19
IRIS
Nella vita non puoi fare programmi. Non puoi programmare quando incontrerai una persona o quando smetterai di guardare con occhi pieni di amore un'altra che ti ha ferito, che non ti ha saputo ascoltare né capire. Non puoi prevedere quando incontrerai qualcuno che ti farà stare male, che non ti saprà accarezzare con delicatezza ma ti ferirà nel profondo senza chiedere scusa. Succede. Fa parte della vita amare e soffrire, piangere e sorridere tenendo nel cuore molte cicatrici. Succede. Così come succede di andare avanti. Succede che ci si stanca di essere infelici, di soffrire in silenzio. Succede che senti il bisogno di ricominciare, pur non cancellando niente di quello che ti ha ferito, segnato, schiacciato a fondo.
Succede che ti senti morto dentro e cerchi quel brivido, quella scintilla, quella goccia in grado di fare straripare ogni cosa. Cerchi vita in mezzo alla desolazione che da sempre fa parte di te. E ti sorprendi grazie alle piccole cose che ridonano luce in mezzo al buio in cui ti sei rannicchiato.
Succede che senti ancora il tuo cuore, batte forte, si fa sentire dentro il tuo petto, pretende di essere ascoltato. Succede. Succede quando la tristezza poi di colpo tenta di piombarti addosso e, come un grosso macigno prova a schiacciarti e non puoi fare niente se non reggerne il peso, resistere. Succede che prima o poi ti viene voglia di respirare, di riempire i polmoni di felicità. Così la cerchi in giro, la cerchi dentro e se non la trovi costruisci una fortezza per nascondere quei cocci rimasti del tuo cuore. Tutto a costo di non risultare impaurito, ferito, smarrito.
Succede che un giorno tutto cambia e ti accorgi di non avere scelta, ti accorgi di non avere forza ma sai già come sopravvivere. Perché un modo per farlo si trova sempre.
Non mi aspettavo che questo momento prima o poi sarebbe arrivato.
Forse fino ad oggi ho cercato distrazioni per non pensare, per non ritrovarmi qui davanti alla porta, immobile e impaurita mentre i ricordi continuano a sommergermi come onde improvvise e violente. Ho preso tempo sostituendolo con azioni e gesti che mi hanno fatto smettere per un po' di avere paura. Paura di non sapere affrontare questo giorno, questo momento.
«Signorina, tutto bene? Vuole che sia io a controllare prima?»
Le orecchie smettono di fischiare. La mia mano stringe il pomello della porta con più forza e mi volto di scatto guardando la figura a poca distanza da me.
È Denver, la mia guardia. Un uomo alquanto alto, massiccio, nerboruto e cosa più importante: silenzioso. Capelli castani simili al cioccolato fondente tirati indietro, occhi scuri come un falco, naso dritto e sottile, mascella squadrata coperta da una lieve peluria e una lunga cicatrice sulla guancia a renderlo spietato, freddo. Indossa sempre occhiali da sole scuri a nascondere ogni sua espressione, un auricolare all'orecchio destro con cui comunica con qualcuno, un abito di sartoria scuro a fasciare il suo corpo sodo.
Non ho paura di lui. So che mi farebbe da scudo se l'occasione lo richiedesse. Eppure la sua presenza costante non mi piace. Non riesco ad abituarmi.
Denver, è un tuttofare. Non solo funge da scorta, ma mi fa anche da guida, da consigliere, da facchino, da autista e, continua a seguirmi ovunque con impegno, senza mai sbuffare o lasciare uscire i propri pensieri in merito al mio carattere che, nel corso delle due settimane passate, è cambiato drasticamente.
Mi sono dovuta adattare, pertanto ho applicato il mio piano per rendere un vero inferno il fidanzamento con Hunter e la mia collaborazione sta diventando un grosso ostacolo non solo per la mia famiglia, ma soprattutto per i Ford.
«No. Vado da sola e tu rimani qui fuori e ti assicuri che nessuno entri. Controlla anche sul retro, mi raccomando», esclamo e, dandomi forza, apro la porta della mia villa.
Non appena metto piede dentro sento lo scricchiolio dell'asse di legno sotto le suole. Vengo investita dall'odore tenue dei fiori secchi, del prodotto usato per lavare il pavimento insieme al lieve sentore di sandalo e cedro di una delle mie candele, probabilmente accese per qualche minuto in modo tale da diffondere la fragranza apposta per me.
Chiudo la porta prima che Denver possa intrufolarsi in casa e spiarmi anche mentre controllo la mia abitazione, in cui spero di tornare a dormire presto. Mi manca il mio letto, la mia cucina, il mio divano e persino la mia piccola tv a schermo piatto. Mi manca il mio bagno, la mia vasca idromassaggio e ancora di più mi manca l'odore di casa, percepire sulla pelle la piacevole sensazione di accoglienza, di pace.
