21
IRIS
Ci sono volte in cui le cose si rompono senza fare rumore e la rottura non si nota. La crepa, nemmeno si vede. Ma il danno è irreparabile. Ci sono volte in cui il dolore torna a farsi sentire e fa un male insopportabile. Lo senti dappertutto perché si diffonde come veleno. Ci sono volte in cui le emozioni arrivano e ti colpiscono silenziosamente e nell'immediato. Ci sono emozioni che in fondo, non sono sbagliate, ma possono ferire, possono fare tanto male. È bello lasciarsi trasportare dalla corrente, esplorare posti sconosciuti, provare sensazioni nuove per capire quante cose una persona possa essersi persa e dire basta. Rompere con il passato. Spezzare quel legame velenoso per le emozioni, per le sensazioni, per il cuore. Ci sono volte in cui bisogna seguire il cuore, magari saprà più della mente da che parte andare.
Hunter si tira a sedere appoggiando la schiena contro la testiera imbottita di pelle del letto, la coperta grigio chiaro avvolta sui fianchi da dove parte una perfetta V e l'espressione appagata, vogliosa.
Mi metto anch'io a sedere tirando a mia volta il lenzuolo bianco.
Siamo entrambi accaldati, tramortiti da quello che abbiamo fatto senza il minimo controllo. Non siamo andati oltre, ma mancava poco.
Ci troviamo su un filo sottile. Un passo sbagliato e precipiteremo da qualche parte facendoci entrambi male. Ma, ci sono cose che non si possono spiegare perché non è semplice farlo. Non è semplice dare voce a quei pensieri che si insinuano dentro e non se ne vanno più. Non è neanche facile dare voce a quei sentimenti che arrivano e non se ne vanno più perché ti si attaccano come colla nell'anima.
«Chi sei veramente?», mi chiede con occhi ancora lucidi e la voce arrochita dall'affanno. Passa la mano tra i capelli scompigliandoli e lascia uscire il fiato.
La sua pelle emana un calore che mi raggiunge in maniera incredibile, ed è come quando è inverno e rientri a casa dopo una passeggiata o una giornata di lavoro e hai bisogno di riscaldarti. È quella sensazione che ti raggiunge quando accendi il camino mettendo le mani a pochi centimetri dal fuoco. Lui, in qualche modo a me incomprensibile, riscalda il mio cuore.
«Come faccio a dirti chi sono se non lo so nemmeno io?»
«Lo sai, ma non mostri tutto ciò che sei. Mi fai vedere solo quello che ritieni necessario mentre tutto il resto, lo tieni per te, nascosto e lontano da tutti.»
«Non bisogna mai mostrare i segni che il passato ha lasciato. Puoi mostrare quei frammenti attraverso uno sguardo, un gesto, forse anche le parole. Ma ci sono cose che non puoi raccontare perché ci hai lasciato il cuore in quei momenti. Una parte di te che non tornerà più indietro.»
Ho paura a parlare di me. Ho paura a raccontarmi. Ho paura a dire chi sono perché è come se dovessi spogliarmi quando fuori fa troppo freddo o ritrovarmi nuda su un palco, davanti a tantissimi spettatori che potrebbero mettersi a ridere. Ho paura di mostrarmi davvero e deludere me stessa o peggio: illudermi.
Mi piacerebbe mostrarmi a qualcuno, potere stringere forte in un abbraccio una persona senza avere paura di rompermi le ossa, di spezzarmi il cuore.
«Hai paura a dirmi chi sei?»
«Ho paura dopo oggi di non ricordarmi più chi sono. Ho già commesso molteplici errori e sono andata contro le mie stesse regole. È come se stessi perdendo la testa. Insomma, io non mi comporto mai così», mi indico.
Sporgendosi apre il cassetto prendendo una scatolina di latta. Da questa esce fuori una sigaretta elettronica.
Prende subito una boccata di fumo. Il profumo che si sprigiona dalla nuvola che esce dalle sue labbra, è un po' troppo dolce e alla vaniglia.
Vedendo che lo sto osservando forse come una stupida, impegnata a chiedermi se il gusto delle sue labbra sia appena cambiato, me la passa.
«Prova. Vai contro un'altra delle tue regole, piccola bestia peccatrice!»
Rido di gusto spingendolo.
Per dimostrargli che non è fumare che mi preoccupa, prendo la sigaretta.
