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25


IRIS

Non è vero che si va via un po' alla volta. Ci si perde nell'attimo in cui si pensa di non farcela e si va via pur amando. Si va via pur volendo rimanere ancora un po', perché il cuore è un apparecchio difettoso che fa quello che gli pare, anche quando tenti di fermarlo, di riportarlo indietro per non ferirlo.
Ci sono volte in cui hai bisogno di salvarti da un amore che non fa altro che prendere di continuo parti di te, della tua anima e devi salvarti, devi trascinarti al sicuro. Smettere di sentirti senza controllo. Smettere di sentirti così fragile e insicura. E allora scappi via, lasci andare la presa come quando ti sfugge dalle mani il filo che teneva levato il palloncino. E, giorno dopo giorno, ti allontani. Non piangi più. Perché piangere ti rende debole, perché è come rimanere intrappolati dentro una stanza buia, senza finestre e senza aria. E allora ti dai da fare, ti impegni, non ci pensi anche se ogni cosa tenta di strapparti una lacrima, un ricordo che ti ha fatto stare bene ma che adesso non fa altro che appesantire il tuo cuore.
Ma, ad un certo punto devi smettere. Devi andare avanti. Devi allagarti dentro, annegare, toccare il fondo e, avere il coraggio di risalire in superficie e rivedere il cielo.
«Ecco il resto, grazie e arrivederci», sorrido cortese e non appena la porta della libreria si chiude e rimango sola, abbasso le spalle.
Apro l'ennesimo scatolone portandolo al piano di sopra con una certa fatica. Inizio a mettere in ordine sulla mensola i volumi appena arrivati.
Lo scampanellio della porta mi fa chiudere la scatola ormai vuota. «Arrivo!», alzo il tono della voce a chiunque sia appena entrato e scendo distratta portando il cartone all'angolo dove ho ammassato tutti gli altri che in qualche modo verranno riciclati. Mi volto con un ampio sorriso plastico e mi ritrovo Crystal davanti, le mani sui fianchi e lo sguardo di chi sta per avere una brusca reazione. Attendo nell'immediato la sua sfuriata.
Ha solo una breve esitazione non appena mi vede ma parte subito alla carica con un tono di voce tra il dolce e l'acido. «Non commenterò il tuo aspetto perché penso tu sappia già di apparire disastrata. Ma voglio dirti una cosa... non farti vedere per due settimane non è stato bello. Mi manchi tanto e ti odio per avermi lasciata sola a pranzo e per non avere neanche chiesto il mio aiuto, il mio sostegno in qualsiasi cosa tu ti sia cacciata.»
Mi avvicino a lei e dopo un breve istante lascio che mi abbracci, che mi stringa al petto e mi conforti. «Si può sapere che diavolo sta succedendo? La gente parla ma io non ci credo a quello che dicono. Voglio sentire la tua versione dei fatti.»
«Temo che questa volta sia tutto vero quello che dicono», abbasso lo sguardo sentendomi sfinita, avvilita.
Crystal spalanca gli occhi e la bocca, non sa che cosa dire mentre piega in una smorfia le labbra carnose coperte da un rossetto rosso acceso. «Tesoro, c'è cosa è successo?»
Le indico il divano e vado a chiudere il negozio prima di sedermi accanto a lei. Mi sento come se fossi ad una seduta dallo psicologo. Ricordo ancora le prime volte in cui i miei mi hanno mandato dopo la scomparsa di Ellen e le relative accuse. Lo facevano forse per avere delle risposte ma non sapevano che in realtà lì dentro non succedeva niente. C'ero io seduta a disagio su un divano e un uomo di mezza età che mi sbavava davanti per un'ora. Quando uscivo da lì dentro mi sentivo sollevata. Più volte ho chiesto di cambiare studio, di scegliere una donna ma non è mai andata come volevo io.
«Un casino, ecco cosa è successo. Un grandissimo, gigantesco ed enorme casino», gesticolo per rendere meglio il concetto.
Crystal attende passandomi un sacchetto bianco con il logo del locale. «Spero di addolcire la tua giornata. Scusa se sono venuta a trovarti solamente adesso.»
Tiro fuori dall'incarto una ciambella al fondente con la granella sopra. La spezzo a metà dando subito un morso e torno a guardare la donna davanti a me con i capelli legati in una coda alta, le sopracciglia perfettamente disegnate e il corpo giunonico ad emanare un odore tenue di fiori e frittura, apparentemente allarmata dalle mie condizioni. Mi guardo anch'io sentendomi davvero un relitto.
Mi sono un po' trascurata, non lo nego, ma questo perché non avevo voglia di pensare al mio aspetto quando ho il cuore ferito e sul punto di sbriciolarsi.
