20
HUNTER
Le sue labbra. Cazzo. Sono un frutto proibito per i miei sensi che si sono attivati nell'attimo in cui si è fermata a metà strada e poi si è lasciata avvolgere dalle mie braccia, iniziando a sfiorarmi le labbra, ad accarezzarmi i pensieri. È stato istintivo, spontaneo e forse anche un po' disperato da parte mia ma, adesso che ho avuto un assaggio del paradiso, cerco di non perdermene neanche un pezzo prima di ripiombare all'inferno. Perché in un modo o in un altro, so già che ci ritornerò.
Dalle mie labbra sfugge un gemito e lei si aggrappa ai miei capelli dandomi accesso completo alla sua bocca, alla sua lingua che accarezzo e sfioro con la mia avidamente sentendo il suo sapore misto a quello della pioggia che, continua a scenderci addosso.
Ma non importa. Non importa se abbiamo i vestiti fradici. Non importa se siamo in mezzo alla strada e qualcuno potrebbe vederci o immortalarci. Non importa se prima c'è stata esitazione e paura. Non importa se siamo appena sopravvissuti ad una brutta esplosione. Adesso ci siamo solo noi due e i nostri corpi che si spingono l'uno verso l'altro, che si cercano in un continuo sfiorarsi per poi allontanarsi.
Iris si ferma pur rimanendo bocca contro bocca. Siamo entrambi affannati, accaldati, privi di lucidità. Io non so che cosa diavolo sto facendo, so solo che mi servirà un altro bacio, uno solo, per piombare in un tunnel fatto di dipendenza. Non credo di avere mai assaggiato un bacio così forte, così dolce.
Deglutisco abbassando gli occhi sulle sue labbra rese rosee dalle mie, dai miei denti che non hanno saputo resistere alla tentazione di divorarle, consumarle un po' per come meritano. Mi avvicino ancora come un tossico prima di prenderlo tra le mie labbra, tenerlo poi tra i denti e tirarlo un po', con delicatezza, per provocarle e quindi potere sentire anch'io, quel suo mugolio che esce dalla sua bocca insieme all'affanno in un attimo.
«Non lo faccio da troppo. Scusami», indico il cavallo dei pantaloni rigonfio premuto contro le sue gambe. «Stai facendo un gran danno.»
«Anch'io», replica schiarendosi la gola. «Scusami!»
Si allontana un po', staccandosi poi da me quasi come se si fosse appena svegliata da un incubo. Spalanca gli occhi quando si rende conto di avere messo da parte ogni cosa per lasciarsi andare. Porta le dita sulle labbra e leggo subito l'allarme nei suoi occhi.
«Che cazzo ho fatto? Oddio, mi dispiace tanto. Io...»
Lascio cadere la testa indietro riprendendo un po' di fiato che mi ha tolto prendendo l'iniziativa. Accolgo un po' di pioggia tenendo dentro la breve ventata di delusione dovuta alla sua reazione e, stringendole la mano, la porto dentro il palazzo apparentemente vuoto e silenzioso.
In ascensore, la tensione si alza e si fa sempre più asfissiante. Nessuno dei due parla ma lei nota bene il mio umore nero come la pece, come la notte, causato dal suo atteggiamento poco chiaro nei miei confronti.
Le sue dita stringono le mie un paio di volte mentre ci avviciniamo al mio piano. Ad un tratto mi sento così tanto asfissiato da non resistere. Ho bisogno di saperlo. Devo avere delle risposte e per farlo, mi toccherà affrontarla.
Sporgendomi, premo il pulsante rosso sul monitor dell'ascensore facendolo bloccare. Segue un trillo assordante dopo un sobbalzo che mi fa arrivare il cuore in gola e lei sussulta, non aspettandosi una mia simile reazione.
Mi spingo verso di lei che si sposta all'angolo e premendo la mano sulla sua guancia, tenendo fermo il suo viso, la bacio ancora con possesso.
Lei non mi rifiuta, non si scansa come ha fatto prima. Cerca solo di allontanarmi un po' quando l'aria inizia a mancarle. Gli permetto solo per un paio di istanti di riprendere fiato e poi torno ad impossessarmi della sua bocca che ha un gusto dolce e amaro allo stesso tempo. Sa di frutta. Sa di tentazione. Sa di tristezza.
Mi stacco lentamente tenendo la fronte contro la sua. La guardo negli occhi quando mi permette di vederli, aprendo le palpebre, battendo quelle lunghe ciglia ad incorniciare quegli occhi che hanno una malinconia nascosta in grado di attirarmi, insieme al carattere che non ha niente di noioso o prevedibile.
Le accarezzo la guancia con il pollice mentre con l'altra mano, tra il collo e la clavicola, ascolto i suoi battiti.
«Dimmi che non lo senti anche tu e ti giuro che mi stacco e non te lo chiedo più. Dimmi che non lo vuoi quanto me e ti lascio andare...»