«Non è così difficile», dico aspirando, trattengo il fumo e poi lo lascio uscire puntandolo sulla sua faccia, ricambiando il gesto che ha fatto in spiaggia.
«E non è divertente.»
Ridacchia. Afferrandomi mi stringe a sé baciandomi la testa in un gesto dolce.
Mi piace come mi tocca, come mi fa sentire anche quando mi guarda con quello sguardo torvo, in grado di generare inquietudine. Mi trasmette solo cose belle, sensazioni che rischiano di farmi perdere la testa e il controllo.
Riprende la sigaretta posandola. «Impari troppo in fretta a peccare e fai sempre tutto in quel modo, come se mi sfidassi...»
Si ferma a riflettere. «Lo trovi divertente.»
«Anche tu», replico, rimanendo appoggiata al suo petto. Gioco con le sue dita. Ha le mani grandi, lisce. Le avvicino gli occhi osservando ogni piccolo segno e noto una cicatrice che si vede appena sul dorso, tra il pollice e l'indice.
La indico. «E questa?», chiedo.
«Questa è dovuta ad una lama sottile. Giocavo a scherma con Issac. Eravamo senza tuta, in giardino e scherzavamo imitando come due stupidi coglioni i moschettieri.»
Lo guardo sempre più curiosa e avida di informazioni sulla sua vita. Non è stata di certo come la mia ma, a volte dimentico che siamo stati entrambi adolescenti. Hunter avrà fatto qualcosa, avrà imparato anche qualche lezione per essere adesso l'uomo rispettato e temuto da tutti.
«Sul serio?», rido immaginando lui e il suo amico giocare spensierati intorno una cucina o in giardino a colpi di bastone.
«Si, una svista e mi sono fatto infilzare. Lo avevamo fatto altre volte ma penso che in quell'occasione era destino che andasse in quel modo. Mi sono lasciato distrarre da qualcosa. Adesso non ricordo bene cosa fosse ma mi è costato due punti.»
Sfioro la cicatrice, mi volto. «Raccontami delle altre.»
«Stai conoscendo ogni mia cicatrice, ogni mio segno distintivo, prima o poi ti chiederò delle tue», mi avverte forse per prepararmi al suo attacco.
Mordo il labbro uscendo leggermente la punta della lingua per inumidire quello inferiore.
I suoi occhi seguono ogni mia azione senza mai smettere. È come se mi stesse studiando a fondo per potere scoprire il mio punto debole e trarne un beneficio.
«Secondo anno di liceo, correvo per arrivare in tempo a scuola dopo che la mia amica mi aveva fatto uno scherzo chiamandomi in lacrime e dicendomi di raggiungerla a casa sua perché stava male. In pratica dovevamo marinare la scuola. Quando sono arrivata a casa sua, mi ha aperto la madre e mi ha detto che era già a scuola. Mi sono arrabbiata perché non avevo più il passaggio e ho iniziato a correre per arrivare in tempo a lezione. Comunque, ho raggiunto l'entrata con il cuore in gola, sotto la pioggia, in quell'istante mi ricordo di avere sentito la seconda campanella, ho fatto due passi, sono inciampata sui lacci delle scarpe e sono rotolata sui gradini ritrovandomi a terra.»
Mostro il segno sul braccio. «Niente punti ma è rimasto il segno e la voglia di ammazzare di botte la mia amica perché sapeva che odiavo arrivare in ritardo. In compenso si è fatta perdonare con una buonissima torta al cioccolato fondente.»
Hunter tocca la cicatrice prima di baciarla. «Non mi hai mai detto di avere un'amica. Ci sono cose che mi tieni nascoste. Possiamo presentarla ad Issac? Magari è la volta buona che lui metta la testa a posto.»
Mi incupisco e mi allontano un po'. Mi concentro e mi dico che posso farcela. Parlare di Ellen non mi piace, mi fa ricordare gli ultimi momenti che abbiamo passato insieme prima del vuoto che mi ha lasciato dentro.
Inspiro. «In realtà non ho più un'amica. Mi dispiace per Issac.»
Corruga la fronte. «Avete litigato? Gli hai soffiato il ragazzo dei sogni?»
Mordo forte la lingua e il suo sorriso nel vedermi seria, si spegne. «No.»
Si fa più attento. «Parlamene.»
