26
HUNTER
C'è un momento nella giornata in cui ti rendi conto di non sapere quello che stai facendo, senti solo un vuoto mentre il sangue ti scorre nelle vene e il cuore ti batte lo stesso facendosi sentire contro il petto.
Il respiro mi si spezza dopo avere pronunciato le parole che hanno rotto un equilibrio già precario da giorni, ma ne sono quasi contento. Anzi, mi sento proprio soddisfatto nell'avere piegato e colpito quella ragazza che, continua a farmi perdere il controllo anche solo quando se ne sta seduta a ridere e a parlare con altre persone che non fanno altro che pendere dalle sue labbra. Perché lei attrae chiunque, ma non se ne accorge perché si sminuisce costantemente, perché si sente sempre inferiore rispetto agli altri, anonima, insignificante. Conoscendola però io so che nasconde ben altro dentro. Qualcosa che non è riservato a me.
Stringo i pugni e mi sposto al piano di sopra, al bar, dove ordino un giro per me e per Issac che mi segue stordito da quello che stava per accadere se lei non mi avesse fermato e quel tizio non si fosse dileguato più che spaventato. Avrei quasi sicuramente preso a botte quel ragazzo che ha osato metterle le mani addosso in quel modo e non mi sarei fermato.
Io l'ho visto, ho visto come era spaventata. Ho notato come tentava di staccarsi da lui per scappare da quei ricordi che ha generato il gesto improvviso dello sconosciuto ubriaco. Ho visto il terrore nei suoi occhi stanchi e distanti che hanno trattenuto dentro la paura, il dolore, la rabbia e tanti altri sentimenti che le hanno provocato dentro un maremoto di emozioni ingestibili.
«Da quando picchi la gente alle feste?», domanda esterrefatto il mio amico sedendosi sullo sgabello.
Non mi ha mai visto così tanto furioso e fuori controllo, me ne rendo conto nonostante sia appannato dall'alcol che ho mandato giù per placare il senso di mancanza, di gelosia e tristezza in grado di schiacciarmi al suolo.
Mi sento come un vulcano pronto ad eruttare. Sono consapevole del fatto che non contenendomi travolgerò tutti quanti. Non posso continuare in questo modo, ne sono consapevole, ma non posso neanche lasciar correre perché mi conosco e so che se tutto questo enorme casino non si risolverà, non riuscirò a mantenere in piedi quel muro di indifferenza che ho costruito nel corso degli anni per tenermi a debita distanza dai sentimenti che, adesso tentano di travolgermi e sconvolgermi l'esistenza. Non posso commettere un altro passo falso, ne sono più che consapevole, eppure sembra che lei si diverta a tentare di affondarmi. Mi sfida. Mi stuzzica di continuo. Mi fa sentire così tanto in bilico da non non avere più equilibrio. Sto proprio toccando il fondo. Io, Hunter Ford, il ragazzo sempre posato, arrogante e freddo, mi sto lasciando schiacciare da una ragazza.
Mando giù il liquido, tenendo l'ennesimo bicchierino vuoto tra le mani, senza rispondere. La musica è troppo assordante. Mi sento confuso e ancora arrabbiato e così tanto accaldato da potere dare di matto ancora una volta da un momento all'altro e con chiunque tenti di fermarmi. In questo caso: il mio amico.
«Hunter, da quando picchi la gente alle feste? Dov'è finito il ragazzo che se ne sta in disparte e lascia fare alle guardie il loro lavoro? Non hai sempre lasciato perdere? Il ragazzo che ho appena visto è lontano dall'immagine del mio amico.»
Guardo male Issac. «Mi stai davvero domandando questa cosa?»
Annuisce con un breve cenno della testa. «Si. Hai mollato un pugno ad un tizio ubriaco senza una ragione.»
Picchio abbastanza forte il palmo sul bancone facendo tintinnare i bicchieri. Sento il colpo appena, il dolore viene bruciato dal calore. Svuoto un altro shottino con una smorfia. «La ragione c'era eccome!», ringhio. «Solo che nessuno ha notato niente.»
«Quale? Il fatto di non essere riuscito ad avvicinarti a lei o il fatto che hai marcato il territorio, era la ragione?»
«Il fatto che qualcuno le stava facendo del male mettendole le mani addosso senza il suo permesso», urlo. «Non un'altra volta, continuavo a sentire dentro la mia testa questa maledetta frase e non ho saputo frenare l'istinto.»
Issac non comprende, allora glielo spiego. «Iris veniva picchiata, minacciata e chissà che altro da Nolan.»
Il mio amico indietreggia un momento. «E perché non me lo hai detto subito?»
Mi guardo intorno. «Perché non è un argomento facile di cui parlare. È una questione delicata che...», non la vedo seduta al tavolo di quei perdenti ubriachi fradici. Dentro di me scatta qualcosa. «Dov'è?»
