già le valigie pronte quindi non chiederlo ancora. Io ho poche cose da portare con me.»
«Partiamo adesso?»
«Fammi preparare», si alza.
La fermo tirandola giù. «Non lo fai per scappare, vero?»
Nega. «No. Staccare un po' e organizzare la nostra vita insieme ci farà bene.»
Nota che sono sorpreso dalle sue parole e anche un po' sospettoso e spiega: «Ho capito che mi sto solo perdendo tutto quello che mi fa stare bene per eliminare ciò che mi fa stare male. Ma non è così che si va avanti. Chi si accontenta muore lentamente e io non voglio avere paura di amarti. Non voglio avere paura di stare insieme a te perché un altro non me lo permette o tenta di spaventarmi. Non voglio perdermi dei momenti felici per guardarmi costantemente alle spalle.»
Preme le mani sul mio viso. «Merito anch'io un po' di amore», sussurra. «E anche se stiamo correndo troppo, voglio sentirmi ancora il petto bruciare, il cuore battere forte e le gambe tremare.»
Sorrido. «Si, posso offrirti un po' d'amore se lo vuoi.»
Mi abbraccia. «Solo un po'?»
Le bacio la guancia accarezzandole la schiena. «No. Tanto. Tanto. Tanto...»
Si solleva. «Preparo la valigia», dice scappando dalla mia presa.
Mi stendo e mi addormento per un po'. Non riesco proprio a raggiungerla per controllare che non stia piangendo. Sono sfinito, troppo per alzarmi e aprire gli occhi. Quando mi sveglio, più che stordito, sento Iris canticchiare. I miei occhi si abituano alla luce tenue della lampada accesa e vagano intorno fino a trovarla ai fornelli. Sorride quando si accorge che sono sveglio e pulendosi le mani su uno strofinaccio, mi si avvicina. Inginocchiata con una gamba sul materasso, sporgendosi, mi bacia sulle labbra. «Dormito bene?»
Sbadiglio stiracchiandomi prima di abbracciarla e tirarla sul letto con me. «Molto. E tu? Che cosa hai combinato? Sei silenziosa. Non sei uscita senza di me, spero.»
«Ho messo in ordine il bagno, la cucina e la casa, ho fatto il bucato, lavorato un po' ad un nuovo progetto, inviato un bozzetto a due neo sposi e adesso sto preparando la cena.»
Annuso lei e poi l'aria. Lei sa di pesca, di miele. L'aria odora invece di brodo di verdure.
«Che c'è per cena?», domando guardando fuori dalla finestra dove la luce del crepuscolo rende tutto come un quadro appena dipinto e dai colori sgargianti.
Mi scompiglia i capelli con un sorriso dolce. «Risotto con zucchine, pomodorini e speck. Per secondo abbiamo... patate tagliate grossolanamente e fagioli verdi al forno come contorno per il filetto di pesce. Spero sia di tuo gradimento perché è il massimo che ho trovato nel frigo, visto che non mi andava di uscire e di svegliarti per avvisarti e poi bisticciare con te per avere qualche minuto libero per fare qualcosa di normale.»
La avvicino e la bacio lentamente. «E per dolce? Se non ne hai fatto uno con le tue manine, mangerò te.»
«Il dolce è una sorpresa», dandomi una pacca sulle spalle si alza dal letto e va a prendere un vassoio.
Ci sistemiamo in soggiorno, seduti sui cuscini intorno al piccolo tavolo da caffè. Assaggio il risotto e mugolo subito di piacere. «Questo si che è cibo! Dio benedica queste mani», bacio il suo dorso, le sue dita.
Arrossisce. «Deve benedire chi ha coltivato le zucchine prima», esclama.
Ridiamo e continuiamo a cenare al lume di candela. «Mi sento ancora stordito. Ho dormito davvero tanto.»
«Tanto? Potevi dormire un altro po'. Sembri sfinito», caccia in bocca l'ultimo pezzo di riso e verdure sentendosi in colpa.
«Mi hai sfinito», la stuzzico con un sorriso.
Anche lei sorride. «Un po' di palestra per i tuoi addominali sodi, che sarà mai? Sei resistente.»
