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35


IRIS

NO. NO. NO.
Non posso crederci. Non è vero. Non è vero. Non è per niente vero quello che ho appena sentito. Ma la chiavetta è nella mia mano quindi è vero. È tutto vero.
Dio, sto impazzendo!
Supero Issac e mi dirigo verso il piano di sotto, ma non so dove andare. Non so che cosa fare. Scendo di corsa le scale, raggiungo l'ultimo gradino senza essere fermata, per fortuna.
«Iris, fermati!», mi urla Hunter spuntando dalla rampa delle scale. Gli occhi rossi, il terrore stampato sul viso e poi di corsa insieme a lui Issac che prova a trattenerlo quando scende i gradini per raggiungermi.
Non mi volto di nuovo per non lasciarmi abbindolare dal suo sguardo, dalle sue parole e corro fuori spalancando il portone, decisa più che mai a tornare a casa, a mettermi le cuffie e a guardare tutto quello che c'è dentro la chiavetta, anche se mi farà molto male.
Questa volta andrò fino in fondo a questa storia. Lo farò non solo per Ellen ma principalmente per me stessa. Perché sono stata accusata, mi sono sentita sola e umiliata, giudicata mentre la verità stava dentro quei video delle telecamere che, a quanto pare, qualcuno ha tenuto nascosti per anni fino a questo momento.
Ricchi stronzi!
Pagherà chiunque ha fatto del male alla mia amica. Non mi fermerò finché non avrò trovato il bastardo che l'ha fatta sparire.
Asciugo le lacrime. I miei passi provocano uno scricchiolio assordante nel silenzio che c'è fuori dalla villa. Raggiungo più in fretta che posso Denver senza dare troppo nell'occhio perché dalle vetrate intravedo la mia famiglia e poi ancora i Ford impegnati a festeggiare qualcosa che non ci sarà più tra qualche mese. Perché anche se amo Hunter, non posso perdonare del tutto quello che ha fatto. Non posso stare con una persona che mente, che trova strani modi per dirmi le cose. Non posso stare con una persona che forse ha ucciso la mia amica.
«Signorina», dice sorpreso Denver, subito sull'attenti.
«Portami a casa e non permettere a nessuno e dico nessuno di fermarmi. Fagli del male se necessario.»
«Si, sig...»
Vengo afferrata per le caviglie, sollevata e caricata in spalla come se fossi priva di peso da Hunter che mi riporta dentro mentre urlo e mi dimeno come una pazza.
Quando alzo lo sguardo, Denver si scusa ma sa di non potere fermarlo in alcun modo. Allora decido di fermarlo da sola. Se non con la forza lo farò con le parole. Perché le parole sanno distruggere tutto in un attimo. Non sono solo armi, sono petardi nel cuore.
«Lasciami!», urlo picchiando i pugni sulle sue spalle massicce a vuoto. Mi dimeno ma è inutile. Mi tiene così stretta da farmi sentire un topo dentro un bicchiere.
Prende le scale salendo i gradini a due a due. Alzo la testa per chiedere aiuto ma Issac non è più in corridoio e quando entriamo dentro la stanza vengo lanciata sul letto senza la minima delicatezza. Di seguito mentre cerco di riprendermi, sento lo scatto della porta. Un rumore sinistro che raggiunge le mie orecchie come uno sparo facendomi scattare a metà busto.
Guardo male Hunter. Aggiusto i capelli togliendoli dal viso e legandoli di nuovo sulla testa. Sollevandomi dal letto corro alla porta e tiro la maniglia come un'indemoniata. «Fammi uscire!», urlo picchiando al contempo il palmo contro la superficie, non mi fermo e continuo fino ad arrossarlo. «Fammi uscire da qui! Apri questa maledetta porta o la sfondo a calci, lurido stronzo!», sbraito sempre più agitata. «Apri questa porta! Adesso! Aiuto!»
Mi tappa la bocca ma gli mordo la mano con tutta la forza che ho e lui la allontana con una smorfia quando vede il segno che gli ho lasciato. Mai toccarmi all'improvviso come ha fatto lui, dovrebbe saperlo.
«Calmati un attimo!», urla a sua volta avvicinandosi, imprigionandomi alla porta con i palmi ai lati della mia testa.
Il suo odore minaccia le mie narici. Ancora di più i suoi occhi provano a farmi desistere. Ma non mollo, fisso un punto e mi concentro su come fare ad uscire da qui.
