24
HUNTER
Mi piacerebbe essere diverso, meno orgoglioso, meno attento, meno arrabbiato, meno... meno sbagliato. Mi piacerebbe non sentire niente, avere davvero un cuore di pietra, freddo e duro; così tanto da non lasciare passare dentro niente, nessun sentimento, nessuna emozione, nessuna sensazione, niente amore. Già... l'amore. Che assurda follia innamorarsi di qualcuno che conosci appena. Il colpo di fulmine arriva davvero per tutti e non ti stordisce soltanto, ti affetta il cuore in tanti piccoli pezzi che, uno dietro l'altro svaniscono quando quella persona non sa come ricambiare, perché nella vita non le hanno mai regalato un grammo di affetto sincero, non le hanno dato una ragione per amare, per restare. Ma l'amore quando non hai il coraggio di lasciarti andare, si perde. E quando perdi la ragione per cui ti svegli con un sorriso o commetti qualche follia, sentendoti ubriaco e fuori controllo ma estremamente infelice, la tristezza raggiunge il tuo cuore, i pensieri e la tua mente fino a somigliare a massi che ti inchiodano al suolo, lasciandoti senza via d'uscita, senza aria.
Mi sarebbe piaciuto urlare quello che sento, ripeterlo se necessario, dire tutto senza controllo, senza timore di non essere capito o peggio: di non essere ricambiato. Ma ci sono cose che reputi tanto belle, che sono pericolose e delicate. Sono le stesse in grado di sfiorire in un attimo.
«Signore?»
Guardo l'orologio poi alzo lo sguardo fingendo di non essermi perso un'altra volta in quei pensieri simili ad un muro di spine che separa la terra arida dai prati in fiore. Fingo di essermi messo a riflettere sul lavoro che sto svolgendo con impegno.
«Si ritiene d'accordo sull'acquisizione? Possiamo procedere con la compilazione dei documenti o vuole fare ulteriori esami?»
Guardo l'uomo che mi sta rivolgendo la parola poi il grafico che abbiamo davanti e ancora i presenti seduti al tavolo dei vincitori con cui faccio affari da quando ho vent'anni circa. Tutti mi stanno aspettando, pendono dalle mie labbra. Ma so che alcuni sono solo invidiosi e non aspettano altro che una mia disfatta. Il mondo è pieno di gente che vive per invidia. L'unica cosa che puoi fare è andare avanti ignorando chi vorrebbe vederti sconfitto, dimostrando a te stesso che sei forte abbastanza.
«Digli di abbassare il prezzo e firmerò il contratto», replico, e senza dare spiegazioni mi alzo interrompendo questa riunione che dura ormai da ore.
Ho notato che alcuni sono annoiati. Non amano il proprio lavoro e non fanno altro che riscaldare la sedia impedendo ad altri di lavorare, perché occupano un posto che non gli spetta.
Nella mia carriera, ho sempre cercato di circondarmi di persone entusiaste. Purtroppo ci sono volte in cui bisogna sopportare riunioni con persone non in linea al tuo modo di pensare e procedere.
«Ma signore il prezzo di mercato...»
«Ho detto di dirgli di abbassare il prezzo. Ed è un ordine! Non è quello il reale valore della proprietà che hanno quasi demolito quando non avevano fondi necessari perché il proprietario li aveva investiti in maniera sbagliata. Non è un problema mio. O si fa come dico io o puoi dirgli di cercare qualcun altro da fottere», dico esplicitamente, senza troppi giri di parole. «I soldi gli servono per rimettere in piedi la baracca? Allora si fa a modo mio, seguendo le mie condizioni, accettando la mia offerta.»
Stanco e un po' affamato, mi dirigo verso la porta. «Tornate quando avete una risposta positiva», esco dalla sala riunioni spostandomi nel mio ufficio.
Perez, da quando ho chiuso con Iris, non fa altro che starmi addosso. Continua a mandarmi strani segnali che, non capto e non apprezzo. Infatti, le rispondo sempre lanciandole una brutta occhiata per rimetterla in riga.
Se continuerà a comportarsi in questo modo, poco professionalmente, sarò costretto a farla sostituire.
Sono state due settimane pesanti e piene di domande a cui non ho ancora risposto. So solo che non ho dormito bene, non ho mangiato tanto e non ho neanche bevuto perché ogni singola cosa, mi fa pensare a lei. Lei che si è insinuata dentro di me avvelenando tutto. Lei che mi ha lasciato chiedendomi di non seguirla più.