Anche Issac guarda quei ragazzi con cui si trovava Iris. Si alza dallo sgabello sulla quale era seduto e pescando il telefono fa partire subito una chiamata mantenendosi a distanza da me per non farmi ascoltare la conversazione. Ma dal suo sguardo capisco che è preoccupato. Issac è così, può sembrare un vero idiota ma in realtà si affeziona e farebbe di tutto per le persone che meritano le sue attenzioni.
Mi alzo anch'io ma barcollo. Mi reggo sul bordo del bancone e aspetto che il mio amico termini la chiamata. Nel frattempo continuo a cercarla agitandomi sempre di più. «Dove cazzo è andata?», provo a raggiungere quei ragazzi per sapere qualcosa ma Issac mi ferma. «Non è più qui.»
«Che significa che non è più qui?», urlo senza controllo uscendo fuori dal locale infuriato, superando la folla che si dimena e la gente seduta sui gradini del marciapiede a bere e a fumare. Una calotta aleggia intorno e mi stordisce ulteriormente mentre la cerco e mentre vengo circondato da qualcuno che spingo. Sono giornalisti. Merda!
Issac riesce a farmi sgusciare da un vicolo. Mi sbatte contro un muro. «Hunter, prima dovresti calmarti. Non sei in te.»
«Calmarmi? Io le salvo il culo e lei scappa? È così che andranno sempre le cose tra di noi?», sbotto sentendo le guance e le orecchie, tutto il corpo, prendermi fuoco.
«Non credo che sia stato a causa tua...»
Sollevo l'angolo del labbro ringhiando. «Invece sono stato io ad allontanarla da questo posto perché le ho detto che non lo meritava quello che ho fatto per lei. Sai almeno che cosa significa per una persona che ha subito in passato, questo?»
Issac non mostra alcune emozione. «Significa che sei un coglione con la C maiuscola. Andiamo, seguimi. Dio, ti ha proprio cotto a puntino.»
«Non sono cotto a puntino.»
Rimane impassibile mentre ci avviamo verso il parcheggio in cui si trovano le nostre guardie ad aspettarci.
«Sai cosa penso? Che sei davvero un grandissimo coglione. E porti anche guai», mi spinge e poi mi fa cenno di entrare in limousine.
Mi siedo incrociando le braccia come un bambino dispettoso, mentre fumo dalla rabbia.
Issac sospira dando uno strano indirizzo alla sua guardia ancora in compagnia di Perez che, per fortuna non si volta a guardarmi. Deve avere passato una bella serata in compagnia del suo collega.
Issac mi rivolge di nuovo la sua attenzione. «Che cosa è cambiato?»
«Io! Io sono cambiato, cazzo! Io sono diverso e questo da quando quella grandissima bestia di satana si è insinuata nella mia vita generando il caos dentro e fuori di me. È una pazza, ecco cosa! E... farà impazzire anche me.»
Issac, mettendosi comodo, beve un sorso di champagne poi me ne versa un bicchiere nascondendo un sorriso. «Sono sempre del parere che dovresti calmarti prima.»
«Calmarmi? Come faccio a calmarmi dopo quello che è successo? Domani i giornalisti faranno di tutto per mettermi in cattiva luce e lei che cosa fa? Invece di restare in quel maledetto locale, scappa dopo essere stata aggredita mandando a fanculo chiunque. Proprio grata la ragazza...», sbuffo dal naso. «Se sai dov'è diretta devi dirmelo immediatamente. Voglio affrontarla e darle una bella lezione.»
«Signore, ci stanno seguendo.»
«Semina chiunque sia e portaci dove ti ho detto poi chiama il resto delle guardie e fa isolare la zona, nessun giornalista dovrà entrare o uscire.»
Passo la mano tra i capelli. «Visto? Che cosa ti dicevo? Adesso mi seguono pure. Hanno visto che me ne sono andato solo.»
La limousine dopo meno di un minuto si ferma e Issac controllando il telefono e ricevendo il via dalle nostre guardie, esce camminando in direzione di un palazzo alto con balconi quasi tutti pieni di abiti messi fuori ad asciugare, arbusti e gente seduta su sdraio a fumare e a parlare sommessamente godendosi la serata.
Non mi sembra il luogo e il momento ideale per fare una visita. Issac non è neanche il tipo che entra in posti come questo.
Le scale sono infinite ma arriviamo al settimo piano senza troppa difficoltà, nonostante l'affanno e un ascensore rotto che ci avrebbe fatto risparmiare tempo e fiato.
Issac si ferma davanti una porta. La cornice di legno è piena di piccoli graffi e sulla parete color panna vi è una crepa ben visibile.
«Che diavolo ci facciamo qui? Ti sembra il momento di venire a trovare una delle tue spasimanti?»
«Non avevi detto che volevi affrontarla?»