Dando un breve sguardo al soggiorno, mi rendo conto che ogni cosa sembra essere tornata come prima qui dentro. Hanno cancellato le scritte, messo in ordine i mobili, pulito ogni angolo con meticolosa attenzione. Ma hanno dimenticato un dettaglio: il mio cuore. Dentro ci conservo ogni ricordo doloroso di quel giorno, di quei momenti che hanno rotto dentro di me un equilibrio.
La porta secondaria si apre con un cigolio. La zanzariera sbatte e trattengo il fiato sentendo il rumore delle suole lungo il corridoio. Quando vedo Denver sbucare in cucina, guardarsi intorno, abbasso subito le spalle.
«Mi scusi ma era aperto.»
Sussulto. «Aperto? Significa che qualcuno ha dimenticato di chiudere la porta o che qualcuno è qui dentro?»
Annuisce e, notandomi spaventata, mi si avvicina, superandomi inizia a salire le scale senza fretta, silenziosamente e con attenzione. Posa persino la mano dietro la schiena dove nasconde la pistola.
«Mi faccia controllare. Non si muova da qui.»
Ignoro la sensazione che ho addosso, quella di essere in pericolo e corro a chiudere a chiave la porta secondaria mettendo il fermo alla zanzariera. Mi volto lentamente, come in una di quelle scene da film dell'orrore e non trovando nessuno, salgo al piano di sopra.
Denver sta scendendo dallo studio. Non mostra la sua disapprovazione quando mi vede arrivare. Ormai ha capito che non ascolto nessuno. Mantiene sempre quello sguardo impassibile ma so già che qualche volta uscirà fuori un lato del suo carattere che crede di nascondere e che, con ogni probabilità mi farà paura.
«Ho chiuso a chiave la porta secondaria. Avvistato niente?»
«No, mi faccia ricontrollare in camera e sotto il letto.»
Era una battuta?
«Non fa niente, troverebbe comunque un modo per entrare in casa. Conosce quasi ogni angolo di questo posto», gli faccio notare, consapevole del fatto che Nolan non mollerà la presa fino a quando non ci vedremo e non ci rimetteremo insieme. Cosa che non intendo fare. Ho chiuso con lui, anche se ci tengo ancora come una stupida.
Ha già tentato di chiamare. È stato avvistato al parco mentre passeggiavo con Crystal, nelle vicinanze del mio luogo di lavoro mentre aiutavo i ragazzi a vendere delle magliette e poi ancora in una delle ville in cui ho iniziato il mio progetto per la creazione di un giardino.
Mi segue ovunque.
Ovviamente Denver è stato tempestivo e mi ha costretta a tornare a casa di Hunter tutte le volte. Quest'ultimo, si è dimostrato parecchio protettivo nei miei confronti, nonostante i miei capricci, i miei colpi improvvisi di testa, le mie follie sconsiderate e poi ancora i miei rifiuti per altre interviste o uscite per mostrare al mondo il nostro amore.
Mi sto comportando male, lo so. Ma è l'unico modo che ho. È la mia unica arma. Posso usarla quanto e come voglio. Posso e lo faccio per non provare niente per lui, per tenermi alla larga e lontana quel tanto che basta da non sentire quel continuo brivido che rischia di farmi avvicinare troppo a lui fino a scottarmi.
Attualmente ciò che mi serve è un po' di tranquillità. Non ho bisogno di un uomo nella mia vita per realizzarmi. Ho bisogno dei miei sogni, di vederli concretizzati.
Salgo le scale che conducono nel mio studio e qui rimango spiazzata.
In fondo, che cosa mi aspettavo?
Ho chiesto io di non toccare niente, di lasciare tutto com'era. E per tutto intendo proprio la distruzione che ho davanti.
Il cuore mi si stringe come quando strizzi una pallina anti-stress. Gli occhi mi si velano di tristezza e la mente si annebbia riempendosi di pensieri e immagini che mai e poi mai svaniranno. Neanche con il passare del tempo. Perché ci sono cose che puoi solo archiviare, mettere all'angolo. Non puoi cancellarle. Non puoi dimenticarle. Puoi solo spingerle in fondo e fare finta che non ci siano.
Mi inginocchio sfiorando i petali ormai secchi delle piccole piante che avevo seminato e curato per mesi.
Le palpebre iniziano a bruciarmi e infilando dei guanti, recuperando un sacco nero, butto via quello che non posso più recuperare o riparare.
