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30


HUNTER

«Facciamo un brindisi», dice con voce pacata Stone. «Al nostro amico Hunter e alla sua fidanzata bellissima ed intelligente.»
Tutti eccetto me alzano il bicchiere. Uno di loro me ne mette in mano uno pieno fino all'orlo mentre i miei occhi seguono Iris che sta parlando con Issac.
Non riesco a smettere di guardarla, di sentirmi così tanto fortunato ad averla incontrata e, ad avere avuto mio nonno così ingegnoso da farci fidanzare. Non so se sia il caso, il destino ma.. è bello avere qualcuno di speciale nella propria vita.
«Non fare il guastafeste, Hunter. Andiamo, solo un sorso. Dov'è finito il ragazzaccio che c'è in te?»
Fingo di accontentarli inumidendo le labbra con il liquido sulla quale galleggiano cubetti di ghiaccio mezzi sciolti, poso il bicchiere e provo a raggiungere la mia bellissima donna che mi ha difeso, mi ha fatto sentire protetto e non più solo e si è fatta valere contro un gruppo di stupidi viziati che credono di sapere tutto e di poter avere tutto.
Ancora una volta i miei occhi le si posano addosso. Sorrido come un imbecille. È proprio vero quello che le ho detto: accanto a lei io mi riconosco. So chi sono. So chi voglio essere. Mentre... quando sono lontano non riesco più a capire quello che mi circonda perché niente è bello come quando ho lei al mio fianco che, rende tutto diverso ai miei occhi a lungo abituati all'oscurità.
Sospiro quando Stone torna all'attacco costringendomi a voltarmi. «Dove scappi? Abbiamo appena iniziato. Sono anni che ci sfuggi. Adesso vogliamo i dettagli. Non ti abbiamo mai visto così interessato a qualcuno come lo sei adesso. Che cosa ha quella ragazza di così speciale?»
Valuto l'opzione di dire a tutti che se mai Iris dovesse venire a conoscenza del club saremo incriminati per la sparizione dell'amica, ma non lo faccio, continuo a tenerlo per me e stringo la chiavetta usb che tengo dentro la tasca. Prima devo vedere con i miei occhi quello che è successo quella notte e con chi ha passato del tempo la sua amica.
«È unica, proprio come avete visto. Non potevo di certo accontentami così facilmente della prima che capita. Un po' come da anni fate voi.»
Se si offendono non lo fanno notare. Bevono annegando forse le parole per evitare che si creino dei dissapori tra di noi. In realtà, spero proprio che questo accada. Sono anni che tengo dentro ogni loro parola, ogni azione. Sono anni che li sopporto per mantenere fede ai patti, per fare avere potere alla mia famiglia.
In realtà sono stanco di loro. Ecco perché ad ogni festa non mi sono mai unito ai loro giochi, spesso pericolosi e stupidi, oltre l'immaginabile. Mi hanno sempre visto come una persona diffidente, arrogante. Il bastardo che non si unisce alla gente, che si siede all'angolo, in disparte, a bere e a rilassarsi. Lo stronzo altezzoso che può avere tutto semplicemente schioccando le dita.
Il fatto che mi sia fidanzato deve averli un po' scossi oltre che incuriositi. Mi piace distruggere ogni loro convinzione.
«Punto per te», mi dice con un sorriso. «Però puoi sempre dirci se ce l'ha d'oro.»
Ridono tutti tranne me. Stringo i pugni in vita e mi avvicino minaccioso a lui. «Non ti permetto di parlare così della mia fidanzata. Rimangiati quello che hai detto, subito.»
Il terrore si impossessa di lui. Lo vedo attraverso i suoi occhi il riflesso del mio sguardo pieno di rabbia.
Mette le mani in alto. «Scusa, non volevo offendere o alludere a chissà che cosa.»
Lo lascio andare quando mi accorgo di averlo appena afferrato per il bavero del cardigan color sabbia e di essere più che pronto a mollargli un colpo in faccia togliendogli così quel suo sorrisetto da stupido a cui tiene tanto per fare colpo.
«Che sia chiaro, Iris non è come tutte quelle che vi portate a letto. In realtà non lo sarà mai e loro non saranno mai alla sua altezza. Toccatela o offendetela anche solo una volta e ve la farò pagare. Sapete che non minaccio mai a vuoto.»