Corrugo subito la fronte. «Perché? È qui? Iris è qui dentro con qualcuno?»
Issac bussa alla porta senza rispondere. Stringo i pugni in vita e quando la porta si apre non attendo neanche che lei esca fuori perché faccio irruzione in casa, pronto a picchiare e a buttare fuori chiunque stia qui con lei. Avanzo a passo spedito superando un breve corridoio. Mi fermo girandomi intorno smarrito. Non c'è nessuno. Nessun uomo. Solo un quadrato pieno e accogliente. L'aria profuma tanto di lei e inebria i miei sensi. Mi sento stordito dall'intensità di quello che provo e barcollo indietro sedendomi sul bordo del letto, affondando le mani tra i capelli.
Che cazzo sto facendo? Sto dando davvero di matto in questo modo? Da quando controllo morbosamente le ragazze? Da quando picchio qualcuno per gelosia? Da quando non riesco a gestire i miei sentimenti?
Scuoto la testa sentendo lo scatto della porta e, a seguire, una serie di rumori che indicano la chiusura di un paio di toppe, come se fosse una porta blindata.
Non oso alzare la testa. Da una parte sono arrabbiato mentre dall'altra non voglio ferirla ancora con le parole o peggio: farla piangere e stare male.
Mi sento distrutto, asfissiato, intrappolato in una situazione che sembra senza via d'uscita. Sono anche un po' ubriaco e potrei non rispondere pienamente delle mie azioni.
Mi faccio schifo da solo. In questo momento io... io mi odio così tanto.
Iris, a piedi nudi, si sposta in cucina, riempie una tazza di caffè e avvicinandosi me la porge. Non sembra arrabbiata o nervosa di vedermi qui in questo posto così piccolo.
Prendo la tazza bianca con le orecchie di gatto stringendola tra le mani prima di bere un sorso e fare una smorfia non appena il sapore amaro del caffè inonda la mia bocca. Poso la tazza sull'unico comodino presente accanto al letto abbastanza grande per due persone premuto contro la parete e passo le mani sul viso.
Lei si siede con un piede sotto il sedere accanto a me. Vorrei stringerla in un abbraccio ma è forte l'istinto che ho di urlarle contro, di farle capire che tutto questo mi sta, ci sta, distruggendo.
«Sei consapevole del rischio che hai corso?», mantengo un tono di voce alto e freddo lasciando uscire i pensieri che, da un paio di minuti, continuano a lacerarmi l'anima. «Ti rendi conto che non sei una persona come tante e che devi avere una guardia del corpo dietro?», continuo nervoso. «Quei giornalisti mi hanno seguito ovunque per giorni, anche poco fa.»
Non risponde e mi incazzo. «Rispondimi!»
Sussulta. «Sono grande e vaccinata per decidere da sola se avere o meno una guardia del corpo. Sono solo due foto, che facciano quello che gli pare. Non è la mia verità quella che mostreranno.»
«Ma non sei grande e vaccinata quando qualcuno ti attacca!», mi sollevo furioso.
Lei fa lo stesso, affatto impaurita dalla mia reazione. «Potevo anche allontanarlo. Non avevo bisogno di certo di una guardia per mollargli un calcio in mezzo alle gambe.»
«Non ti sei neanche mossa perché eri terrorizzata. E se ti avesse baciata o trascinata in un vicolo?»
Apre la bocca e la fermo. «No, non puoi negarlo, Iris. Io ti ho visto. Ho visto come eri spaventata e non ti sei neanche mossa quando lui è tornato all'attacco.»
Incrocia le braccia. «Quindi che cosa vuoi?», alza il mento, non accetta la sconfitta. «Devo ringraziarti per avere attaccato quel ragazzo facendo la figura del pazzo geloso? In quel locale secondo te non c'erano giornalisti o gente pronta a mandare le foto che hanno scattato per soldi? Potevi anche evitare di colpirlo.»
Mi avvicino. «Si, inizia a ringraziare e poi chiedimi scusa per non avere avuto il coraggio di tenermi.»
Trattiene il fiato alzando e sbarrando gli occhi, puntandoli sui miei quasi spaesati. Mi fissa come se avessi detto qualcosa di assurdo, di incomprensibile.
«Sei stato tu a tradirmi portandomi in una villa per una finta festa in cui mi avrebbero chiesto di firmare un altro contratto. Non ti devo un bel niente. Adesso, visto che sei abbastanza lucido, vattene da casa mia e non tornare più. Non eri attaccato a quella ragazza? Torna da lei, magari è la volta buona che togli quell'espressione dalla faccia e ti svuoti.»
Mi irrigidisco. Chiudo maggiormente i pugni in vita. Mentre la rabbia si diffonde ovunque e, dentro la mia testa si fa strada anche un pensiero: Iris ha notato che ho accettato le attenzioni di un'altra. In realtà l'ho fatto solo per farla ingelosire e, a quanto pare ha funzionato.
