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18


HUNTER

Lo senti quando una persona sta soffrendo. Intorno a sé inizia ad aleggiare una strana forza che, brutale ti colpisce abbastanza forte da farti sentire privo di gravità. Ti trascina a fondo e ti schiaccia la sensazione di impotenza quando guardi quei due occhi e precipiti in quel vuoto che mostrano.
Provo ad avvicinarmi dopo le parole che mi ha appena urlato tra le lacrime ma si rialza, mi guarda come se fossi un mostro e scappa dopo avermi dato una spinta.
Barcollo rischiando di cadere. Non ho neanche il tempo di fermarla. Forse non voglio neanche farlo.
Ha ragione. È stata tutta colpa mia. L'ho costretta a fare una cosa che non voleva e adesso sarà braccata per i prossimi sei mesi e dovrà starmi accanto. Accanto al mostro che non ha trovato un'altra soluzione per salvare entrambi da questo spiacevole momento, da tutto questo enorme casino.
La verità è che non mi interessa quello che abbiamo ottenuto firmando quei documenti. Mi interessa lei. Da quando l'ho vista non faccio altro che cercare la sua attenzione come un tossico. Da quando l'ho incontrata non faccio altro che tentare di prendermi un posto nella sua vita, scacciando via tutto quello che tenta di farla stare male. Sto cercando anche di impedire a me stesso di non cadere nella trappola ma sembra ormai inevitabile. Iris mi piace. Forse troppo per lasciarla andare. Forse troppo per tornare indietro. Forse troppo per non rimetterci un pezzo di cuore.
Adesso che ha tradito la fiducia del ragazzo a cui è rimasta accanto per anni, non oso immaginare come si stia sentendo. Ma era inevitabile farlo, per salvarla da lui. Per allontanarla dalla serie di disastri previsti in futuro. Perché Nolan è una vera minaccia. Conosco bene il suo modo di agire e mi preoccupa la reazione che potrebbe avere, specie nei suoi confronti. Potrebbe farle del male e so già che questo non posso permetterlo. So già che mi costerà caro questo istinto che ho di proteggerla.
Senza esitare, le corro dietro. È agile, svelta e decisa a seminarmi. Ma la fermo in tempo, abbracciandola mentre si dimena e continua a piangere, incapace di fermarsi, di calmarsi.
«Lasciami!», strilla. «Ti prego, lasciami.»
Prova a colpirmi dandomi una gomitata, ma sono così deciso a farla calmare da non riflettere sulle possibili conseguenze.
«Calmati o ti sentirai male. Quando la smetterai di agitarti ti lascerò andare, te lo prometto.»
Si divincola ancora ma le tengo le braccia intorno al petto che le si alza e abbassa frenetico e, lascio che faccia solo due passi in avanti prima di premere la guancia contro la sua per avere la sua attenzione.
«Respira», le sussurro quando la vedo tremare e non per il freddo o a causa mia, proprio come è successo più volte nel corso della serata, ma per il panico che le sta causando tutta quanta questa storia.
Con la coda dell'occhio mi accorgo della presenza delle guardie che escono dal balcone e sospiro.
«Siamo in trappola. Dobbiamo seminarli almeno per qualche ora. Ci stai? Non piace neanche a me essere seguito e ho bisogno di farmi un giro per smaltire tutte quante queste novità. So che sei arrabbiata con me ma... potresti mettere da parte la furia per dopo?»
Respira a fatica, guarda verso l'alto e dopo una breve esitazione annuisce, forse credendo che io sia disposto a lasciarla andare per come mi ha chiesto e per come le ho promesso. Ma non lo farò. Non mollerò la presa. Non la lascerò andare.
La spingo in avanti tenendola premuta al mio petto e camminiamo lungo il sentiero del giardino che si snoda a labirinto verso il centro dove vi è una grandissima fontana.
I nostri passi scricchiolano tra le foglie, i sassi e la terra. I nostri respiri si confondono e risalgono verso la calotta calda che aleggia nell'aria.
«Appena te lo dico io, svolta a sinistra e non correre, non urlare e non scappare da me», le sussurro controllando in alto per tenere d'occhio le guardie e facendo attenzione che non ci sia nessuno oltre quella siepe che stiamo per superare.
Mi sento come in uno di quei film del cazzo in cui dei prigionieri scappano e vengono braccati nel giro di qualche secondo senza avere la possibilità di prendere una boccata d'aria.
Se penso che per entrambi sarà così per i prossimi sei mesi, mi viene voglia di scappare e fare perdere ogni traccia.
Ho davvero bisogno di non essere seguito come un bambino, di avere un piano B. Attualmente però la mia priorità è Iris.