«Non c'è molto da dire. Ci siamo conosciute da piccole, abbiamo avuto una di quelle belle amicizie in cui lei era la stronza di turno e io la sua spalla sempre pronta a raccogliere gli avanzi e ad accettare ogni sua follia. Ma le volevo bene, era la sorella che non ho mai avuto.»
Mi guarda un attimo mentre riprendo fiato, dopo avere parlato troppo in fretta. Non mi piace parlare di Ellen al passato, come se fosse morta. Lei non è morta, non può esserlo. O forse... forse sono io che ancora non voglio ammetterlo.
«E... adesso mi racconterai di come avete rotto? Che cosa è successo tra di voi?»
Nego muovendo la testa da una parte all'altra. Mi agito. «No, non abbiamo rotto. Abbiamo avuto una discussione, niente che non si potesse risolvere ma...»
«Ma?»
«Ma... lei una notte è andata ad una festa e non è più tornata.»
«Nel senso da te o...»
«Nel senso che è scomparsa da quattro anni. Di lei nessuno ha saputo più niente dopo quella notte.»
Mi ascolta attentamente senza lasciare uscire i suoi pensieri. «Deve essere stato difficile per te.»
Confermo. Non sa quanto. «Mi sono svegliata e ho appreso la notizia da mia madre è da tutti i canali che ne parlavano. Si sono fatte molte congetture sulla sua scomparsa. Qualcuno mi ha accusata e tutti hanno iniziato a pensare che era colpa mia, che le avevo fatto qualcosa, quando in realtà io e lei ci eravamo separate a metà strada e avevo un alibi perché qualcuno mi aveva vista entrare in camera al dormitorio da sola, tranquilla e in perfetto orario e qualcun altro aveva visto lei su un'auto.»
«Hai mai cercato di indagare?»
«Si. L'ho fatto e non sono arrivata a niente. So solo che è andata ad una stupida festa esclusiva e non è più tornata da me.»
Si mette comodo sul letto. «E poi?»
«Poi ho permesso a Nolan di entrare nella mia vita. Ha fatto un po' di pressione su quella crepa e si è insinuato avvelenandomi l'esistenza. A volte penso che lui ed Ellen avrebbero fatto scintille insieme. In qualche modo è stata anche lei a spingermi a conoscerlo ed ecco dopo sono arrivata.»
Mi massaggia la schiena e torno tra le sue braccia al riparo dal passato. «Scusa, non mi piace parlare della mia amica. È come una ferita ancora aperta. Ellen è una stronza, provocatrice, spietata ma le ho sempre voluto bene e mi manca. E so di essere un'illusa ma, spero un giorno di vederla arrivare e ottenere una spiegazione, conoscere la ragione, il motivo della sua lunga assenza.»
«Ellen... non credo di avere mai sentito parlare di lei.»
«Magari ci sei andato a letto e non te lo ricordi», sorrido, mentre dentro penso e spero che lui non l'abbia fatto.
Ellen lo conosceva, ne parlava spesso come se fosse suo amico. So che si basava sugli articoli delle riviste che leggeva, ma lei otteneva sempre quello che voleva, soprattutto i ragazzi. Era un frutto ambito tra di loro, mentre io ero sempre il rimpiazzo.
Per una volta, anche se mi sento un'amica cattiva ed egoista, spero davvero che Ellen non abbia mai conosciuto di persona Hunter. Me lo avrebbe detto, no?
Conoscendola lo avrebbe tenuto per sé. Lo faceva quando sapeva di non volere alcuna concorrenza. Le piaceva vincere facile.
Guardo Hunter con un enorme dubbio e la scritta in fronte: "Hai mai conosciuto la mia amica?".
«Descrivimela», replica invece in maniera alquanto tranquilla, ignaro delle mie paranoie.
Non ho dimenticato quel dannato volantino che tengo dentro la borsetta. Non ho dimenticato che Hunter potrebbe saperne di più su questo presunto club fantasma.
Potrebbe anche essere una pista sbagliata la mia, visto che il volantino era logoro e il Luna Park dove l'ho trovato era chiuso da tempo, suggerisce la vocina dentro la mia testa.
In ogni caso, spero vivamente che Hunter non conosca Ellen in alcun modo.
Decido di metterlo alla prova. Cerco il telefono. Sblocco lo schermo ignorando le chiamate e i messaggi a cui risponderò più tardi. Apro la galleria e cerco una foto mostrandola a Hunter, continuo facendogli vedere tutte quelle che ho di noi. Lui le osserva.