«Sei gelosa? Non avevi detto che non ti avrebbe dato fastidio?»
«No. Infatti puoi fare quello che vuoi. Solo... smettila di fingere interesse nei miei confronti perché non ti credo più. Adesso lasciami in pace e vattene.»
Mi avvicino ancora a lei. «Altrimenti che cosa fai?»
Alza il viso. «Ti butto a calci fuori e mi assicuro che passi una pessima serata prima di chiamare il tuo amico e farti trascinare via.»
«La sto già passando una serata del cazzo a causa tua», urlo.
«A causa mia? Non sono io che ho dato di matto davanti a tutti! Non sono io che ho reagito male e sono piombata in casa di una persona con l'intento di litigare.»
«Casa? Me la chiami casa questa... baracca?»
Arrossisce e si arrabbia. Lo vedo dal colore assunto dalle sue guance che mi sta odiando con tutta se stessa.
«Sei uno stronzo! Dovresti scendere da quel cazzo di piedistallo e renderti conto che non conta avere una bella casa quando dentro sei povero!»
Faccio un altro passo avanti e lei non si scansa. «Io sono povero dentro?»
«Si, lo sei. Sei materialista! Sei un narcisista ed egocentrico del cazzo! Credi di sapere tutto, credi di essere migliore solo perché puoi permetterti quello che vuoi ma c'è una cosa che non avrai mai», urla spingendomi.
Quando mi tocca sento accendersi dentro di me uno strano istinto. Barcollo indietro, perdo ogni equilibrio. «E sentiamo, che cosa non avrò mai?»
«Il cuore delle persone. L'amore!», urla.
Indietreggio fino a sedermi di nuovo sul bordo del letto. Nascondo il viso e scuoto la testa. «Credi che non lo sappia? Credi che non sappia di non potere comprare l'amore? Credi che non sappia quello che si prova nel non avere tutto? Lo so anch'io che cosa significa rinunciare. So anch'io che cosa significa vedere negli occhi della persona che ami, niente a parte diffidenza e odio.»
Iris rimane in piedi, in silenzio. Si volta e passa le mani sul viso chiaramente stanca. «Io non ti odio.»
«Vallo a raccontare a qualcun altro. L'ho capito sai, che non ti fidi e ti allontani perché non provi altro.»
Si volta e rimango spiazzato quando vedo che sta piangendo. Mi alzo un po' troppo in fretta, gira tutto, ma riesco a reggermi in piedi. Mi avvicino e aspetto un paio di istanti prima di non resistere alla tentazione e con uno strattone l'abbraccio, la tengo stretta contro il petto, nel posto in cui deve stare.
Affondo il viso sulla sua spalla e la sento tremare e singhiozzare. Mi fa male vederla così.
«Perché piangi?»
Nasconde il viso tra le mani prendendosi contro il mio petto. «Mi dispiace...», non riesce a parlare.
E me ne accorgo, lo sta facendo ancora. Si sta facendo del male dentro. Si sta lacerando il cuore, perché le frasi che circolano dentro la sua testa, non fanno altro che urlare ed esploderle nel petto senza mai liberarsi nell'aria. Tutto quello che prova, è come un foglio di carta apparentemente innocuo ma in grado di tagliarle all'improvviso i polmoni, il cuore, di accartocciarsi nella sua gola e impedirle di parlare.
«Iris, perché stai piangendo?»
Non riesce a fermarsi. Singhiozza e si agita. Quando provo a toglierle le mani dal viso si attacca ancora di più al mio petto.
«Guardami!», ordino. «Iris, guardami negli occhi.»
Le afferro il mento quando finalmente solleva il viso. «Perché piangi? Dimmelo!»
Mi spinge con i pugni ben piantati sulla mia pelle. «Perché mi sono innamorata di te...», sussurra.
Batto le palpebre. Il mio stomaco si contorce, il cuore si contrae e poi inizia a battere all'impazzata.
Per giorni ho eliminato questo momento tra le mie fantasie. Adesso che è arrivato, stento a crederci.
«Cosa?», soffio senza fiato.
Mi guarda con occhi rossi. «Mi sono innamorata di te ma non ci credi perché scappo e tu non lo capisci perché lo faccio. Il fatto è che ho paura che tu possa farti molto male a causa mia. Io... non voglio perdere anche te», dice con voce stridula.
Non so contenere l'emozione che sento e sbattendomene di tutto, porto le mani dalle sue guance alla nuca e avvicinandola premo le labbra sulle sue con forza, non lasciandole scampo o il tempo di fermarmi, di rifiutarmi.
Quando le nostre bocche di toccano, entrambi sussultiamo. Poi, ci avviciniamo, ci avvinghiamo e continuiamo a baciarci avidi, spaventati e spaesati.