«Voglio andarmene da qui.»
La sua tristezza mi lacera il petto. «Ti sto portando via da qui. Permettimi di farlo, ma con cautela, ok? Non perdiamo la testa proprio adesso che ci siamo quasi.»
Inizialmente non risponde poi abbassa le spalle come se fosse troppo stanca per combattere e infine, annuisce. Ma so che potrebbe riservarmi qualche brutta sorpresa. Sto imparando a conoscerla e so che non si arrende mai davvero.
«Dove vuoi andare?»
«Non lo so», si aggrappa alle mie braccia premendo la schiena nuda contro il mio petto. Solleva il viso e singhiozza un paio di volte.
Il mio cuore subisce una variazione distorta del battito. Percepisco come una fitta che mi trapassa lo sterno come una pugnalata.
Non sopporto di vederla soffrire così. Devo fare qualcosa, e in fretta.
«Scelgo io un bel posto. Ti va?», lascio che si fidi di me. «O hai un posto da mostrarmi?»
Annuisce poi nega. «Ho perso tutto...», sussulta. «Non ho più niente. Non ho una casa. Non ho un'amica. Non ho il mio ragazzo... io... non ho più niente.»
La stringo al petto fermandomi. «Iris...»
Scuote la testa. «Ti prego, non dire niente. Lasciami andare. Ho bisogno... io ho bisogno di spazio.»
Non se ne parla. Nego. Mi ostino come sempre perché lei non può volere una cosa simile ed io non posso stare lontano da lei. «Hai bisogno di spazio? Ok, mi manterrò a debita distanza da te, ma non ti lascerò sola perché so che non lo vuoi davvero. Non è questo di cui hai bisogno. Adesso dimmi dove vuoi andare e ti ci porto», le sussurro con voce calma.
Sto mantenendo il controllo anche se vorrei tanto mettermi a sbraitare contro di lei, contro il destino e le nostre famiglie; persino contro me stesso.
Noto suo fratello uscire dalla finestra e fermarsi ad osservarci dal balcone. Ha lo sguardo furente, più freddo di prima. Ho notato come ha trascinato via suo padre. Ci intercetta in fretta e temo che le guardie siano sul punto di fermarci in base ad un suo ordine.
Gli faccio un cenno con la testa e lui scuotendo la sua torna dentro facendo finta di niente.
«Iris, non abbiamo molto tempo», le dico affrettando il passo. «Decidi dove.»
«In spiaggia. Portami in spiaggia.»
Svoltiamo a sinistra e poi la porto fuori dal giardino ritrovandoci nel parcheggio adiacente, questo si trova dopo un breve marciapiede che lo separa dal locale.
Apro la portiera dell'auto e le faccio cenno di salire. Inizialmente sembra titubante, non sa se scappare, se urlarmi contro, se reagire solo male, poi si siede saltando e allaccia la cintura.
Mi assicuro che non cambi idea e girando intorno all'auto chiudo la sua portiera usando il telecomando inserendo la sicura, salgo sulla vettura e mettendo in moto usciamo quasi sfrecciando dal parcheggio.
Lei non si accorge neanche della velocità con cui sto guidando. Stringe le mani in grembo e continua a mordere il labbro.
Il suo telefono ronza dentro la borsetta. Il rumore si diffonde dentro l'abitacolo silenzioso. Lo estrae, controlla lo schermo e dopo un momento risponde tremando.
«Ehi.»
Ascolta attenta. «No, tranquillo. Si. Ok. Ti voglio bene anch'io. Ok.»
Mi passa il telefono senza dire niente. Porto subito la cornetta all'orecchio facendo attenzione al traffico serale e ai pedoni che si ammassano fuori dai locali, per strada e sui marciapiedi. Alcuni sono già ubriachi e camminano sulle strisce con il rosso dei semafori.
«Pronto?», rispondo.
«Stammi bene a sentire: se mia sorella si fa male riterrò te e tutta la tua famiglia responsabile. Ho già avvisato mio padre e tra poco avviserò anche i tuoi. Sappi che sono bravo abbastanza da affondarvi in un batter d'occhio tutti quanti in tribunale. Adesso voglio che ti prendi cura di mia sorella e non pensi ad altro. Lei deve essere la tua unica priorità attuale. Non mi interessa se hai altre faccende da sbrigare. Non so se lo sai ma ha rinunciato a se stessa, alla sua felicità per renderti felice e per non rovinarti. Lei non avrebbe mai accettato, mai, senza un buon motivo.»