Inarco un sopracciglio. «Ti piacciono?» Faccio guizzare i muscoli del petto.
Lei ride annuendo. «Non montarti troppo la testa e mangia», mi spinge alzandosi, dirigendosi in cucina. Esce dal piccolo forno un vassoio portando a tavola due piccole pirofile di ceramica a forma di cuore bianche e rosse con all'interno un tortino al cacao che profuma tantissimo di zucchero. Anche Iris ha lo stesso odore, sa di dolcezza e mi viene voglia di darle un morso.
Con un guantone tira fuori dai pirottini le due piccole torte che dispone su un unico piatto quadrato e colorato come se stesse creando un quadro. Porta in cucina quello che non serve e torna con lo zucchero a velo e dei frutti di bosco per guarnire il piatto.
Mi piace guardarla mentre fa qualcosa. Non è mai banale, mai scontata. Sempre tanto dolce e generosa. Tanto attenta.
Mi passa la forchetta mentre me ne sto a contemplarla come un maniaco. «Taglia il centro», sorride in trepidazione mettendo le mani dietro la schiena come una bambina.
Faccio come dice e dal cuore della torta esce una crema al cioccolato creando una pozza su gran parte del piatto. «Ad Iris, sterminatrice di torte», dico alzando il bicchiere.
Ride dandomi una spallata. «Non fare il cretino e assaggia.»
La imbocco dopo avere assaggiato la delizia al cacao che ha creato con le sue mani che afferro e bacio ancora. «Adesso non dirmi che toccherà a me lavare tutto quello che hai usato», mi lamento notando proprio quello che c'è di fuori posto nella piccola cucina.
Mi abbraccia sistemandosi a cavalcioni su di me senza malizia. «Forse...», dice divertita. «Dammi un bacio e sarai risparmiato.»
Nego. «Faccio io», dico e mi sposto in cucina. «Ho mangiato anch'io», ripeto quello che un giorno mi ha detto lei. Lei che si avvicina e mi aiuta pulendo il tavolo, lei che mi sta accanto senza mai dirmi se sbaglio a fare qualcosa ma apprezzando per davvero il mio tentativo, seppur disastroso, di ringraziarla. Ma ho il sospetto che sia lei quella a volere ringraziare me, pertanto le bacio una guancia indugiando con le labbra sulla sua pelle pallida e delicata che, non smetterei mai di riempire di baci, di attenzioni. «Grazie per la cena, era davvero squisita.»
Asciugo le mani e mi sposto in bagno. Qui lavo i denti usando il suo spazzolino. Lei entra proprio mentre sto sciacquando i denti e aprendo l'armadietto mi fa notare che c'era uno spazzolino per me. Mi guarda persino male. Glielo passo e lei con un sorrisetto appena accennato spazzola i denti prima di appoggiarsi al lavandino con un braccio intorno al petto, mentre uso il water per svuotare la vescica. Mi volto e distoglie lo sguardo più che rossa.
«No, guarda pure è eccitante. Che sarà mai, tanto hai già visto tutto. Non scandalizzarti per questo ben di Dio.»
Sputa la poltiglia, per poco non le va di traverso, mentre lavo le mani.
«Non stavo guardando», biascica.
«Si, certo. Controllavi solo se avevo alzato la tavoletta.»
Alza il mento. «Devo valutare delle cose prima di dirti di sì», mi prende in giro.
La abbraccio da dietro indicandole lo specchio davanti a noi, il riflesso di due che ne stanno vedendo tante e che le stanno superando tutte. Una ad una le sfide le stiamo lasciando indietro, alle nostre spalle. «Guardaci, piccola bestia di satana. Stiamo bene insieme.»
Si appoggia al mio petto. «Si, stiamo bene. L'ho capito sai...»
«Che cosa?»
«L'amore non è solo unirsi fisicamente, è amore quando mi abbracci e il mondo non ha più senso, le paure si allontanano e io mi sento a casa. Amore è quando ti addormenti accanto a me e non te ne vai fino a quando non mi hai salutato anche solo con una carezza o un bacio appena accennato. Amore è quando dividi con me il cibo, l'ultimo pezzo della tua pizza, quando mi imbocchi perché sai che altrimenti mi perdo e non mangio più, quando mi sistemi la coperta perché pensi che io abbia freddo. Amore è quando mi guardi...», sussurra girandosi. «L'amore sei tu che ti sei accorto di me quando credevo di essere invisibile.»