«Non preoccuparti, sei qui adesso. Grazie per la ciambella, ci voleva proprio un po' di dolcezza.»
«Allora? Non tenermi sulle spine.»
Sospiro giocando con il tovagliolo prima di dare un altro morso alla ciambella che, non riesco quasi più a mandare giù quando ripenso a quella sera, alla trappola dentro la quale stavo per cadere.
«Abbiamo avuto una discussione accesa perché lui sapeva che i nostri genitori stavano organizzando un altro colpo basso per entrambi, per incrementare il loro patrimonio a nostre spese e io... me ne sono andata, sono scappata come una codarda senza guardarmi indietro. Da quella sera ho troncato ogni comunicazione, ho dovuto persino fare un patto con la mia guardia affinché non gli riferisse più niente sui miei spostamenti. Questa... non è vita. È una prigione.»
Posa la mano sulla mia gamba che si muove nervosamente. «Ti ha detto qualcosa di così difficile da accettare o sostenere? Davvero non potete trovare una soluzione?»
Annuisco, anche se non ne sono poi così convinta di avere fatto la cosa giusta. Ho smesso di piangere solo due giorni fa ma qualcosa mi dice che presto tornerò a somigliare ad una fontana. «È stato orribile sentirgli dire quelle parole. È vero che ho iniziato io ad attaccare ma lui mi ha sferrato un colpo mortale. Ha alzato la voce dicendo che sono io quella che ha paura di legarsi troppo e me ne sono andata perché ha ragione. Io ho paura. Sono terrorizzata al pensiero di perderlo, di non vederlo più. Di amarlo così tanto da dimenticare tutto il resto.»
Crystal mi abbraccia passando la mano sulla mia schiena prima di darmi un bacio affettuoso sulla tempia come una mamma. «Ma allontanandolo che cosa speri di ottenere? Se ami una persona non la dimentichi di certo standole lontano.»
«Non lo so. Me lo chiedo anch'io da due settimane e non trovo risposta. So solo che non so come gestire quello che sento, quello che provo perché è troppo forte. Mi sento confusa...»
Stringe le mani sulle mie spalle scivolando sulle mie braccia. «Piccola, respira. Un passo alla volta, ok?»
Prendo fiato. «Si, scusa. Continuo a fare finta che sia tutto normale ma niente lo è. Ho dovuto fare attenzione a tutto perché continuo ad essere seguita e ricevo di continuo quelle dannate domande alla quale non so come rispondere. Sto scappando da tutto, persino da me stessa. Mi sento male dentro e anche una persona egoista.»
«Rispondi solo ad una domanda: tu lo ami?»
Mordo il labbro prima di annuire. «Me ne sono resa conto all'istante ma non sono riuscita ad accettarlo. Non riesco ad accettarlo neanche adesso che so che cos'è. Con lui è stato facile. Così tanto da non avere neanche il tempo di accorgermene. Ma adesso è finita. Forse è stato meglio così, prima di farsi male.»
Crystal sta già negando e prende un morso della ciambella più che nervosa. «Non potete rinunciare tanto facilmente l'uno all'altra. Il modo in cui lui si ricorda tutto di te, il modo in cui tu lo riconosci dalle piccole cose, fa capire che siete destinati a stare insieme. Vi basta solo parlare, confessare i vostri sentimenti...», biascica agitandosi.
Nego. «Con Nolan a piede libero non posso stare con lui e fargli rischiare un'altra volta la vita», dico corrucciata. «Ho già perso la mia amica, la casa... non posso perdere anche lui. Me ne farò una ragione e sono sicura che lui domani sarà già con un'altra.»
Crystal fa una smorfia piena di disgusto al pensiero mentre il mio stomaco si contorce e l'immagine mi terrorizza. Ma succederà, farà male, però sarà la cosa più giusta.
«Ma non è una decisione che spetta a te. Iris, non puoi rinunciare a lui. Non puoi tenerlo a distanza perché le cose capitano lo stesso, con o senza il tuo permesso, con o senza il tuo ex a piede libero. Nolan potrebbe essere ovunque, potrebbe persino essere qui dietro l'angolo a spiarti e tu... non dovresti dargli ancora il modo di avere potere su di te, sulla tua vita, su di voi.»
Faccio una smorfia più che evidente. Ha ragione. Lo sappiamo entrambe che se dai alla paura il potere prenderà il sopravvento.
«Non voglio che Hunter si faccia male. Nolan ha capito che ci tengo a lui. È furbo, intelligente e mi conosce, sa quando qualcosa o qualcuno attira la mia attenzione e non si fermerà fino a quando non rimarrò sola, esposta e tutta sua. Sto iniziando a pensare di chiamarlo e farla finita. Tanto in un modo o nell'altro sarò in trappola.»