«Calmarmi? Sei uno stronzo!», lo spingo ma non si muove di un millimetro impedendomi di respirare, di non piangere e di non sentirmi così arrabbiata da stare male. «Sei un assassino! Mi fai schifo!»
Ho il cuore che mi batte troppo forte nel petto. Così forte da lasciarmi senza fiato, senza peso. Mi appoggio alla porta con le ossa che fanno male mentre respiro a fatica.
«Sono stronzo perché non volevo ferirti? Lo sono perché prima volevo accertarmi di avere visto davvero qualcosa quella notte e di volerlo condividere con te dopo che mi hai detto che per anni ti sei sentita sola, sotto i riflettori? Lo sono perché sto cercando di aiutarti? Lo sto facendo tardi, è vero, ma lo sto facendo. Quindi si, prendimi pure per stronzo, urlami addosso quanto faccio schifo, arrabbiati, picchiami, ma poi calmati e prova a capire anche me! E per la cronaca: non sono un assassino. Io... non ho ucciso nessuno.»
Vedo come un lampo. «Capirti? È questo quello che ti serve? Che io ti capisca? Davvero?», lo guardo come se mi avesse appena colpito allo stomaco, poi al petto, poi strappato il cuore a mani nude.
Hunter sembra fermamente convinto di ogni sua azione. Non ha ancora capito che avrebbero potuto salvare una persona quella notte andando contro le loro "regole". E so che Ellen potrebbe avere commesso qualche cazzata delle sue, so che prima dovrei accertarmi, ma in questo momento ho la testa così piena di pensieri da non capire niente, da vedere rosso ovunque e da essere così piena da potere dire o fare la cosa più sbagliata. Pertanto, punto bene i piedi per terra e lo trafiggo ancora con le parole, con lo sguardo.
«Tu più di tutti sai quello che ho passato. Te l'ho raccontato e che cosa hai fatto? Mi hai mentito!»
Lo guardo e non lo riconosco. Le lacrime storpiano il suo viso ma le ricaccio dentro. «Hai preferito mentire. Inizio a pensare che ti sei avvicinato a me proprio per lavarti la coscienza. Non sei una bella persona e avevi ragione quando hai detto che somigli tanto a tuo nonno. Sei proprio un bastardo come lui.»
Mi afferra il viso guardandomi dritto negli occhi. Lo fa quando vuole avere un contatto diretto. Sa di essere spietato, sa di disarmarmi. Ma non è così in questo caso, perché quello che sento supera ogni cosa.
L'ho ferito, lo sento dal modo in cui cerca di farmelo capire attraversando le mie iridi e scavandomi dentro una voragine.
«Non pensare assolutamente una cosa del genere. Io non sapevo di te, della tua esistenza fino a quando in quello stand i Miller non mi hanno detto il tuo nome. Non sapevo che gli Harrison avessero una figlia femmina. Non conoscevo niente di te, eppure sentivo di sapere tutto quando ci siamo rincontrati. Non sono un mostro, Iris. Ho solo protetto delle persone e so che lo avresti fatto anche tu al posto mio. Proprio come so che a parlare in questo momento è la tua delusione e la rabbia. E ripeto, la tua amica è andata via prima della fine di quella dannata festa. Se non ci credi sediamoci e guardiamo insieme quei video. Ci vorrà tutta la notte e non importa ma saprai chi sta dicendo la verità. Dopodiché potrai fare quello che vuoi, dopo avermi chiesto scusa.»
Il suo discorso non fa una piega ma non voglio sentirmi una stupida. Non voglio essere manipolata ancora da lui. Lo avrà fatto anche con altre? Chiedergli scusa?
Mi irrigidisco. «Vedrò da sola quei filmati e tu dovrai stare lontano da me.»
Scuote la testa. Continua a tenermi il viso tra le mani. Il suo tocco mi brucia come fuoco. «Non posso e so che non vuoi neanche tu. Adesso smettiamola di discutere e procediamo come due adulti.»
«Inizia ad allontanarti da me perché non voglio che mi tocchi», ringhio. «Comportati da adulto e lasciami andare.»
Si stacca da me. «Fatto», dice insicuro. «Ma non posso lasciarti andare.»
Mi guardo intorno per trovare una via di fuga diversa dalla comune porta. Le finestre sembrano sigillate e so che dal bagno non si può andare da nessuna parte. Sono braccata.