Sto rispettando tutto questo pur non accettandolo. Lo sto facendo per me stesso, per la mia sanità mentale che rischia di andare a farsi benedire.
«Signore», mi saluta con un lieve sorriso Perez.
Le chiudo la porta in faccia. Se crede di potermi fregare si sbaglia. Prima mi sarei approfittato di lei, ma in questi giorni non mi soddisfa niente di quello che mi circonda. Tutto questo a causa di una cazzo di stronza di cui non so più niente, perché nessuno l'ha vista e perché Denver non mi parla di lei, neanche su mio stretto ordine. Stanno rischiando tutti di perdere il posto con questo atteggiamento.
Non penso che Iris lo abbia pagato per tenerlo buono e zitto come il suo cagnolino da compagnia. Non farebbe mai una cosa simile, un po' la conosco e odia certe cose. Piuttosto se ne starebbe da sola in qualche buco d'hotel per non dargli motivo di preoccuparsi, di tenerla d'occhio.
La immagino sdraiata su un letto non suo, in una camera di un hotel piccolo, impopolare, a mangiare schifezze e a guardare film senza mai scendere a cena o uscire per fare una passeggiata.
Mi accascio sulla sedia girevole massaggiandomi le palpebre. Appoggio la schiena contro lo schienale imbottito della poltrona nera e provo per un secondo a rilassarmi, fingendo che sia tutto normale, tutto come è sempre stato prima di lei.
Ma da quando è arrivata è cambiato tutto. Ha stravolto i miei piani, la mia vita, ogni cosa. È arrivata come un uragano e ha spazzato via tutto quanto.
Il telefono squilla. Dall'interfono arriva la voce della segretaria.
«Signore?»
«Si?»
«C'è qui il suo amico, Issac.»
«Fallo entrare e non permettere più a nessuno di disturbare. Grazie.»
Non attendo molto prima di vederlo spuntare dietro la vetrata e poi irrompere nel mio ufficio con una bottiglia di bourbon invecchiato e due bicchieri. Chiude la porta ignorando Perez che, fa gli occhi dolci anche a lui, e tira persino le tende per non essere disturbati.
Appoggia la bottiglia e i bicchieri sul tavolo basso di vetro del salottino e sedendosi sulla poltrona massaggia le mani facendo schioccare le ossa e mi guarda.
«Hai un aspetto orribile», esclama riempendo i due bicchieri senza aggiungere un po' di ghiaccio. «Tieni, prendi questo, ti ridonerà un po' di colore. Sei pallido ed emaciato da fare schifo. Non ti vedevo così da anni.»
Mi alzo e sedendomi sul divano, come se fossimo ad una seduta di terapia, mando giù il bourbon senza battere ciglio. Non sento un cazzo di niente, solo un enorme vuoto che si ingigantisce sempre di più fino a risucchiarmici dentro.
Issac beve con moderazione riempiendomi un altro bicchiere. «Mi spieghi che cosa è successo? Sono due settimane che non parli con nessuno, che non esci e non ti fai vedere. Adesso arrivo e ti trovo con la barba e i capelli lunghi più del solito. Ho anche saputo che qui in ufficio si respira di nuovo quella brutta aria di un tempo.»
Fisso il tetto tenendo il bicchiere in grembo. «Stavano dimenticando chi comanda.»
Fa una smorfia. Piega poi la testa di lato riempendosi un secondo bicchiere. «È mezzogiorno e stiamo pranzando con un liquore. Perché non scendiamo di sotto? Altrimenti se sei affezionato al tuo ufficio perché non ordiniamo qualcosa, ti va?»
Passo le dita sulla fronte. «Non ho fame», bevo un lungo sorso ad occhi chiusi. Lo stomaco mi si è chiuso di nuovo. E pensare che prima avrei gradito un pasto caldo, diverso dalle solite cose di cui mi nutro in questi giorni.
Inspiro ed espiro piano tenendo il liquido in bocca per sentirlo scendere giù come fuoco. Ma questo non placa quello che sento.
«Peccato, tra poco ci porteranno una buonissima lasagna», mi mette alla prova. So che non ha organizzato niente e sta facendo tutto per risollevarmi un po' l'umore.
Rimango impassibile e sento il suo sospiro. «Iris?»