La guardo di sbieco e Max è come se ci vedesse. «Già, mia sorella lo ha fatto solo per te, non per tutti gli altri. Quindi non fare cazzate. Hai qualcosa che la invoglia a non chiudersi e, anche se stasera l'ho vista triste, so che invece non lo è davvero quando si trova con te. Conosco mia sorella. Quindi comportati da adulto e non farla soffrire o ripeto: te la vedrai con me.»
«Ok», è tutto ciò che riesco a dire. Ho la gola secca, il telefono tenuto tra la spalla e l'orecchio, la presa salda sul volante e gli occhi fissi sulla strada. In quanto alla mia mente, be', quella è partita da tempo.
Quello che continuo a ripetermi è: Iris lo ha fatto per me. Solo per me.
«Non ti conosco ma ho visto come stai cercando di proteggerla dal suo ex. Spero solo di non dovermi pentire di averti permesso di portarla con te fermando le guardie che avrebbero voluto trascinarvi dentro e farvi annoiare in un angolo.»
Riaggancia senza aggiungere altro, senza aspettarsi una mia risposta.
Passo il telefono di nuovo ad Iris. Lei lo spegne riponendolo dentro la borsetta che, adesso tiene stretta.
Continuo a sentirle lì le parole, con il loro tono alto, con un respiro lasciato a metà, spezzato in un attimo, in un sussurro breve, in un battito intenso. Continuo a sentire la voglia di parlare, di dirle tutto quello che tengo dentro e che spesso non so spiegare.
Inspiro ed espiro rallentando la corsa verso la spiaggia.
«Fa paura», ammetto. Non so bene se questo mio commento sia riferito a Max o a quello che riesco a sentire per lei.
Una breve luce attraversa i suoi occhi colmi di tristezza, furia e dolore. Un mix violento, che le ricade addosso macchiando la sua incantevole personalità.
Iris vuole davvero bene a suo fratello, tiene alla sua famiglia e, a quanto apre, anche se lo nasconde bene, tiene un po' anche a me.
«Sa come intimidire le persone», guarda fuori dal finestrino con aria assente. «Ma non è cattivo. Non lo è mai stato. Tranne quando si arrabbia. In quel caso non fa mai minacce a vuoto.»
Prendo la sua mano stringendola in grembo e la lascio andare solo per cambiare marcia. Lei non fa una piega. È come un guscio vuoto al momento e mi preoccupa questo suo lato.
La porto in spiaggia, proprio come vuole lei. Mi fermo su uno spiazzale e le apro la portiera aiutandola a scendere dal suv.
È bellissima, in ogni senso. È quasi impossibile farle un complimento perché nessuno di quelli che potrei dire riuscirebbero a rendere il senso di ciò che ho davanti ai miei occhi da tutta la serata.
Toglie subito i tacchi lasciandoli dentro l'auto, spingendomi a fare le stesso per non tenerli in mano e corre a riva. La seguo camminandole a un metro di distanza, proprio come le avevo promesso che avrei fatto, sulla sabbia asciutta, con le mani dentro le tasche dell'abito.
«Parlami», esordisco.
Stringe le labbra. «Non ho niente da dire», risponde con distacco.
Mi piace parlare con lei. Sembro logorroico mentre in realtà sono sempre stato uno di poche parole, una persona a cui piacciono di più i fatti. Da quando la conosco invece, oltre a cercare da parte sua delle reazioni, preferisco ascoltare anche la sua voce, le sue idee.
«Invece si. Dimmi come stai, come ti senti, che cosa vuoi o...», mi fermo. «Parlami. Non tenere tutto dentro.»
Prende un breve respiro. I suoi occhi sono lucidi come delle biglie. «Che cosa succederà a Nolan adesso?»
Tra tutte le domande che avrebbe potuto fare perché proprio questa?
«Lo incrimineranno e probabilmente uscirà su cauzione entro qualche ora. Non potrà avvicinarsi a te a causa dell'ordine restrittivo. So che lo farà lo stesso ma a questo penseremo domani.»
«E a me invece?», la voce le trema. «Che cosa mi succederà adesso?», tira su con il naso passando il dorso della mano sulla guancia per scacciare via una lacrima solitaria e silenziosa.
«Che cosa deve succederti? Tu continuerai per la tua vita. Nessuno ti sta obbligando, Iris. Hai firmato e ti ringrazio per questo ma non voglio vederti infelice. Dobbiamo solo essere presenti a quelle maledette interviste, sorridere, cercare di andare d'accordo davanti ai giornalisti, fare qualche uscita insieme e farci vedere da qualche parte mano nella mano. Per il resto sarai libera di fare tutto quello che vuoi. Puoi odiarmi, puoi farmi la guerra, poi urlarmi contro.»
Si ferma affondando le dita dei piedi nella sabbia. «Quindi posso dormire a casa mia?»