«Amico, rilassati. Non abbiamo intenzione di toccarla. Ci piace e ci piaci anche tu dopo averti visto insieme a lei, direi migliore e felice.»
Li guardo male ma stanno annuendo uno ad uno. «Sembra fatta apposta per te.»
Annuisco voltandomi. Issac e Iris non sono più sotto il tendone delle bevande dove la gente si sta affollando come mosche. Vago con gli occhi e intravedendo la testa del mio amico mentre si dimena in pista, cosi mi dirigo da lui.
Avanzo in mezzo alla folla che si dimena, attraverso la calotta di fumo e cerco di non inalare l'odore pungente d'erba. Ogni invitato alla festa tiene un bicchiere in mano, proprio come i vecchi tempi.
Raggiungo il mio amico ma non vedo Iris con lui. Poso la mano sulla sua spalla per farlo girare. «Dov'è Iris?»
Issac corruga la fronte guardandosi intorno. «Non è venuta da te quando ci siamo separati?», mi urla all'orecchio lasciando andare le due ragazze con una certa urgenza e poi uscendo insieme a me dalla calca in festa, controlliamo che non sia seduta ad annoiarsi da qualche parte.
Il mio stomaco si contorce quando mi rendo conto che non c'è. «No, non mi ha raggiunto. Dove l'hai lasciata?»
«Al tavolo delle bevande. Era proprio lì.»
Massaggio la fronte guardandomi intorno. Credo di potere impazzire. Non so, ho un brutto presentimento. «Dove diavolo è andata?»
Issac pesca subito il telefono dalla tasca posteriore. Fa partire una chiamata ma corruga la fronte guardando più volte lo schermo.
«Che succede? Perché hai quella faccia da "abbiamo un problema"?»
Temo la sua risposta. Solleva lentamente gli occhi dallo schermo del telefono. «Perché abbiamo un problema.»
«Cosa?», mi agito.
Issac lo nota e posa una mano sulla mia spalla. So cosa significa ma mi rifiuto di ascoltarlo e voltandomi mi dirigo di nuovo in pista a cercarla. Non deve essere andata poi così lontano.
Lei non c'è. Non sta ballando.
Mi spingo di nuovo verso la costa, verso la zona della sua villa dove spero di trovarla seduta sullo scoglio ad ammirarla da lontano, ma qui è deserto e il silenzio è quasi assordante. Mi piomba addosso come un masso e mi schiaccia il petto facendomi sentire disperato.
Torno subito indietro. Provo persino a chiamarla ma ha il telefono spento. «Davvero, Iris? Che cazzo succede?»
Raggiungo i ragazzi che sembrano essersi messi a cercarla. Issac si avvicina non appena nota che sono solo.
«Ti prego, dimmi che qualcuno...»
«Nessuno l'ha vista.»
Stringo i pugni in vita. «Stronzate. Smettetela e ditemi dove avete portato Iris. Non è uno scherzo. Vi farò fuori uno ad uno se sarà necessario e se lei si farà del male.»
«Hunter, nessuno ha toccato Iris. Non è uno scherzo. Eravamo tutti qui.»
La conferma arriva quando Denver e Perez ci raggiungono correndo insieme ad altre guardie che non hanno un bell'aspetto. «Signore c'è stato un problema.»
Non appena sento queste parole barcollo indietro. Una fitta particolarmente dolorosa penetra il mio cuore. «Che cosa cazzo sta succedendo? Dov'è Iris?»
«Qualcuno ha attaccato le guardie. Nel nostro giro di ronda per rendere l'area sicura, abbiamo trovato due dei nostri colleghi a terra, erano storditi. L'unica cosa che ricordano è di essere stati colpiti alle spalle e altri...»
«Altri cosa?», urlo.
«Sono stati assonnati con del...»
Mollo un pugno abbastanza forte e improvviso a Denver. «È il tuo cazzo di lavoro assicurarti che Iris non corra rischi. Hai solo un compito e per la seconda volta che cosa hai fatto, eh?», urlo. «Dove eri quando è scomparsa? A farti un giro con Perez?»