«Non... nominarla!», sbotto come un pazzo.
Issac corruga la fronte non appena mi rivolgo a lui in questo modo.
«Dov'è?»
«Che ne so? Se lo sapessi non sarei di certo qui a bere durante l'ora di pranzo o ad incazzarmi quando qualcuno la nomina.»
Mi passa una sigaretta accesa andando ad aprire la finestra prima che dentro la stanza possa attivarsi l'allarme.
Aspiro una boccata tenendo dentro il fumo prima di lasciarlo uscire e bere un altro sorso del liquido ambrato.
«Che cosa significa che non lo sai? Avete litigato?»
Annuisco. «Sono stato un po' duro con lei.»
«Cosa? E non ti ha risposto per le righe?»
«No. Non stavolta.»
Issac appare stupito e forse anche un po' risentito per il fatto che non gliene ho ancora parlato. «E si può sapere che cosa è successo?»
Mi sollevo da sdraiato e tiro indietro la testa prendendo due tiri della sigaretta. «I nostri genitori le hanno organizzato una festa di fidanzamento con il chiaro intento di chiederle di non rinunciare all'altra richiesta da parte di mio nonno. Quel bastardo ha lasciato un altro video in cui per un matrimonio avrebbe offerto il resto del suo patrimonio. Si tratta di soldi, capitali, investimenti che hanno fruttato molto a quel grandissimo stratega che merita proprio di vivere all'inferno.»
Il mio amico spegne la sigaretta aprendo la giacca dell'abito elegante grigio antracite che indossa. «Fammi capire, avete teso a quella ragazza un'altra trappola? Una richiesta non era abbastanza? Cristo santo, Hunter! Perché cazzo non li hai fermati?»
Sbuffo. «Lo so, non mi riconosco più neanche io. Ho commesso molti errori e questo... questo ha distrutto tutto. Avrei dovuto dirle che c'era dell'altro, avvisarla e dirle di essere dalla sua parte, ma lei... lei non ha fatto altro che evitarmi dopo che quella notte mi sono ubriacato per non comportarmi da stupido con lei, per non avvicinarmi troppo e...»
«Un momento», urla alzandosi dalla poltrona. «Ti sei ubriacato con lei e non ci sei finito a letto?»
Passo una mano sul viso. «Volevo smettere di pensare a lei, di guardarla come un maniaco ed esserne attratto così tanto da impazzire dalla voglia di prenderla e perdermi.»
«Volevi portartela a letto ma non lo hai fatto? Volevi farlo proprio dopo che ha vissuto l'inferno? Sei impazzito?»
«Tu non capisci...»
«No, amico. Non capisco perché mi hai tenuto nascosto che ti sei innamorato della tua finta fidanzata e ti sei ubriacato con lei per trattenere ogni tuo istinto. Perché non me lo hai detto?»
«Perché non voglio apparire come uno che non sa trattenersi. Io lo sto facendo e anche abbastanza. Sto rispettando ogni suo confine e persino la fine della sua storia con quel grandissimo coglione che le ha distrutto la vita e la casa.»
Issac si avvicina posandomi una mano sulla spalla. La stringe forte. «Hunter, ti sei innamorato di lei?»
Le guance e le orecchie mi prendono fuoco. «Cosa? No. Io...»
Io cosa? Sto di nuovo mentendo a me stesso. Perché mentire è semplice quando hai un cuore da tenere al sicuro. Ma quando continui a dire una menzogna dietro l'altra, con il passare del tempo, accumuli solo illusioni e deludi le persone.
Issac inarca un sopracciglio. «Sei fottuto», sorride poi inizia a ridere. «Assurdo! Hunter Ford fottuto da una donna», scuote la testa picchiando la mano sulla gamba mentre non placa la risata che, inizia ad innervosirmi. Odio essere preso in giro, mi ricorda tanto i tempi quando al liceo non facevano altro che additarmi o considerami uno sfigato solo perché amavo leggere e passare il mio tempo a fare qualcosa di produttivo anziché andare alle feste o combattere duelli di intelligenza contro gente disarmata in partenza. Alcuni mi ritenevano altezzoso, altri uno stupito, altri ancora uno stronzo ricco che meritava una lezione.
Issac questo lo sa bene, eppure continua a trovare divertente il fatto che io sia caduto in una trappola peggiore e pericolosa.