Le mordo le labbra e lei mugola tra le lacrime che continuano a solcarle il viso. La mia mano scende lungo la sua schiena premendola al mio petto. La mia lingua esplora la sua e si impossessa della bocca che sa tanto di menta, di Iris.
Prova a staccarsi e glielo permetto per riprendere fiato, premendo la fronte sulla sua. Senza più aria in corpo prendo una boccata dietro l'altra.
«Io non posso perdere anche te, Hunter», ripete piano. «Sono terrorizzata al pensiero che tu possa svanire. Sin dal primo istante ho cercato di fare attenzione con te ma non c'è storia, continui ad arrivarmi al cuore come una scossa continua.»
Le asciugo le lacrime. «Non succederà. Tu non mi perderai.»
Prova a negare scuotendo ripetutamente la testa e a fuggire da me, dalla mia presa, ma la fermo. «Guardami.»
Solleva i suoi incredibili occhi. Passo il pollice sotto le palpebre inferiori accarezzandole le guance morbide e arrossate dal pianto. «Non vado da nessuna parte, quindi smettila di allontanarmi.»
Morde il labbro e abbassandomi glielo sfioro. «So che hai paura e anch'io. Ho una paura fottuta di svegliarmi e non trovarti, di entrare in casa e non sentire il tuo profumo o la tua risata. Ho paura di non vederti più, di non averti, di non abbracciarti e stringerti forte. Ho paura di non farti arrabbiare, di non discutere con te.... mi manchi e non voglio più privarmi di te.»
Chiude gli occhi. «Ti farai male e io non...»
Le tappo la bocca con la mia. «Non ho paura per me, ho paura per te. Permettimi di esserci.»
Sospira. «Ma io... io non so che cosa provi, che cosa ti aspetti o vuoi da me. Come faccio a permetterti di esserci?»
«Sai che mi piaci ma è riduttivo spiegarti quanto», le regalo piccoli baci sulle labbra. «Sai che ti voglio e non immagini con quanta fatica io stia continuando a trattenermi», continuo. «E sai anche che... io...», prendo fiato, le parole mi si bloccano in gola. Le stringo il viso e la guardo negli occhi. «Io ti amo.»
Singhiozza chiudendo il pugno sul mio petto. Inumidisce le labbra e poi mi circonda il collo con le braccia stringendomi al suo piccolo corpo.
Affondo il viso sul suo collo. «Posso ripeterlo se non hai capito.»
Nega. Ma io lo ripeto lo stesso. «Ti amo, Bestiolina.»
Gioco con le sue labbra. «Continuerai a rendere tutto difficile o ti lascerai andare?», cerco delle risposte.
Le trema il labbro e strizza gli occhi nascondendosi ancora. «Hunter, io...»
«Proviamo la stessa cosa. Non so in quale misura o se questo sia possibile ma, abbiamo la nostra occasione. Vuoi davvero lasciartela scappare? Sei così insicura su quello che provi?»
«So quello che provo, l'ho capito. Ma la paura non passa lo stesso.»
«E cosa proponi di fare, eh? Lasciarci ancora? Ignorarci per settimane? Fare finta di niente fino a consumarci il cuore? Iris, non funziona. Io ci ho provato e non funziona», alzo il tono della voce. «Cristo, ho bisogno di fumare», mi stacco da lei camminando avanti e indietro come un animale in gabbia.
Lei si sposta in cucina ed inizia a preparare con del pane bianco dei tramezzini al tonno, aggiungendo maionese e lattuga.
La raggiungo e me ne avvicina subito un pezzo. Mi lascio imboccare appoggiandomi al ripiano della piccola cucina che, vista da questa prospettiva non è poi così brutta.
Abbasso il viso sentendomi uno sciocco. «Non volevo offendere la tua casa.»
Inizio a calmarmi. La sua presenza mi fa questo effetto. Mi impazzire questa sua capacità.
Mangiucchia con gusto e le pulisco l'angolo del labbro prima di sporgermi e baciarla, sollevarla sul ripiano e sistemarmi tra le sue gambe.
Continua ad imboccarmi senza dire niente. La lascio fare fino a quando non abbiamo più niente da mangiare nel piatto che, poso dentro il minuscolo lavello e tornando da lei, la faccio scivolare verso di me spingendola per i fianchi.
«Mi dispiace, davvero.»
Scuote la testa. «Non farlo, non mi confondere in questo modo.»
Bacio il suo collo. «Non voglio confonderti, voglio che tu sia mia, senza paura, senza distanza.»
«Penso di esserlo da quando i tuoi occhi hanno condotto i miei dentro una trappola.»
Risalgo lungo la sua gola mordendole il mento. «Mia...»
Stringe le gambe e quando scivola in avanti per scendere la blocco.