Crystal finisce la ciambella e le offro un sorso di succo di frutta che accetta volentieri. «Non stai dicendo sul serio, vero? Devi smettere di dare potere a quello stronzo che non ti merita e non ti apprezza. Ti ha fatto del male e merita di pagare. E tu, devi smettere di trascurarti.»
L'abbraccio. «Grazie», sussurro. «Mi sta aiutando parecchio parlare con qualcuno che vede tutto dall'esterno e non ha alcun legame o vincolo.»
Mi stringe e poi alzandosi si avvia alla porta. «A proposito, perché non vieni più allo stand?»
«Perché hanno solo bisogno del mio nome per ottenere fondi e io non sono in vendita, tantomeno un oggetto da esporre per attirare la gente. Non cerco questo. Se la caveranno benissimo anche da soli.»
Sorride in modo mesto. «I Miller sono degli stronzi. Te l'ho sempre detto io di non fidarti di loro.»
«Si, hai sempre avuto ragione. L'ho capito tardi ma alla fine ho fatto la mia parte per il bene di quei ragazzi. A quanto pare anche per il loro, visto che si è scoperto che una percentuale del ricavato la intascavano volentieri e in silenzio. Ecco spiegato il perché di tutte quelle attenzioni.»
Crystal adesso appare inorridita. «Sei troppo buona con chi non lo merita. Però ti ammiro molto per questo, non sei mai cattiva.»
Abbozzo un sorriso arrossendo. «Faccio solo quello che posso, anche se a quanto pare non è mai abbastanza. Mi dispiace solo per quei ragazzi. Non lo meritano.»
Le persone come me non rispondono alla cattiveria con altrettanta cattiveria. Le persone come me si lasciano schiacciare dal peso del dolore, ci soffocano restando sotto quelle macerie che continuano a premere e a premere sul cuore fino a ridurlo un mucchio di polvere. Le persone come me trattengono la rabbia, la tengono lì, chiusa dentro, ben nascosta dalle persone, dal mondo. Le persone come me non si sentono mai forti, mai migliori, mai...
Non sono mai stata una persona cattiva o buona. Sono sempre stata una persona che non rifiuta mai una richiesta d'aiuto, che molto spesso si fa prendere in giro ma non reagisce. Sono sempre stata una persona che si sente piccola in un mondo troppo grande, troppo opprimente per riuscire a respirare a pieni polmoni. Sono sempre stata affamata di affetto, ma non ho mai saputo chiederne un briciolo per alleviare quel senso di mancanza che continua ad ingigantirsi dentro. Perché mi spaventa chiedere un po' d'amore. E, anche se ne sento la mancanza, fingo di non averne bisogno. Lo faccio per proteggermi.
«Fai anche qualcosa per te stessa e ritrova il tuo principe azzurro. Uno che conosce quello che mangi e ricorda quello che ordini ad un certo orario della giornata, merita una possibilità.»
«Vuoi compagnia per tornare al negozio?», cerco di cambiare argomento.
Nega. «No, tra poco passa mio marito. L'ho avvisato di passare a prendermi qui fuori e sta già arrivando. Stasera andiamo a ballare», dice eccitata al pensiero, tenendo in mano il telefono.
«Divertitevi.»
«E tu? Hai impegni stasera? Puoi raggiungerci...»
«In realtà si, una rimpatriata con alcuni ex compagni di università e forse anche gente che non conosco.»
Sorride. «Passa una buona serata allora e vienimi a trovare, mi manca vederti seduta al tuo tavolo.»
Spengo le luci ed esco con lei dal negozio chiudendo la porta. Denver mi aspetta già fuori a qualche metro di distanza. Abbiamo fatto qualche patto per collaborare e le cose non stanno andando poi così male come mi aspettavo.
Crystal lo guarda per un istante poi si avvia verso un'auto che si ferma a un metro dal marciapiede, lasciandomi con lui. Entro anch'io in auto e mi faccio accompagnare nel mio alloggio temporaneo, un piccolo appartamento in centro.
Denver mi scorta fino alla porta della palazzina di un beige scolorito piena di balconi, guardandosi intorno, chiedendosi cosa ci facciamo esattamente in un palazzo in cui vivono famiglie, si sentono strilla di bambini e si percepiscono odori di ogni tipo che si diffondono da ogni piano creando un connubio a tratti fastidioso.
Non ho trovato di meglio e ad essere sincera non mi dispiace vivere in un posto così pieno di vita e di persone che iniziano a riconoscermi, a rispettarmi, a farmi sentire a casa.
Mi manca la mia villa ma questo rettangolo che chiamo tetto sulla testa, sta diventando un posto sicuro, tranquillo, incontaminato e lontano da ogni ricordo. Qui dentro, a piccoli passi, sto creando il mio presente.