«Chi lo avrebbe mai detto che ti saresti innamorato di una bella donna intelligente e in grado di tenerti testa ma, soprattutto di farti sentire uno schifo», ridacchia. «E tu che hai sempre preso in giro chi si butta giù per una storia andata male. Roba da non credere...»
Poso il bicchiere. «Già, devo riprendermi.»
Mi alzo e barcollo. «Magari dopo una bella sbronza sarò come nuovo. Che ne dici?»
Issac mi fa sedere e si sistema accanto a me. «Amico, perché non la chiami?»
Mi fisso le mani. I segni ancora evidenti dei pugni che ho dato contro ogni superficie quella notte e tutte quelle a seguire. Sfioro le nocche e guardo il mio amico.
«Perché so che dopo quello che le ho urlato addosso lei non è più disposta a vedermi. Poi ripeto, non so dove sia.»
«Posso sempre scoprirlo in un paio di minuti. Sicuro di non volerlo sapere? Potresti andare a trovarla, chiarire con lei, magari dirle quello che senti.»
Sto già negando. «Non posso.»
«Non puoi o ti vergogni?»
Issac mi conosce bene. Sospiro. «Temo che lei non sia disposta a fidarsi di me proprio perché crede che io sia d'accordo con tutto quello che le nostre famiglie hanno programmato per noi. Non voglio sposarmi senza amore. Dannazione.»
Issac riflette un momento. «L'intervista... come l'avete fatta?»
«Io ho inviato le mie risposte e lei le sue. Niente di complicato direi.»
Non sembra del mio stesso avviso. «Ti rendi conto che questo è sospetto? Due che stanno insieme inviano le risposte in maniera separata ad un giornalista. Potrebbero esserci risposte differenti sul vostro rapporto, troppe. Potrebbero creare dei dissapori o gossip inutili generati dal fatto che nessuno vi conosce ma legge quello che avete detto e insinua qualcosa. Non vi siete messi d'accordo su come rispondere e quasi sicuramente avrete una versione diversa. Quegli avvoltoi si divertiranno a mettere zizzania. Su questo non ho alcun dubbio.»
Massaggio la nuca. Inizio a sentire un lieve mal di testa farsi strada. «A questo non avevo pensato. Ma non possiamo più farci niente perché l'intervista uscirà domani. Ormai il danno è fatto.»
Issac inizia a fare avanti e indietro. «Sai che devi trovarla prima di Nolan?»
Sentire il suo nome mi fa irrigidire. «Non nominarmi quel grandissimo idiota», modero i termini che sarebbero ben peggiori rivolti a quell'essere disgustoso.
Mette subito le mani avanti. «Sai che non puoi lasciarla sola, con lui tra i piedi», ripete.
Rifletto un momento. «No, non vuole vedermi e io non andrò da lei», brontolo, testardo come sempre.
Issac fa una smorfia. I suoi occhi diventano scuri ed estraendo il telefono fa partire una chiamata.
«Voglio che trovi Iris Harrison. Si, ogni sua posizione ad orari regolari», ordina e senza aggiungere altro riaggancia cercando in me una reazione.
Bevo un altro bicchiere di liquore fingendo indifferenza. «Questo non mi farà cambiare idea.»
Alza le spalle. «Potrei anche andare a trovarla per vedere come sta. Oppure potrei chiederle di uscire con me.»
Lo guardo male ma non si lascia scalfire e mette ulteriormente il dito nella piaga.
«Potrei anche portarmela a letto, tanto a te non dispiace condividere, vero?»
Mi alzo e lo spingo verso la parete dove lo intrappolo. «Azzardati a toccarla anche solo con un dito e ignorerò i nostri anni di amicizia per farti fuori», replico a denti stretti.
Issac stringe le labbra poi ride spingendomi. «Andiamo a pranzo, usciamo da qui, cazzone!»
«Dico sul serio, tocca con un dito Iris e sarai fortunato a camminare o ad avere ancora le mani per toccare qualcuno o per scrivere il tuo nome.»
Si sposta vero la porta. «Cammina, riccone innamorato. Troveremo una soluzione strada facendo.»
Ci ritroviamo al piano di sotto, nel ristorante sempre pieno di persone a qualsiasi ora.
Ci sediamo in uno dei posti più isolati e, per la prima volta, siamo solo io e lui. Solitamente Issac viene qui accompagnato da una donna. Penso che oggi lui abbia ritenuto opportuno presentarsi da solo. Apprezzo la sua presenza e un po' mi dispiace di averlo tenuto a distanza. Ma lui mi conosce e sa che quando sono nervoso non ho voglia di vedere nessuno.