Alzandosi sulle punte mi bacia ed io senza fretta, senza un secondo fine, ricambio sollevandola leggermente da terra. Aggancia le gambe intorno alla mia vita e la porto fuori dal bagno premendola contro la parete accanto alla porta di questo.
«Non dirmi mai più queste cose o mi verrà il diabete. Sai che anche se non sembra sono debole di cuore.»
Sorride. Sulla guancia le scivola una lacrima e gliela asciugo preoccupato. «Quando si parte?»
«Adesso», le dico con l'istinto di proteggerla da tutti i demoni interiori e dal pericolo che sta vivendo all'esterno. «Preparati, chiamo Nelson per avvisarlo e partiamo.»
Mentre indossa indumenti comodi, chiamo Nelson per avvertirlo. In breve mi organizza il volo con il jet privato e mi avverte che ci vedremo direttamente in pista.
Usciti dall'appartamento, Denver e Perez ci scortano in aeroporto, nella pista privata in cui vi è già pronto il mio bellissimo jet privato.
Durante il tratto di strada passato in auto, Iris non sembra nervosa. Mi piace quando è tranquilla. Però non parla. Non esprime apertamente quello che pensa. Vorrei tanto fare qualcosa ma comprendo anche quando ha bisogno di tempo e di spazio per pensare, per riflettere e calmare tutto quello che le appicca un brutto incendio dentro. Quello che faccio è stringere la sua mano e, di tanto in tanto, le poso un bacio sulla spalla per farle capire che ci sono, che non me ne vado.
Quando arriviamo in aeroporto, la nostra pista privata è segnata da un percorso con piccole luci accese davvero suggestivo. Nelson e Myrtle ci attendono fuori dall'auto, pronti per salire in aereo.
«Buona sera signore», mi saluta con un sorriso sereno cercando di capire come sto. Myrtle abbraccia subito Iris poi mi fa un cenno con la testa, abbozzando persino un sorriso. «Signore.»
«Smettetela di chiamarmi signore, sono Hunter. Per favore... mi mette a disagio.»
Annuiscono all'unisono. «Bene, allora se siamo tutti... dopo di voi, Hunter.»
Saliamo in aereo, saluto il pilota e conduco Iris verso la nostra cabina, i nostri posti a sedere, mentre Nelson porta invece la moglie in quella opposta.
Controllo che sia tutto in ordine e procediamo con il decollo. Iris mi tiene la mano poi chiude gli occhi appoggiandosi alla mia spalla. «Non abbiamo avvisato nessuno della nostra fuga.»
«Siamo solo io e te, importa questo. Poi non sei sola e non stai scappando.»
Le bacio la tempia e mi rilasso sollevando le ginocchia, mettendole comode e stese sul poggiapiedi.
Durante il viaggio troviamo delle turbolenze, ci fermiamo un paio di volte per non rischiare e non avere problemi, ma quando finalmente arriviamo in Canada è quasi sera. Alla fine abbiamo raggiunto questo territorio e ci stiamo dirigendo dentro l'auto verso le montagne innevate dove abbiamo una villa.
Iris si riscuote dopo un breve rumore di clacson. L'auto ci sta conducendo proprio lì nella struttura che inizia ad intravedersi tra gli alberi. Una villa illuminata dai lampioni. Iris guarda intorno poi sorride e torna ad accoccolarsi sotto il mio mento. Abbassa il mio viso cercando le mie labbra. Le muove avide facendo molta pressione. La mia lingua chiede accesso alla sua bocca e con invadenza lascio che mi faccia perdere il controllo.
Quando le sue dita si muovono frenetiche verso il basso e i nostri respiri iniziano a creare nuvole di condensa contro il vetro, fermo la sua mano tirando indietro la testa. «Che ti succede?»
Batte le palpebre freneticamente, le sue guance si arrossano mentre il suo petto continua ad alzarsi e ad abbassarsi. «Niente contatti con l'esterno, vero?», sussurra. «Solo noi due?»