Apro la porta e l'odore tenue di biscotti al limone, dovuto alle candele comprate al supermercato qui vicino, mi raggiunge regalandomi una sensazione di piacevole benessere.
Poso le chiavi sul mobile di legno chiaro all'entrata e superato il breve corridoio dalle pareti giallo pastello scolorite, osservo il mio spazio. Una cucina piccola dotata di cucinino, forno, lavatrice, frigo, elettrodomestici essenziali come la macchina del caffè e il microonde e attrezzi da cucina ammucchiati dentro un vaso di ceramica; un tavolo per due simile ad un asse da stiro sospeso e attaccato alla parete. A pochi passi, un divano, un tavolino e davanti ad essi una tv a schermo piatto. Poi, all'angolo, un letto. Una porta ai piedi di questo conduce nel piccolo bagno. È tutto ristretto ma accogliente.
Controllo i messaggi in arrivo poi faccio una doccia preparandomi per la serata che mi aspetta in compagnia dei miei ex compagni.
È stata una manna dal cielo il loro invito. Mi aiuterà a svagarmi un po' perché ho passato gli ultimi giorni a nascondermi, a non rispondere alle chiamate se non quelle strettamente necessarie e inerenti al lavoro.
Ho evitato i miei genitori, parlato poco con Max, ancora lontano e con i miei fratelli che pensano di raggiungermi per mettere fine a questa assurda storia che rischia di farmi male e di rovinare il rapporto che ho sempre avuto con i miei genitori.
Indosso una minigonna nera sopra il ginocchio a vita alta, un top bianco con delle balze sul davanti, lego i capelli in uno chignon imperfetto con qualche ciuffo a ricadermi sul viso, mi trucco leggermente per coprire le ore di insonnia, pianto isterico e infilo le scarpe da ginnastica bianche con la suola alta.
Recupero la borsetta ed uscendo fuori mi lascio portare da Denver nel locale a pochi isolati di distanza dal mio nuovo alloggio, dove rivedrò le persone che mi hanno fatto sentire a mio agio in uno dei momenti più brutti della mia vita in seguito alla scomparsa di Ellen.
«Puoi prendere il resto della serata libero se vuoi.»
Denver fa una smorfia. «Ho ordini ben precisi, signorina. Starò qui ad aspettarla. Non mi annoierò, ho portato dietro il sudoku e ho il tablet per vedere la partita.»
Sospiro. «Ok, ma almeno mangia qualcosa.»
«Grazie, signorina.»
«Perché mi ringrazi?»
«Perché è la prima persona a cui faccio la guardia che si preoccupa se mangio o dormo abbastanza. Spero riuscirà a risolvere i suoi problemi perché merita di stare bene.»
Esco dall'auto stupita. «Grazie», dico stranita dalle parole della mia guardia che, mi sta già sclerando a destinazione.
Cammino lungo la strada lasciandomi tutto alle spalle e dopo avere superato la folla nel vicolo, impegnata a ballare, entro nell'unico locale presente dove all'interno trovo i miei compagni. Mi stanno aspettando e mi accolgono con un grandissimo affetto mentre Denver sparisce. Anche se so che mi terrà ugualmente d'occhio.
Prendiamo posto nei divani comodi. Uno di loro ha già ordinato un giro per tutti e diamo così inizio alla nostra serata dove a turno offriremo qualcosa da bere.
«Come te la passi?», mi chiedono uno dietro l'altro dopo i saluti e le presentazioni.
«Bene, voi?»
Con il tempo ho imparato ad eludere le domande o a rispondere dicendo quello che la gente si aspetta di sentire.
Iniziano a palare, a ricordare aneddoti che pensavo di avere rimosso. Parlano persino di Ellen ricordandola come la stronza che ha fatto qualcosa di orribile ad ognuno di loro. Da questo mi rendo conto che chiunque avrebbe avuto un motivo per farle del male. Poi cambiano argomento e raccontano tutti a turno aneddoti divertenti.
Mi accorgo di ridere tenendo un bicchierino in mano e capisco di non potere smettere di respirare solo perché qualcosa o qualcuno sta tentando di soffocarmi.
«Iris, dicci di più sul tuo fidanzamento», interrompono la mia conversazione le ragazze. Alcune non le conosco neanche, si sono aggiunte al gruppo per stare in compagnia, ma sembrano attendere tanto quanto le persone che conosco, la mia risposta.
«Non c'è molto da dire in realtà. È un fidanzamento come tanti. Un anello al dito, qualche cena e poi la solita routine. Non è come pensate o come mostrano in tv.»
Si guardano tutti esterrefatti dalla velocità con cui ho minimizzato la cosa.
«Non puoi parlarne?»