Ordina per entrambi. Sa anche che quando sono di pessimo umore non so parlare con la gente perché rischio di scoppiare.
Issac riceve un messaggio mentre davanti a noi abbiamo un piatto abbondante di pasta con gamberi e crema al pistacchio.
«Non vuoi sapere dov'è o dove andrà?»
«No. Non ha importanza.»
«Smettila!», sbotta innervosito dal mio atteggiamento.
«Dimmi piuttosto che cosa ricordi della notte in cui è scomparsa quella ragazza», replico, ripensando al racconto di Iris sull'amica e sulla mia curiosità morbosa per scoprire qualche retroscena di quegli anni di cui ho solo vaghi ricordi.
Issac mette in bocca un po' di pasta. Deglutisce, pulisce gli angoli della bocca e corrugando la fronte chiede: «Quale ragazza?»
«La rossa, Issac. Quella che rischiava di metterci nei guai.»
Issac guarda ovunque, lecca le labbra, posa la porchetta e si abbassa come se volesse confessarmi qualcosa. «Che cosa c'entra adesso? Sai che non dovremmo parlarne.»
«Era l'amica di Iris», dico in fretta sganciando probabilmente una grossa bomba.
Il mio amico infatti sbianca. «Che cosa? Davvero?»
Annuisco. «Mi ha raccontato di lei e mi ha anche fatto vedere una sua foto. Ho fatto del mio meglio per non rivelarle che la sua amica era una piantagrane che meritava una lezione, ma che qualcuno ci ha pensato prima che potesse fare qualcosa di stupido dopo quella festa. Mi sono impegnato per non dirle che quella notte è arrivata incolume dentro il locale ma che ha iniziato ad atteggiarsi e poi a farsi di strisce per attirare l'attenzione di tutti.»
Issac riflette un momento. «Quindi non le hai neanche detto che quella notte è entrata nel privé con due ragazzi mezza ubriaca e fatta? Non le hai detto che aveva puntato gli occhi su di te e che l'hai rifiutata ignorandola?»
«È andata così?»
Annuisce. «Tu non ricordi perché eri fuori e te ne stavi lì da solo ad ignorarci tutti ma io l'ho vista e quando è entrata non mi è piaciuto affatto che qualcuno avesse invitato una come lei. Amico, quella li ha fatto cose orribili per arrivare sulla vetta, per essere popolare. Sicuro che fosse amica di Iris, sono l'opposto.»
Confermo con un verso posando la forchetta e deglutendo. «Dovevi vederle in quelle foto. Ma Iris non era lì quella notte, giusto?»
Issac nega. «Ti saresti innamorato molte tempo prima e chissà che altro sarebbe accaduto, visto che quella ragazza continuava a sbavarti dietro.»
Mi scappa una sorriso. «Mi sarei messo nei guai quella notte puntando gli occhi sull'amica e non su di lei.»
Issac mi guarda un momento. «Vuoi davvero dirglielo? Vuoi parlare del club e di come hai rifiutato le avance della sua amica?»
Strofino le mani tenendo i gomiti sulla superficie del tavolo per reggermi. «Sarebbe un rischio, me ne rendo conto. Mi darebbe la colpa perché penserebbe che non abbiamo parlato per tenere in piedi un club anziché salvare la sua amica. Ma io non ricordo molto di quella sera, a parte di essermi nascosto da tutte quelle persone e dalle attenzioni di tutte quelle ragazze.»
«Non abbiamo nessuna colpa. La sua amica è andata via prima ancora che la festa finisse. Nessuno sa perché o con chi.»
Sospiro. «Come fai a ricordare tutte queste cose?»
Mi guarda come se lo avessi appena deriso. «Perché io al contrario di te ero abbastanza sobrio da notare le differenze e ogni dettaglio. Ero anche vigile perché stavo già camminando su un filo sottile, troppo. Infatti, il giorno dopo abbiamo chiuso i battenti proprio a causa di quella ragazza che non ha saputo contenersi ed è anche scomparsa lasciando a qualcuno la sua versione dei fatti, cioè che stava andando ad una festa per pochi eletti. Sai se esce di nuovo fuori questa storia che cosa succede? Parleranno di una setta e ci troveranno uno ad uno fino a scovare il presunto colpevole che se l'è fatta franca.»