Lo faccio lentamente. Lo faccio portando al petto ogni singola foglia, ogni petalo, ogni radice. E, mano a mano che il sacco si riempie, succede lo stesso ai miei occhi, sempre più colmi di lacrime che, iniziano a scivolare giù senza controllo fino a farmi singhiozzare silenziosamente.
Raggiungo la mia scrivania e apro uno dei cassetti cercando dei fazzoletti. Ciò che invece trovo è una foto. Un'unica foto in grado di incrementare il mio dolore.
Sfioro i bordi, il viso sorridente di Ellen che se ne stava abbracciata a me, con quello sguardo furbo, quei capelli rossi scompigliati e quegli occhi in grado di catturare chiunque.
«Dove sei finita? Ho bisogno anch'io di te», sussurro. «Mi hai lasciata qui a sopportare tutto questo da sola. Sono sicura che mi avresti aiutata e invogliata in qualche modo. O che avresti combinato qualche guaio.»
Ripongo la foto al suo posto per non distrarmi ulteriormente e mi alzo dall'angolo in cui mi sono seduta con le gambe al petto. Sospiro e torno al progetto in frantumi.
Lancio dentro il sacco dei pezzi di legno. Proprio mentre centro il mucchio di cose da buttare, sulla soglia compare lui.
Le mani dentro le tasche dei jeans chiari un po' logori ma stretti sulle cosce. La camicia azzurra a maniche corte aperta, una canottiera a lasciare intravedere i suoi muscoli scolpiti.
I miei occhi risalgono lenti sulla figura appoggiata allo stipite della porta, le braccia incrociate al petto, le vene in bella mostra che di tanto in tanto vedo muovere come serpenti sotto pelle e poi ancora quel filo di barba sempre più selvaggia sul suo viso perfetto, a circondargli le labbra ben delineate. Un viso incorniciato da quei due occhi azzurri inarrestabili che mi fissano, che tentano di rubarmi l'anima.
Ignoro la sua presenza. Avevo chiesto una cosa a Denver, solo una e non mi ha ascoltata. Non ha rispettato il mio ordine. Non appena sarò di sotto mi starà a sentire. Non mi importa se Hunter ha il permesso, Denver deve ascoltare me, non lui.
«Vedo che hai superato i controlli», sbotto innervosita schiacciando un vaso piccolissimo ormai a pezzi, dentro il sacco con la ceramica rotta. «Mi toccherà usare le maniere forti per farlo capire a Denver.»
Mi piacerebbe dirgli quello che davvero penso e provo per lui, fargli conoscere tutte quelle parole nascoste che tengo dentro per non mostrargli con quanta forza sto cercando di non mostrarmi fragile.
Mi piacerebbe dirgli che ci sono momenti in cui la voglia di cedere è così tanta da farmi impazzire. Vorrei essere per lui quel cerotto messo sulla ferita a proteggerlo da qualsiasi infezione, quella coperta calda per le giornate fredde d'inverno, la pizza alle tre di notte. Vorrei essere quella che cerca, quella che vuole. Vorrei accantonare l'orgoglio e lasciarmi andare, sbagliare, farmi male per qualche mese. Vorrei, tanto. Ma non ho il coraggio di guardarlo negli occhi e tuffarmi in quel mare calmo perché potrebbe tramutarsi presto in tempesta. Non ho il coraggio di lasciare andare il mio cuore che rischia di avvicinarsi troppo al suo e di battere così tanto forte da rompermi le costole.
Non ho il coraggio di avanzare e farmi male, urlare al mondo di non essere indifferente e abbracciare nel silenzio tutte quelle parole non dette che aleggiano tra di noi come frasi scritte su un diario segreto.
Pertanto provo ad allontanarlo. A tenerlo a distanza di un respiro, nella speranza che non diventi ossigeno e mi entri dentro.
Odio l'effetto che mi fa. Mi spoglia con gli occhi, mi tocca l'anima e lo fa senza trovare ostacoli di mezzo. Odio come mi fa sentire, quello che mi fa provare.
In breve sta riempendo di crepe quel muro che ho eretto per tenermi a debita distanza. Un altro colpo, un altro ancora e tutto verrà giù trascinandomi sotto le macerie.
Lui non se ne accorge perché pensa che io sia immune, ma sono talmente tentata e coinvolta, da non sapere più come uscirne fuori. Per questo fingo indifferenza. Per questo mi tengo lontana da lui. Per questo scappo. Perché so già che se mi fermo, mi lascio andare completamente e allora di me, del mio cuore, non rimarrà che un mucchio di frammenti.
«Vedo che sei scappata di nuovo all'alba anche oggi», replica, come sempre pronto al contrattacco.
Mordo il labbro continuando a dargli le spalle. «C'è chi lavora per guadagnarsi da vivere. Non tutti possono permettersi il lusso di starsene per tutto il giorno comodamente seduti su una sdraio a bordo piscina.»