«In realtà no. Ma sono sicura che leggerete qualcosa nei prossimi giorni quando usciranno i nuovi numeri delle riviste e gli articoli relativi al fidanzamento dell'anno a Miami. Ma non sono qui per parlare della mia vita.»
Bevo d'un fiato il contenuto del bicchierino che, a quanto pare è tequila e faccio finta di non sentirmi a disagio.
Speravo non succedesse, invece mi ritrovo di nuovo al punto di partenza. Sono qui che mi lascio tempestare di domande a cui non voglio e non posso rispondere perché non lo so nemmeno io come sono finita da un momento all'altro ad essere una ricca ereditiera e fidanzata di uno degli uomini più potenti di Miami.
I miei occhi vengono catturati dall'arrivo di due persone e il mio cuore si contrae dolorosamente prima di palpitare come un ribelle che non intende ascoltare e rallentare.
No, non è possibile. Che diavolo ci fa lui qui? Mi hanno seguita? Denver ha fatto la spia e loro hanno deciso di venire qui per tenermi sotto controllo?
L'istinto mi dice di alzarmi e uscire fuori con una scusa, la ragione invece mi frena cercando di non farmi apparire come una pazza o peggio una bambina. Devo comportarmi con naturalezza, fingere che niente si stia insinuando già dentro di me per fare danni.
Non riesco proprio a smettere di guardarlo. I suoi capelli sono un po' più lunghi e ha quel filo di barba che a me fa tanto impazzire, proprio come succede quando i nostri occhi si incontrano, seppur per un nano secondo e ci ritroviamo entrambi a combattere per respirare. Mi è mancato. Mi manca soprattutto adesso.
È così che viene fuori la sofferenza sul volto di chi ne ha viste tante e le ha sopportare tutte. Sul viso di chi è triste ma mostra fuori il sereno. Negli occhi di chi sta annegando e finge di sapere nuotare. È così che viene fuori il dolore. Non si manifesta, appare solo con il volto della stanchezza.
Mi domando se si accorge che anch'io sono distrutta. Mi domando se nota che anch'io sto male, perché io lo vedo sul suo viso il riflesso della delusione. Così tanto che vorrei avvicinarmi a lui e alleviare un po' di quel dolore.
Il primo a distogliere lo sguardo è proprio lui che fa dietrofront e prova ad andarsene.
Il mio cuore viene come strizzato e mi ingobbisco un momento fingendo che questa sua reazione non mi abbia ferita.
Continuo però ad osservarli mentre Issac gli dice qualcosa e lui risponde con prepotenza scendendo qui al piano di sotto, sedendosi ad uno dei tavoli davanti.
«Iris, è il tuo turno», mi dice qualcuno. Sono un po' lontana per rispondere e mi alzo come un robot. «Pago io il prossimo giro, adesso scusatemi un momento», mi sposto in bagno.
Per fortuna non trovo nessuno e posso calmarmi.
Quello che devo fare è uscire da qui e fare finta che non ci sia. Ignorare il mio cuore e tutti quei segnali che tentano di portarmi ad un lento declino mentale.
Quando però esco dal bagno, me lo ritrovo davanti. Per poco non vado a sbattere contro il suo petto. Si mette subito da parte ed io scappo via salendo al bar.
Ferma, con le gambe che tremano davanti al bancone, pago il mio giro di shot per i ragazzi e torno da loro con un vassoio, seguita dal cameriere.
Mi aspettano più che entusiasti e, ho il sospetto che intendono ubriacarsi e farmi ubriacare per estorcermi una qualche confessione, soprattutto adesso che lui è arrivato.
«Iris, perché non vai a salutare il tuo ragazzo?»
«Serata tutta per me. Non siamo esibizionisti», mento. In realtà ho voglia di andare da lui e abbracciarlo, stringermi forte al suo petto e strapparmi di dosso questo brutto senso di vuoto che sento da quando me ne sono andata dalla villa quella sera.
Non accettano, ovviamente, la mia spiegazione che è quasi inutile quanto un giro di shot gratis. Ne pago subito un altro ma non bevo, ho bisogno di rimanere un po' lucida se voglio tornare sulle mie gambe a casa.
«Noi vogliamo vedervi insieme, scappate di continuo dai giornalisti e sono settimane che non rilasciate nessuna intervista, non potete fare una piccola eccezione per noi? In fondo, quando ci ricapita?»
Questo è vero, ma non ho neanche inviato le risposte a quel dannato giornalista perché non volevo sbagliare qualcosa e rovinare tutto.
A quanto pare non riesco proprio a smettere di preoccuparmi per gli altri, ma a me chi ci pensa?
Bevo un altro shot andando contro le mie stesse regole e seguo tutti al tavolo da biliardo dove iniziamo una partita. Sono sempre stata brava in questo gioco. Ricordo con piacere tutte le volte in cui ho vinto contro dei ragazzi e i miei amici. Ellen trovava complicato il gioco ma allo stesso tempo si metteva in gioco per attirare l'attenzione dei ragazzi e per ottenere drink gratis e magari una serata di fuoco con uno dei più belli che riusciva ad ammaliare.