Issac mi tira indietro prima che possa anche solo colpirlo ancora quando Denver prova a rispondere. Sto per reagire di nuovo quando si sente come un urlo, un ringhio e poi dei legni che si spezzano. Gli altri si voltano, poi corrono in direzione opposta, verso un chiosco che prima non aveva un buco. Lì per terra c'è qualcosa.
Mi faccio strada tra di loro e la vedo, sta lottando contro quel bastardo che tenta di farle del male e a niente serve l'aiuto che provano a darle alcuni dei ragazzi. Cercano di liberarla da lui, lui che le sta facendo del male.
La rabbia inonda le mie vene come veleno puro. Avanzo senza controllo. Tiro via dalla sua presa Iris mentre viene soccorsa da Issac e dai ragazzi. Butto a terra Nolan e lo pesto. Non so quanti pugni gli mollo in faccia, so solo che non riesco a fermarmi mentre lui continua ad urlarmi che non sarà mai mia, che le ha detto la verità su di me e che non si fiderà mai più di nessuno, solo di lui. Mi urla che non gli ho fatto niente, che non corre alcun rischio e che sarà fuori di prigione in meno di qualche ora, proprio come l'ultima volta. Mi urla anche che uscirà e tornerà per finire quello che ha iniziato, che me la porterà via.
«Hunter, fermati!»
Qualcuno mi chiama ma non sento niente. Continuo ad urlare anch'io e a colpirlo con tutta la forza che ho in corpo. Voglio che la smetta.
«Bastardo, sei morto!»
Vengo strappato via, tenuto fermo per le braccia da due guardie e mi dimeno per tornare da lui che, adesso ride sputando sangue sulla sabbia, difendendosi da chiunque provi a metterlo al tappeto.
Issac mi spinge forte con i palmi sul petto e mi molla un pugno in faccia riportandomi indietro. «Ha bisogno di te. Calmati e va da lei, è più importante. A lui ci penso io. Guardami», ringhia. «Non scapperà questa volta.»
È tutto quello che sento, perché quando mi volto e la trovo rannicchiata su se stessa, come una bambola di pezza, con il prendisole macchiato e strappato, rimango sconvolto.
I ragazzi, in breve tempo, mandando tutti a casa. Nessuno riesce a capire niente perché Denver trascina Nolan quasi privo di sensi dietro un muretto, dove lo schiaccia a terra legandogli i polsi.
Assisto a tutto questo frenando l'istinto, con la mano del mio amico sempre più stretta sul mio braccio a farmi da catena per impedirmi di passare dalla parte del torto.
Ciò che noto quando distolgo un attimo lo sguardo, è il viso dei presenti. Sono tutti senza parole, sconvolti.
In breve, arriva la polizia e un'ambulanza chiamata dalle guardie. Issac mi spinge verso Iris che non permette a nessuno di toccarla.
Stone, inginocchiato davanti a lei si alza. Mi rivolge uno sguardo corrucciato. «Provaci tu. È spaventata e ferita.»
Continuo a tenere i denti serrati. Contraggo così tanto la mascella da sentire dolore su tutto il viso e i pugni così stretti da spezzarmi le vene quasi tutte gonfie.
Prima di avvicinarmi a lei rimango di stucco. Mi perdo nel suo sguardo atterrito mentre i miei piedi si muovono e il mio corpo si avvicina al suo, tenuto stretto e a distanza da tutto e da tutti.
Quando mi guarda, seppur brevemente, mi tuffo in quell'azzurro adesso simile al mare mosso dal vento e mi perdo. Le parole che vorrei pronunciare mi si attaccano al palato, la mia bocca si inaridisce e non riesco a respirare; le sue palpebre si socchiudono e poi si spalancano in fretta quando qualcuno si avvicina provando a porgerle una bottiglia d'acqua, una giacca, qualsiasi cosa per aiutarla facendo la sua parte.
Mi inginocchio davanti a lei. Provo a toglierle i capelli macchiati di sangue dal viso, ma si scansa.
La sua reazione mi colpisce più di una pugnalata. La osservo e mi irrigidisco quando mi rendo conto che ha lividi evidenti sul viso pallido, sul collo e sulle braccia. Scosto lo stesso quel dannato ciuffo dal suo viso e le asciugo una lacrima. Ancora una volta si scansa, non mi guarda. Le porgo io la bottiglia e beve un sorso d'acqua rischiando di strozzarsi a causa del tremore e dei singhiozzi che non accennano a diminuire.