Qualcuno bussa alla porta. Hunter va ad aprire e Issac entra in camera scortato. «Ho con me i rinforzi», dice facendoci distribuire a me un tablet, un bloc-notes e una penna e due computer che posano sul tavolo basso per loro. Entrano anche con un carrello sulla quale ci sono dei cartoni di pizza e da bere.
Era tutto organizzato. Tutta una trappola per farmi vivere questo assurdo momento, mi dico. Ma so già come vendicarmi. Domani ci sarà quella maledetta prima intervista, risponderò ad ogni domanda che il giornalista mi porrà su di lui. Lo metterò in ridicolo. Se sarà necessario parlerò anche del contratto e di come le nostre famiglie ci hanno costretti a formare vendendoci al pubblico per non perdere proprietà, fabbriche e tanto altro.
Intuendo di non avere scampo, mi siedo con la schiena contro la testiera del letto e sbloccando lo schermo del tablet fisso quello che ho davanti a me. Ovvero: una serie di cartelle numerate e ben organizzate con la data della sparizione di Ellen.
Come dimenticarla?
Issac, forse notando quello che sto facendo e intuendo i miei pensieri, spiega: «Hunter mi ha chiesto quei video prima dell'aggressione, anche se non ero d'accordo. L'ha fatto per te, quindi smettila di dargli delle colpe o di comportarti da ragazzina ricca viziata e scopriamo che cosa è successo quella notte alla tua amica. Scegli una cartella, indossa le cuffie se vuoi ascoltare anche gli audio e troviamo tutti quelli che la riguardano. Quando la notate, trascrivete il numero del filmato sul taccuino e i minuti in cui compare nel video. In questo modo saremo più veloci nella ricostruzione della sua serata. Ci sono domande? Bene, mettiamoci al lavoro!»
Sono così organizzati da fare invidia ad una squadra di spie, mi dico terrorizzata al pensiero di ciò che vedrò a breve e di quello che potrei scoprire su Hunter.
Non rispondo e infilandomi le cuffie, ignorando i due che decidono quali cartelle vedere, clicco sulla prima. Ho intenzione di vedere tutti i filmati e di non lasciarne neanche uno. Ho intenzione di scoprire e ricostruire l'ultima serata vissuta da Ellen, vedere quello che ha fatto, come si è comportata. Se ha sorriso, se ha pianto o se si è arrabbiata con qualcuno. Qualsiasi cosa risponderà alle mie molteplici domande che da quattro anni continuano a circolare dentro la mia testa.
Inspiro prendendo una lunga boccata d'aria e premo, con mani tremanti, il tasto play che compare sullo schermo del tablet. Abbasso un po' il suono e osservo ogni dettaglio del posto.
Le immagini abbastanza nitide, mostrano l'interno del locale che, altri non è che la casa stregata del Luna Park. Un lungo brivido pervade la mia spina dorsale e sussulto quando noto seduto tra i divani di una sala ben organizzata e piena di persone appositamente scelte, proprio lui: Hunter.
Un divisorio, due divani posti vicini e lui da solo comodamente seduto al centro con un sigaro in bocca e un bicchiere davanti, sul tavolo da caffè insieme ad un posacenere. Guarda intorno ma non sembra felice.
I miei occhi si staccando dallo schermo dopo avere fermato il video e si posano per un attimo su di lui che, mi sta già guardando. Ricevo come una scossa e, infastidita, torno a concentrarmi sullo schermo continuando a vagare con gli occhi per tutta la magnifica sala ripresa in un primo piano perfetto.
Luci rosse ed interni dai toni sull'oro e il vinaccia. Ci sono cubi, un palchetto per il DJ, un enorme bancone dove prendere da bere ma anche un tavolo pieno di alcolici per chi non intende aspettare la fila e servirsi da solo. Ci sono tavoli da gioco pieni di persone allegre e poi ancora una pista da ballo dove gli invitati stanno ballando o chiacchierando tenendo in mano dei bicchieri.
Riconosco dei ragazzi, venivano al liceo, poi però si sono trasferiti in un altro posto e hanno cambiato scuola. Noto anche un gruppo di ragazze e mi irrigidisco quando si avvicinano proprio ad Hunter ancora solo, sedendosi intorno a lui. Lo circondano e per un momento ho bisogno di non vedere. Ma i miei occhi traditori sanno già quello che vogliono e davanti a me si para l'immagine di una mora stretta in un vestitino succinto, bella come una modella delle riviste dei costumi, impegnata a toccarlo, a stringersi come una gatta in calore a lui.