Mi manca, nelle piccole cose, nei momenti. È come se mi avessero tagliato un arto.
«A quanto pare siamo in squadra contro quei due», dice il mio ex collega indicando alle sue spalle. «E non penso ti dispiacerà batterli.»
Sbircio e mi manca il fiato quando due occhi azzurri mi si posano addosso scivolando su ogni parte del mio corpo. Una scansione completa la sua. Per un attimo sono tentata di rifiutare la sfida poi però penso di non dovere dimostrare niente a nessuno e di potere comportarmi normalmente, senza drammi.
Issac mi si avvicina e mi saluta affettuosamente, come se ci conoscessimo da una vita. «Scusa, dovevo farlo», mi sussurra all'orecchio.
Piego la testa di lato cercando di capire ma non ottengo altre risposte perché iniziamo a giocare.
Hunter mi ignora e nonostante questo mi dia fastidio, gioco anch'io la stessa carta per non mollare e non dargli la soddisfazione di vedermi con il morale a terra.
Inspiro ed espiro, passo il gessetto sulla punta della stecca e faccio la mia bella figura davanti al gruppo di persone che si sono riunite ad osservarci.
Hunter si posiziona accanto a me, sfiora le mie braccia e tenendo la sigaretta tra le labbra, guardandomi, molla il suo colpo mandando in buca la palla.
Attorno esplodono applausi e lui nasconde un sorriso pieno di soddisfazione prima di bere uno shot mentre mi guarda con sfida.
«Esibizionista!», brontolo, dimostrandogli di non avere paura.
Iniziano le scommesse ma nessuno dei due cede alla tentazione di parlare o di dire la propria in merito.
«Temo che vinceranno se non riuscirai a mettere in buca quelle due palle. Sono in vantaggio.»
Lancio e guardo il mio amico. «Dovresti avere più fiducia in me. Quando gioco non perdo e se perdo accetto la sconfitta sapendo di avere combattuto con dignità», parlo di proposito ad alta voce e quando mi porge un bicchierino mando giù il liquido scuotendo la testa, uscendo la lingua, tossendo un paio di volte. «Che diavolo era, benzina, alto fuoco?»
Ride. «Tequila corretta», mi strizza l'occhio.
Ho la bocca in fiamme, lo spingo. «Idiota!», sbotto. «Devo bere un sorso d'acqua, non sento la lingua», dico spostandomi velocemente al bar, chiedendo al barman dietro il bancone un bicchiere d'acqua. Questo, mi guarda come se lo avessi appena deriso.
«Senti, ho la bocca in fiamme e mi serve un po' d'acqua», sbotto irritata. «Non ho mica chiesto un bicchiere di latte e dei biscotti.»
Un profumo mi avvolge come una nuvola di fumo. Non oso voltarmi. So chi è, lo riconoscerei tra i tanti presenti qui dentro.
«Anche per me, hanno corretto quei cazzo di bicchierini di tequila con qualcosa di disgustoso», esclama una voce alle mie spalle. «E presumo che questo sia uno scherzo per farmi avvicinare a qualcuno.»
Il barman non se lo fa ripetere e io non mi volto perché conosco già il proprietario della voce. Bevo l'acqua, ringrazio e provo a tornare di sotto. La sua mano mi sfiora tutto il braccio fino a raggiungere il mio palmo. È come lanciare una scintilla su una striscia di liquido infiammabile. La pelle mi si solleva e mi aggrappo a tutto il mio autocontrollo per non voltarmi, per non guardarlo e per non commettere un altro errore. Muovo le dita insieme alle sue standomene impalata. La musica, le risate, le voci, tutto si fa indistinto per qualche istante mentre i miei occhi scorrono lungo le sue mani, seguono quelle vene che si perdono sotto la manica del giubbotto di pelle.
Ci siamo bruciati io e lui. È stato come Icaro con il sole. Adesso non siamo altro che cenere, resti di un incendio divampato all'improvviso e domato dalle incertezze di una sola notte. Siamo l'attimo che ha cambiato ogni piano stravolgendo entrambe le nostre esistenze. Siamo quel momento che resta nei ricordi di un cuore malridotto ancora resistente agli urti.
Chiudo gli occhi e come quando qualcuno spegne le luci, mi ricompongono e scendo di corsa di sotto lasciando uscire un sospiro e mirando al mio amico più che irritata.
«Sei uno stronzo», brontolo.
Issac ghigna dandogli il cinque. «Era solo uno scherzo. Volevano vedervi insieme.»