Passo la mano sulla barba. «Pensi che sia morta?»
Issac si guarda ancora intorno per capire se qualcuno sia così tanto ingenuo da ascoltare la nostra conversazione. «Penso proprio di sì. Potrei anche sbagliarmi ma quando è uscita dal locale non stava poi così bene, non si reggeva e abbracciava chiunque. Ha preso troppa roba, era imbottita fino all'orlo. Amico, quella lì non sapeva proprio contenersi. Sono stupito che fosse la migliore amica di Iris.»
Rifletto un momento. «Hai ancora i video?»
«Quelli che venivano fatti per non avere grane? Si, ho l'archivio completo di ogni festa in cui ci sei sempre tu in disparte e da solo a goderti la serata.»
Mi guarda. «Ti serve quello della serata in questione?»
Confermo con un cenno. «Voglio ogni video, da tutte le angolazioni, possibilmente.»
Per un po' smettiamo di parlare di Ellen e ci dedichiamo al pranzo anche se non ho poi così tanto appetito.
Dopo essere usciti dal ristornante ci dividiamo per qualche ora ed io me ne ritorno all'appartamento. Ho bisogno del mio ambiente per riflettere.
Non appena entro, spero di sentire la tv accesa o il profumo al cocco misto al mio. Mi aspetto di vedere quel sorriso, quelle gambe nude che si muovono senza mai stancarsi e poi ancora di sentire quella bellissima voce e le sue braccia avvolgermi impacciate.
Invece è tutto grigio. Tutto silenzioso. Tutto spento. Un po' come me.
Lancio le chiavi sul mobile all'entrata e pochi istanti dopo sento bussare alla porta. Vado ad aprire e davanti a me trovo Nelson.
«Signore», mi saluta osservandomi con attenzione.
Lo lascio passare.
«Appena in tempo, stavo per mettermi a leggere il nuovo contratto di acquisizione, mi serve la tua opinione in merito», dico andando a cercare il documento dentro la cartella.
«Signore, non sono qui per parlare di lavoro, ma per accertarmi che stia bene.»
Mi indico. «Come puoi ben notare, sto una meraviglia, Nelson.»
Dalla smorfia appena accennata e dall'espressione che assume, mi rendo conto che c'è dell'altro che deve dirmi.
Pertanto mi fermo e aspetto che mi getti addosso tutto quello che vuole.
«Signore, hanno chiamato dalla villa e ci sono dei giornalisti accampati ovunque. Qualcuno ha insinuato che lei e la signorina Harrison...»
«Che siamo in crisi? Che ci siamo lasciati o che lei è scappata perché le nostre famiglie le hanno messo addosso un altro peso da reggere? Mi dispiace per la situazione ma l'hanno voluto loro. Che adesso risolvano da soli quello che hanno creato. Io non intendo parlare con quegli avvoltoi», mi sposto in soggiorno dove sedendomi sul divano sparpaglio i fogli per concentrarmi sul lavoro.
«Sono qui anche per sapere come sta. Ma è evidente dal suo aspetto. Le sta bene la barba.»
«Ho del lavoro da finire, Nelson. Se è tutto e non hai il tempo di aiutarmi perché devi sedare quegli stronzi dei giornalisti e dei miei genitori, va pure.»
Sollevo uno dei fogli ma non riesco davvero a vedere quello che ho davanti. Sono annebbiato dal susseguirsi di eventi che hanno generato questa rottura e adesso altri inconvenienti. È un fottuto effetto domino inarrestabile che mi spinge alla pazzia.
Sospiro lanciando il foglio, mi alzo e arrotolo le maniche della camicia. Sento improvvisamente caldo.
Nelson non si è ancora mosso dalla sua posizione. «Signore, dovrebbe andare da lei.»
«Lei non vuole vedermi. Pensa che sia stato io ad organizzare quella trappola.»
Urlo fuori tutto in fretta, correndo il rischio di scoppiare.
«Da quando qualcuno riesce a fermarla?»
Lo guardo un momento battendo le palpebre. «Da quando mi ha fottuto il cervello», ammetto.
Nelson si avvicina. «Presumo sia corretto dire il cuore, signore. Iris ha rapito il suo cuore.»
Scuoto la testa. «Mi passerà», distolgo lo sguardo. Non mi è mai piaciuto sentirmi debole o mostrarmi così tanto preso e interessato da qualcosa o qualcuno.