Le sue dita si mantengono salde sulla mia maglietta fradicia di pioggia, la camicia sopra pesa maggiormente, ma ho cose più importanti a cui pensare al momento.
«Sai che è così...»
Non so dire come mi sento perché è come ricevere un colpo al cuore così forte da restare senza fiato. A seguire vengo investito da un'ondata di gioia che si affievolisce a causa del suo sguardo.
«Ma hai paura.»
Abbassa lo sguardo. «Il mio ex mi ha appena fatto spaventare e mi ha distrutto la casa. Sono sopravvissuta ad una cazzo di esplosione e io la prima cosa che faccio qual è? Restare sotto shock e poi in mezzo alla strada, sotto la pioggia battente, afferrare e baciare il ragazzo con cui sono stata costretta a fidanzarmi a causa di suo nonno, un vecchio bastardo che non ha avuto scrupoli ad organizzare la mia vita. Lo ha fatto senza il mio permesso.»
Il dolore spesso mette a dura prova le persone e i loro sentimenti. Si finisce per avere paura. Paura di lasciarsi andare. Paura di affrontare le situazioni e soprattutto le persone. Paura di offrire il proprio amore a chi davvero lo vuole.
Penso che il dolore si possa superare smettendo di voltarsi, di guardarsi indietro e perdersi in quei ricordi che esso ha generato. Credo che la vera vittoria consista nel sapere andare avanti pur tenendo dentro ciò che fa stare male. Perché i ricordi sono solo pezzi di vita incastonati in un cuore che, nonostante tutto, trova sempre la forza di battere ancora.
«E perché ti senti in colpa? Per avermi dato un bacio? Per quello che senti per me? O è perché hai lasciato finalmente il tuo ragazzo dopo anni di abusi? Iris, ti sei finalmente accorta di che pasta è fatto e non puoi pensare di perdonarlo o di potere tornare con lui.»
Le parole mi sfuggono dalla bocca come un treno in corsa. Uso un tono rude, perché so di poterla raggiungere solo in questo modo, usando un po' di forza per fare leva su quei sentimenti che nasconde.
«Perché quello che sento in questo momento è sbagliato, soprattutto dopo avere lasciato il mio ragazzo e avere visto la mia casa distruggersi in un nano secondo a causa sua. Non posso stare male e pensare di potermi consolare baciando il primo che mi capita davanti.»
Sento la rabbia esplodermi nel petto. La sento forte e rischia di uscire.
Serro la mascella. «Se dentro di lui ci fosse stato davvero amore, non ti avrebbe distrutta così. E se dentro di te non ci fosse stato interesse, non avresti mai cercato conforto nelle mie labbra. Vedila così, non puoi più tornare indietro perché l'hai fatto perché lo volevi fare. Perché avevi voglia di baciarmi.»
Massaggio la sua nuca e lei muove lievemente la testa. L'avvicino al mio corpo che continua a bramare il suo tocco. «Non voglio metterti pressione, voglio solo capire se sono io a senso unico o se sei tu a non volere mandare alcun segnale perché hai paura di qualcosa.»
Sospira giocando con il bottone della camicia per non guardarmi negli occhi. I suoi, attualmente, sono troppo tristi ma non voglio darle più del tempo che le serve per capire. Perché se lo faccio, se la lascio libera, lei scapperà ancora da me e continueremo a rincorrerci anziché fermarci e provarci.
Mi rendo conto di essere un idiota ma è la prima volta che sento di dovere rischiare davvero.
«Iris, dimmi solo se lo vuoi!»
«Si», sussurra senza esitare. C'è della frustrazione nel suo tono e nel modo in cui le si aggrotta subito la fronte.
L'avvicino alle mie labbra ma lei mi trattiene posandovi sopra le dita. «Ma non so se sia giusto volerlo mentre tutto sta andando in frantumi. Non me lo merito e non lo meriti neanche tu, di vivere qualcosa a metà.»
Sguscia dalla mia presa e preme di nuovo il pulsante dell'ascensore attendendo che questo si fermi e le porte si aprano per potere uscire fuori.
Quando succede, la seguo e apro la porta dell'appartamento, lasciandola entrare in casa.
Si ferma subito sulla soglia, proprio come la prima volta. Si guarda un po' intorno perdendosi altrove, così lontano da non riuscire a fermarla prima di vedere le lacrime sgorgare dai suoi occhi.
Scoppia a piangere scivolando giù, sul pavimento dove si accascia in ginocchio nascondendo il viso tra le mani. Farfuglia qualcosa tra i singhiozzi e trema senza controllo delle proprie emozioni.
Chiudo in fretta la porta e mi siedo a terra, appoggio le spalle contro la parete e l'avvicino al mio petto dove lei si rannicchia come una bambina ferita, stanca, delusa.
«Ho paura. Adesso ho così tanta paura da non sapere che cosa fare. Mi sento stupida perché piango e a me non piace piangere, soprattutto davanti alle persone. Non lo faccio da anni, da quando ho perso una persona a me importante, mentre adesso sembra che io non riesca proprio a smettere. Io... mi sento asfissiata da questa vita.»