«No, non andrei mai con una ragazza così.»
Per poco non lascio uscire tutto il fiato che ho trattenuto. Inarco un sopracciglio.
«Non prendermi in giro. È chiaramente il tuo tipo.»
Nega. «Se ti riferisci alla ragazza accanto alla rossa che sorride e non è triste, si, me la porterei a letto anche adesso. Lei è proprio il mio "tipo". Ma quella là, no. Non fa per me. Quelle come lei portano solo guai, basta guardarla in faccia un secondo. Eravate davvero amiche?»
Poso il telefono. Parlare di Ellen con lui mi provoca una strana sensazione, perché è come se per la prima volta io stessi affrontando veramente la sua scomparsa.
«Cosa te lo fa credere?»
«Che lei era fonte di guai?»
«Si.»
«Il suo sguardo. In ogni foto che mi hai appena mostrato, ho notato che nei suoi occhi c'era quella luce piena di perfidia. Scommetto che ti obbligava a seguirla ovunque e a comportarti come lei o ti chiedeva dei favori, anche dei soldi.»
Come diavolo ha fatto a capirlo?
«No, non così. Diciamo che le piaceva vincere, raccogliere primati, soprattutto per quanto riguarda i ragazzi. Non era cattiva ma la sete di potere a volte le dava alla testa e commetteva degli errori che puntualmente risolvevamo insieme.»
«Come hai fatto a starle accanto?»
Sollevo le spalle. «Ero l'unica persona a volerle davvero bene e lei mi trattava da amica. Ero io quella ad accontentarla, troppo, spesso mi piaceva vederla felice per delle cose banali, come quando le facevo delle sorprese o le prendevo un regalo.»
Fissa il tetto. Le sue dita giocano con la mia schiena. «In ogni caso non l'avrei mai guardata. A me piacciono le cose uniche, che sono solo per pochi, be', che sono solo per me.»
Mi guarda intensamente e, ancora una volta non resisto all'istinto di metterlo alla prova. Ha avuto una reazione davvero positiva di fronte a questa storia.
«Ti avrebbe fatto divertire. Ci sapeva fare con i ragazzi.»
Arriccia il naso. «E tu?», cambia discorso spostando la conversazione su di me, come se il discorso "Ellen" non lo invogliasse o interessasse più di tanto. Mi sento apprezzata, lusingata. Ma odio illudermi di poter essere speciale per qualcuno, perché tanto le persone ti usano e quando non gli servi più, ti abbandonano.
Porto una ciocca dietro l'orecchio. «Io... cosa?»
«Mi avresti fatto divertire?»
Stringo le labbra in una breve smorfia che va a nascondere il sorriso che vorrebbe uscire. «No, non credo. Ho sempre evitato i tipi come te.»
Se si offende non lo mostra. Mi preparo però alla sua risposta.
«Come biasimarti. Però notiziona per te: al liceo non ero popolare come adesso. Ero uno sfigato, venivo persino bullizzato. Le cose sono cambiate al college e adesso vedi dove mi trovo, in che posizione sono. Tutti mi vogliono, mi temono...», ghigna.
«Io no.»
«Già. Su questo ci sto lavorando e presto anche tu mi adorerai», solleva il mento in maniera adorabile. Prova poi a farmi il solletico e lo spingo alzandomi, tenendo la coperta sul petto.
«Ho capito che con te sarebbero stati guai il giorno in cui ti ho incontrata a quello stand e, ancora di più quando ti ho vista davanti a quel quadro, lontana dalla gente a casa mia. L'ho capito quando ti ho trattenuta e poi ti ho seguito perché ho avuto quello stupido impulso di farlo, di scoprire qualcosa in più su di te.»
«Perché mi stai dicendo questa cosa?»
«Indossavi quel vestito bianco, stretto, a fasciare quelle forme che... Dio... vorrei tanto toccare e mordere e quelle adorabili scarpe di tela. Niente tacchi. Niente di artefatto. C'eri solo tu a spiccare tra tutte quelle persone presenti e neanche te ne accorgevi perché eri troppo impegnata a raccogliere tutte le cose negative che vedevi e a trascriverle nella tua lista mentale.»
«Credi che questo mi farà cambiare idea su quello che ho fatto prima? So di avere sbagliato.»
Stringe un po' le labbra prima di negare. «No, però ti piaccio.»