Nelson posa la mano sulla mia spalla. «Vada da lei. Magari litigherete ma sono sicuro che farà bene al vostro rapporto. Siete ancora giovani e delle teste calde.»
«Non capisco che cosa vuole, perché ha paura?»
Si posiziona davanti a me. «Davvero non ci arriva?»
Mordo l'interno guancia. «No. È complicata.»
«La signorina Iris ha paura che lei possa farsi male a causa sua. Non se lo perdonerebbe mai perché ci tiene a voi. Ecco perché è scappata in lacrime due settimane fa quando lei gli ha urlato quelle parole. Aveva ragione, Iris ha paura ma di amarla e di perderla. Non è indecisa o insicura, è solo spaventata perché un altro non le ha mostrato solo cose belle. Ha bisogno di una certezza.»
Rifletto sulle parole del mio fedele maggiordomo. Nelson ha da sempre la capacità di farmi ragionare. Per me è sempre stato un padre, un consigliere, un grande amico. Non lo ammetto apertamente ma gli voglio bene.
«Per una volta dovrebbe essere lei a capire questo, non io. Per una volta dovrebbe smetterla di avere paura di perdermi perché così facendo si perde tutto quello che c'è di buono in questa storia. Per una volta dovrebbe lasciarsi andare, godersi il momento e accorgersi davvero delle persone che stanno cercando di entrare nel suo cuore senza distruggerlo. Dovrebbe accorgersi da sola che sta sbagliando e sta permettendo alla paura di prendere il sopravvento. Deve capire che mi ama e che non può nasconderlo per sempre. Devo continuare?»
Nelson nega. «Troverete un modo. Vi incontrerete e avrete la possibilità di parlare e di affrontarvi.»
Si avvia alla porta. «Non lasci che l'orgoglio distrugga tutto. Se Iris non è forte abbastanza, lo sia lei per entrambi. Perché è un peccato non vedervi insieme solo perché qualcuno ha minacciato di dividervi.»
Apre la porta. «Faccia molta attenzione quando esce. I giornalisti sono ovunque, si stanno spostando anche qui sotto casa. Non esca mai da solo senza scorta o la circonderanno e la indurranno a dire cose che non pensa.»
Ascolto e annuisco senza obbiettare.
Rimasto solo, mi accascio di nuovo sul divano. Sblocco lo schermo del telefono e sospiro entrando nella galleria dove tengo la nostra foto, insieme a quelle che abbiamo fatto nelle giornate o serate trascorse insieme.
«Che cazzo mi hai fatto, piccola Bestiolina?»
Mi alzo e vado a fare una doccia lunga rigenerante o così spero. Accorcio la barba e sistemo i capelli. Non appena esco un momento dal bagno, sento il campanello. Controllo dalla telecamera e notando Issac lo faccio salire.
Entra in casa con addosso indumenti casual. Non è proprio da lui vestirsi in questo modo ma gli stanno bene, gli danno un'aria più sbarazzina, meno da vecchio ingessato.
«Dove hai intenzione di andare?»
«Un locale a Miami Beach, niente di costoso. Questa sera io e te saremo due semplici ragazzi. Mimetizzati bene, non rompere le palle e sbrigati.»
Vado a cambiarmi. Indosso una maglietta a maniche corte nera. Non appena l'annuso sento forte il suo odore. Per un attimo sono tentato di toglierla poi però mi faccio male da solo e continuo a prepararmi avvolto dalla sua fragranza.
Dopo avere preso l'orologio, la giacca di pelle e il portafoglio, usciamo di casa scortati da Perez e la guardia di Issac, un uomo che sembra affiatato con lei.
Io e il mio amico, notandolo, ci scocchiamo un'occhiata e con un ghigno scendiamo di sotto.
Siamo costretti a superare la fila di giornalisti, a scappare dai flash, per uscire dal parcheggio, ed è una gran fatica per me non mettermi ad urlare.
In auto inizio a sentirmi nervoso. Non passerò una bella serata proprio perché mi seguiranno ovunque e sarò solo, senza di lei. Immagino già cosa diranno tutte le testate giornalistiche domani. Devo prepararmi sempre al peggio se voglio continuare a vivere fingendo di star bene. Ma come si fa a stare bene quando nella vita ti manca un pezzo fondamentale per andare avanti?
Sospiro.