Non vedo la sua reazione ma percepisco il suo sorriso. So che lo stuzzica questo mio atteggiamento, si diverte persino a trovare risposte e battute adatte ma, sa anche in questo momento di dovere mantenere le distanze.
«Ci sono alcuni invece che pur potendoselo permettere preferiscono fare gli umili e fingere di non essere ricchi.»
Ed ecco l'attacco. Non replico continuando a soffrire per ogni pezzo rotto e da buttare. Quando trovo i fogli con la mappa strappati a metà, il mio cuore si ferma per un lungo ed interminabile istante.
Hunter si stacca dalla soglia e girando intorno inizia a fare quello che faccio io. Quando non sa se buttare o meno qualcosa me lo chiede.
Passa circa un'ora prima che il mio studio sembri meno caotico, un po' più in ordine. Spazzo il pavimento togliendo i rimasugli di polvere e terra poi sposto i monumenti creati con il legno, il gesso e altri materiali, sul tavolo da lavoro in fondo alla stanza.
«Hai finito?»
«Non ancora», osservo intorno.
Mi volto e mi appoggio alla soglia della finestra che apro per lasciare entrare un po' d'aria di mare mentre cerco di non piangere, di non lasciarmi scoraggiare.
«Che cosa... manca?»
La voce di Hunter si affievolisce. Si avvicina e incurante della distanza che sto cercando mantenere tra di noi da due settimane, mi afferra e mi abbraccia tenendomi stretta, così tanto da non riuscire a respingerlo. Così tanto da distruggere ogni mio tentativo, ogni passo avanti.
«Ehi», sussurra.
Scuoto la testa. Non voglio sentire niente. Voglio solo togliermi di dosso ogni sensazione distruttiva e andare avanti.
«Ci proverò il prossimo anno», rispondo tra i singhiozzi per placare il mio tormento.
Le parole mi escono strozzate. Provo a staccarmi ma lui continua a tenermi tra le braccia, come se il suo gesto fosse necessario.
«Sono sicuro che creerai qualcosa di più bello e indimenticabile.»
«Grazie per il tentativo ma non funziona. Adesso staccati.»
Mi solleva la testa tenendomi per il mento. Mi guarda fisso e tremo. Tremo come se venissi scossa dal vento. Tremo come quando ci si tuffa in un lago ghiacciato.
Vorrei tanto avere mio fratello qui con me adesso, ma è andato in Francia per un affare. Sarò sola per un paio di giorni. Sola e attaccabile.
Max è stata la mia salvezza. Abbiamo trascorso molto tempo insieme. L'ho aiutato nel suo lavoro e lui ha dato una mano a me per tutto. Mi ha sostenuta e mi ha dato la forza e anche qualche idea per sfuggire a cene, inviti e tanto altro.
«Perché scappi da me?»
«Perché non funzionerà mai. Meglio non illudersi e mantenere le cose così come sono tra di noi. Adesso lasciami o chiamerò Denver, quel traditore che ti ha fatto entrare in casa mia e lo obbligherò a portarti fuori di peso se sarà necessario.»
Sorride. Lo fa sempre in quel modo con una smorfia, in modo sghembo, quasi a bloccare la visione di quei denti dritti. È come una maschera a nascondere una facciata di ironia e allegria tenuta stretta per paura di non essere capita. Sorride e sbatte in faccia al mondo quanto sia bello quello sguardo sfrontato e divertito, quel distaccato interesse dall'essere educato, quel misto di superiorità sfacciata che è in sé. Sorride e lo fa provocandomi una brutta sensazione di fastidio. Mi fa venire voglia di spingerlo, offenderlo e schiaffeggiarlo a lungo, fino a farlo smettere.
Sorride e si diverte ad incendiarmi la pelle in quella maniera che così tanto mi attrae nella sua rete, anche se non voglio. Sorride e per me è come una corda legata al cuore. Per quanto tenti di allontanarmi, troverà sempre il modo di tirare quel filo e riportarmi da lui, al punto di partenza, forse anche a quello di non ritorno.
«Segue i miei ordini. E a me che riassume ogni tuo spostamento.»
Maledetto!
Chiudo a pugno entrambe le mani gonfiando il petto. «Glielo darò io un riassunto dettagliato di ciò che ti farò se non mi lasci andare», minaccio. «Io non chiedo a Perez quello che fai e tu non dovresti chiederlo a Denver ma a me. Questo si chiama spiare.»
Ride. Le sue mani si posano a coppa sul mio viso e si abbassa. «Andiamo a pranzo insieme. Ti aspetto di sotto, Bestiolina.»