«Se credi che io sia la classica ragazza che si scioglie perché il suo finto fidanzato si ricorda molti dettagli del momento in cui si sono conosciuti, ti sbagli. Stai sbagliando tattica, non funziona con me.»
«Io ti piaccio, Iris», risponde con decisione maggiore.
«Già», emetto un lungo sospiro, e abbasso le spalle.
Sono in trappola anch'io da quel giorno. Ma questo non posso dirlo. «È un casino, maledizione.»
Hunter si tira ancora su. «Lasciati andare, Iris.»
«Continuerai ancora con questa storia, non è vero?»
«Fin quando non mi dirai di sì.»
Lo guardo male. «E se la risposta invece è no?»
Solleva leggermente il sopracciglio. «Vorrà dire che attuerò ogni mio piano e continuerò a ricordarti che nessuno sarà mai in grado di farti sentire come quando stai con me. Non mi piace arrendermi o condividere, quindi farò tutto il possibile.»
Sbuffo imbronciata. «E che cosa farai? Hai intenzione di saltarmi addosso, interrompermi di continuo...», cerco una risposta ma dalla sua espressione non traspare niente.
«Non ti arrenderai mai, vero?»
Sorride. «Perché dovrei? Sei uno spettacolo da non perdere.»
I suoi occhi scivolano lungo la mia gola fino al seno coperto dal lenzuolo. Se chiudo gli occhi riesco ancora a sentire quello che mi ha provocato con uno solo dei suoi baci.
«Hunter!»
Il cuore palpita così irruentemente da dolermi. Così tanto che sono costretta a portarmi la mano sul petto e a massaggiarlo.
Mi accorgo che non è dolore, è una sensazione piacevole, la carezza che mi regala sempre il suo sguardo dalla quale non riuscirò a scappare.
«Lasciati andare», ripete piano, avvicinandosi.
«No. Non posso più farlo.»
«Si che puoi. È stato divertente.»
«No, per te è stato eccitante proprio perché non ti aspettavi che lo avrei fatto. Voglio precisare che l'ho fatto solo aiutarti. Ti vedevo soffrire e...»
Mi schiaccia contro il materasso. «E... cosa?»
Emetto un verso strozzato e lui ghigna ancora in quel modo.
Picchio i palmi sul suo petto per allontanarlo e farlo smettere di provocarmi così tanti brividi da non riuscire a controllarli.
«Un giorno...», sussurra sul mio collo.
Lo allungo inarcando la schiena e lui mi tiene stretta una coscia.
«Che cosa?», chiedo senza voce.
Raggiunge sotto l'orecchio, il punto che mi fa tremare le gambe.
«Una notte...», continua senza mai baciarmi la pelle. Ma sento forte il suo calore, il suo soffio in grado di farmi tremare.
Stringo le mani sulle sue braccia. «Che stai facendo?»
Si avvicina ancora in quel punto e lascio uscire l'aria insieme ad un gemito.
«Ok, ok!», provo a fermarlo, ma lui vuole sentirle le parole e procede sempre più vicino alla meta che mi farà eccitare maggiormente e liquefarmi come un ghiacciolo lasciato al sole.
«Ci proverò», strillo. «Proverò ad essere la tua fidanzata e...», mi manca l'aria. Deglutisco concentrandomi mentre le sue dita scivolano lungo l'interno coscia e le sue labbra sono quasi sotto l'orecchio.
La mia pelle formicola e sento il cuore bussare contro il petto.
«Proverò a lasciarmi andare», concludo a fatica.
Si stacca sorridendo. «Bene. Così va meglio.»
Gli mollo un cuscino in faccia e la sua risata si diffonde dentro la stanza insieme alla sua espressione soddisfatta, che sovrasta tutto mentre mi affloscio sul materasso per riprendere fiato.
«Ho fame.»
Scendo dal letto, recupero una sua maglietta dall'armadio. Mi volto e lui se ne sta appoggiato sui gomiti a fissarmi.
Forse non sarò brava ad esprimere a parole tutto quello che vedo, ma se due occhi come i suoi hanno davvero la capacità di trascinarmi lontano, di mostrarmi bellezza laddove non c'è altro che buio, allora sono senza scampo.
Non lo so spiegare con certezza, ma credo che quando due persone hanno molte cose da dirsi e intorno a loro c'è solo caos, è bello farlo in silenzio. Guardarsi e perdersi. Guardarsi e sussurrarsi tutto tramite i brividi.