Il mio cuore precipita, si ferma poi però torna a battere feroce quando Hunter le allontana tutte quasi bruscamente ed io sussulto, per poco non urlo dalla frustrazione che sento addosso e che potrebbe schiacciarmi.
Fermo un momento il video e alzo di nuovo lo sguardo. Lui è ancora lì a guardarmi, le cuffie alle orecchie e gli occhi anziché sullo schermo su di me. Porta un paio di occhiali ed è terribilmente attraente con addosso la camicia sbottonata e le maniche arrotolate sugli avambracci, quell'orologio enorme al polso e quel filo di barba che vorrei tanto sentire sulla mia pelle sensibile.
Stringo i denti, mi agito, cambio posizione e torno a farmi male. Non appena premo play sul secondo video, mi ritrovo davanti Ellen. Dalla mia bocca sfugge un singhiozzo che attutisco mordendomi l'interno di una guancia. Non pensavo che avrei avuto una reazione tanto violenta dentro. I miei occhi bruciano come tizzoni ardenti sulla carne mentre trascrivo tutto sul foglio e continuo ad osservare ogni movimento della mia amica.
Viene raggiunta da un gruppo di ragazzi e sorride loro parlando per una manciata di secondi direi quasi annoiata, poi lasciandoli lì si avvia verso il bar continuando a guardarsi intorno e non come meravigliata ma come se fosse dentro un covo. Non ha alcuna eccitazione stampata in faccia, nessun sorriso radioso. Estrae il telefono dalla borsetta e seduta sullo sgabello, scatta delle foto. Trascrivo il dettaglio, stoppo il video e guardando Issac chiedo: «È possibile trovare delle foto da un cellulare scomparso? Potrei avere da qualche parte l'indirizzo iCloud e la password.»
«Perché?»
«Perché Ellen ha scattato delle foto», replico mostrandogli lo schermo in cui c'è proprio lei con il telefono in mano.
I due si guardano fisso poi rispondendosi silenziosamente, tagliandomi fuori per qualche minuto dalla loro conversazione, decidono il da farsi.
«Come mai hai la password del suo iCloud?»
«Ellen se ne dimenticava sempre e ne lasciava una di riserva per me. Diceva che ero la sua "tesoriera".»
Come ho fatto a non pensarci prima? Che stupida! Tutti questi anni a cercare prove e non ho mai pensato a questo dettaglio che potrebbe cambiare tutto. Quattro anni fa ci siamo solo soffermati sulle chiamate e i messaggi. Non abbiamo pensato alle foto. Merda!
Issac ascolta con attenzione e una strana espressione dipinta in volto poi guarda ancora Hunter e infine, quasi sconfitto, annuisce. «Vuoi che lo faccia adesso? Hai modo di recuperare indirizzo e password?», chiede mangiucchiando un pezzo di pizza nervosamente.
Hunter posa un cartone sul comodino e se ne ritorna sul divano. Guardo il cartone poi lui e poi ancora lo schermo dove la mia amica se ne sta immobile con il telefono in mano.
Non mi sento in colpa per averlo accusato, mi sento in colpa perché adesso capisco la ragione per la quale non me ne ha parlato prima. Forse voleva risparmiarmi tutto questo.
«Si, se puoi.»
Scrivo sul foglio quello che ricordo e che trovo tra le mie note salvate e quando si avvicina glielo passo.
«Vado a recuperare l'altro iPad, arrivo subito. Non parlate troppo voi due in mia assenza.»
Premo di nuovo play fingendo che il commento di Issac non mi abbia toccato. Il materasso però dopo qualche secondo si abbassa un po' e quando sollevo gli occhi dallo schermo lui è davanti a me.
Mi fa male il cuore vederlo così triste ma volevo solo un po' di sincerità. Non chiedevo altro.
Apre il cartone e mi avvicina il trancio della pizza margherita alle labbra. Do un piccolo morso continuando a guardare la mia amica sempre più curiosa e sempre più guardinga. Corrugo la fronte quando noto che nasconde il telefono ma continua a premere le dita guardando di tanto in tanto lo schermo prima di infilarlo dentro la borsetta.
«Che c'è?»
Metto indietro il filmato e gli mostro quello che ho appena visto. I suoi occhi intercettano i miei ed entrambi capiamo che Ellen in realtà non era lì solo per divertirsi e salire su quel gradino sociale, era lì perché qualcuno le aveva promesso qualcosa di più sostanzioso. Per farlo, a quanto sembra, doveva smascherare il club o qualcuno lì all'interno. Una vendetta?
