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17


IRIS

Forse il mio subconscio ha sempre cercato di prepararmi a questo momento. Quello in cui ogni cosa sarebbe cambiata. Forse che io sarei cambiata così tanto da vedere le cose da un altro punto di vista. Forse è stata la speranza a non farmi cedere. Ho continuato a pensare che tutto potesse andare bene. Ma le cose non vanno mai come desideri. Non è mai come speri.
Se mi chiedessero come sto in questo momento, probabilmente risponderei che sto bene. Lo farei perché con il tempo mi sono abituata a farlo, a dire "non ho niente", a non sentire niente pur sentendo tutto. Dico che sto bene perché è più semplice del dover dare delle spiegazioni per cui stai male o non senti di stare bene.
Nessuno sa cosa stai provando veramente. Nessuno si rende conto che è da tempo, forse da una vita, che tieni tutto accumulato nel cuore per paura di esplodere. E preferisci impazzire, lasciarti attraversare dal dolore, piuttosto che parlare a chi non sa come ascoltare i tuoi silenzi, le tue parole non dette. A qualcuno che non sa vedere attraverso il tuo sguardo, i tuoi sorrisi finti, le tue molteplici espressioni. E te ne stai lì, immobile, trattieni il respiro e abbracci i sentimenti mentre anneghi dentro in un mare di tristezza, di dolore e solitudine.
«Dobbiamo andare, tesoro», mamma bussa alla porta della mia vecchia stanza.
Sono ritornata all'inferno. Sono ripiombata nel passato. In soli due giorni mi sono ritrovata di nuovo a casa, circondata dallo sfarzo, dalle pressioni, dalle persone con cui non voglio avere a che fare da anni. È stato un vero e proprio incubo dovere sopportare tutto quanto rimanendo in silenzio, composta, attenta. È stato difficile mantenere la calma, trattenere ogni istinto, ogni voglia di scappare e mandare tutto all'aria.
I miei continuano a starmi così addosso da soffocarmi. So perché lo fanno. Loro hanno paura che io possa avanzare l'idea di firmare il contratto sbagliato, quello per rinunciare a tutto, mandando ogni singolo piano all'aria. Mentirei se dicessi di non averci pensato. Mi sentirei addirittura ipocrita. Ci ho pensato eccome. Ho pensato di rifiutarmi e scappare, andare lontano e non tornare più a Miami. Ho pensato di andarmi a rifugiare altrove, cambiare persino nome per non farmi trovare.
La porta si apre senza il mio permesso e mia madre entra in camera trascinando il suo abito lungo color pavone, l'acconciatura piena di ciuffi di capelli ad uscire da un lato, diamanti alle orecchie, al collo, trucco perfetto e postura da donna di società.
Mi guarda dall'alto in basso prima di portare la mano verso le labbra per coprirle. «Sei bellissima», mi dice avvicinandosi, osservandomi con occhi lucidi.
Sospiro guardandomi allo specchio mentre mi fa una carezza sulle spalle.
Non sembro neanche io. L'abito lungo bianco, lo scollo a cuore e le maniche lunghe che si posano appena sulle spalle per la scollatura a barca. Il fondoschiena scoperto dalla quale pende una catenina d'argento legata al collo con una piccolissima stella a fare da punto luce. Lo spacco lungo la gonna fluida. I capelli raccolti ordinatamente in uno chignon con un ciuffo arricciato sul davanti, trucco perfetto sul viso, tacchi alti ai piedi. Mi sento una bambola e sto soffrendo in silenzio, soffocando dentro.
«Impazziranno tutti non appena ti vedranno», mi sorride. «Sei un bellissimo angelo, tesoro.»
Mi incupisco. Sono sempre più in trappola. Sempre più braccata.
«Chi? Chi impazzirà?», chiedo guardandola male, alzando un po' il tono della voce. «La famiglia alla quale mi state vendendo o gli scapoli con cui non potrò parlare perché sarò fidanzata con un egocentrico che sposterà l'attenzione su di sé?»
Mia madre arrossisce. Stringe le labbra rosse che si increspano in una smorfia carica di rabbia che reprime per non scomporsi, per non rovinare la sua opera.