Prendo il telefono e lo spengo dopo avere avvertito Issac che non sarò reperibile. Lei riavvicina le labbra alle mie.
«Iris, dimmi che cosa succede dentro questa testa piena di pensieri. Non risolveremo le cose andando a letto o lasciandoci prendere dall'euforia proprio in auto e mentre qualcuno potrebbe abbassare quel divisorio e guardarci.»
Abbassa gli occhi. «Si, scusa», balbetta ricomponendosi con le guance rosse.
«Non dico che non sia una soluzione eccitante e piacevole, ma i problemi rimarranno comunque e siamo qui per rilassarci ma anche per superare un grosso ostacolo cercando una soluzione.»
Annuisce nascondendo il viso sul mio petto. «Scusami», ripete imbarazzata.
«È quando stai in silenzio che mi preoccupi di più, perché significa che qualcosa dentro di te è andata in frantumi. Ti spezzi in silenzio e non fai rumore, Iris. Io lo so che piangi ma lo fai quando nessuno può vederti. Lo so che sei fragile quando sai che nessuno può fermarti. Ma non devi nasconderti con me. Non devi imbarazzarti. Quindi dimmi solo che cosa succede e lascia che ti aiuti, perché chiedere aiuto non è sinonimo di debolezza.»
Batte un paio di volte le palpebre. Lo fa lentamente e da questo capisco che trattiene le lacrime. Schiude le labbra, prende un respiro e trova le parole per farmi capire quello che prova. «A volte è come se avessi un enorme buco qui, al centro del petto. Questo vuoto è così grande, così immenso, così difficile da controllare. A volte mi sento così asfissiata, così avvilita che mi sembra che la solitudine mi stia soffocando. Ma so che se ci sei tu tutto migliora e il pensiero di perderti mi uccide. Mi dispiace per prima, non volevo reagire in quel modo.»
Mi perdo nel colore puro delle sue iridi. Mi sento indifeso di fronte a una tale bellezza così triste, disarmato e impreparato alla valanga di emozioni che si susseguono dentro di me.
La verità è che di fronte all'amore siamo vulnerabili, rischiamo di impazzire e commettere follie, perché la persona che può guarirci, può farci sentire ad un passo dal paradiso, può anche farci schiantare in un attimo all'inferno, può massacrarci il cuore spegnendosi davanti ai nostri occhi.
Io non gli permetterò di chiudersi, di allontanarsi.
Annuso la sua pelle. «Appena arriviamo ti faccio fare un giro veloce della casa e poi dritto dentro la vasca idromassaggio.»
«Quanto è grande la villa?»
«Più grande di un campo da baseball.»
Iris apre il finestrino cercando un appiglio. L'aria fredda entra dentro l'abitacolo con la sua frizzantezza pungente che va a riempire i nostri polmoni. «È quella?», chiede indicando proprio la villa che, si erge ai piedi di una grande montagna, circondata da alberi verdi e da odore di muschio. «Si, benvenuta a casa.»
Si volta con una linea tesa e ben in evidenza a solcarle la fronte. Non posso fare a meno di toccarla. «È una delle proprietà che adesso abbiamo in comune. Tranquilla, i nostri genitori non sono presenti perché hanno preferito stare altrove. Diciamo che non è propriamente il loro ambiente questo.»
Torna a guardare la villa. «Perché invece a te piace così tanto?»
«Da cosa l'hai capito?»
Si volta ancora abbagliandomi con quei due occhi che sembrano fanali in un giorno uggioso. «Sei eccitato da quando siamo saliti sull'aereo. Non vedevi l'ora di arrivare in questo posto. Perché?»
«Perché è tranquillo. Qui puoi solo rilassarti e farti un giro in mezzo alla neve. So che per gli amanti del caldo questo ambiente non è il massimo ma dopo le prime ore ci si abitua alla temperatura, alla vista, ad ogni rumore o suono o odore.»
Mi guarda un momento facendomi sentire un naufrago appena sceso sulla terra ferma dopo anni di isola deserta. Mi sento in bilico, in alto mare, in equilibrio instabile.