Issac mi passa un bicchiere. Siamo nella sua limousine. Continua a tenermi d'occhio ma non prende parola, non esprime apertamente quello che pensa. Così, decido di indagare.
«Dove stiamo andando esattamente?»
«Te l'ho detto, in un locale per comuni mortali e gente che può permettersi di bere birra e di mangiare noccioline salate gratis», mostra i denti bianchi in un sorriso che farebbe girare la testa ad una delle sue amiche.
Guardo fuori dal finestrino e non siamo affatto diretti a Miami Beach ma in centro, verso il quartiere delle arti. Il quartiere dove lavora lei.
I muri, il paesaggio, cambia tutto e in un attimo ci ritroviamo fuori dalla limousine, immersi in una cacofonia assordante ma invitante.
Forse qualche distrazione e un po' di divertimento fa al caso mio. Ho passato gran parte della settimana sommerso dal lavoro, ho chiuso prima del previsto importanti affari e sono rimasto fino a tardi sveglio a fissare quella maledetta pianta, il bracciale e poi ancora le nostre foto come un ragazzino.
Issac mi guida lungo una strada piena di turisti. Si tratta di un vicolo chiuso. Fuori dal locale, l'unico presente, molte persone stanno ballando, ridendo e bevendo. La musica latina riscalda l'atmosfera rendendo l'ambiente caotico. C'è odore di fumo e tequila.
«Allora? Che te ne pare?»
«Un po' troppo caotico. Che ci facciamo qui? Sai che odio i posti così affollati.»
Issac continua a sorridere. «Lo so. Non staremo molto. Voglio solo farti vedere una cosa», mi fa cenno di seguirlo.
Entriamo nel locale dove una calotta di fumo ci investe non appena varchiamo la soglia.
Le luci qui dentro sono un po' più soffuse. La struttura è ampia e ben organizzata. A pochi passi dall'entrata l'enorme bancone, dietro questo mensole a specchio piene di bottiglie, piante e bicchieri. Alla mia sinistra delle scale conducono al piano di sotto, la sala piena di divani a forma di C un po' quadrata e i pannelli a dividerli. Le pareti sono tutte di legno così come i tavoli mentre i divani di pelle rossi rendono tutto più cupo. All'angolo della sala tre tavoli da biliardo, un tiro a segno, delle macchinette e un tavolo da poker dove stanno facendo già una partita.
Non è tanto l'ambiente ad attrarmi, anche perché non è nel mio stile, ma la presenza di una persona che si fa notare nonostante sia seduta in fondo alla sala, in compagnia di alcune persone impegnate a bere e a ridere.
Desidero abbracciarla, premere le labbra sulle sue, sentirne il sapore, la morbidezza e poi ancora la loro forza. Desidero dirle che mi dispiace, che d'ora in poi, qualsiasi cosa accada a me o a lei a causa della nostra famiglia, non litigheremo più e affronteremo tutto insieme. Desidero dirle che senza di lei niente ha un senso, le giornate sono come quando fuori piove, che tutto è triste, spento, incolore, che ogni cosa non ha senso. Desidero dirle che ho bisogno di sentire il battito del suo cuore per potere percepire anche il mio che adesso sta accelerando e tentando di uscire e ricongiungersi al suo incastro.
Desidero così tante cose da sentirmi sopraffatto perché so di non potere fare niente.
Il sangue mi arriva dritto al cervello quando mi ricordo che non è mia, che non prova quello che provo io e allora, mi volto, provo ad andarmene ma Issac mi spinge verso le scale e mi costringe a scendere e a comportarmi come se niente fosse.
«Sai che me la paghi?»
«Ne hai bisogno. Mi ringrazierai quando farete pace e finalmente toglierete entrambi quel muso lungo dalla faccia. Inoltre questo sederà la stampa. Non so se hai notato ma vi seguono ovunque e trovarvi nello stesso posto acquieterà per un po' le cose.»
«Spero sia così. Ma che sia chiaro, non intendo andare da lei o altro. Siamo qui, divertiamoci come si deve.»
Issac accoglie la mia richiesta. Non so quello che ha in mente lui ma so quello che ho in mente io e non intendo mettere da parte l'orgoglio o abbassare ancora le difese, anche se adesso che l'ho vista è come vedere una sirena nel bel mezzo di un mare agitato. Rischia di farmi schiantare di nuovo contro gli scogli.
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