Che cazzo le ha fatto? Che le ha detto Nolan? Perché non riesco a raggiungerla?
Perché è così atterrita, scossa?
Intanto due paramedici si inginocchiano accanto a lei provando a toccarla posandole sulle spalle una coperta.
Dalla sua bocca sfugge un urlo di terrore tenuto stretto dai denti che serrano le sue labbra rosee tremule.
Vorrei abbracciarla e portarla via ma so che non me lo permetterebbe mai. Non ora. Non così.
«Signorina, dobbiamo visitarla. Ci permetta di aiutarla. Capiamo il momento delicato ma non vogliamo farle alcun male.»
Iris non risponde. Mi irrigidisco maggiormente. Ogni mio respiro è una stilettata al petto.
Nel frattempo i ragazzi parlano con le autorità spiegando quello che è successo, quello che hanno visto. Issac sembra avere in mano la situazione ed io posso dedicarmi alla mia piccola stella smarrita.
«Iris, permettigli di disinfettarti le ferite e controllare che non hai niente di rotto. Dopo ti porto a casa, ovunque vuoi, te lo prometto.»
Solleva gli occhi e mi si spezza il cuore quando leggo la paura, il terrore palesarsi nel suo sguardo. Non parla ma dice più di mille parole la sua espressione.
Il paramedico prova a toccarle il mento. Dalle labbra le sfugge un singulto e si allontana stringendo le gambe al petto, dondolandosi come una bambina.
I miei occhi notano l'impronta sulla sua caviglia e mi irrigidisco.
Il ragazzo mi guarda chiedendomi di fare qualcosa prima che lei abbia una brusca reazione e siano costretti a sedarla. Conosco bene la sensazione. L'ho provata poco fa sulla mia pelle e se non ci fosse stato Issac non so se sarei riuscito a fermarmi. Forse non volevo farlo. Volevo ucciderlo.
«Mi dia un minuto. Porterò Iris da voi quando sarà pronta.»
Restiamo un momento soli e mi avvicino a lei con molta cautela. «Non ti abbraccerò e non farò gesti improvvisi e bruschi ma, se me lo permetti, vorrei prenderti in braccio e portarti al sicuro. Prima però ho bisogno che disinfetti le ferite e ti sottoponi ad un controllo, voglio solo portarti dai paramedici che ti faranno stare meglio.»
Mi guarda inespressiva. Da questo capisco che è il suo consenso. Provo a prenderla e lei me lo permette.
Tenendola tra le braccia, senza stringerla, la porto sull'ambulanza. Qui i paramedici mi chiedono di farla stendere sul lettino. Lei però rimane seduta e immobile, sotto apparente shock.
Ci spostiamo in ospedale e avviso Issac.
«Lei è un parente?», mi chiede fermandomi non appena arriviamo, il dottore che dovrebbe visitarla, tenendo una cartella in mano. «Se non è un parente non può entrare.»
«Sono il fidanzato. Mi chiamo Hunter Ford. Senta, è stata aggredita dal suo ex, attualmente ha bisogno di almeno una persona che le stia accanto. Mi permetta di farle compagnia, me ne starò buono, in un angolo.»
Il dottore soppesa il mio sguardo. Gli occhi marroni mi scrutano come se dovessero leggere dentro la verità. «Ok, ma non si intrometta e non risponda al posto suo. Siamo in presenza di una ragazza aggredita e dobbiamo valutare molte cose prima di rilasciarla.»
Annuisco entrando nella piccola stanza in cui Iris è seduta sul lettino con aria distante. Le hanno fatto togliere i vestiti che adesso sono dentro delle buste e le hanno dato un camice. Probabilmente mentre tentavo di convincere il dottore le hanno messo le mani addosso studiando attentamente tutti quei maledetti segni che lei terrà per sempre nel cuore, nella mente e le impediranno di vivere, di fidarsi per un po', forse per molto tempo.
Mi siedo sulla piccola sedia e trattengo tutto dentro mentre il dottore la visita un'altra volta, ponendole al contempo domande a cui lei non risponde. «Signorina, deve aiutarmi. Deve dirmi quello che è successo per potere scrivere il verbale. Se le è stata fatta violenza deve permetterci di visitarla in maniera più approfondita.»