Hunter riesce a farlo in questo modo. Mi guarda e mi sussurra tutto quello che vorrebbe dirmi senza muovere la bocca, aprendo il suo cuore.
Sento le guance prendere fuoco. «Sei un guardone. E per rispondere alla tua affermazione di prima, visto che sei così tanto convinto, rettifico: no, non ti adorerò mai!», facendogli la linguaccia corro in cucina.
Mi fermo un momento ad osservare gli scatoloni ammassati all'entrata. Noto le mie piante e mi tremano le labbra.
Non ora, non ora. Me lo ripeto cercando di distogliere lo sguardo. Ma è tutto lì. Ogni ricordo è lì che mi chiama.
«Si sono salvati», esclama Hunter uscendo dalla stanza, salvandomi. Ha indossato solo un paio di boxer neri ed è bello da mozzare il fiato e da fare impallidire qualsiasi opera d'arte.
Prende Tristano e Isotta e va a sistemarli sulla mensola. «Direi che rendono tutto più colorato adesso», sorride indicando i vasi color pastello in netto contrasto con l'arredamento sui toni del grigio.
Evito di intristirmi, di ripensare al momento in cui la mia bellissima villa è andata in frantumi e mi sposto in cucina senza dire niente.
Apro la dispensa recuperando gli ingredienti per i toast. Accendo la piastra e poso due piatti sul bancone.
Hunter si avvicina. Apre il frigo tirando fuori una bottiglia di vino. Riempie due bicchieri passandomene uno.
«Mi piace bere vino con te. Sta diventando una sorta di rito.»
Mi regala un sorriso ed io servo il nostro spuntino bevendo un sorso di vino rosso per brindare con lui.
Hunter porta tutto in soggiorno e vado a sedermi accanto. Addendo il toast e lo spingo.
«Che c'è?»
«Come mai sei così silenzioso?»
Sorride. «So che stai male e so che il momento di prima ti crea imbarazzo. Sto solo rispettando i tuoi confini, Iris.»
«Non mi crea imbarazzo. È solo che mi sono lasciata andare in un momento terribile. Chiunque mi giudicherebbe. Dovrei continuare a piangere, disperarmi e invece...»
Smette di masticare, manda giù il boccone e passa la lingua sui denti di davanti. «Invece ti sei lasciata andare per la prima volta con la persona che reputi sbagliata per te. Iris, io non mi pento di quello che ho fatto. Neanche tu dovresti. E per piangere su una casa che è andata, puoi farlo anche adesso. Ognuno supera i brutti momenti come vuole.»
Poso il toast e sospiro. Mi alzo e cammino avanti e indietro. «Ho lasciato il mio ex, mi sono fidanzata con uno sconosciuto che poi altri non è che uno sbruffone molto ricco che crede di conquistare il mondo con il suo sorriso. Ho visto distruggersi la mia vita in un attimo: il mio lavoro, le mie abitudini, tutto. La mia bellissima villa è esplosa con dentro ogni mio sacrificio e per poco non saltavo anche io. Dovrei essere distrutta ma si, mi sono lasciata andare, mi sono lasciata toccare da un altro e mi è piaciuto. Ma adesso mi sento uno schifo, perché non sento quello che dovrei sentire in una situazione del genere. Non è come dovrebbe essere. Che diavolo ho che non va?»
Lascio cadere le braccia sui fianchi e mi sgonfio come un palloncino.
Hunter batte la mano sul cuscino. Mi avvicino e mi porge di nuovo il piatto con il toast.
«Dimmi qualcosa», piagnucolo.
«Avevi fame, adesso mangia», esclama.
Do un morso al toast e lui sorride di nascosto. Pulisce gli angoli della bocca, le mani e beve il resto del vino.
«Hunter», cerco una sua risposta o una qualsiasi opinione.
Passa le mani sul viso. Posa il palmo sulla mia coscia. L'accarezza piano, con una lentezza disarmante.
«Ti è piaciuto?»
Che domande sono?
Deglutisco. «Si», non lo nascondo anche perché era evidente, altrimenti non avrei mai ricambiato.
«Allora smettila di farti le paranoie. Ti è piaciuto ed è piaciuto anche a me. Così tanto che vorrei tornare lì sotto le coperte, nudi ed eccitati.»
Porto i piatti in cucina. Lui prova a fermarmi quando inizio a lavarli ma lo ammonisco non appena apre la bocca.