«Tu firmerai quel dannato documento e non darai altre preoccupazioni a tuo padre. Farai la cosa migliore per la tua famiglia e per favore, prova a divertirti e per una volta... smettila di essere così moralista», risponde raggiungendo la porta, più che innervosita dal mio atteggiamento. «E sorridi, per i prossimi sei mesi sarai la donna più fortunata del pianeta e hai solo poco più di ventiquattro anni. Tutte ti invidieranno.»
Quando esce, lancio contro la porta la prima cosa che mi capita a tiro e urlo dalla frustrazione.
Non voglio. Non voglio accettare. Non voglio firmare. Non voglio legarmi ad una persona con cui non andrò mai d'accordo.
Sono stata bene, non lo nego ma non posso neanche negare il fatto che Hunter non sarà mai l'uomo adatto a me. Siamo incompatibili. Abbiamo esigenze diverse.
Mi siedo sul bordo del letto con le lenzuola a fiori e abbraccio il cuscino a forma di caramella in grembo.
«Signorina Iris», mi chiama il domestico, l'ennesimo assunto dai miei e di cui non conosco ancora il nome. Mi dispiace per lui che debba sopportare ogni nostro capriccio.
Rimane dietro la porta, in attesa di una mia risposta.
«Arrivo», sospiro. «Arrivo», ripeto più piano fissandomi le unghie di un tenue rosa freddo e quell'anello finto che non ho ancora tolto. Perché? Perché è stato uno dei regali più sinceri che io abbia mai ricevuto. Non è costoso ma ha un valore.
L'ho sto facendo per lui. Non per la mia famiglia, non per la sua. Solo per lui.
Mi alzo dal bordo del letto, liscio il vestito, mi giro un momento osservandomi ancora allo specchio ed infine esco dalla mia stanza raggiungendo l'entrata, dove mia madre e mio padre mi stanno aspettando continuando a sorridersi, a parlare di affari come sempre. Vanno d'accordo, non litigano mai e si amano incondizionatamente. Hanno rinunciato a qualcosa sia uno che l'altra ma non hanno mai rinfacciato niente perché per loro: è stato fatto per la famiglia. E quello che fai per la famiglia non è un sacrificio, è un dovere.
Smettono di parlare quando sentono il ticchettio dei miei tacchi sul marmo delle scale che scivolano giù fino al pian terreno a forma di "C", circondate dal ferro battuto dalla forma singolare.
«Sei davvero bella, piccola», papà mi si avvicina dandomi un bacio sulla tempia. «Mi toccherà tenerti d'occhio. Adesso che ti guardo, capisco il perché delle parole di tua madre quando è scesa.»
Mamma annuisce abbozzando un sorriso. Nasconde bene la furia per il modo in cui l'ho trattata.
So perché lo fanno, pensano che mostrandomi affetto mi convinceranno a fare la cosa giusta, per loro.
«Preferisco usare l'auto da sola se non vi dispiace.»
Detto ciò esco fuori chiedendo a Bosh di partire senza aspettarli. Ho bisogno di passare ancora qualche momento da sola.
«Vuole fare un giro prima?»
Almeno lui sembra capire il mio stato d'animo. Mi sporgo dai sedili posteriori proprio come facevo da ragazzina quando non volevo tornare a casa dopo il coprifuoco.
«Possiamo?», chiedo speranzosa.
«Dove vuole che la porto?», chiede rimanendo con lo sguardo fisso sulla strada.
«A vedere la spiaggia, non è molto distante e possiamo tornare indietro in fretta per raggiungere il locale in cui è stata organizzata la festa.»
«Va bene. Si metta comoda.»
Bosh non è mai stato di tante parole ma, mi ha sempre fatto sentire protetta. È come il Nelson di Hunter.
Pensare a lui proprio adesso mi mette di cattivo umore. Non ho trovato ancora un modo per accettare che sia entrato a far parte della mia vita.
Abbasso il finestrino e mi scappa un breve sorriso che va a mescolarsi alla mia angoscia, quella che tengo dentro ormai da molte ore.