Iris strappa la cartellina dalle mani del dottore e inizia a scrivere su quel foglio poi scoppia in lacrime senza fiatare prima di restituirlo all'uomo piccolo dai capelli pieni di fili grigi che trasmette sicurezza e protezione.
Il dottore fissa la dichiarazione e si allontana dalla stanza lasciandoci soli. Mi alzo subito dalla sedia raggiungendola. «Spray al peperoncino, eh? Ho notato i suoi occhi rossi. Gli hai anche dato un pugno rompendogli il naso. Forse io l'ho ridotto peggio.»
Solleva gli occhi annuendo.
«Mi dispiace.»
Scuote la testa. I suoi occhi si posano sulle mie nocche. Come se si fosse persa qualcosa mi guarda interrogativa.
«Lo avrei fatto fuori se Issac non mi avesse tirato via da lui.»
Fissa la sua mano e noto che, oltre ad essere gonfia, ha un brutto livido. «Potrebbe essere rotta.»
Corro fuori e notando il dottore a pochi passi, impegnato a parlare con gli agenti che saluto.
«Lo ha colpito al viso e le fa male la mano. Potete farle una lastra?»
«Si, stavamo organizzando le visite per la signorina e aggiornando gli agenti. La sua fidanzata ha vissuto un brutto momento, signor Ford. Dovrebbe avvisare i suoi genitori e starle accanto.»
Annuisco e mentre Iris viene portata a fare una lastra, chiedo: «Potrebbe dirmi quello che ha scritto?»
«Mi dispiace, sono informazioni riservate. Posso solo dirle che ha subito un trauma psicologico abbastanza forte.»
Il dottore mi lascia con gli agenti. Rispondo alle loro domande poi quando se ne vanno, rimasto solo in questo corridoio largo e infinito, chiamo il mio amico per avere notizie e forse anche per distrarmi, per non impazzire.
«Siete ancora in ospedale?», esordisce preoccupato senza neanche darmi il tempo di aprire la bocca.
«Si, le stanno facendo una lastra. Ha solo ematomi su tutto il corpo. Quel bastardo ancora qualche minuto e avrebbe potuto... violentarla. Che razza di fidanzato sono se non riesco neanche a proteggerla?», passo la mano sulla nuca.
«Hai fatto del tuo meglio. Quel bastardo starà dietro le sbarre per un po'. I ragazzi hanno chiesto di lei, sono preoccupati.»
«Quando avrò notizie vi farò sapere.»
«Ok. Hunter?»
«Si?»
«Non sei un pessimo fidanzato. Hai fatto quello che dovevi. Non puoi prevedere il futuro.»
Riaggancio e mi preparo a chiamare il fratello di Iris, l'unico con cui voglio parlare. Sono sicuro che lo dirà ai suoi ma non so come reagirà alla notizia.
«Pronto?»
Risponde al terzo squillo, assonnato.
«Max, non so come dirlo quindi andrò dritto al dunque. So che ti spaventerò, lo sono anch'io, credimi.. ma siamo in ospedale. Tua sorella è stata aggredita da Nolan. Avvisa i tuoi genitori perché io non so se ci riesco.»
«Cosa? Come?»
«Eravamo in spiaggia ad una festa e lui ha aggredito Iris dopo avere messo al tappeto tutte le guardie.»
«Adesso Iris sta bene?»
Nego. «Non lo so. No.»
Sospira. «Cristo Santo! Lo sapevo che non doveva accettare quel dannato contratto e non doveva neanche permettere a quel bastardo di avvicinarsi a lei. Lo sapevo!»
«Mi dispiace.»
«Sono in viaggio ed è notte fonda da queste parti, ma avviserò i miei genitori e sarò lì il prima possibile. Puoi tenerla al sicuro?»
«Ci proverò.»
«Fammi sapere se ci sono novità.»
Annuisco. «Ok.»
Mi appoggio alla parete bianca. Attorno c'è odore di disinfettante misto a candeggina. Iris torna dentro la stanza con una fasciatura nella mano. Ha il viso pallido, gli occhi rossi e i capelli ancora scompigliati.