Non voglio che torni a casa sua. Devo trovare un modo per impedirglielo.
«Quando ci assicureremo che sia sicuro stare lì, si. Anche se avrai sempre una scorta a vegliare su di te. A meno che tu non voglia che ci sia io a farti compagnia. Siamo una delle famiglie più potenti a Miami e adesso tu ne fai parte, non puoi rifiutare su questo e sono sicuro che le guardie saranno discrete. Ad un certo punto non le noterai neanche.»
Fa una smorfia ma non commenta. So perfettamente quello che prova e quello che sta pensando. Siamo in due.
Lascia scivolare l'abito in acqua e cammina incurante del fatto che potrebbe rovinare il tessuto.
Le sta davvero bene. Sembra cucito apposta per la sua pelle. Quelle curve da capogiro poi... come non notarla?
Ho sentito i commenti di alcuni ragazzi alla festa e ho ascoltato anche quelli del mio amico. Avrei tanto voluto dargli una lezione, staccargli la testa a morsi, perché mi sono ingelosito come un ragazzino.
Ma adesso che lei è qui con me e tutti sanno che è la mia fidanzata, non riesco ad esserne felice o compiaciuto perché lei è assente. È qui ma è assente. È a pochi passi da me ma è altrove.
Ancora una volta la guardo e mi imbambolo. Niente può essere paragonato alla sua bellezza. Quei lineamenti delicati che sembrano stati realizzati da un angelo, il suo corpo, le movenze e poi ancora quegli occhi, le labbra rosee e carnose.
La seguo in silenzio, aspettandomi una sua brusca reazione che, continua a non arrivare. La seguo e penso a come risollevarle il morale, farla sentire meno abbattuta.
Guarda l'anello. Non lo ha ancora tolto. Nota che i miei occhi sono puntati su quello e prosegue imperterrita facendo finta di niente.
Massaggio il mento. «Perché non lo hai ancora tolto?»
«Perché è un anello.»
«Ma sai cosa rappresenta.»
Fa cenno di "sì" con la testa. «Lo so.»
«Allora?»
«Allora cosa?»
«Perché non lo togli?»
«Mi piace», replica indifferente.
Valuto un momento e poi mi avvicino a lei. L'acqua è fredda ma non sembra importarle più di tanto. Si lascia accarezzare le caviglie dalle onde che arrivano lievi sulla sua pelle. Ma sente freddo sulle spalle, si stringe strofinando le mani sulle braccia, così tolgo la giacca e gliela sistemo senza toccarla.
Il gesto sembra farle piacere. Iris però sa essere ermetica a volte, quindi non capisco bene la reazione che ha appena avuto.
«Ti piace l'anello o ti piace perché non è costoso?»
Assottiglia l'occhio destro spingendo in avanti le labbra in un brevissimo broncio in grado di farmi impazzire dalla voglia di toccarlo, di morderlo e sentirne il sapore.
«Mi piace perché anche se non è costoso ha un valore.»
La sua risposta da un lato mi sorprende. «Un valore?»
Guarda l'anello sfiorandolo. «Me lo hai regalato tu e non perché dovevi, ma perché volevi. C'è differenza», replica chiudendo gli occhi, sollevando la testa verso il cielo, annusando l'aria prima di stringersi sotto la giacca del mio smoking.
Sorrido. Mi piace vederle addosso i miei indumenti. In pochi giorni ho ammirato parecchio la sua semplicità.
Iris adora stare in giro per casa con addosso una maglietta larga. Mi ha fatto un po' impazzire e mi ha messo alla prova vedere il suo corpo così esposto, ma sto continuando a comportarmi come si deve perché voglio rispettarla. Voglio che sia lei a fare un passo verso di me, per farmi capire se quello che sto provando è o no a senso unico.
«Esatto, volevo. Ma non so se volevi accettarlo tu.»
Mi guarda male indicando l'anello. «È al dito non dentro quell'uovo di plastica. Deve significare qualcosa questo», ribatte.
«Dimmelo tu.»
«Se lo porto è perché mi piace e perché l'ho accettato come un regalo.»
«Sai che è anche una promessa?», borbotto mettendo sempre i puntini sulle i.
Si ferma. Trattiene il fiato. «Sai che durerà solo sei mesi?», mi prende in contropiede.
Nego affondando i pugni dentro le tasche dei pantaloni. Non ho voglia di pensare a questo. Il nostro rapporto non può basarsi su una scadenza.
«Scommetto che non reggerai così tanto», la sfido, lasciando uscire quel lato del mio carattere che odia. «Sono un uomo impegnativo e accanto a me ci vuole una donna che sappia resistere.»