Hunter azzanna il mio trancio di pizza più che nervoso e pensieroso poi continua ad imboccarmi. Fissa lo schermo insieme a me e quando Issac entra in camera, si allontana da me e se ne ritorna sul divano più che assente.
Issac, se nota qualcosa, non fa commenti ma in compenso mi mostra tutte le foto che Ellen ha fatto quella notte facendo scorrere il dito dal basso verso l'alto sullo schermo dell'iPad prima di bloccarlo. «Queste però le analizzeremo domani, ok?», dice tirando indietro la mano con il dispositivo. «Un giorno in più o qualche ora non cambierà niente.»
Annuisco anche se con disappunto. «Ok, ma nessuno deve vederle prima di me», apro il palmo e lui mi posa il piccolo iPad in mano. «Prima hai bisogno di una dormita e devi essere lucida per non lasciarti sfuggire qualche dettaglio importante.»
Mi prende in giro? E chi ha più intenzione di dormire adesso?
«Pensiamo che Ellen fosse lì per incastrare qualcuno.»
Issac annuisce, anche lui è arrivato alla nostra stessa conclusione. «Ne riparliamo domani.»
Detto ciò, i due si sistemano sui divani mentre io riprendo il mio compito: scoprire quello che stava facendo Ellen.

Mi alzo per sgranchirmi le gambe e bevo un sorso d'acqua guardando la stanza nella penombra. Sono le tre di notte. Ho bisogno di uscire da qui dentro. Ho bisogno di smaltire tutto quello che ho visto o sentito in quei video.
Senza fare rumore, lascio i due che dormono stravaccati sul divano ed esco dalla stanza scendendo al piano di sotto e poi in giardino.
Raggiungo il labirinto camminando fino alla bellissima fontana. Mi siedo sul bordo e fisso i fiori che galleggiano sulla superficie cercando invano di non rivedere quei frammenti in cui la mia amica stava commettendo qualcosa di brutto e ignobile pur di ottenere chissà che cosa.
Ho la testa che mi scoppia e non riesco a capire da che parte sta la ragione in tutto questo enorme casino.
Sospiro. «Scoprirò tutto guardando quelle foto. Se solo Issac mi avesse dato la password per sbloccare quel dannato arnese», brontolo.
Ritorno indietro e togliendomi le scarpe, sollevando i jeans dalle caviglie alle ginocchia, infilo i piedi dentro la piscina che, è riscaldata. Sollevo lo sguardo e il cielo è coperto di stelle, una più luminosa dell'altra. È davvero magnifico, unico. Uno spettacolo da non perdere grazie anche al buio che vi è qui intorno e alla tranquillità storpiata dal canto delle cicale.
Percepisco il suo profumo e il suo calore come un colpo di frusta sulla pelle, quando sedendosi dietro di me, avvolge le braccia intorno al mio petto stringendomi al suo contro il mio volere. Ma non mi oppongo, non lo combatto, non rifiuto la sua vicinanza.
Nella vita ho imparato tante cose. Ho imparato che spesso non ti scansi dalle carezze per non innamorarti, ma per paura che diventino lividi sul cuore. Ho imparato a fingermi forte, indifferente, a non essere troppo smielata, tropo dolce, troppo presente, troppo. Ho imparato a mantenere le distanze e non per sembrare indifferente, ma solo perché anche se vai avanti ti porti dietro cicatrici e ferite ancora aperte di quella volta in cui hai donato il cuore a mani inesperte. E ci hai creduto tanto ma non è servito, perché l'amore ti lascia sempre un segno addosso. L'amore è come un osso rotto e riparato. Quando sta per cambiare il tempo, lo senti dentro.
Io trattengo dentro quello che dovrei mostrare senza vergogna. Tengo dentro quello che sento forte e che mi infiamma il cuore. Tengo dentro un po' d'amore perché se dovesse finire davvero questa storia di me poi non ne rimarrebbe niente.
Preservo un pezzo di me per le notti in cui dovrò soffrire e nel frattempo mi lascio amare quel tanto che basta da non sentirmi più un disastro.
«Stanca?»
«Un po'.»
«Insonnia?»
«Tanta», replico.
Sorride appoggiando il mento sulla mia spalla prima di tornare serio. «Non volevo ferirti», mormora.
«Però lo hai fatto lo stesso», replico acida.
«Non c'è un modo giusto di dire la verità, Iris. Apprezza lo sforzo. Non è stato facile per me, mi sento distrutto.»