«Niente frattura, solo una lieve contusione e un livido che passerà», mi dice il medico notandomi preoccupato.
«Grazie.»
Il dottore fissa le mie nocche. «Si faccia disinfettare quelle prima di portare la sua fidanzata a casa.»
In breve mi ritrovo seduto mentre una infermiera medica le mie ferite. Non sento neanche dolore, tanto sono ancora furente.
Iris invece se ne sta in un angolo senza dire o fare niente. Aspetta e di tanto in tanto sussulta strizzando gli occhi quando si sentono dei rumori improvvisi.
Usciti dall'ospedale, trovo Denver con un enorme livido in faccia ad aspettarci nel parcheggio. Lo guardo male e lascio entrare Iris in auto.
«Non un altro errore», gli ringhio contro.
Seduto accanto, le sfioro la mano e lei non si scansa.
«Dove vi porto, signore?»
«All'appartamento.»
Iris nega scuotendo la testa, si agita sul posto e capisco. «Anzi, andiamo da Iris. Fammi preparare un borsone da Nelson e avvisalo che starò fuori.»
Il viaggio dura un'eternità. Il silenzio aleggia nell'aria ed è carico di tensione.
Quando Denver si ferma sotto casa sua, lei scende a rilento. La seguo facendo attenzione ad ogni passo che muove.
Raggiunto il suo piano, entra in casa e si chiude per un po' in bagno. Non la sento piangere ma aprire l'acqua del lavandino e quella della doccia. Quando esce si è lavata e cambiata, ha i capelli umidi e si stende sotto le coperte.
Spengo la luce, invio un messaggio ad Issac dicendogli che siamo tornati a casa e mi infilo sotto la coperta anch'io mantenendomi a distanza da lei. Lei che trema e poi avvicinandosi sbottona la mia camicia che tolgo in un primo momento confuso. Intuendo, poi sfilo via anche i pantaloni e avvicinandomi l'abbraccio facendole sentire tutto il mio calore.
Tiro la coperta su di lei. Noto che sussulta nel sentire il calore del mio corpo depositarsi sul suo e invadere ogni parte di lei, rimasta al freddo di un inverno ben peggiore di quello reale. Le sfioro la testa con le dita e si rannicchia maggiormente, come se si fosse appena chiusa a riccio. Non piange, non proferisce parola, non si agita. Si addormenta soltanto tra le mie braccia più che sfinita.

«Da quanto se ne sta così?»
Sospiro passandomi una mano tra i capelli. «Tre giorni.»
È passato così tanto?
Max guarda prima me poi Iris scuotendo la testa. «Povera la mia piccolina. Anche tu hai un aspetto di merda. Dovresti riposare.»
L'allarme nel suo tono di voce è palese. Guarda la figura minuscola rannicchiata da giorni nel letto e trattiene quello che pensa di tutta quanta questa storia che, per fortuna non è uscita fuori da nessuna parte, salvando proprio la figura rannicchiata e assente, da ulteriori problemi.
«Ha almeno mangiato qualcosa?»
«Yogurt, acqua, gelato e frutta. Non vuole mangiare altro.»
Max stringe le labbra in una smorfia. Nei giorni scorsi molte persone sono passate a trovarla ma neanche Crystal è riuscita a tirarle su il morale con i suoi panini e i suoi racconti sul weekend passato insieme al marito. I suoi genitori le hanno chiesto qualcosa sulla casa, se intende continuare a pagare l'affitto o ricostruire l'altra creando un bel giardino sul retro per come aveva sempre sognato, ma non ha risposto, non ha aperto la bocca.
Succede prima o poi. Un giorno ti ritrovi con delle ferite aperte in cui puoi infilarci le dita per misurare quanto sia profondo il solco causato dal dolore. Ma non puoi tirarlo fuori, non puoi mostrarlo a nessuno.
A volte succede. Ti logori dentro, stai male ma sei in grado di trasformare una catastrofe interiore in una quiete apparente all'esterno. Vai avanti con gli occhi pieni di tristezza che non riesci ad accantonare perché continua ad annegarti in un mare inesplorato, pieno di insidie. Vai avanti in silenzio, trattenendo nel cuore ogni ferita, le parole che confondono i pensieri distruggendo la mente con il caos generato dai ricordi.