Le massaggio la schiena. «Hai solo bisogno di riposare. Sono giorni stressanti per te e queste due settimane non hai fatto altro che escogitare piani per evitarmi, per trattare tutti male facendo i capricci. Hai anche lavorato il doppio spostandoti da una parte all'altra della città, forse anche per evitare di farti vedere con me. Sono troppe cose, Iris. Devi staccare un po', allenta la presa e...»
«Se lo faccio lui ritorna e la prossima volta mi ammazza. Non si fermerà più. Non lo farà perché ha capito che ci sono persone che iniziano a tenerci un minimo a me e finché non resterò sola, come è già successo, lui non si fermerà. Vuole essere l'unico.»
La sua teoria, ammetto a me stesso, mi spaventa. Che Nolan sia un bastardo mi è noto da sempre, da quando ci siamo incontrati quando ancora eravamo ragazzini, ma che fosse capace di un simile gesto, non me lo sarei mai aspettato.
Stringo Iris al petto. Al pensiero che qualcuno le possa fare del male mi irrigidisco. «Non ti farà niente finché ci sarò io accanto a te.»
Mi guarda con il labbro che trema e le lacrime ormai sul punto di uscire dagli occhi arrossati e intrisi di tristezza che macchia la sua forte personalità.
«Oggi eri lì e lui... c'è riuscito lo stesso a cogliermi alla sprovvista. Che cosa farà la prossima volta, eh?»
«Lo so. Ma non potevamo di certo prevederlo. E sei stata brava a richiamare l'attenzione facendo cadere dei libri sul pavimento. Ammetto che mi stavo già insospettendo quando sei rimasta su per un'ora. Pensavo che stessi escogitando qualcosa, trovando una scusa, per scappare. Non mi aspettavo di trovare lui, sul punto di approfittarsi di te.»
«È questo il problema. È scappato persino alle tue guardie, ha fatto esplodere la mia casa e poteva farci molto male. Nelson, Denver, Perez... e poi tu... tutti potevate farvi del male a causa mia. E se mi lascio andare, se abbasso le difese, se mostro interesse per uno di voi, potrebbe andare peggio.»
Nego. Mi ostino. Non posso e non voglio credere che sia vero. «Iris, se continui a trattenerti, rischi di perdere tutte le cose belle che potrebbero capitarti nella vita.»
Sospira avvilita. «E che cosa dovrei fare? Saltarti addosso? Permetterti di portarmi a letto? Mostrarmi al mondo felice mentre dentro di me c'è solo un enorme masso che continua a schiacciarmi?»
Le afferro il viso con delicatezza. Sento che si agita per il mio gesto ma non mollo la presa. «Vivere. Ecco quello che devi fare.»
Mi alzo lasciandola inebetita per una manciata di secondi. «Alzati, dobbiamo asciugarci o ci verrà un raffreddore.»
La aiuto porgendole la mia mano e una volta esserci spostati dentro il bagno, le passo un accappatoio bianco morbido.
Toglie gli indumenti bagnati senza guardarmi, evitando di osservarmi o di vedere se la sto fissando come un maniaco. Mi appoggio al ripiano del lavandino mentre si avvolge sotto il tessuto, chiude gli occhi inspirando ed espirando, grata per il tepore.
Prendo un asciugamano e avvicinandola friziono i suoi capelli prima che lei li avvolga creando un turbante.
Fa un passo indietro, strofina le mani e rimane in attesa. Non sa proprio che cosa fare, che cosa dire, come comportarsi. Adesso che abbiamo iniziato a mettere le carte in tavola, sembra procedere con maggiore cautela.
Inizio a spogliarmi e dandole le spalle mi asciugo prima di indossare anch'io un accappatoio, nero.
Non resisto e vedendola ancora in attesa, poso le mani sui suoi fianchi avvicinandola. Preme le dita contro il mio petto per opporsi quel tanto che basta da farmi innervosire ed eccitare.
«Hunter...»
«Lasciami fare. Per un giorno, per una notte, scegli tu quanto. E se davvero non mi vuoi perché capisci di non essere pronta o interessata, lasciami andare.»
Si avvicina appoggiando la fronte sul mio mento e sospira. Le sue dita risalgono e mi circonda il collo con le braccia nascondendo il viso.
«Sono una persona orribile... perché lo voglio così tanto...»
Il mio cuore, a queste parole dette con tanto sentimento, precipita in una serie di battiti scostanti che rischiano di farmi sentire male. Ho la tachicardia.
«Allora lo sono anch'io. E sono egoista se dopo quello che è successo ho solo voglia che tu sia mia. Mia e di nessun altro. Io non voglio condividerti con nessuno.»
È vero che non stiamo insieme, ma io non voglio nella maniera più assoluta che stia con un altro. E non mi dispiace se questa mia risposta deve averla un po' spiazzata ma è quello che provo e sento per lei. Riesce a farmi ingelosire e mi trasforma in quello che non credevo di poter essere. E pensare che ho sempre preso in giro la gente che fa delle scenate e poi si abbraccia o si bacia sotto la luce di una bellissima luna, davanti a tutti.