Sospira. «Hunter, sei ubriaco...»
«No, non sono mai stato tanto sobrio in vita mia.»
Scende dal ripiano camminando come ho fatto io poco prima. «Quindi che cosa vuoi?»
«Devo elencarti tutto o smetti di pensare al peggio e capisci che non dobbiamo stare divisi ma insieme?»
Sospira. «Ci sarà sempre qualcosa che ci farà sentire in pericolo e ci farà stare in bilico.»
«Se non vuoi essere coraggiosa, lo sarò io per entrambi.»
Sospira. Ci guardiamo per un istante. Il ticchettio di un orologio, qualche auto che passa, i suoni provenienti dagli appartamenti vicini, rendono i miei battiti una lotta.
«Io non voglio avere rimpianti», dico avvicinandomi a lei. «Non dovresti averne neanche tu.»
Batte le palpebre muovendo le lunghe ciglia prima di chiudere gli occhi, sfiorarmi il viso. Inumidisce le labbra alzandosi sulle punte dei piedi, tenendo un braccio intorno al mio collo e la mano sulla spalla per fare leva e reggersi. Le mie dita scivolano sulla sua vita facendola fremere.
«Non voglio averne.»
L'abbraccio e mi si stringe addosso aggrappandosi a me.
«Mi gira un po' la testa», ammetto vedendo tutto appannato.
Sorride. «Stenditi un momento», indica il letto. Riconosco le coperte color pastello, i cuscini. Sono quelli che le ho comprato. Questo mi suggerisce che ha apprezzato molto il mio regalo.
Mi stendo sul letto dopo avere scostato le coperte e chiudo gli occhi. Lei spegne le luci, va a chiudere la finestra guardando per un momento fuori, dove è arrivata la pioggia. Sistema una bacinella vuota a terra nel caso in cui dovessi vomitare, un bicchiere d'acqua e due pastiglie sul comodino. Poi si avvicina, gattona sul letto facendomi spostare verso la parete a cui è appoggiato e stendendosi su un fianco mi osserva con un dito tra i denti.
Giro la testa e ci fissiamo in silenzio. La sua mano si avvicina posandosi sulla mia guancia e mi accarezza. Sposta le dita sulla fronte e le affonda tra i capelli. Mi sfugge un verso e con un braccio che lascio passare sotto il suo fianco sinistro, l'avvicino.
«Sono talmente incazzato con te da non sapere neanche che cosa ho da dire.»
Appoggia il mento sulla mia spalla e riesco a sfiorarle la fronte e a lasciarle un bacio. Stringe la presa sul mio viso e rimaniamo vicini.
«Inizia a dirmi quello che pensi.»
«Non sei una codarda, Iris.»
Rimane un momento spiazzata poi continua la sua carezza sulla mia pelle.
«Hai paura che mi capiti qualcosa ma potrebbe succedere in qualsiasi momento. Persino adesso potrei morire e non ne avresti il controllo. Quindi non pensare a questo. Non pensare al fatto che andrà male. Pensa piuttosto a non perdere del tempo prezioso e...»
Si sporge e posa le labbra sulle mie per interrompermi. Fremo mentre lei mi tiene per il viso sistemandosi su di me. Ricambio con possesso il suo bacio, girandomi e stringendola sotto il mio peso.
Non resisto e le tolgo la canottiera grigia che indossa per avere davanti il suo seno nudo. Lo faccio però per avere un contatto diretto con la sua pelle delicata.
«Dio, quanto mi sei mancata.»
Mi toglie anche lei gli indumenti superiori e mi avvicina per nascondersi dal freddo che sente. Le abbasso i pantaloncini tirandoli via. La guardo ancora negli occhi per avere il permesso e tiro giù anche il resto dell'intimo cercando di tenere a freno la voglia di baciare ogni centimetro di lei. Affondo il viso sul suo collo tempestandolo piano di baci. Si agita quando succhio e mordo la sua pelle. Mi spinge e sistemandosi su di me invade la mia bocca torturandomi.
L'abbraccio circondandole la schiena, alzandomi a metà busto. Tira indietro la testa e passo la lingua sulle clavicole, sulla gola, le mordo il mento e il labbro inferiore.
«Non eri arrabbiato?», ansima.
La spingo sotto il mio peso. Lei solleva le ginocchia intrappolandomi e mentre la riempio di piccoli baci dalla spalla a sotto l'orecchio, lascio che mi tocchi.
«Molto», mormoro sulla sua pelle.
Si agita poi le sue mani scivolano giù fino al bordo dei miei pantaloni. «Dimmi perché?», chiede con un filo di voce contro le mie labbra mentre le sue dita agili aprono il primo bottone.
Gemo premendomi su di lei. «Iris...»
«Sei molto arrabbiato e voglio sapere tutti i motivi.»