«Oh certo, apprezzo molto lo sforzo. Adesso puoi lasciarmi sola? Mi stavo godendo un po' d'aria fresca, visto che sono rimasta chiusa in una stanza contro il mio volere per ore.»
«Non puoi avere così tanti dubbi su di me!»
«Si che posso. Soprattutto da quando ho saputo che mi hai mentito. Conoscevi la mia amica, la sua storia e sei stato probabilmente uno degli ultimi a vederla viva.»
«Le mie ragioni...»
«Le tue ragioni potranno anche essere state nobili ma ciò non toglie il fatto che hai tenuto nascosta la verità. L'hai fatto con me. Non sono un'estranea, Hunter.»
«Io lo capisco. Capisco che sarà dura, ma ti posso giurare che non l'ho fatto per un tornaconto personale. Non l'ho fatto per dispetto o altro. E ti posso giurare che sei l'unica stella di tutto l'universo buio che mi circonda di cui mi importa. Sei l'unica.»
Mi morde la spalla poi il collo e il mio corpo, la mia mente, si disintegrano all'istante. Dalla bocca mi sfugge un gemito e lui non smette, continua a torturarmi.
«Iris non voglio perderti, quindi sarò breve: smettila di vedermi come il nemico. Io non ti conoscevo quando è successo questo enorme casino. Non ho neanche seguito le vicende perché non era affar mio. Sono sempre stato egoista, vero, ma non è stata una decisione solo mia chiudere i battenti per non avere problemi. Se ti avessi conosciuto prima sarebbe stato diverso. Nel profondo del mio cuore io lo so che è così e penso lo sappia anche tu.»
«E di chi è stata allora l'idea?»
«Dei membri del club. Avevamo avuto troppi problemi. Gente che si imbucava perché qualcuno aveva parlato troppo, congetture, informazioni sbagliate, gioco d'azzardo e tanto altro. Nell'ultimo periodo stava iniziando anche a girare troppa roba tra i ragazzi e due, mi ricordo bene, sono persino finiti in ospedale e poi in un centro di disintossicazione quando i genitori lo hanno scoperto. In più iniziavano a circolare le prime voci non vere sulla nostra esistenza come gruppo o come "setta" e abbiamo deciso di smettere per un po', di fare calmare le acque. Dovevamo solo divertirci e invece ci hanno additati come mostri, come assassini, come dei teppisti ricchi che credevano di potere fare qualsiasi cosa.»
Mi volto e lui mi porta una ciocca dietro l'orecchio. Le sue dita indugiano sulla mia guancia. Mi trema il cuore. Mi trema la pelle. Mi tremano le gambe. Tremo di fronte al suo gesto delicato e sento l'amore esplodermi dentro e la voglia di perdermi senza freni. Perché so di averlo già perdonato, so di dovergli delle scuse per avere reagito male.
A volte basta uno sguardo in cui trovarsi. Un bacio in cui perdersi. Un abbraccio in cui nascondersi.
A volte ci vuole complicità, rispetto e voglia di conoscersi, cercarsi, amarsi.
A volte ci vuole il coraggio di tenersi, di stringersi, di non lasciarsi.
La fiducia è un filo sottile sulla quale camminiamo in equilibrio instabile sin dal primo istante in cui ci siamo conosciuti e le nostre anime si sono sfiorate legandosi facilmente ma indissolubilmente.
A volte basta uno sguardo per sentirti a tuo agio, per avere un posto nel mondo, per essere semplicemente te stesso.
«Organizzavamo delle feste per eliminare lo stress accumulato nel corso della settimana, dovuto anche alla nostra condizione privilegiata. Avevamo escogitato un modo per non essere l'immagine della perfezione ma dei ragazzi normali, persone come tante. Volevo solo questo. La gente pensa che essere benestanti sia una manna dal cielo, ma ci sono volte in cui si hanno troppe responsabilità sulle spalle. E non dico che non sia bello potersi permettere tutto, avere denaro a sufficienza per sbarcare il lunario o per passarsi qualche sfizio, sarei solo un ipocrita a farlo, ma ci sono stati momenti in cui avrei voluto farla finita.»
Spalanco gli occhi incredula e lui conferma con un cenno della testa. «Già, ero stanco. Forse per questo bevevo e per una notte staccavo la spina. Adesso smettila di tenermi lontano. Lo sai che non sono un mostro. Tu senti certe cose. Non mi avresti fatto avvicinare a te.»