Il fatto è che da quando l'ho vista, mi sono reso conto di volere essere il primo, l'unico a tenerla sveglia la notte, nei suoi pensieri, nella sua vita. Voglio essere quello che la fa sentire meglio, nonostante tutto. Voglio essere quello che la sorprende, che la fa emozionare anche con poco e ancora, voglio essere quello che la fa incazzare, urlare e poi... be', mi piacerebbe essere quello in grado di farle battere forte il cuore.
Anche se non stiamo davvero insieme, mi piacerebbe farle passare questo tempo che abbiamo a nostra disposizione, senza drammi, senza pensieri e senza difficoltà.
«Senti, il punto è che c'è una parte di me, molto, molto egoista, che anche se non vuole darla a vedere, ha bisogno di stare con te. E c'è sempre questa parte di me, molto, molto egoista, che non sopporterebbe di vederti felice altrove. Mi fa impazzire il solo pensiero che tu possa sorridere come fai con me ad un altro. Mi fa arrabbiare il pensiero che tu possa scegliere una persona diversa. Forse ti sto confondendo con questo mio discorso sconclusionato ma, sappi che mi piace la mia vita da quando ci sei tu a riempirla di guai, di sorrisi, di battute e tanto altro.»
Si morde il labbro, solleva il viso e i suoi occhi si posano come acqua che scorre, dapprima sulle mie labbra poi sul naso ed infine incontrano i miei occhi.
Inspiro ed espiro affondando il viso sul suo collo. Lo mordo, scostando un po' l'accappatoio e poi inizio a lasciarle una scia di baci fino alla gola.
«Non mi sono mai sentito così frustrato in vita mia», mormoro. «Mi basterebbe andare ad una festa, schioccare le dita e trascinarmi in camera da letto qualcuno. Non pensare a niente per qualche ora anziché continuare a rodermi dentro per quello che non posso avere.»
Mi guarda attenta. «Non ti dico quello che penso in merito, perché penso che tu sappia già che sono contraria all'uso delle persone, specie se sono ragazze, seppur consenzienti. Ma... se hai voglia, così tanta, se ti senti sul punto di potere scoppiare, perché non sei uscito con un'altra? Se senti il bisogno di avere solo un rapporto fisico perché non hai accettato gli inviti del tuo amico e hai preferito restare con me la sera?»
Le guance mi si infiammano. «Perché nessun'altra mi ha fatto provare quello che mi fai provare tu. E non si tratta solo di attrazione fisica, Iris. Quella si può provare con chiunque. Con te posso portarmi a letto anche la mente, scoparmi i tuoi pensieri e sentirmi soddisfatto comunque, pur non avendoti toccata con un dito. Sei vitamina per i miei sensi, una scarica di adrenalina pura per la mia testa piena di pensieri ed il mio cuore. So che è complicato da capire ma tu... mi fai stare bene. Così bene da farmi mettere da parte tutto.»
Arrossisce. Le mie parole, schiette, le provocano una strana reazione.
«È sbagliato...», mormora piano, quasi piagnucolando e lottando con se stessa.
È la prima volta che la vedo così tanto insicura.
«Lo so. È per questo che ti eccita così tanto. È per questo che non possiamo farne a meno.»
Porto la mano sul suo petto e il suo cuore spinge forte sullo sterno. Abbasso il viso e premo le labbra proprio su quel punto prima di spostarle, lente, verso il suo seno, nascosto dalla coppa che riempie fino ad uscirne fuori.
Ferma il mio viso ma, deciso a farle sentire qualcosa, abbasso la coppa e le mordo un seno provocandole un forte gemito.
Tappa la bocca serrandola. «Che cosa fai?», ansima con la pelle d'oca.
Sollevo il viso mentre la mia pelle prende fuoco e dentro si risveglia quell'incendio devastante che solo lei sarà in grado di domare.
«Ti fidi di me?»
Allenta la presa sui miei capelli. Mi osserva per un lungo istante facendomi agiate. Per una volta sento dentro lo stomaco come uno sciame di api assassine.
«Si.»
Le slaccio l'accappatoio dalla vita, procedo con il reggiseno che non ha spalline, ancora bagnato dalla pioggia, che lei toglie cercando di nascondersi perché esposta al mio giudizio.
Le mie mani sono più veloci e tenendola ferma per un fianco, affondo il viso sul suo seno riempiendolo di baci e morsi.
Resta per tutto il tempo ad occhi chiusi, il labbro tra i denti per trattenere i gemiti che le provoco, le gambe tese, specie quando proseguo e scendo giù, provando a baciarle l'addome, il ventre.
Mi inginocchio sfiorandole l'elastico degli slip con i bordi in pizzo che indossa. Lei mi ferma nell'immediato quando capisce quello che sto per fare.