«Andremo a sciare. Non aspettarti che io ti chieda di insegnarmi come si fa.»
Sorrido. Quando torna un po' in sé mi piace, mi fa sentire di nuovo completo. Perché lei ha la capacità di farmi sentire vuoto, solo e poi di colpo incredibilmente pieno, completo, amato.
«Ci sarà proprio da divertirsi. Nelson non è poi così bravo. Dovresti vederlo.»
Sorride con occhi accesi di curiosità e le sorrido sfiorandole una guancia. «Già, Nelson sa sciare ma non è così bravo. Preferisce fare una passeggiata nei sentieri e con una guida. Sicuramente avrà questo in programma e poi scenderanno in paese per mangiare qualcosa. Saremo soli.»
«Lo conosci bene.»
«So i gusti di tutti. Tengo ogni cosa a mente e mi piace non essere visto come un "padrone".»
Si avvicina. La sua mano arpiona il bordo della mia giacca e mi tira a sé. «Con me che cosa hai in programma di fare?»
Fingo di rifletterci, ma ho già tutto pronto, tutto programmato nel dettaglio; anche se con lei non si sa mai. «Prima ti ho detto quello che faremo. Se non ti va possiamo sempre cambiare piano. Il resto lo scoprirai domani.»
L'auto si ferma e l'autista apre la portiera mentre Denver e Perez controllano che sia tutto sotto controllo prima di lasciarci uscire. La porta ad arco con i vetri a specchio della villa in pietra e legno è aperta. Fuori, lungo il viale pieno di neve e ciuffi d'erba che escono qua e là dallo strato bianco, poco più avanti del portico, ad attenderci c'è tutto lo staff.
Mi salutano con timore e cortesia. So che vorrebbero essere altrove, infatti, dopo i saluti, li congedo con gentilezza. Voglio che la villa sia tutta nostra senza doverci preoccupare di girare nelle stanze o di essere spiati.
Nelson porta le valigie nella loro ala della villa mentre io inizio a far fare il giro della casa ad Iris che, rispetto all'inizio, sembra molto più a suo agio.
Indico prima le stanze a Denver e Perez, il resto della sicurezza è già stato sistemato da Nelson.
Rimasti soli, la prendo per mano. Superata l'entrata simile ad un soggiorno con scale e soppalchi chiusi, la porto in cucina. Non è ampia come quella del mio appartamento ma sufficiente per cucinare e muoversi da una parte all'altra senza creare ingorghi. Tutto in legno, tutto avvolto nella pietra e odore di cedro. La faccio sedere un momento sullo sgabello davanti all'isola e girando intorno al bancone apro la piccola anta a mezz'aria incastrata nella parete dove si trova una speciale collezione di bottiglie pregiate e ne prendo una di vino rosso. Dopo averla stappata ne verso due calici abbondanti passandogliene uno e facendole cenno di seguirmi la conduco dapprima al piano di sopra dove le mostro le varie stanze, poi nel terrazzo dove si trova la vasca idromassaggio e la vista mozzafiato su tutta la valle.
Iris rimane spiazzata. Non smette un momento di guardare intorno a bocca aperta mentre il cielo inizia a coprirsi di stelle. Si volta e sorride dopo intere ore a trattenersi. «È davvero bello qui.»
Sollevo il calice. «Al nostro viaggio, alla nostra serenità.»
«A te che sei il mio faro nelle notti buie», replica bevendo subito un sorso, poi torna a guardare intorno. Poso il calice sul bordo della vasca insieme alla bottiglia e inizio a spogliarmi. Lei se ne accorge e rimane impalata per un istante non sapendo che cosa fare.
«Inaugura con me questo momento.»
Posa il calice e dopo una breve esitazione prende la mia mano tesa lasciando che l'avvicini. Tiro giù la zip del giubbotto grigio perlato che indossa e procedo lentamente con ogni suo indumento. Mi fermo a guardare quando rimane in intimo. Indossa un completo nero, niente fronzoli ma è di una sensualità unica. Mi avvicino al suo orecchio. «Vuoi tenerlo?»
«Per ora si», risponde con la pelle d'oca.