«Con il termine resistere intendi... davanti alla tua bellezza o al tuo egocentrismo?»
Sorrido mollandole una lieve spallata. Mi piace come risponde. Mi piace come trova sempre una battuta o un qualcosa per non darmela vinta.
«Lieto di sapere che per te sono bello. Ma sono sicuro che non resisterai così tanto. Stai già pensando a come evitare di farti vedere con me in pubblico, figuriamoci alla villa quando sarà piena di paparazzi che vorranno vederci stretti in un abbraccio o impegnati a baciarci come due adolescenti in calore.»
Si guarda intorno nascondendo il lieve rossore sulle guance. «Pensi che qualcuno ci abbia seguito?»
Mi accendo una sigaretta prendendola dalla tasca interna della giacca che indossa.
«Probabile. Non stiamo facendo niente di scabroso. Stiamo solo passeggiando sulla spiaggia mentre la festa di fidanzamento al locale prosegue senza di noi. Qualcuno starà facendo qualche congettura. Ad esempio: che non siamo riusciti ad arrivare a fine serata e siamo scappati per passare una notte di fuoco insieme. Già vedo gli articoli scritti...»
Adesso è lei a mollarmi una spallata. «Potrebbero dire di avermi vista scappare perché non ho accettato un fidanzamento combinato con mister egocentrismo.»
«Potranno dire tante cose ma non si allontaneranno dalla verità, soprattutto per chi la cercherà e scaverà a fondo per ottenerla. Dobbiamo fare attenzione anche a questo. Chiunque ci venderebbe per soldi o popolarità e non possiamo spifferare ai quattro venti che non siamo fidanzati per davvero, ma solo per tenerci gli averi di mio nonno.»
Riflette sulle mie parole. «Quindi sono in trappola?»
Lo chiede stremata, con la voce che le si spezza. E dentro di me sale una certa rabbia. Perché non esplode?
«Ti senti così?»
«Esatto», solleva il piede giocando con la schiuma e un sassolino che spinge a fondo.
Aspiro una boccata di fumo prima di spegnere la sigaretta e lasciare uscire la nuvola dalla bocca che lei osserva fino a quando non ne rimane niente.
«Sei partita prevenuta.»
Mi guarda come se gli avessi appena detto un qualcosa di assurdo o peggio: l'avessi offesa.
«Prevenuta?»
«Si. Sei partita pensando già che non ti sarebbe piaciuto. E se invece scoprissi che ti piace? Che io ti piaccio?»
«E se scoprissi invece che ti odio?»
«Punto per te!», stringo i denti.
In cuor mio spero di no. Che lei non mi odi. Non potrei sopportarlo.
Morde il labbro. «Mi stai dicendo che potrei avere ragione.»
Non nego e neanche confermo. Proseguo lasciandola un po' indietro.
Corre, sento i suoi passi. Mi raggiunge. Le porgo il mio braccio e lei stringe le sue intorno.
«Ho avuto paura.»
«Lo so.»
Mi guarda sorpresa ed io annuisco. «So che avevi paura perché stavi tremando come una foglia mentre firmavi e poi stavi per scappare via. Ti ho trattenuta perché volevo che mi stessi accanto, non perché volevo che fossi in gabbia. Anch'io ho avuto paura.»
«Stavi sorridendo», mi fa notare. «Eri a tuo agio e mi hai mentito!»
«Non sei l'unica a sorridere mentre muore dentro. Non ti ho mentito. Sapevi che qualcosa sarebbe andato storto e mio padre ha ritenuto opportuno farlo sapere per non avere altri problemi. Insomma, mio nonno potrebbe avere in serbo altre sorprese.»
Mi guarda ancora per qualche istante confondendomi. «Hai avuto paura», sussurra. La sua non è una domanda.
Annuisco emettendo un breve verso. «Si. Mi sono chiesto: "e se non sono all'altezza?", "se la deludo?", "se la trascuro?", "se non la rendo felice?", "se la perdo?".»
Schiude le labbra lasciando uscire un respiro strozzato. I suoi occhi spalancati mostrano lo stupore. «Hai pensato... "e se la perdo?"»
«Si», ammetto distogliendo lo sguardo. Adesso mi sento in imbarazzo. Sono poche le volte in cui questo succede. Che cazzo mi sta facendo questa ragazza?
Si ferma. «Perché?»
Passo la mano sulla nuca. «Perché tu mi vedi come un egocentrico del cazzo ma al di là della facciata, dentro quella pietra che ho nel petto, c'è qualcosa di caldo. Qualcosa che tu hai smosso.»
«Io ti vedo per quello che mostri ma non sai se vedo anche il tuo cuore nascosto da un muro.»