Ci guardiamo senza fiato, affannati. Non voglio smettere ma lei sembra in combutta, sul punto di cedere. Mi siedo allora sullo sgabello e avvicinandola la faccio sistemare su di me, a cavalcioni.
Attacco subito il suo collo facendola mugolare e continuo sempre più eccitato dal suono che le esce dalla bocca insieme al mio, un verso incontrollabile e che non trattengo perché voglio che lo senta, dentro, fuori, dappertutto.
Mi si preme addosso affondando le dita tra i miei capelli ed è come se mi avesse appena dato il colpo di grazia. Dilato le narici e noto le sue pupille farsi grandi fino a quasi coprire quel colore chiaro tra l'azzurro e il verde.
Cerco le sue labbra, gioco per qualche istante con esse facendo crescere l'eccitazione, la tensione, il piacere e quel brivido che attraversa entrambi quando per istinto, muove i fianchi proprio su di me, sul rigonfiamento che ho dentro i boxer. Tiro la punta del turbante facendole esporre la gola e gliela mordo risalendo fino a toccare le sue labbra così morbide, al gusto di ciliegia.
Mi bacia tenendomi fermo, intrappolandomi e facendomi sentire senza equilibrio. Gemo stringendole le natiche e si lascia scappare un verso che mi costringe ad impossessarmi della sua bocca per sfogare la frustrazione che sento nel non poterla avere completamente.
Il mio corpo prende fuoco, in ogni senso. La sua pelle è come legna in grado di farmi ardere a lungo.
Anche se a malincuore, mi stacco affannato. La guardo con ardore e desiderio. Le accarezzo una guancia e lei si agita come un gatto.
«Va meglio?», riesco a chiedere senza aria, senza saliva, e senza lucidità. Mi sento ubriaco, sul punto di commettere qualche grossa cazzata. Ma con lei so di non poterlo fare, so di dovermi mantenere a distanza di sicurezza dal suo cuore.
Sospira appoggiando la fronte sul mio petto. Le mie braccia risalgono per un abbraccio mentre lei lascia uscire un altro verso prima di rilassarsi.
«Ti odio perché mi fai questo effetto.»
«Non sai quello che mi stai facendo tu. E no, non si tratta solo della mia erezione.»
Le sfugge un sorriso ed è meraviglia per i miei occhi che continuano a vederla come la cosa più bella e preziosa che io abbia mai avuto la possibilità di avere nella mia vita.
«È un sorriso quello che è appena spuntato sulle tue morbidissime labbra?»
«Non farmi sentire in colpa adesso. Non voglio essere una persona orribile solo perché ho appena visto esplodere la mia casa e poi mi sono lanciata tra le braccia di un ragazzo che per i prossimi mesi sarà il mio finto fidanzato.»
Le sollevo il mento tenendolo stretto. «Non voglio farti sentire in colpa. Voglio che ti riprendi almeno un po'. Odio vederti triste, ancora peggio vederti piangere. Le case, le cose, possono essere sostituite. Sono oggetti. Mentre le persone non possono essere aggiustate completamente ma possono essere risollevate, confortate. Questo è il mio modo per aiutarti e so che non c'è solo questo ma tu... sembri averne bisogno.»
Sfiora il bordo dell'asciugamano. «Io non so se posso essere aggiustata. Sono come uno di quegli oggetti rotti mentre si assemblano. Ho un errore di fabbrica addosso e nessuno riuscirà mai a ripararlo.»
«Perché non farmi provare ad aggiustarlo? Credi che io non ne sia capace? Non basarti solo sulla mia fama, Iris.»
Sospira. «Perché non ne sono sicura. Non so se posso fidarmi ancora o se sono pronta.»
Tocco le sue cosce regalandole un'altra serie di brividi. «Puoi sempre comportarti da stronza viziata tutte le volte che vuoi. E nel frattempo, provare qualcosa insieme a me.»
Abbassa le spalle. «Non credo sia questo il mio problema.»
«Concediti un po' di tempo. Supera questo brutto momento senza paranoie inutili. Qui dentro ci siamo solo io e te, sappiamo solo noi due quello che succede. Quindi smettila di preoccuparti e va avanti.»
Mi abbraccia. «Grazie», preme le labbra sulla mia guancia in un gesto così dolce da tramortirmi.
Prova ad alzarsi e la fermo. «Dove vai?»
Chiude l'accappatoio per non farmi distrarre dalle sue curve generose. «Ho bisogno di riposare un momento. Dentro la testa ho troppi pensieri.»
«Ti va di dormire nel mio letto o hai bisogno del tuo spazio? Domani arriverà la tua nuova libreria e la tua scrivania e ci saranno lavori in corso lì dentro.»
Ci riflette. Ne approfitto per alzarmi dallo sgabello e trascinarla in camera mia. Abbasso subito le tapparelle mentre là fuori si sta scatenando ancora il temporale estivo.
Iris scosta la coperta e si sdraia chiudendo gli occhi. «Mi raggiungi anche tu?»