L'aiuto ad entrare nella vasca prima di congelare e quando si posiziona davanti, con le braccia sul bordo per ammirare ancora intorno, mi avvicino, l'abbraccio e mi rilasso insieme a lei. In cuor mio, spero non succeda niente.
Indugio un momento prima di oscillare e poi sistemarmi davanti a lei premendo la mano sulla sua guancia. Un contatto che non intendo perdere perché mi fa sentire più vicino al suo cuore. «Sai che cosa mi piace davvero di te?», chiedo a bassa voce.
Lei mi guarda con quel cipiglio nello sguardo in silenzio e in attesa, così continuo. «Non sei una persona facile. Non sempre riesci ad accontentarti delle piccole cose e questo ti rende ai miei occhi diversa. Non ti accontenti solo delle briciole quando sai ti poter avere una fetta più grande di un dolce. Mi piaci e mi fai impazzire perché quando c'è qualcosa di semplice tu ti complici la vita con i dubbi, con le paranoie e la paura. Mi piaci perché ti emozioni e lo fai con contegno, spesso con imbarazzo perché non sei abituata ai gesti di tenerezza e quando ne ricevi uno tenti sempre di trattenerlo più che puoi fino a scioglierlo dentro il tuo cuore, in quei ricordi che ti accompagnano sempre. Mi piaci perché arrossisci, perché non hai paura di arrabbiarti, di dire quello che pensi quando non sei d'accordo. Mi piace perché apprezzi ogni gesto come se fosse l'ultimo regalo che qualcuno potrebbe donarti. Mi piaci perché quando sei nervosa ti agiti, spesso parli velocemente e gesticoli come se avessi degli attacchi epilettici. Hai tanta vita dentro, piccola. Mi piaci perché non ti fermi alle apparenze ma scavi a fondo, tiri fuori ogni radice. Mi piaci perché non vedi mai niente di brutto, perché i tuoi occhi vedono bellezza anche in un fiore calpestato. Mi piaci perché sai ascoltare, perché sai come farti amare anche se non lo credi possibile. Mi fa impazzire quando ti spoglio con gli occhi e tu hai quella reazione, trattieni il fiato e poi rilassi subito le spalle sganciando il tuo più bel sorriso. Non ti accorgi che sei bella da fare invidia ad una dea e per questa ragione sei preziosa e unica, perché non ti elogi mai ma sei una meraviglia. Ti amo perché sei quel pezzo mancante di cui ho sempre saputo l'esistenza ma non ho mai percepito la mancanza fino a quando non ti ho incontrata e ho rischiato di perderti. Da quando ci sei tu, nella mia vita piena di temporali interiori, sono riuscito a vedere arcobaleni unici, spicchi di luce in grado di riscaldarmi il cuore. Da quando ci sei tu, il buio non fa poi così paura e la luce non lascia ombre. Da quando ci sei tu ho capito di non essere più da solo e ti amo da impazzire perché sei quella che sei. Per me, una persona importante.»
Dalla sua bocca sfugge un singhiozzo. Porta il palmo sulle labbra poi mi getta le braccia al collo più che emozionata, sorpresa e abbastanza scossa dai brividi per potere rispondere. Respira, prende piccole boccate poi si concentra. Trema persino ma le mie braccia la tengono stretta.
«Hunter, io ti amo. Ti amo perché sei il genere di persona con cui vale aspettare il tramonto e poi l'alba di un nuovo giorno da passare e vivere insieme. L'amore che sento per te è una botta di vita nel cuore, una scarica violenta che mi farà perdere il controllo. Ma non ho paura di barcollare o di non avere equilibrio e amarti, mi terrorizza il pensiero di perderti e non intendo farlo. Ecco perché sono qui con te, perché non voglio perdermi neanche un istante insieme a te che sei il mio posto sicuro. Anche se non so dimostrarlo sempre o anche se non lo ripeto, io ti amo di un amore folle e spaventoso. Quindi smettila di preoccuparti perché accanto a te io mi sento sempre al sicuro, anche quando mi fai arrabbiare o mi fai venire voglia di andare via. Ma io resto, resto qui, resto nel tuo cuore perché sei la mia parte migliore.»

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