Lasciandomi andare, dopo un breve istante in cui entrambi abbiamo sentito quella scossa, quell'attrazione, si avvia al piano di sotto ma prima mi fa l'occhiolino.
Stringo i pugni in vita emettendo un verso carico di esasperazione. Corro verso la scala e urlo: «Non verrò a pranzo con te! Non farò la finta fidanzata felice perché non lo sono!»
Lo sento ridere. Si trova nella mia stanza. Scendo le scale a chiocciola imbufalita, rischiando di cadere, e lui guarda fuori dalla finestra dandomi le spalle.
Sentendomi arrivare si volta. «Vorrà dire che farai la fidanzata arrabbiata e viziata. Una notizia di una crisi farà gola proprio a tutti. Diranno che è il fidanzamento più breve della storia», ride ancora immaginando chissà che cosa, scendendo di sotto.
Sono arrabbiata. Pesto i piedi sul pavimento tornando nel mio studio. Qui metto in ordine tutto ciò che resta.
In realtà impiego più del necessario ad ammirare il mare dalla finestra. Prendo del tempo cercando di superare il disagio che sento.
Hunter mette alla prova il mio autocontrollo. Ogni mio istinto. Più volte ho rischiato di cedere e, più volte ho resistito ad ogni tentazione pur indebolendo il mio cuore.
Sono così assorta, con lo sguardo fisso in quell'azzurro cristallino da non percepire alcun movimento alle mie spalle.
«Ti è sempre piaciuta la vista da questa finestra», mi sussurra una voce che non è quella di Hunter all'orecchio tappandomi la bocca per non urlare.
Trattengo il fiato spalancando gli occhi. Un brivido di terrore mi percuote la spina dorsale. Nolan mi tiene stretta a sé con un braccio intorno al petto.
Come ha fatto a superare Denver? Era qui? Si è nascosto da qualche parte?
Mi dimeno per fargli allentare la presa dalla mia bocca. Si assicura che non abbia intenzione di urlare e allontana poco alla volta il palmo permettendomi di respirare.
«Come hai fatto ad entrare?»
«Chi ti dice che io sia entrato dalla porta?», sorride sardonico, soddisfatto della reazione che mi provoca. Perché sa l'effetto che mi fa. Mi conosce bene.
Cerco di non andare nel panico. Mantengo la calma escogitando un piano per richiamare l'attenzione di Hunter qui al piano di sopra.
Nolan mi fa paura. Soprattutto adesso che è riuscito ad intrufolarsi in casa, nonostante gli ordini restrittivi e la sicurezza. È proprio pazzo!
Aveva ragione Hunter. Invece io, testarda come sempre, ancora una volta mi ritrovo nei guai.
Adesso che è qui mi rendo conto di avere sbagliato tutto con lui. Non provo odio ma un senso stretto di amarezza. Perché a furia di fare tanti di quei passi per lui, mentre accettava tutto quello che facevo pretendendo sempre di più, sono rimasta indietro con la mia vita permettendo alla sua di andare avanti, di fiorire.
«Non sai volare.»
Continua a sorridere con la guancia contro la mia. La sua pelle calda mi fa chiudere per un istante gli occhi.
Cerco di pensare come ho fatto a resistere per quattro lunghi anni, come ho fatto a stare insieme a lui. Sin dal primo istante sapevo che qualcosa in lui non faceva per me, eppure ho ascoltato i consigli di un'amica scomparsa e, alla fine, mi sono cacciata in un grosso guaio.
Mi tiene ferma annusandomi la pelle. Un gesto che conosco ma che la mia epidermide ritiene estraneo, non gentile. «No, non lo so fare. Però so come si entra dalle finestre senza essere notato. So come entrare in casa della mia ragazza in maniera silenziosa. Conosco ogni angolo. Hai due guardie adesso? Non sono poi così tanto sveglie ed efficienti se ti lasciano qui, tutta sola...»
Da questo comprendo che non deve avere visto Hunter. Per un breve istante ho una speranza e quasi rilasso le spalle.
Decido di tenerlo impegnato nella conversazione. «Sono stata io a chiedere loro di restare fuori. Sono a casa mia in fondo. Che vuoi che accada? Dovevo sistemare tutto il casino che hai combinato prima di tornare al lavoro.»
Annuisce, più che soddisfatto del danno che ha causato alla mia abitazione.
«Si, lo sei. Hai sempre trovato questo posto speciale. Mi sono chiesto più e più volte che cosa ci fosse di tanto importante da lasciarti così ammaliata...»
Indico davanti a noi. «La vista mozzafiato. Ovunque ti giri c'è luce e a pochi passi c'è il mare.»
Mi fa girare e mi inchioda contro la parete. «Mi manchi.»