«Di pessimo gusto, direi», replica Hunter di nuovo alle mie spalle.
Mando in buca le ultime palle da biliardo lasciandoli inebetiti per la vittoria con cui gli strappo il titolo di vincitori e mi sposto in pista insieme a tutte le ragazze del gruppo.
Alcuni dei ragazzi presenti in sala ci circondano iniziando a fare i cretini con loro. Alcune non sembrano disdegnare, altre invece fanno finta di niente. Mi allontano per avere spazio e poi mi lascio trascinare dalla musica, dall'allegria.
Issac si avvicina passandomi un bicchierino. «Per scusarmi», mi dice all'orecchio per farsi sentire quando lo guardo scettica.
Prendo il bicchierino facendo attenzione a non versarmelo addosso e brinando con lui accetto le scuse.
Mette da parte gli shot e avvicinandosi mi fa fare una giravolta. Con la coda dell'occhio vedo Hunter appoggiato ad una delle colonne, mi uccide con gli occhi. Quando poi gli si avvicina una ragazza, le sorride e balla con lei.
«Non preoccuparti, lo fa per non venire qui da te», mi avvisa Issac. «È solo un coglione orgoglioso. Sa quello che si perde. Direi che è un coglione consapevole.»
Trattengo una risata. «Come sta?»
«Proprio come te», mi risponde facendomi fare un'altra giravolta.
La musica cambia e mi ritrovo con le mani sulle sue spalle e le sue lungo la schiena. «Forse non...», provo a dire.
«Che si ubriachi e provi pure gelosia per il suo amico che sta avendo il suo ballo con la ragazza più bella di tutta la sala.»
Sorrido. «Non c'è nessuna ragazza ad attirare la tua attenzione?»
Nega. «Sono qui per un altro motivo.»
Non mi dà nessuna spiegazione e quando la musica cambia ancora veniamo separati dalle ragazze. Ballo con loro divertendomi, anche se sono un po' preoccupata per Hunter.
Due mani mi si posano sui fianchi. Mi volto e mi ritrovo davanti uno sconosciuto alticcio con un sigaro in bocca. «Ciao bellissima», mi saluta biascicando le parole.
Provo a staccare le sue mani dal mio corpo cercando di non andare nel panico quando mi rendo conto della forza che sta usando per tenermi ferma.
«Lasciami o ti faccio rimpiangere questo momento», sbotto spingendolo, riuscendo ad allontanarmi da lui.
Muovo due passi e provo a smettere di pensare alla sensazione che ho appena provato. Mi è sembrato di tornare indietro, a quei giorni in cui Nolan entrava in casa mia ubriaco, arrabbiato per qualcosa che non avevo fatto e mi afferrava in quel modo.
Forse in un momento sbagliato, mi rendo conto che ci sono ricordi che non vanno via neanche se tenti di strapparteli dalla pelle. Ti rimangono attaccati e continuano a pesare sul tuo presente, impedendoti di viverlo al meglio e senza paura.
Il ragazzo, non demorde e torna alla carica. Questa volta mi afferra in maniera brusca e mi avvicina a sé pronto a baciarmi. Ha gli occhi talmente stretti a fessura da non rendersi conto di quello che sta facendo e che sta per accadere. Perché Hunter si avvicina e strappandolo dalla mia presa lo sbatte contro uno dei pannelli ringhiandogli contro dopo avergli mollato un pugno in faccia.
Dalla mia gola sale un grido di terrore attutito dalla musica alta. Scuoto la testa non sapendo come reagire ad una situazione del genere. I miei occhi saettano su Issac che sembra teso quanto me prima di raggiungere l'amico che continua ad urlare a quel tizio, a tenerlo per il bavero della camicia, senza neanche accorgersi del gruppo di ragazzi che li stanno circondando, pronti ad una possibile rissa.
Mi guardo intorno cercando una via d'uscita ma sono solo circondata dalla gente che pensa di godersi lo spettacolo.
Issac si volta, mi cerca tra la folla, mi chiede di fare qualcosa mentre lui si occupa di tutto il resto e allora intervengo facendomi strada tra le persone. Accantono il risentimento per un bene comune.
«Hunter», lo chiamo.
Non mi risponde. È sempre più pronto a pestare il ragazzo che adesso sembra rianimato dalla situazione e sta ricambiando il pugno ricevuto con degli insulti.
Gonfio il petto e stringo la mano sul braccio dell'uomo che mi sta difendendo. «Hunter, andiamo. Non ne vale la pena.»
Si volta di scatto, mi fissa inespressivo e torna a guardare il ragazzo mentre i suoi amici si avvicinano ancora.
«C'è qualche problema qui?»
«No, il vostro amico ha solo messo le mani addosso alla fidanzata del mio. Stanno chiarendo la cosa e nessuno vuole che si crei una rissa, non è vero?»