Lo abbraccio sistemandomi a cavalcioni su di lui. Non posso trattarlo male. Non posso stare lontana da lui. Il pensiero di non vederlo più mi uccide. «Sai che mi vendicherò lo stesso con l'intervista?»
Sorride rilassando le spalle e i muscoli tesi. «Me lo merito. Però sarà divertente rispondere ai tuoi attacchi. Quindi impegnati.»
Guardandosi intorno si solleva e mi fa cenno di seguirlo. Superiamo il labirinto fino a ritrovarci in un giardino adiacente e ancora in fase di costruzione. «Se ti va di lavorarci e progettarci su qualcosa... è tutto tuo», mi sussurra continuando a camminare verso quello che sembra un piccolo capanno di legno degli attrezzi. «Non c'è nessun corpo seppellito. In ogni caso puoi sempre controllare facendo scavare l'area», aggiunge.
Gli mollo un colpetto e ride. «Dove stiamo andando?»
Hunter non mi risponde. Stringendo la mia mano, apre la porta del piccolo capanno e mi lascia entrare. «Se volevi farmi fuori sarebbe bastato annegarmi», dico guardandomi curiosa intorno.
È tutto in ordine, pulito. C'è odore tenue di rose ed erba.
Hunter chiude la porta e non attendendo neanche più un secondo mi bacia tenendomi ferma. «Non intendo perderti», mi sussurra.
Ricambio con la stessa disperazione e voglia il suo bacio. Mi solleva per le natiche facendomi sedere su un piccolo tavolo da lavoro pieno di tacche e segni e posizionandosi tra le mie gambe mi sfila via la maglietta mentre le mie mani sbottonano agili e svelte i suoi pantaloni.
«Non sai quanto ti voglio. Quando ti ho visto...»
Premo le labbra sulle sue ricambiando ogni sua attenzione, staccando per un po' la spina.

Sudati, affannati e sfiniti, continuiamo a stare abbracciati. Nessuno dei due vuole staccarsi.
Hunter mi guarda, mi accarezza la guancia accaldata e rosea. «Non andare mai più via. Piuttosto incazzati, urlarmi addosso, fa qualsiasi cosa ma non andartene. Resta anche se tutto sembra difficile. Resta anche quando non me lo merito. Resta anche se sono un bastardo come mio nonno. Resta perché ti amo e non intendo perderti per un errore.»
Mordo il labbro sollevando gli occhi. «A volte non è facile restare.»
Mi afferra il mento tenendolo fermo. «Trova un solo motivo per farlo.»
«Sarà sempre questo motivo a tenermi legata a te ed è lo stesso che mi ferma quando sto per andare via.»
Preme le labbra sulla mia guancia con delicatezza ma facendomi tremare. «Possiamo affrontare tutto. Prima però dobbiamo raccontarci ogni cosa. Non voglio più avere segreti con te. I segreti separano le persone e le distruggono.»
Lo abbraccio. «Non ti credevo così profondo quando ti ho conosciuto. Eri uno sbruffone.»
Sorride. «Lo sono ancora ma con te...»
«Con me non funziona.»
«Già. Con te non c'è storia. Adesso andiamo o il giardiniere ci troverà qui e non voglio che ti veda seminuda. Inoltre, tra poco si azioneranno gli impianti di irrigazione e non possiamo lasciare tracce in casa.»
Usciamo dal capanno e non appena mettiamo piede fuori in giardino, proprio come aveva detto poc'anzi, si azionano gli impianti di irrigazione.
Rido e scappo verso casa. Hunter fa lo stesso cercando di scappare al getto d'acqua freddo che ci arriva addosso facendoci strillare.
Poco prima di salire i gradini che conducono alla piscina, mi volto e rimango meravigliata dalla bellezza dell'alba che fa da sfondo in un ambiente spazioso e incontaminato come questo. I colori nel cielo sono tenui mischiati alla foschia.
«È passato tutto questo tempo?»
«Abbiamo fatto tardi. Corri, dobbiamo farci una doccia prima della colazione e dell'arrivo del giornalista.»
Siamo fradici e dobbiamo fare in modo che nessuno ci becchi in questo stato. L'impresa è eccitante perché superiamo senza farci notare? la cucina dove si sente un rumore di tacchi della cameriera e la voce sommessa di Myrtle e poi le scale tentando di non ridere come due ragazzini e di non scivolare.
Hunter mi tira dietro di sé fino alla stanza. Non svegliamo Issac ed entrando in bagno ci fiondiamo dentro la doccia dove a turno ci togliamo di dosso il sentore dell'amore consumato poco prima.