«Non dovresti essere qui. Mi basta un fischio e ti ritrovi di nuovo a terra, braccato.»
Provo a divincolarmi ma la sua presa si fa forte sul mio polso che stringe e spinge contro di sé. Vado a sbattere sul suo petto.
Sto per andare nel panico. Inspiro cercando di non farglielo notare ma è difficile.
«Lo so. Per colpa tua mi tocca mantenermi a distanza. Ma sai che non mi importa.»
Prova a sfiorarmi il viso e mi scanso.
Stringe i denti premendomisi addosso, schiacciandomi contro la parete.
Preme la fronte sulla mia. «Mi hai fottuto per bene quella sera», sorride. «Non mi aspettavo che fossi così brava a mentire.»
I suoi occhi si fanno duri, freddi. Il mio cuore inizia a battere forsennato nel petto. «Sai che non mentirei mai su quello che provo. Ti ho solo detto la verità e ti ho chiesto di non combinare più guai. Ma continui a non ascoltare, a fare di testa tua, a rischiare.»
Strofina la punta del naso sul mio. «Sei confusa. Lascia che ti faccia riprovare qualcosa...»
Prova a baciarmi e gli mollo una ginocchiata in mezzo alle gambe facendolo piegare e urlare. Urlo anch'io correndo verso le scale ma mi afferra e mi spinge contro la libreria premendo la mano sulla mia bocca così forte da soffocarmi.
Non respiro e non riesco a muovermi a causa del suo corpo che si stringe forte al mio. Guarda verso le scale per assicurarsi che nessuno ci abbia sentito.
«Sei una stronza, mi piace. Dove lo tenevi nascosto questo lato?», mi sussurra sfiorandomi il collo con le labbra. «Dovevi essere così sin dall'inizio. Un po' come quella tua amica. Invece sei sempre stata silenziosa, timida...»
Chiudo gli occhi scoppiando in lacrime. Lascio cadere qualche libro con le dita in modo tale da provocare dei rumori sul pavimento e Nolan mi sposta verso il muro, forse intuendo il mio tentativo.
«Lasciami!», cerco di dire contro il palmo della sua mano. «Lasciami andare!»
Mi dimeno e questo non fa altro che alimentare la sua furia, la sua voglia di sovrastarmi, usando la forza su di me.
Chiude gli occhi. «Nessuno riuscirà a sentirti.»
«Ti sbagli!»
Hunter non gli dà neanche il tempo e lo colpisce alla nuca tramortendolo.
«Io ci sento e anche bene lurido figlio di puttana!»
Corro da lui e gli getto le braccia al collo. Mi prende al volo tenendomi stretta a sé. Vedendomi tremare mi strofina le braccia poi chiama irato Denver e Perez, il suo agente, una donna bellissima dalla carnagione caffellatte, dagli occhi nocciola chiarissimi, la coda bassa a nascondere i piccoli ricci e muscolatura da guardia carceraria. Anche lei come Denver ha parecchi anni di esperienza.
Hunter mi aiuta a scendere nella mia stanza mentre i due salgono in fretta.
«È entrato da qualche parte, forse da una delle finestre posteriori e ha attaccato Iris, sapete cosa fare.»
«Si, signore.»
Non pongono nessuna delle domande che, al contrario mi sono chiesta quando è spuntato dal nulla.
Hunter mi fa sedere sul bordo del letto e quando Denver e Perez scendono giù Nolan ammanettato con delle fascette stringi cavo prese dal mio studio, rimaniamo soli. Lui si inginocchia avvolgendomi le braccia intorno alle cosce.
Mi guarda un momento per capire come procedere, come comportarsi.
«Respira», mi sussurra.
Scrollo le lacrime sentendomi una stupita. «Avevi ragione, mi dispiace. Non mi lascerà mai andare.»
Scrolla la testa. «No, hai fatto bene a venire qui. È casa tua. Io non posso obbligarti a restare nel mio appartamento. Non è come qua, lo so. Però volevo solo proteggerti, non era mia intenzione tenerti a distanza dalle tue cose.»
«Lo so», nascondo il viso tra le mani e lui le scaccia via abbracciandomi. Lo vedo che è nervoso, inquieto e vorrebbe tanto andare di sotto e pestare Nolan.
«Mi dispiace. Deve averti spaventata», massaggia la mia nuca.
Annuisco. «Non sono più al sicuro neanche in casa mia», tiro su con il naso.
Hunter si guarda un po' intorno. «Che ne dici se torniamo qui per passare i weekend così possiamo scendere in spiaggia e starcene lì indisturbati e per il resto del tempo ti trasferisci da me? In fondo lavori, non stai poi così tanto in casa. La userai solo per dormire.»