«Ok, si. Ho pensato "e se la perdo"? Cazzo, mi sono proprio rammollito. Non ho mai avuto bisogno di nessuno se non di me stesso ma da quando ci sei tu sento che qualcosa è cambiato. Non lo nego.»
Camminiamo in silenzio. La osservo con attenzione. Continuo ad aspettarmi una brusca reazione da parte sua, ma questa, non arriva ancora.
Per troppo tempo le hanno detto di essere forte, di non mostrare a chiunque le proprie debolezze. Per troppo tempo le hanno detto di non aprirsi troppo, di non fidarsi del tutto, di resistere all'amore, ai sentimenti.
Come quando da piccoli ci insegnano a non piangere dopo una caduta.
Ma non hanno ragione gli adulti. Il dolore merita di essere vissuto.
Lei, merita di trattenere quello che sente per proteggersi. Merita di sollevarsi come vuole. Merita di provare tutto dentro. Merita anche di ricominciare. E per farlo, per farlo dovrebbe partire proprio dal pianto, dall'essere fragile e vulnerabile. Dovrebbe lasciarsi andare alla disperazione, abbracciare forte qualcuno e singhiozzare abbastanza da non avere più fiato in corpo. Dovrebbe buttare via tutto quel dolore che trattiene dentro fino a prosciugarsi.
Abbiamo tutti bisogno di soffrire come vogliamo. Abbiamo bisogno di piangere, disperarci, chiuderci e isolarci. Abbiamo bisogno di amare, senza controllo. Abbiamo bisogno di cadere, farci male e riprovarci ancora e ancora. Abbiamo bisogno delle cose belle, ma anche delle cose brutte per crescere. Abbiamo bisogno di dare tutto anche se indietro non torna niente. Abbiamo bisogno di rimanere con le braccia spalancate, in attesa che qualcuno ricambi e ci stringa forte, in attesa che qualcuno senta il nostro cuore e lo protegga dal dolore.
Forse è così. Forse creare muri è necessario per difendersi, per mettersi al sicuro dalla tristezza, dalla sofferenza. Ma chi non rischia fino in fondo, chi non attraversa il buio almeno una volta nella vita, non incontrerà mai quella luce accecante in grado di liberarlo dalle tenebre.
Dio, è bellissima anche se fatta di cocci rotti in grado di ferirmi. È bella con gli occhi lucidi, mentre piange. È bella perché è quel filo sottile e resistente in grado di ricucirmi addosso un cuore indomabile che tenta di raggiungerla.
Io la guardo e mi accorgo di lei. Lei che merita di essere felice. Ma lei si accorgerà mai di me?
Le prendo la mano. «Non ti lascerò andare senza prima averci provato almeno un po'.»
Le nostre dita giocano a rincorrersi ma smetto e le stringo tra le mie fino a percepire la forza che si sprigiona in ogni singolo gesto nostro.
«Credi che io non abbia niente da perdere?», aggiungo, sentendomi sul punto di urlare dalla frustrazione quando vedo nei suoi occhi niente a parte il buio.
«Lasciati andare, Iris. Male che vada, saremo in due ad avere perso tutto.»
Dicono che con il tempo passa, che ti abitui a tutto. La verità è che anche se il tempo passa e ti abitui, non sei mai pronto ad un'altra delusione, a vivere un altro dolore.
Iris ha lo sguardo di chi ha perso tutto. Nei suoi occhi leggo il senso di perdita, quel breve lampo di solitudine che circonda la sua anima tormentata dalla tristezza. E mi viene voglia di abbracciarla, ma so già che potrebbe reagire in maniera diversa da quella che spero. Pertanto me ne sto fermo, immobile e attendo una sua risposta.
Vedendo che riflette e non risponde, cambio discorso per metterla a suo agio.
«Hai fame? Non hai toccato l'abbondante banchetto, non hai neanche bevuto.»
«Non tornerò alla festa. Penso che me ne ritornerò a casa o da qualche altra parte. Non voglio vedere nessuno.»
Dentro di me sento scattare l'irrefrenabile voglia di fermarla. Così faccio. Le sfioro il braccio scivolando con le dita fino alla sua mano. Tenendola stretta torniamo indietro. «Non ti ho chiesto di tornare alla festa o a casa dai tuoi. Ti ho chiesto se ti va di mangiare qualcosa con me?»
Tentenna prima di entrare in auto con l'abito fradicio lungo la gonna.
«Non ti sto chiedendo di venire a letto con me, Iris.»
Mi spinge con uno sbuffo chiudendo la portiera. Sorrido entrando in auto.