«Lo faranno...»
«Mi aiuti?»
Recupera uno strofinaccio asciutto e in breve mettiamo in ordine la cucina dividendoci i compiti.
«Visto? Non era poi così tanto faticoso», lo stuzzico dandogli un bacio sulla guancia.
Mi sposto subito verso gli scatoloni. Prendo il primo portandolo nella camera degli ospiti, quella che sarà la mia stanza per qualche giorno.
Quando sarò meno turbata e calma, penserò ad un'altra sistemazione.
Hunter mi aiuta ammassando tutto all'angolo opposto alla parete libera in cui dovrebbe esserci la libreria e la scrivania.
Qualcuno bussa alla porta. Va a controllare dopo avere controllato l'ora.
«Non dovevano arrivare domani?», dice.
«Era tutto pronto per la spedizione. Poi ha pagato un extra, signor Ford, era il minimo che potessimo fare.»
«Dove li mettiamo?»
«Prego, stavamo giusto per mettere in ordine tutto.»
Vedo entrare Hunter in camera con uno scatolone. A seguire, un altro apparentemente pesante sorretto da due uomini e di seguito Perez e Denver che lasciano a terra dei sacchetti con all'interno delle coperte e dei cuscini colorati.
Se si accorgono di come sono vestita, o meglio di come non lo sono, non lo fanno notare. Sono più discreti del solito dopo la sfuriata di Hunter.
«Ci servirà un attrezzo per avvitare e assemblare la tua nuova libreria.»
Fisso incredula gli scatoloni mentre uno degli uomini posa una cassetta sulla scatola più grande.
Hunter conduce alla porta tutti i presenti ringraziandoli poi chiude la porta tornando in camera.
Avvicinandomi allo scatolone più grande, inizio ad uscire i pezzi di legno da incastrare. Leggo le istruzioni e insieme ad Hunter, assembliamo la libreria e la scrivania.
Vedere Hunter impegnato in qualcosa di apparentemente semplice è davvero strano. Non pensavo fosse capace. Spesso lo sottovaluto.
«Non ti facevo un tipo da bricolage e cose varie.»
Sorride avvitando l'ultimo bullone prima di mettere in piedi la libreria. «Ho tante doti nascoste, Iris.»
Nascondo il mio sorriso e aggiungo le varie mensole prima di aiutarlo a spostarla verso la parete.
Guardiamo il nostro lavoro e ci diamo il cinque.
Apre poi la prima scatola e mi passa i libri che dispongo in ordine.
Impieghiamo un paio di minuti. Il tempo scorre in fretta e per un attimo vorrei mettere tutto indietro e rifare da capo ogni cosa. Probabilmente rifarei tutto, senza evitare niente. Mi sto anche divertendo.
Mi fermo un momento tenendo la coperta che profuma di ammorbidente tra le mani e incrocio i suoi occhi. Batto piano le ciglia lasciando che si avvicini. Mi sfiora le braccia, toglie la coperta posandola sul letto, prima di stringermi le mani.
«È stato bello», sussurra.
Sollevo l'angolo del labbro prima di annuire. «Si. Lo è stato. Compriamo qualcos'altro da assemblare o hai da qualche parte un puzzle...»
Mi avvicina ed io, senza una ragione, mi stringo a lui circondando le braccia sulla sua schiena. Annuso il suo odore buonissimo e ascolto i suoi battiti.
Mi solleva il mento. «Non ti chiederò come stai ma il sorriso che mi hai mostrato prima mi ha regalato un momento positivo in questa assurda giornata. E mi è anche piaciuto quando ti sei aperta raccontandomi della tua amica.»
Sollevo lo sguardo e lui mi bacia. Lo lascio fare sentendo il bisogno delle sue labbra sulle mie.
Mi preme verso la parete ed avvinghio le gambe sul suo fondoschiena. «Che cosa stiamo facendo?»
Annusa il mio collo emettendo un verso roco, basso, virile. Mi scarica addosso brividi che vanno a depositarsi sul basso ventre.
«Non ne ho la più pallida idea. Vuoi che smetta?»
Da una parte vorrei che lo facesse, che smettesse. Dall'altra al contrario vorrei dirgli di no, di continuare.
«Vuoi smettere?»
Mi si preme addosso stringendomi le natiche e ansimando gioco con la punta del naso sul suo.