Inumidisco le labbra passando il dorso sulle guance umide. La sua mano procede al posto mio regalandomi una dietro l'altra delle carezze delicate.
«Mi stai chiedendo di portare tutte le mie cose da te e di usare la mia villa solo per staccare la spina?»
Ascolta le mie parole. «Si. Allora, che ne dici? Tanto vivi da me ormai. Devi solo portare tutte le tue cose, smettere di fare l'ospite.»
Deglutisce. «So che preferisci comportarti da stronza ma è più sicuro a casa mia al momento. Puoi continuare a trattarmi male quanto vuoi, inizia anche a piacermi.»
Ci penso su. «Non ho poi così tante cose da portare dietro», replico.
Lui solleva l'angolo del labbro prima di sorridere. «Era un si?»
«Perché non reagisci?»
Torna a farsi serio. «Iris, puoi fare tutti i capricci che vuoi. Ne hai il diritto. Non sarò io a fermarti.»
«Ma non mi hai detto perché», sussurro.
«Perché se per averti intorno devo sopportare i tuoi capricci, accetterò qualsiasi comportamento adotterai.»
«Lo fai per avermi intorno?»
«Si. Non sei male come coinquilina. Poi mi prepari la colazione e tieni l'appartamento in ordine, più dei domestici a cui non permetti di fare il proprio lavoro. Ma queste è solo una delle tante cose. La verità è che inizio ad abituarmi ad averti a casa e mi fa sentire... meno solo svegliarmi e trovarti nell'altra stanza, sentire il tuo profumo intorno, vedere le tue gambe nude o le tue cose ovunque io mi giri.»
Lo guardo stupita. Anche lui lo sembra.
In questi giorni ho capito che Hunter non è lo stronzo egoista che tutti descrivono. Non è come si presenta. Lui ha un animo buono e profondo.
«Quindi... chiamo Nelson e gli chiedo di venire ad imballare qualcosa insieme a noi?»
Sorrido sfiorandogli la guancia. Lui trattiene la mia mano su questa posando la sua su di essa prima di darci un bacio.
«Odio vederti così triste», alzandosi pesca il telefono dalla tasca posteriore dei jeans. Parla con Nelson raccontandogli tutto quanto poi gli ordina di mandare qualcuno a recuperare delle scatole.
Inizio dai libri dentro lo studio. Sono tanti e non intendo separarmene.
«Li vuoi portare tutti?», mi chiede aiutandomi. Non sembra dispiaciuto.
«Si.»
«Comprerò una libreria. La sistemeremo nella tua stanza.»
«Faresti davvero que...»
Ha già il telefono in mano. Mi mostra la libreria e una scrivania. «Fatto.»
Alzo gli occhi al cielo. «Non montarti la testa.»
Si avvicina. «Ci divertiremo.»
Scende di sotto e in breve Nelson, arrivato appena in tempo, ci aiuta a caricare in auto alcune scatole.
«È tutto?»
Gli chiedo un momento e torno in casa. Recupero due piante grasse da una mensola. Le uniche rimaste integre. «Mancavano queste. Hunter, loro sono Tristano e Isotta, i genitori di... Bestiolina», dico arrossendo.
Hunter guarda me poi le piante e scoppia a ridere prendendo Tristano, un piccolo cactus con le braccia dentro il vaso azzurro carta da zucchero. «Ed ecco che ho scoperto come si chiamano le tue piante.»
Lo spingo. «Smettila!»
Non riesce a contenere l'ilarità, a fermarsi. «Le altre come si chiamano? Renzo e Lucia? Romeo e Giulietta?», mi prende in giro.
Vedendo che non rispondo e mi fisso le punte dei piedi prorompe in una nuova risata che mi fa imbambolare.
Mio Dio, è davvero bello...
Smette e io chiudo la bocca evitando di guardarlo ancora come una psicopatica.
«C'è qualcosa di tragico in tutto questo. Non dare mai il nome di Jack e Rose, ti prego.»
Mi sfugge un sorriso. «Titanic non rientra tra le mie preferenze. E poi le altre sono andate, distrutte da Nolan.»
«Signore, siamo pronti. È tutto in auto.»
Nelson entra in casa, ci guarda e nasconde un sorriso poi annusa l'aria. «Lo sentite anche voi questo odore?»
Io e Hunter ci guardiamo intorno, come Nelson annusiamo l'aria. C'è un odore strano in effetti, prima non me ne ero neanche accorta.
Il telefono di Hunter squilla e lui prende la chiamata.
«Si?»
Apre e richiude la bocca. «Aspetta come? Ripeti...»
Attende. Sbarra gli occhi. «Ok. Si.»
Nelson si aggira per il soggiorno continuando a controllare.