Mi fermo in un fastfood ordinando insieme a lei degli hamburger, insalata e un dolce. Attendiamo la breve fila e quando sono davanti alla ragazza prendo tutto, sistemo l'ordinazione sul sedile posteriore e riprendo la corsa verso il mio appartamento.
Iris, ancora una volta, sembra distante. Troppo.
Mi fa rabbia vederla così. Vorrei fare qualcosa per lei ma ci sono momenti in cui ho come il timore di sbagliare e danneggiarla, pertanto preferisco non fare niente.
Le sfioro una guancia ma non mi guarda. Allora insisto, riprovo e finalmente si volta. Le sue palpebre si aprono maggiormente insieme alle pupille che le si dilatano dopo avere ricevuto un brivido.
«Non allontanarti», le dico cercando un parcheggio.
«Non vuoi proprio lasciarmi andare, eh?»
«No», rispondo sincero con un sorriso.
Lei prende un sacchetto seguendomi al piano di sopra dove, entrando nel mio appartamento, sistema tutto sul tavolo basso.
Chiudo la porta e poi spengendo la luce all'entrata mi avvicino a lei posando il sacchetto sul tavolo, lasciandomi cadere sul divano. Slaccio il papillon sbottonando solo il primo bottone della camicia e passo una mano tra i capelli.
Iris non si toglie la mia giacca dalle spalle. Apre i contenitori lasciando che attorno aleggi l'odore del cibo caldo.
Mi alzo un momento e vado a recuperare una bottiglia di vino e due calici.
La becco a guardarmi e abbassandomi le sfioro una guancia facendola agitare.
Prendo il contenitore che mi sta passando e accendo lo schermo piatto che abbiamo davanti.
Mangiamo con la tv accesa. Lei con i piedi sotto il sedere e io stravaccato sul divano a godermi il suo profumo in grado di scaldarmi, un buon pasto e la tranquillità.
Guardiamo un programma a quiz in cui i concorrenti devono trovare delle risposte riempendo delle caselline in breve tempo, prima di cadere dentro una botola.
Iris è forte nel gioco e si diverte fino a quando non si appisola.
Spengo la tv e la sollevo portandola nella mia camera. Si sveglia poco prima che io abbia la possibilità di metterla a letto. Prova a staccarsi da me ma la trattengo contro il mio petto.
«Sono io. Ti sto solo mettendo a letto», la rassicuro, notando che si è agitata.
«Devo togliermi il vestito», dice assonnata. «È fastidioso...»
Sorrido. «Posso aiutarti?»
Si mette in piedi alzando le braccia. Avvicinandomi gliele abbasso. «Non c'è bisogno. Lo tiro giù in un attimo. Ammetto che speravo di farlo da quando ti ho vista scendere quelle scale.»
«L'hai fatto altre volte?», ride quando le sfioro le braccia abbassando tutto fino a lasciarlo ai suoi piedi.
Non oso guardare quello che indossa. Le scosto la coperta ma lei non si sposta. «Tocca a me», inizia a sbottonare la mia camicia piano, guardandomi di tanto in tanto negli occhi fino a lasciarmi in boxer. Il suo tocco è così delicato da mandarmi in tilt cuore, corpo, cervello, tutto.
Si sdraia e io spengo le luci infilandomi sotto il lenzuolo. Provo ad avvicinarmi e lei si rannicchia permettendomi di abbracciarla.
«Forse in un'altra vita io e te...»
«Forse anche in questa vita.»
Le sue dita raggiungono le mie labbra. «Adesso puoi baciarmi.»
Fermo la mia carezza sulla sua schiena. «Vuoi un bacio?»
«Si, mi chiedo come sia baciare mister egocentrico narcisista.»
Sorrido. La sua voce assonnata mi piace e non poco. «Vuoi sapere se ho le labbra morbide o...»
Annusa la mia pelle facendomi sentire molte fitte fredde sul corpo. Trattengo aria nei polmoni premendo il palmo sulla sua schiena. «Avevo detto che ti avrei baciata quando saresti stata mia.»
«E non lo sono? Ho firmato un documento che attesta che siamo fidanzati. Sono tua...»
Chiudo gli occhi. «Mia... anima e corpo», le sussurro. «Intendevo questo, Iris.»
«Siamo mezzi nudi sotto le coperte. Se dovessero entrare dei paparazzi per immortalare il momento da mandare all'inferno a tuo nonno, non ci sarebbe niente da nascondere perché ci vedrebbero insieme e non separati. Quindi il mio corpo c'è.»
«Manca l'anima.»
«Dovresti rubarla con un bacio.»