«No, non voglio smettere», mi sussurra, dandomi un piccolo morso sotto l'orecchio.
Sussulto. «Era questo il tuo piano iniziale?»
«Non c'è un doppio fine, Iris.»
«Sai che... se dovesse andare male, sarà tutta colpa dei tuoi metodi di persuasione?»
Ci riflette per pochi istanti. «Direi che sono preparato ad ogni evenienza.»
Gioco con il suo labbro facendolo fremere. «Sai che sono una pessima fidanzata? Non ti ubbidirò, non ti ascolterò, non ti seguirò, non mi vestirò come vuoi...»
Prova a baciarmi e glielo impedisco.
«Continueremo a battibeccare, litigheremo e tu quasi sicuramente ricorrerai all'uso di mezzi sleali, mentre io te la farò pagare arrabbiandomi e scappando da te, tenendoti a distanza se proverai anche solo a sovrastarmi, a vincere. Anche se questo capiterà raramente.»
Stringe maggiormente la presa sulle mie natiche. «Sai che troverò sempre un modo. Per me non è più un gioco adesso. È molto di più. Attenta a come ti muovi sulla scacchiera, potrei vincere con una mossa che non hai previsto.»
È proprio questo ad attrarmi di lui: la sua convinzione. Ma le sue parole non sono vuote. So che quello che pensa poi fa, so che non minaccia senza avere la certezza di una vittoria. La cosa mi stuzzica e mi spaventa al contempo.
«Stai stipulando un accordo con me?»
Sorrido. «Vuoi farne uno?»
«Sai che non mi tiro indietro», solleva l'angolo del labbro mostrando un sorriso sghembo e così sensuale da mandare in poltiglia il mio corpo.
«Bene, allora ci proveremo.»
«D'accordo.»
Mi provoca il solletico con la lieve barba sul viso quando prova a mordermi il collo. «Proverai anche a fare altro con me o dovrò trattenermi?»
«Sarà per te una prova di resistenza, per conquistare la mia fiducia. Quindi no, non si va oltre.»
Fa una smorfia e io rido. «Ti stai già tirando indietro, non è vero?»
«Troverò una distrazione...», mi stuzzica alludendo alla possibilità di avere un'altra.
La cosa mi fa ingelosire. Mentengo il controllo. «Quindi non sarà un problema se chiamo Nolan...»
Mi morde il labbro e premendosi su di me mi lascia senza fiato con un bacio carico di passione e gelosia. «Sei furba...»
Sorrido con malizia. «Mai sottovalutare l'avversario, Hunter.»
«Adesso è molto più eccitante», mostra i denti.
Arrossisco e correggendo la mia postura riesco ad avviluppare le braccia intorno al suo collo e ad abbassare un po' le gambe scivolando così lungo il suo corpo.
«Possiamo almeno sfiorarci?», chiede cercando di capire le regole del nostro gioco.
«Vuoi sfiorarmi?»
Le sue mani risalgono lungo la mia schiena fino alla nuca. Abbassa il viso e bacia la mia gola. «Voglio di più. Se devo trattenermi, ti toccherà trovare molte distrazioni per non farmi tradire il nostro patto. Sono pur sempre un uomo...»
Comprendo il suo discorso. Non avevo pensato a tutto questo.
«Troveremo una soluzione.»
«Adesso posso portarti nella mia stanza o sul divano o...»
Sentiamo bussare alla porta. «Cazzo, no. Non proprio adesso.»
«Non rispondere...», mormoro con voce sognante, sfiorandogli le labbra. «Non ci siamo per nessuno.»
Bussano ancora. «Riprenderemo da dove abbiamo iniziato, non preoccuparti. Adesso indossa almeno un paio di pantaloncini. Denver prima ha sbirciato e non mi è piaciuto.»
Rido. «Sei geloso?»
«No.»
Inarco un sopracciglio e lui sospira. «Abbastanza da volerlo cacciare fuori dall'appartamento a calci. Lui e tutti gli altri.»
Lo abbraccio. «Sei stato tu a portarli in camera.»
Fa una smorfia. «Indossa qualcosa.»
«Ok, allora io adesso mi vesto e tu vai a vedere chi ti cerca.»
Ci stacchiamo a malincuore e ci guardiamo come se fosse l'ultimo dei nostri sguardi.
Prima di uscire dalla stanza, Hunter torna indietro e afferrandomi il viso mi bacia con ardore.
«Torno subito.»
♥️
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