«Dobbiamo uscire immediatamente da qui dentro. A quanto pare Nolan è riuscito a difendersi, a scappare, a saltare dall'auto in corsa e...»
Non finisce neanche la frase perché si sente uno schianto dalla porta secondaria. Una risata che rimbomba intorno alle pareti.
Vedo ogni cosa a rallentatore. Nelson che guardando verso la porta secondaria urla: «Uscite da qui!»
Hunter che mi spinge fuori rischiando di farmi inciampare.
Usciamo tutti e tre dalla porta, scendiamo i gradini del portico e vediamo correre verso di noi Denver e Perez che arrivano sfrecciando con l'auto, scendono e ci raggiungono affannati per la corsa, macchiati di sangue, feriti. Non riescono a spiegare perché di colpo mi ritrovo a terra, protetta da Hunter mentre un enorme boato si propaga alle nostre spalle, la terra trema. Gli allarmi delle auto suonano e i vetri cadono a terra.
Vengo sollevata. Hunter mi si para davanti passando la mano sulla mia guancia togliendo qualcosa di caldo che scivola dalla mia fronte, sulle spalle dove si è depositata terra, sabbia e polvere. Non riesco a sentire quello che dice perché mi volto e ciò che vedo mi fa crollare in ginocchio. Lui mi sostiene.
La mia villa. La mia bellissima villa, ridotta in mille pezzi. Il fumo generato dall'esplosione si propaga e in breve arrivano i pompieri a spegnere il rogo.
Avrei tanto voluto non incontrarlo mai, soprattutto quella sera. Lui è stato la mia rovina. Tra di noi non c'è mai stato amore, forse solo un po' di rispetto e quella speranza che si è spenta nel giro di pochi istanti con le sue brutte azioni.
In un attimo, i suoi occhi, il suo sorriso, le sue strane sorprese, quel suo modo di guardarmi e poi ancora i primi baci, i gesti e infine ogni brutta azione dovuta alla sua gelosia hanno imbrattato tutto, hanno macchiato le nostre vite. Hanno distrutto la mia.
Ho paura di non riuscire a superare anche questa. Quello che è successo va al di là di ogni mia sopportazione.
Non so quanto tempo passo ad osservare la scena perché mi ritrovo con una coperta sulle spalle, la pianta ancora tra le mani. Sono seduta sull'ambulanza e tengo lo sguardo assente rivolto alla mia villa, a quel che ne rimane. Ogni mio sacrificio è stato distrutto nel giro di pochi istanti.
Hunter si avvicina, si abbassa sulle ginocchia passandomi un bicchiere di te'.
Lo accetto ma continuo a non reagire.
Ho perso tutto. Tutto il mio mondo.
Una lieve pioggia inizia a scendere trasformandosi in un temporale.
Hunter mi aiuta a scendere dall'ambulanza e mi fa salire in auto. Parla con tutti mantenendo il controllo e infine entrando in auto mette in moto portandomi verso il suo appartamento. Ormai riconosco bene il tragitto e non faccio nessuna domanda.
Quando arriviamo vicino al palazzo. Scendo dall'auto come un robot. La pioggia mi picchia addosso ma non me ne curo.
Hunter è già a metà strada quando si accorge che non lo sto seguendo verso casa sua. Si ferma, si volta e poi torna da me a passo spedito.
Mi viene da piangere e lui se ne accorge. Si rende conto dello sforzo immane che sto facendo per non disperarmi come una bambina a cui è stato strappato il peluche preferito.
Mi circonda in fondoschiena con le braccia e preme la fronte sulla mia. Non dice niente, eppure mi sembra di sentire tutto il discorso che proviene dal suo petto caldo, dal suo cuore.
La vicinanza di Hunter è la cura a quel male che sento forte dentro. È come un cerotto su una ferita aperta a proteggermi da tutto il resto, soprattutto da quello che io stessa ho provocato. Perché quello che è successo è colpa mia.
Ma sento forte la voglia, l'esigenza di perdermi in lui. La sensazione è sbagliata, inarrestabile, imbattibile, lo so. Lo so che il momento non è quello giusto, ma non posso farci più niente. Non adesso che tutto è crollato e sono senza difese.
«Iris», sussurra con un filo di voce.
Fremo e non ragiono più. La mia mano si posa sulla sua nuca affondando nella cute, tirando un po' i suoi capelli.
Le sue mani, in risposta, si posano sulla mia schiena, scivolano sulle mie natiche e mi avvicinano a sé.
Mi aggrappo a lui. Lui che lascia scappare un verso avvicinandosi di più alla mia bocca.
Chiudo gli occhi. Ascolto solo il mio cuore. Non mi scanso. Lascio che le nostre labbra dapprima si sfiorino e poi si tocchino per un bacio.
♥️
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