Inizia a mancarmi la sua voce. Iniziano a mancarmi i suoi abbracci. So di essere egoista se penso che vorrei che si sentisse meglio per stare insieme a me ma, vederla così distrutta, mi spezza il cuore.
Tutte le volte che la guardo sento come un dardo nel petto. Preferirei di gran lunga vederla arrabbiata, che urlasse.
«E non parla?»
Nego. «Ho provato di tutto. Spero sarai più fortunato di me.»
«Ci proverò. Non penso di fare miracoli. So quello che le sta capitando. È già successo quattro anni fa. La situazione adesso è peggiore, visto che è stata aggredita dal suo ex.»
Mi appoggio allo stipite. «Provaci lo stesso.»
«Dove vai?», chiede quando vede che mi sto avviando alla porta.
«Ho bisogno di fare una passeggiata.»
Max mi ferma per un braccio stringendo forte la presa. Mi guarda intensamente con i suoi occhi chiari e offuscati dalla preoccupazione. «Non sentirti in colpa. Sarebbe accaduto lo stesso. Stai facendo molto e lei lo sa. Vedrai che quando avrà voglia di parlare lo farà.»
Scuoto la testa. Non riesco ad accettarlo. Non riesco a raggiungerla è questo mi fa sentire uno schifo. Lei ci riesce sempre mentre io continuo a sentirmi un disastro. «Torno tra qualche minuto. Vi do il tempo di rimanere un po' da soli.»
Max annuisce ed esco dal piccolo appartamento che in questi tre giorni mi è sembrato davvero un posto sicuro. Adesso capisco perché Iris l'abbia scelto.
Cammino sul marciapiede costellato dal cancello posto a contatto con delle siepi. Infilo i pugni dentro le tasche e continuo a camminare fino in centro dove, senza neanche rendermene conto, mi ritrovo davanti la piccola libreria in cui lavora.
Sospiro ed entro senza neanche riflettere troppo. Bonnie mi accoglie con un caloroso sorriso, seppur triste. Sono stato costretto a dire loro che Iris è stata aggredita e che per un po' non tornerà a lavoro. I due anziani hanno capito ma sono preoccupati per lei. Sono persino passati a trovarla lasciandole una candela profumata e dei biscotti fatti in casa.
«Novità?»
«No, sono qui per un libro. Penso le possa fare piacere distrarsi.»
Bonnie mette da parte la scatola che sta aprendo. «Dimmi cosa ti serve. Tutto per la mia bambina.»
«In realtà sono due i libri. Alice nel paese delle meraviglie e Peter Pan.»
Sorride. «Sono tra i suoi preferiti. Vado a prenderli subito. Vuoi che le faccia una confezione regalo?»
Rifletto un momento. «Si, perché no.»
Dopo essere stato in libreria, passo da Crystal. Mi ha già preparato il gelato artigianale ma ordino anche un bicchiere di te' e un muffin.
Crystal mi guarda un momento mentre prendo i sacchetti. «Come stai?»
«Penso si veda come sto. Inutile rispondere bene se in realtà non sto affatto così. Adesso però devo andare. Grazie per tutto.»
«Figurati. Perché non la porti lontano per qualche giorno? Farebbe bene ad entrambi.»
Mordo il labbro. «Ci stavo già pensando. Ma non so se accetterebbe.»
Crystal non commenta all'inizio, pensa a qualcosa. «Tutto quello che fai è per lei una boccata d'ossigeno. Portala lontano, non importa dove e vedrai che si riprenderà. Non ha bisogno di attenzioni, ha bisogno di non pensare e di sentirsi al sicuro. Non c'è un posto che le piacerebbe visitare?»
Bingo!
Abbozzo un sorriso. «Forse. Sei fantastica!», le dico.
Lei avvampa. «Non dire così o arrossirò.»
«Augurami buona fortuna!», dico uscendo dal locale.
Contatto subito Nelson. «Programma un viaggio, mi serve avere il jet pronto. Ti inoltro le destinazioni.»
Riaggancio senza dire niente e invio due posti da visitare con Iris.