Sento il campanello. «Tra poco», replico e lasciandola sola, vado a controllare. Chiudo bene la porta della camera e raggiungo l'entrata. Guardo dal monitor lasciando salire Denver e Perez. A seguire, arriva anche Nelson.
Non appena entrano in casa faccio partire la mia sfuriata. Sono ore che mi trattengo. Sono carico, così tanto da potere fare del male a qualcuno.
«Si può sapere che cazzo è successo?», esplodo.
«Signore», prova ad intervenire Nelson, come sempre il più pratico di tutti, ma questa volta lo interrompo alzando la mano poi punto l'indice contro i due.
«Vi avevo chiesto una cosa, una, e voi che cosa avete fatto? Avete abbassato le difese, la guardia e vi siete fatti fottere da uno psicopatico figlio di puttana che non vi ha neanche dato il tempo di avvisarvi o di farvi rendere conto del pericolo che avremmo corso!»
Non riesco a fermarmi. Ho bisogno di urlare, anche se sembro poco credibile con uno stupido accappatoio addosso.
«Avete messo la vita della mia fidanzata e anche la mia in pericolo non una ma ben due volte oggi, questo per la vostra stupida negligenza. E se fosse stata da sola in casa?», il sangue mi ribolle dentro le vene.
«Signore...», prova ancora una volta Nelson, che dei tre sa come prendermi e sa che cosa mi sta succedendo, ma nego.
«Non ho ancora finito», ringhio.
Guardo i due. «Non me ne fotte un cazzo di chi siete! Non me ne fotte un cazzo di quello che avete da dire! So solo che voi due avete creato un grosso casino e adesso dovete risolverlo.»
Nelson apre ancora la bocca.
«Me le chiami guardie del corpo queste due? Hanno davvero lavorato nell'ambito della sicurezza o in un parco giochi? A me non sembra proprio che siano preparati a tutto. Si sono fatti fregare come delle reclute!»
«Ci dispiace, signore», riesce a dire Perez con le mani dietro la schiena, lo sguardo basso. «Stavamo per portarlo in centrale quando si è svegliato, è riuscito a slegarsi e ci ha attaccato. Stavano rischiando di fare un incidente.»
Spalanco gli occhi fermandola prima ancora che possa anche solo concludere la lunga serie di scuse per dire che non sono stati intelligenti e preparati abbastanza.
«Vi dispiace? È questo quello che sapete dire dopo che la vita di Iris, la mia vita, quella di Nelson è stata messa in pericolo? "Mi dispiace", sul serio?», urlo sentendo le corde vocali tendersi e la pelle fumare dal calore che emano. Stringo i pugni in vita così forte da sbiancare le nocche.
«E ditemi, dove cazzo si trova ora quel bastardo? Spero dietro le sbarre, Perché questa volta ci resterà per molto tempo.»
I due si guardano per un nano secondo. «È scappato.»
Corro a prendere il telefono. Vibra sulla superficie rumorosamente. Quando noto il numero, riaggancio.
Sono una maschera di furia. Ho solo voglia di urlare.
«Andatevene! Sparite immediatamente dalla mia vista!»
Aprono e richiudono la bocca. Li guardo così male da metterli sull'attenti. «Ho detto fuori! È già tanto se non sarete espulsi e se non perderete il lavoro.»
I due se ne vanno senza dire niente. Chiusa la porta Nelson gira intorno raggiungendomi in cucina. Posa la mano sulla mia spalla. «Sei stato un po' duro con loro. Sai che hanno fatto del loro meglio.»
Passo la mano sul viso. Sono poche le volte in cui mi parla senza darmi del lei. «Era necessario per fargli capire che non stiamo giocando. Non volevo di certo infierire.»
Il telefono vibra di nuovo. «È mio padre», gli mostro lo schermo prima di spegnerlo.
«Risponda quando se la sente. Ho avvisato io i suoi genitori e quelli della signorina Harrison prima che la notizia si diffondesse e i media andassero a nozze con le immagini della casa distrutta. Saranno preoccupati ma li rassicurerò. Nel frattempo le preparo qualcosa da mangiare?»
«No, grazie. Non ho fame. Puoi andare.»
Mi guarda cercando di capire se può lasciarmi solo. Glielo confermo. «Va a riposarti. Prenditi tutto il resto della giornata libero.»
«Farò portare da quei due i bagagli della signorina Harrison e poi me ne andrò.»
«Si. Le farà piacere vedere Tristano e Isotta ancora insieme.»
Nelson non capisce ma esce dall'appartamento dando ordini precisi ai due che se ne stanno dietro la porta. Si mettono subito al lavoro e in breve, portano tutti gli scatoloni di Iris lasciandoli all'entrata.
«Se ha bisogno siamo qui fuori, signore», dice Denver.
«Medicatevi per bene quelle ferite, mangiate qualcosa e riposatevi», brontolo. «E fate in modo che nessuno per le prossime ore si avvicini al mio palazzo o disturbi.»