Hunter, ad un certo punto, mentre sono assorta, mi fa voltare e mi bacia sotto il getto caldo. «Insieme», sussurra a fior di labbra.
Tiro i suoi capelli facendolo mugolare e mi preme contro le piastrelle. «Organizzavamo le serate in posti diversi per non annoiarci e per non destare sospetti. Di solito era un sabato sera e raramente organizzavamo qualcosa di domenica. Ci bastava mandare un invito, avere prima una lista e poi il consenso firmato dalle ragazze e quello delle altre che non volevano essere toccate. Non volevamo avere problemi. Ecco perché le ragazze che volevano solo divertirsi portavano dei cartellini. Nessuno poteva avvicinarsi a loro.»
Le sue labbra si muovono su tutta la mia spalla facendo su e giù mentre si apre con me, raccontandomi dettagli che non so ancora perché Ellen, a quanto pare, ha inventato tutto di sana pianta per depistarmi.
Dovrei essere arrabbiata ma tutto quello che sentivo di negativo per lui, si è dissolto e adesso si sta riversando sui miei ricordi, sulla mia amica.
Sollevo la gamba e lui me la stringe premendola contro la sua vita. «Era tutto organizzato nel dettaglio. La lista degli invitati per non avere sorprese, la scelta della serata a tema quando se ne organizzava una, il cibo, l'alcol. Ogni cosa era come doveva essere. Non volevano imprevisti e odiavamo quando ne capitava uno. Quella notte l'imprevisto è stata proprio la tua amica. Arrogante e presuntuosa ma non un motivo di vendetta. Ti assicuro che nessuno le ha fatto del male lì dentro, neanche le ragazze.»
«Ti portavi a letto quelle ragazze?»
«È capitato ma non ho concluso mai niente. Il giorno dopo mi svegliavo sempre con un gran mal di testa, non ricordavo molto e quasi sempre c'era una ragazza incazzata di cui non ricordavo il nome, pronta a saltarmi addosso perché avevo continuato a parlare per tutto il tempo e non avevo pensato al piacere.»
«Perché te ne stavi da solo se poi ti portavi qualcuno qui?»
«Avevo bisogno di stare in un posto caotico, lontano da casa per una notte. Uscivo per rilassarmi ma a quanto pare la mia fama mi precedeva.»
Lascia andare la mia coscia continuando a premere le labbra sulla mia pelle mentre risponde ad ogni domanda.
«Quindi bevevo, provavo sostanze quando ne avevo voglia e mi portavo a letto donne senza ricordarmi i loro nomi solo per parlare. Sono sempre stato un bastardo privo di scrupoli, un manipolatore. Ho sempre preso quello che volevo senza mai chiedere il permesso.»
Gemo quando si preme tra le mie gambe. «Come adesso?», chiedo ansimando.
Sorride sulla mia pelle e inarco la schiena. Il mio seno si schiaccia sul suo petto.
«Adesso ti ho chiesto il permesso.»
Lo guardo male e poi ridiamo spingendoci e colpendoci con dei getti d'acqua strappandoci dalle mani il soffione.
Fuori dalla doccia, avvolta da un asciugamano morbido bianco, lavo i denti poi passo un po' di crema sul viso e pettino i capelli bagnati districando bene i nodi prima di legarli per toglierli dal viso.
Hunter mi osserva e quando provo ad uscire dal bagno mi abbraccia forte. «Non voglio più deluderti. Io non sono come quello che mostro, sono molto di più.»
«Lo so», sussurro stringendomi alle sue spalle.
«Ti amo.»
«Lo so.»
È uno strano percorso quello che intraprendiamo quando nella nostra vita arriva l'amore. A volte è faticoso, rischioso, spesso doloroso perché pieno di addii, di sere passate in lacrime, di giornate vissute a fissare il vuoto o a trovare distrazioni per non ripiombare nel dolore, in quella tristezza buia e silenziosa che uccide il cuore. Ma ci innamoriamo. Non possiamo farne a meno. Non possiamo scappare perché ci sono anime che non possono essere separate. Ci sono anime che si legano e se si separano trovano sempre il modo di ritrovarsi. Ci sono anime che non possono farne a meno, non sentono ragioni, non voglio legarsi altrove, vogliono soltanto restare lì per sempre, con il loro incastro imperfetto. 
«Parleremo.»
«È una promessa?»
«No, la verità.»

♥️

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