Abbasso il viso sfiorandole il collo. Lei si agita. «Non sono riuscito a farti un complimento. Continuavi a sfuggirmi. Per quel che vale, sei bellissima. Soprattutto adesso che mi hai fatto notare che sei mezza nuda nel mio letto, sotto le lenzuola.»
Sorride. «Mi sono sentita così a disagio con quel vestito addosso.»
«Era bianco. Proprio come il colore che avevi scelto per il funerale.»
«Che cosa intendi dire?»
«Niente. Solo che sei bella, bella...», inizio a baciarle il collo lasciando una scia e una serie di brividi sulla sua pelle.
Mi fermo davanti al suo viso tenendomi in equilibrio sul braccio.
Ci guardiamo. Ci perdiamo.
E si riduce tutto a questo, all'attimo in cui si finisce per diventare parte di quegli occhi che sanno vedere tutto di noi, dei nostri desideri, del nostro cuore, della nostra anima.
Premo la fronte sulla sua ed inspiro lentamente. «Posso?», le chiedo il permesso. Sto fremendo dalla voglia.
La sua mano si posa sul mio petto. «Hai sbagliato domanda. Vuoi?»
Mi avvicino alle sue labbra carnose e invitanti. Le sfioro con il pollice mentre con la mano a coppa tengo fermo il suo viso.
Mi guarda restando in bilico, in attesa.
Mi avvicino e le poso un bacio all'angolo. Niente di più di quello che vorrei. E mi fa male persino staccarmi, ma so di doverlo fare.
«Buona notte, Iris.»
Siamo entrambi senza fiato.
Dopo un breve attimo, lei si riprende.
«Notte, Hunter.»

Un frastuono e dico addio al mio sonno tranquillo. Un altro rumore e mi giro nel letto passando la mano dall'altra parte. Ogni mia terminazione nervosa si tende e scatto a metà busto allarmato.
Che cazzo sta succedendo?
Il letto dalla mia parte è vuoto e qualcuno continua a bussare forte alla porta.
Scendo dal letto, infilo un paio di pantaloni della tuta che trovo dentro l'armadio e mi incammino all'entrata per capire chi sta bussando così forte da potere mandare giù la porta, mentre mi guardo intorno cercandola.
«Arrivo!», ringhio.
Spalanco la porta e in casa piombano Nelson, due guardie e Issac.
Li guardo uno ad uno per capire, ma nessuno di loro sembra preparato ad affrontare un discorso.
I miei occhi continuano a cercarla. Dove diavolo sei?
Dal bagno esce proprio lei, avvolta da una nuvola di vapore che profuma tanto di cocco, i capelli legati, l'asciugamano intorno al corpo, lo sguardo apparentemente sorpreso.
«Perché siete qui?»
«Te lo spiego io», ride lei. «Sono venuti a controllare come procede il nostro finto fidanzamento e se abbiamo fatto qualcosa dopo essercene andati dal locale ieri sera. E per qualcosa sai cosa intendo.»
Li guarda. «I dettagli ve li darà Hunter. Io adesso mi rivesto e me ne vado al lavoro.»
Mi si avvicina, si solleva sulle dita dei piedi e dandomi un bacio sulla guancia si avvia nella camera degli ospiti. «Forse ci vediamo a cena, fidanzatino», ghigna prima di tornare seria e, guardandoci male sbatte la porta.
Sono ancora stordito. Guardo Nelson cercando delle risposte. «Abbiamo constatato che sa mentire con sarcasmo.»
Giro intorno all'isola preparandomi una tazza di caffè. Mi servirà per affrontare la giornata.
«Signore, non volevamo disturbare la vostra prima giornata insieme ma, vede...»
«Erano preoccupati per te», replica Iris uscendo dalla stanza con un paio di pantaloncini e una maglietta larga nera. «Avevano paura, credevano che ti avrei fatto fuori mentre dormivi. Buona giornata!», sbotta acida uscendo in fretta dalla porta.
Mi appoggio all'angolo massaggiandomi la nuca. «Be', come inizio non c'è male», esclamo bevendo un sorso di caffè.
Issac trattiene la sua risata. So che sta morendo dalla voglia di prendermi in giro.
Avvicinandosi, mentre una delle guardie si allontana per seguire Iris, prende una tazza riempiendola di caffè.
«Dire che ti odia sarebbe un eufemismo», inizia divertito.
Sbuffo lasciando la tazza vuota dentro il lavandino. «Si sarà alzata con il piede sbagliato», sollevo la spalla spostandomi in camera con finta indifferenza.
«Amico, sarà un inferno per te. Non so se hai capito quello che è appena successo. Ma lascia che te lo spieghi io: era una dichiarazione di guerra la sua.»

♥️

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