Annuiscono forse un po' meno tesi e chiudo la porta sbattendola con rabbia.
Mi avvicino al soggiorno, accendo una sigaretta e poi sentendomi ancora carico, mi sposto nella palestra dove fascio i pugni colpendo ripetutamente il sacco da boxe.
Saltello e colpisco. Saltello e colpisco. Cambio tattica e vado di destro, sinistro e parata.
La porta della palestra si apre. Smetto di colpire il sacco che oscilla, tenendolo con entrambe le mani, voltandomi.
Iris si ferma sulla soglia.
I miei occhi si posano sul suo viso e rimango travolto perché mi accorgo che lei sta facendo lo stesso, squadrandomi dall'alto in basso e soffermandosi sul mio torace, sul mio corpo imperlato di sudore.
Vorrei distogliere lo sguardo, privarla della mia attenzione, ma non ci riesco. Sento una forte stretta allo stomaco mentre continuiamo a sfidarci a suon di sguardi.
Dopo quello che sembra un tempo apparentemente lungo, sollevo un sopracciglio tenendo per me quel sorriso furbo che so che la fa impazzire. Ma so anche che non è il momento giusto per sfoggiarlo.
Tolgo le fasciature dai polsi e dalle mani, avvicinandomi a lei con un asciugamano sulle spalle. Asciugo il sudore sulla fronte e la raggiungo.
«Che ci fai in piedi?»
Lo chiedo in modo brusco. Non riesco a calmarmi. Ogni cosa mi riporta alla memoria quei terribili attimi.
«Senza di te che russi non è la stessa cosa.»
Sollevo l'angolo del labbro. «Russare? Io non russo.»
«Si che lo fai, ma dormi così profondamente da non poterlo sentire.»
Ed eccola la mia piccola sarcastica Iris. Mi piace proprio per questo, perché riesce a rialzarsi nonostante tutto. Perché riesce ad essere sempre se stessa.
Le accarezzo una guancia percependo sotto i polpastrelli il lieve calore che emana.
Mi sposto poi in cucina. Apro il frigo prendendo una bottiglia di acqua. Lei mi segue appoggiandosi al ripiano. «Ho sentito le tue urla. Hai risolto con Denver e Perez?»
«Credo di avere disturbato per la prima volta il vicinato», esclamo. «No, non ho risolto niente con loro. Devono ascoltare ed eseguire gli ordini con professionalità. Non siamo di certo in un cazzo di film.»
Bevo tre quarti di acqua e mi appoggio alla superficie del ripiano della cucina massaggiandomi la nuca.
Iris se ne sta davanti a me. Le braccia incrociate, il labbro inferiore tra i denti.
«Perché non vieni a letto?»
Inarco un sopracciglio. «Perché poi non potrò spogliarti e non potrò entrarti dentro per come ho immaginato di fare molte volte, quindi tanto vale sfogare ogni mia frustrazione in palestra, dove credo che andrò di nuovo tra poco.»
Si avvicina. Posa la bottiglietta quasi vuota sulla superficie della cucina e mi porta in camera.
«Vuoi fare una doccia prima?», chiede piano.
«A meno che tu non voglia sentire l'odore acre del sudore...»
Arriccia il naso. «No, andiamo. Ti preparo un bagno caldo, così ti rilassi.»
La sua voce pacata mi aiuta a placare un po' della rabbia che tengo dentro. Mi piace quando mi regala qualche attenzione.
In bagno riempie la vasca creando una nuvola di schiuma davvero invitante al profumo delicato di talco. Abbassa le luci, accende due candele e posizionandosi davanti a me, attende un momento. «Dovresti togliere i boxer e infilarti in acqua.»
«Solo sei anche tu togli tutto e ti unisci a me.»
Arrossisce evitando di pensare al doppio senso celato nella mia frase. «Spogliati ed entra in acqua», mi ordina.
Faccio come dice senza preoccuparmi della sua reazione nel vedermi nudo e a mio agio. Mi rilasso e lei si spoglia davanti a me, dandomi le spalle pur offrendomi lo spettacolo del suo bel culo sodo, prima di infilarsi in acqua e avvolgersi con le mie braccia. La sua schiena aderisce contro il mio petto, la testa si appoggia alla mia spalla.
«Inspira ed espira», sussurra facendolo lei stessa mentre passa le dita sulle mie braccia.
Mi rilasso e per qualche minuto non si sente niente a parte i nostri respiri che lenti si uniscono.
Le mie dita scivolano lungo il suo addome, sempre più giù. Solleva le ginocchia girando a metà il busto, fermando la mia mano.
«Hunter...»
«Ho bisogno anche di questo.»
Nega. «Prova a non pensarci.»
Sbuffo. «Non stiamo commettendo nessun peccato, Iris.»
Ride brevemente. «Io no, tu si.»
«Se credi che me ne pentirò, ti sbagli. I peccati esistono per farti capire che non bisogna per forza essere tentati per fare quello che si vuole.»