Issac ha lo sguardo freddo, le spalle tese e i pugni chiusi in vita.
Mi sposto davanti ad Hunter che si blocca, trattiene il fiato e battendo le palpebre mi guarda cercando risposte che attualmente non ho. «Lascialo perdere, non vedi che è ubriaco. Io... sto bene.»
La mia rassicurazione non sembra convincerlo e gli punta il dito contro superandomi. «Rimettile le mani addosso e ti faccio fuori», minaccia.
Il ragazzo sorride poi però qualcosa lo terrorizza e mette le mani davanti a sé. In breve si scusa con me e scappa via seguito da uno dei suoi amici, mentre gli altri stanno discutendo ancora con Issac.
Hunter soffia aria calda dal naso come un toro sul punto di attaccare. La vena sul collo gli pulsa velocemente. «Incredibile!», esclama nervoso. «Non sei neanche mia e continuo a difenderti. Non lo meriti affatto», sbotta allontanandosi da me.
Mi sento sopraffatta e avvicinandomi ai miei amici, ignari di ciò che è appena accaduto perché ubriachi, abbozzando una scusa, esco fuori dal locale.
Il tempo è una macchina mortale per i sentimenti. Ciò che non è mai stato amore si dimentica mentre ciò che lo è stato si intensifica, va a riempirti la testa di illusioni e delusioni che nascono quando ti accorgi di avere perso occasioni importanti per la tua felicità.
Raggiungo Denver che se ne sta nel parcheggio ad un isolato di distanza a fumare una sigaretta, attendo che abbia finito e mi faccio riaccompagnare a casa.
«È successo qualcosa?»
«No, voglio solo tornare a casa. Sbrigati, così potrai tornare alle tue cose.»
Denver non digerisce la mia risposta. Mi lancia uno sguardo dallo specchietto mentre tengo a freno la rabbia, l'angoscia e il dolore. Principalmente tengo a freno le lacrime.
Arriviamo sotto casa dopo cinque minuti. Saluto Denver insistendo che vada via e mi lasci sola e salgo al piano di sopra togliendo i tacchi per non disturbare nessuno. Prendo le scale perché l'ascensore è guasto e, anche perché ho bisogno di camminare, di affaticarmi e non pensare. Non pensare a quella voce, quel tono carico di arroganza e delusione che mi ha colpito il petto un'altra volta.
Entro in casa accendendo le luci, lascio i tacchi all'entrata e mi avvicino alla vetrata aprendo la finestra per lasciare entrare la brezza fresca della notte.
Mi preparo un caffè amaro e faccio un bagno per togliermi di dosso la puzza di fumo e alcol e, soprattutto, la sensazione di quelle mani estranee sul mio corpo che, hanno generato un susseguirsi di brutti ricordi.
È così che ci si perde. Basta un attimo e tutto crolla. Tutto cade giù come pioggia, come un palazzo fatto esplodere. E i detriti raggiungono il tuo cuore ferendolo ancora e ancora, fino a coprirlo, fino a lasciarlo sepolto tra le macerie.
Indosso un pigiama estivo grigio con le bretelle e i pantaloncini, apro poi il frigo cercando qualcosa di sostanzioso su cui affondare i denti.
Sento bussare alla porta e dentro di me scattano molteplici campanelli d'allarme. Mi sento in bilico come quando sali su una trave e non hai molto equilibrio per reggerti in piedi.
Fisso la porta, tutti quei fermi metallici sbloccati. Mi avvicino fino a posare l'occhio sullo spioncino ed apro la porta. «Issac come...»
In casa piomba Hunter, incazzato nero. Si volta verso l'amico e lui, rimasto sulla soglia mi rivolge uno sguardo carico di scuse. «Avete bisogno di discutere. Digli di chiamarmi quando vuole tornare a casa.»
Fa un passo verso le scale mentre Hunter esplora il mio ambiente. Issac ritorna davanti a me. «Posso lasciarlo o vuoi che rimanga?»
«Chiamerò uno dei vicini che fa il buttafuori se mai dovesse farmi arrabbiare o... dovesse avere brutte intenzioni. In ogni caso troverai il suo corpo fuori.»
Solleva l'angolo del labbro. «Ed ecco perché gli piaci.»
«È successo qualcos'altro?»
Guardiamo entrambi Hunter che si è appena seduto sul bordo del letto e tiene le mani sulla testa.
«Solo che si è innamorato di te e tu di lui. Niente che non si possa risolvere», mi stringe un braccio. «Non allontanarlo troppo per paura, lui non lo merita.»
Detto ciò se ne va.
Prendo un lungo respiro e voltandomi, chiudendo la porta alle mie spalle, mi preparo a qualsiasi cosa stia per accadere.

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