Quando varco la soglia, la trovo tra le braccia di Max. Da lui si fa stringere e non scoppia in lacrime. Forse perché lo vede come un affetto eterno e non come un amore passeggero che potrebbe farle del male. Lo capisco. Anche se mi fa male quando si scansa o quando sussulta, lo capisco il suo atteggiamento. Vorrei però dirle che ci sono.
Poso tutto sul tavolo simile ad un'asse da stiro. Sto per aprire la bocca quando sentiamo bussare. Vado ad aprire e Nelson dopo avere salutato mi lascia i biglietti e una cartina con tutto l'itinerario già ben organizzato.
«Ero qui nei paraggi.»
«Grazie», mostro un sorriso.
Nelson mi stringe una spalla. «Il jet sarà pronto in qualsiasi momento.»
«Tu e Myrtle verrete con noi. Per divertimento. Prendila come una vacanza anticipata. Ne avete bisogno.»
Apre e richiude la bocca. Sa di non potermi contraddire ma noto che è anche grato e quasi divertito al pensiero di portare la moglie in viaggio. «Prepareremo i bagagli e organizzeremo il lavoro alla villa in modo tale da non trovare il caos quando torneremo. Se ha bisogno di altro mi faccia sapere, signore.»
Annuisco e lo guardo andare via dalle scale. Torno dentro e infilo i biglietti con la cartina in mezzo al fiocco del regalo che le ho preso per risollevarle un po' l'umore.
Max la saluta controllando l'orologio. Ha un volo da prendere. Le promette che tornerà presto.
Iris torna a stendersi sul letto e Max la fissa mesto prima di avviarsi alla porta. «Tienila d'occhio. Non mi piace il suo mutismo.»
«Ho in mente di portarla in viaggio. Dici che si farà trascinare da me altrove? Dici che le farà bene cambiare aria?»
Riflette poi sorride. «Ottima idea. Meglio che ci siano giardini e sole intorno a lei, sta sfiorendo.»
Annuisco e salutandolo mi avvicino alla creatura che mi sta facendo impensierire con la sua improvvisa chiusura.
Mi stendo accanto e le passo il sacchetto con il te' e il muffin. «Crystal aveva finito yogurt e frutta.»
Fa una smorfia poi però tirandosi sulla schiena beve subito un sorso di te' e mangiucchia il muffin vagando con gli occhi intorno, leccandosi le labbra screpolate. Nota l'altro sacchetto e mi scocca un'occhiata brutale.
Metto le mani in alto. «Ho anche una sorpresa per te», ignoro il suo rimprovero silenzioso recuperando il regalo.
Lo poso sul suo grembo e lei fissa prima i biglietti leggendo per bene tutto quanto, poi scarta la confezione regalo trovando i libri e le sfugge un sorriso. Il primo che mostra dopo giorni di buio.
Ed ecco che si palesa davanti ai miei occhi, la meraviglia. Un raggio di sole a squarciare la coltre di nuvole, a riscaldarmi le ossa.
Asciuga una lacrima tirando su con il naso.
«Allora?»
Morde il labbro guardandomi con i suoi occhi grandi lucidi. Sporgendosi posa la testa sulla mia spalla e stringe la mia mano intrecciando le nostre dita.
Sorrido come un bambino. «Mi merito di sentire la tua voce anche se storpiata. Fallo quando te la senti. Io aspetto.»
La sua mano si posa sul mio collo e il suo viso sotto il mento. Inspira il mio profumo regalandomi un lungo brivido.
«Ti va di venire con me?»
Abbassa il mio viso guardandomi le labbra poi chiude gli occhi ed io le premo sulla sua fronte donandole sollievo.
Nella vita tentiamo di andare avanti ma continuiamo a disseminare molliche lungo il sentiero per quando perderemo di nuovo la strada. Torniamo indietro nei ricordi quando sentiamo il bisogno di non sentirci diversi, un po' meno soli.
Siamo anime di vetro piene di crepe da cui non filtra neanche più la luce. Fragili e in grado di andare in frantumi in un attimo, distruggendo e seppellendo il cuore tra le rovine di un'esistenza effimera.
Resistiamo come fiori nati tra le rotaie, calpestati da passi insicuri e distratti da chi non vede la bellezza delicata e non ne preserva l'effetto.
Ma esistiamo.
Resistiamo.
Sopravviviamo.
«Prepara la valigia. Partiamo subito!»

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