Mi guarda curiosa. «Quindi sei uno che dà la colpa al paradiso?»
Annuisco. «Esatto. Sono gli angeli i veri diavoli tentatori», mi riferisco a lei guardandola dritto negli occhi.
«Quindi mi stai dicendo che i diavoli sono il frutto delle tentazioni degli angeli?»
L'avvicino. «Si», le sussurro.
Arrossisce. Mi passa la mano tra i capelli, la piccola spugna gialla sul torace e sulle braccia, poi alzandosi cerca un asciugamano. Passa la lingua sulle labbra prima di morderle piano, riflettendo sul da farsi.
Io respiro a fondo, osservo le sue forme come un critico d'arte fa quando posa gli occhi su una bellissima scultura.
Si nasconde dietro un asciugamano spostandosi in camera, negandomi la visione del suo corpo.
Esco in fretta dalla vasca interrompendo il mio attimo di relax, mi asciugo, avvolgo un asciugamano intorno alla vita e mi sposto in camera.
Lei sta girando intorno al letto, un cuscino tra le mani.
Mi avvicino, la spingo fino a farla ricadere sul materasso e mi impossesso della sua bocca.
Solleva le ginocchia imprigionandomi e sposto il bordo dell'asciugamano sopra le sue cosce tirandola giù, sotto il mio peso.
Mugola mentre esploro assetato il suo corpo facendola agitare e gemere.
Muovo i fianchi e lei mi stringe le dita sulle spalle, soprattutto quando spingo la mano tra le sue cosce sentendo quanto si è eccitata.
Sorrido e lei prova a chiudere le gambe. «Fidati...»
«Io mi fido ma non... ora.»
Sto già muovendo le dita sul bordo dell'intimo prima di spostarlo e giocare con la sua pelle sensibile.
«Non sentirai mai tutto questo, i brividi, la voglia, la frenesia, l'adrenalina, quando le labbra di qualcun altro sfioreranno le tue, Iris. Non sentirai mai il tuo cuore battere così forte per un bacio che hai desiderato, per una carezza che hai immaginato, per un respiro che hai lasciato andare in seguito ad uno sguardo. Non sentirai mai questo perché nessuno sarà mai in grado di farti provare quello che solo io sono in grado di trasmetterti. Nessuno sarà mai in grado di farti tremare senza toccarti. Solo io sarò sempre in grado di attrarti così tanto da sentire la pelle sciogliersi dal calore e la voglia impossessarsi del tuo cuore. Non puoi farci niente. Devi solo accettarlo e lasciarti andare.»
Si muove insieme al mio tocco e si dimena fino a non avere fiato. «Hunter... fermati», fatica a parlare.
«Ripetilo! Ripeti il mio nome», le mordo la pelle del collo lasciandole un segno e lei apre le cosce inarcando la schiena, stringendo un braccio sulle mie spalle e la mano sul lenzuolo.
«Hunter», soffia accaldata. «Hunter, fermati!»
Non smetto perché vedo che sorride e baciandole le labbra la porto al limite, le regalo un momento di euforia, un assaggio di quello che potrebbe provare con me.
Fermo lentamente le dita, mentre le sue ginocchia si abbassano ed io cerco affannato la sua bocca fino a quando non capovolge la situazione lasciandomi senza fiato per l'impeto con cui tenendo stretto il mio viso preme forte le labbra sulle mie.
«Perché l'hai fatto?»
«Perché lo volevamo entrambi.»
Mugola e poi si stende sul letto. Mi metto comodo anch'io, ma sono talmente eccitato da non riuscire a muovermi per farle una carezza. Lei lo nota, nota che sto morendo dalla voglia di prendermi ciò che voglio.
«Ma tu...», posa la mano sul mio addome scivolando giù, verso il bordo dell'asciugamano.
Blocco il suo polso. «Iris...», la ammonisco guardandola male prima di distogliere lo sguardo dal suo viso così dannatamente sensuale e fisso il tetto mentre i lampi riempiono la stanza come dei flash.
Si morde un'unghia riflettendo su qualcosa. Tira su la coperta lanciando via l'asciugamano. Mi guarda intensamente prima di nascondere il viso sotto il mio mento, premere il suo corpo nudo contro il mio e tirare giù l'asciugamano che fascia i miei fianchi. Adesso siamo entrambi esposti, nascosti sotto un lenzuolo.
«Iris, no...», inizio intuendo quello che sta per fare.
«Sssh, fammi ricambiare. So che lo vuoi tanto quanto me. Hai detto di provare, per un giorno, una notte.»
La sua mano raggiunge il mio ventre superando la lieve striscia di peluria sotto l'ombelico.
La fermo ancora. «Se non vuoi non è necess...», gemo. «Cazzo!»
La sua bocca sul collo, poi sulle labbra, la sua mano dove non dovrebbe muoversi, è questo il paradiso. Forse anche la mia distruzione, visto che mi scaldo, poi mi sfaldo sotto il suo tocco.
♥️
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