Tira giù la zip e spostando dietro le mani mi fa scivolare i jeans sotto le natiche.
Le mordo il collo, poi subito sotto l'orecchio e lei ansima, si dimena e mugola mentre i nostri corpi sfregano.
«Perché ti voglio e non posso averti», sussurro liberandomi dei pantaloni.
Lei solleva gli occhi e mi tira giù anche i boxer. Bocca contro bocca mi provoca un piacere indescrivibile quando sento la sua mano scivolare lungo l'addome.
La blocco tenendole il polso fermo sulla testa. «Iris...», l'ammonisco ancora.
«Neanche io posso averti anche se ti voglio.»
«Perché?»
Il sangue raggiunge tra le mie gambe e mi eccito quando muove i fianchi.
«Non lo so. Forse siamo troppo occupati a trattenerci.»
«Vuoi che smetta di trattenermi?»
Annuisce. «Si. Smettila.»
Le accarezzo i fianchi e inarca la schiena. «Anche tu», le sussurro.
Tira i miei capelli dalla nuca e solleva di nuovo le ginocchia. «Hunter?»
«Si, Bestiolina?»
Inumidisce le labbra e mi avvicina. «Farai l'amore con me?»
Cazzo! Tra le mie gambe si scatena l'inferno, lei lo sente e premo la fronte sulla sua. «Non ora. Non sarebbe solo fare l'amore.»
Si abbassa e le nostre intimità si sfiorano. Chiudo gli occhi gemendo. «Era un si?»
Le stringo una coscia strusciandomi su di lei. «Era un: ti voglio ora ma sarebbe sbagliato perché abbiamo litigato e non siamo lucidi.»
Sorride ed io con lei come uno stupido. «Potrebbe essere: facciamo pace?»
Le mordo la spalla e le sfugge un gemito che mi fa ansimare e impossessare della sua bocca. «Stiamo già facendo pace, piccola.»
Tiene fermo il mio viso e lentamente sorride. «Mi sei mancato», ammette.
Non so dire quello che sto provando ma è così forte da farmi imbambolare. Non oso muovermi, osservo solo le sue bellissime e morbide labbra incurvate all'insù e i suoi occhi accesi di luce che nella penombra sembrano biglie.
«Però non ti sei fatta sentire», mi stendo accanto a lei e l'abbraccio per tenerla al petto. Le massaggio la schiena nuda e lei si rannicchia a suo agio su di me.
E pensare che quella volta in bagno ha fatto tante storie. Sono cambiate così tante cose in un mese e mezzo circa da non rendercene neanche conto.
«Volevo farlo, ma speravo non fossi così tanto stupido da ricascarci.»
Sorrido. Accolgo la sua provocazione. «Che vuoi farci? Mi piace giocare con il fuoco.»
Strofina il viso sul mio collo prima di annusarmi la pelle e lasciarmi un bacio. «Tu ti lanci in mezzo alle fiamme, è diverso dal giocare con il fuoco.»
«So di potermi bruciare ma so anche che ne vale la pena. Al di là del fuoco c'è una persona che amo e che intendo avere nella mia vita. Non posso lasciarla lì da sola», le sussurro. «Non voglio che qualcun altro me la porti via.»
Solleva il viso, la mano sul mio cuore. Poso anche la mia sulla sua per trattenerla lì, nel punto in cui tutto ha origine. «Sei uno stupido masochista.»
Le sorrido. «Anche tu. So che ti piace struggerti per me.»
Picchia il palmo sulla mia pelle generandomi una risata. «Io non mi struggo per te.»
«Ah no? Allora quella scena al bar, quando ti ho sfiorato il braccio? Come la vuoi chiamare? Eri tentata, Iris.»
«È stato inaspettato. Un po' come quando ti ho visto fuori dal bagno. A proposito, che ci facevi? Quello dei ragazzi non era dall'altro lato del locale?»
Sorrido sentendomi uno stupido. «Forse non te ne sei accorta ma c'erano troppi ragazzi interessati a seguirti. Lì ho gentilmente allontanati.»
Noto il rossore sulle sue guance nonostante il buio qui intorno e i lampi che di tanto in tanto illuminano la stanza perché fuori si sta scatenando un altro temporale estivo.
Tiro la coperta e premendo il mento sulla sua testa continuo ad accarezzarle la schiena. «Non voglio dividerti con nessuno. Non voglio neanche vederti con un altro. Mi fa rabbia anche solo il pensiero che tu possa uscire con un uomo che non sia io.»
Aggancia il braccio al mio addome. Sento il suo fiato caldo sulla mia pelle ad intervalli regolari. «Ma io non voglio un altro uomo.»
«Davvero?»
«Hunter, mi spieghi perché sei così insicuro?»
«Non lo sono.»
Mi guarda scettica. Apro e richiudo la bocca. Boccheggio in cerca d'aria e mi agito. So che ha capito.
Vorrei dirle che sono arrivato ad essere così forte, così indifferente, perché un tempo sono stato debole, ingenuo. Mi hanno distrutto. Vorrei dirle che non prendo tutto alla leggera anche se sorrido o stuzzico le persone, e che la mia è solo una maschera ben costruita. Vorrei dirle che mi piace il silenzio, mi piace condividerlo con lei, perché a volte le parole non riescono ad uscire, si incastrano come pezzi di lame nella gola e ti impediscono di dire quello che pensi, quello che provi. Vorrei dirle la cosa giusta, rimediare ai miei errori, ricordarmi di essere ancora vivo e ancora in tempo per andare avanti, per superare un altro ostacolo, proprio come questo. Vorrei dirle che possiamo anche arrabbiarci, sbatterci in faccia la verità e urlarci addosso di non essere abbastanza ma, ci sono cose, parole che senti e non dici ma trasmetti con gli occhi, con i gesti, ricordandoti sempre nella vita, abbiamo tutti una ragione per restare. La mia è lei. La mia ragione per combattere è lei.
«Dimmi che cosa ti hanno fatto.»
Vorrei dirle che non è vero che restiamo gli stessi. Nella vita si cambia e, tutto quello che viviamo ci aiuta a crescere, ci trasforma in qualcosa di nuovo. Un po' come fanno i fiori a primavera. Ogni singola cosa, un evento, una parola, un ricordo, ti porta ad ereggere un muro e con questo, tenti di proteggerti per tutta la vita. Ma quando i muri diventano troppo alti, ogni cosa ritorna ad essere un casino e ti ritrovi al punto di partenza. Sai cosa ti farà stare male ma non hai la forza di combatterlo. In questo momento, non ho la forza di mentire, di tenerle nascosta la verità.
«Ok, è successo al liceo. Ero illuso dalla perfezione di questa ragazza popolare che non si accorgeva di me. Un giorno per sfida, le ho chiesto di uscire e lei ha accettato, l'ha fatto davanti a tutti ma con il chiaro intento di prendermi in giro. Il giorno dell'appuntamento l'ho vista con un altro, si sono fermati e lei mi ha deriso. Da allora sono cambiate molte cose. Io sono cambiato. Sembrerà patetico come racconto ma ci sono cose che ti rendono più forte anche se dentro sei come un ramo secco che potrebbe spezzarsi in un attimo. Ti sembrerà anche assurdo che Hunter Ford sia stato tanto ingenuo ma adesso capisco la differenza. Quella non era altro che curiosità, un momento per farsi notare da qualcuno che, anni dopo ha implorato che la portassi a letto. Ovviamente l'ho umiliata proprio come aveva fatto lei ma in maniera più cattiva. Adesso invece... c'è di mezzo il mio cuore. Non intendo perderlo e perdermi.»
Il suo pollice si muove lento all'angolo delle mie labbra. «Non avevo capito niente prima di incontrarti, prima di trovarti. Vagavo come un'anima errante tra le macerie della mia esistenza. Credevo, che l'unico modo per andare avanti fosse avere tutto per essere felice. Mi riempivo di ricchezza, mi circondavo di persone e pensavo mi bastasse. Mi sbagliavo. Non vivevo affatto. Sopravvivevo illudendomi di stare bene, di non sentirmi solo dentro. E l'ho capito tardi che l'unico modo per andare avanti è avere qualcuno per cui essere pronti a vivere.»
Mi guarda, si abbassa e mi bacia con delicatezza e, sorridendomi con aria rassicurante, risponde: «Io non voglio un altro. Io voglio te ma non so come dimostrartelo perché la paura che tutto questo possa distruggersi mi annienta, mi attanaglia. Io...», deglutisce, fa respiri innaturalmente lenti. Una lacrima scorre lungo la sua guancia e la catturo sentendomi frastornato da questa sua reazione.
«Io ti amo», sussurra con voce strozzata. «E non voglio perderti perché sei il primo che riesce a farmi sentire me stessa. Sei il primo che mi ha guardata e non ha visto un conto in banca o un'opportunità da non perdere...»
Non riesco a muovermi o a parlare davanti al suo sguardo.
«Sei la persona che non ha avuto paura di affrontarmi e mi piace come mi fai sentire quando ci sei, quando fai qualcosa che non mi aspetto. Mi piace perché freni ogni istinto per paura di apparire come uno di quei ragazzi che non sa come trattenersi. Mi piace perché sei in grado di riempire l'enorme vuoto che ho dentro. Sei invadente, sei presuntuoso, sei spietato e... io... mi sento stupida per non averti permesso di essere il mio eroe...»
Scivolo su di lei fermandola prima che possa colpirmi con maggiore intensità il cuore con ogni sua parola.
«Mi bastava il tuo "ti amo" come risposta.»
♥️
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