Bosh mi guarda dallo specchietto retrovisore, forse per assicurarsi che io stia bene e non abbia alcuna intenzione di lanciarmi dal finestrino mentre l'auto è in movimento. Forse per questo dapprima rallenta e poi si ferma. «Sa che non deve farlo per forza?»
Si capisce che ho la tachicardia e sto andando controvoglia alla mia festa di fidanzamento? Tutte le ragazze aspettano un momento del genere mentre io mi sento obbligata, non fortunata.
Hunter è stato bravo. In breve, ha organizzato una festa invitando molti dei soci in affari delle nostre famiglie dicendo loro che stiamo per stipulare un nuovo accordo, accorpando due delle nostre aziende. Nessuno saprà del fidanzamento, anche se dal mio abito sembra tanto quello che non oso neanche pronunciare dentro la mia testa. Tutti capiranno quello che in realtà sta succedendo, quando usciranno le prime foto che saremo costretti a fare alla villa insieme all'intervista per una rivista famosa.
Non so se sopravvivrò a tutto questo.
«Se non lo faccio non faranno altro che incolparmi. Perderanno il museo e tutto quello per cui hanno lavorato.»
«Sa che saranno sei mesi difficili per lei.»
Annuisco con una smorfia. «Sto già progettando la mia fuga subito dopo avere firmato quel documento. Fidanzata in fuga. Tieniti pronto», lo avviso guardando la spiaggia, le onde e inspirando l'odore che da sempre riesce a calmarmi. Ma questa sera è diverso. Qualcosa non va. Non funziona.
«Sarò fuori, nel parcheggio», mi rassicura.
Torniamo indietro e dopo ben dieci minuti ad aspettare la lunga fila di auto in coda per entrare, mi ritrovo in un locale sfarzoso ed eccentrico.
Un enorme patio con colonne alte all'esterno dove qualcuno sta cenando e poi dei gradini che conducono all'enorme portone spalancato e dalla quale proviene la musica. Tutte le luci sono accese, dalle vetrate si intravedono le persone invitate alla finta festa di inizio "nuova collaborazione" tra Harrison e Ford.
Le mani mi sudano. Le stringo prima di lasciare che Bosh mi aiuti ad uscire dall'auto. I tacchi toccano il tappeto rosso che raggiunge l'entrata.
«Buona serata, signorina e buona fortuna.»
«Grazie. Ne avrò bisogno.»
Ho sempre dato del tu a Bosh, trattandolo come un membro della famiglia, anche se lui si ostina a darmi del lei, a trattarmi come se fossi superiore. Ma non sono niente. Lui però c'è sempre stato per me. È come uno zio e ho apprezzato il suo tentativo di aiutarmi.
Prendo fiato e avanzo salendo i gradini. Mi volto e lui mi fa cenno di andare.
Trovo un piccolo atrio e poi delle scale a chiocciola che conducono al piano inferiore. Due uomini all'entrata, riconoscendomi, mi fanno un breve cenno del capo indicandomi la strada.
Scendo piano i gradini mentre sento risuonare un violino in una musica struggente e meravigliosa.
C'è la giusta atmosfera, mi dico continuando a darmi forza.
Sento dei bisbigli, qualcuno smette di parlare per guardarmi dall'alto in basso quando sono a pochi passi dalla sala. Gli occhi dei presenti mi si posano addosso e vorrei tanto non avere mai messo piede qui dentro, tantomeno avere accettato l'ordine di mia madre di andare a quel funerale, rivedendo così Hunter e la sua famiglia. Ma probabilmente tutto questo sarebbe accaduto lo stesso. Dal principio ho come il sospetto che i miei lo sapevano. Ecco perché mia madre mi ha chiesto di andare a quel funerale parlando di affari. Voleva anticiparmi qualcosa.
Al centro dell'ampia e bellissima sala, in fondo, vi è una sorta di gazebo costruito su un piccolo palco dalla quale si accede tramite tre gradini. Statue d'oro che si intrecciano ad albero fanno da colonne alla cupola di rami intrecciati, luci simili a lucciole e fiori creano una bellissima atmosfera romantica.
Alla mia sinistra, un servizio di catering, i tavoli colmi di persone, tutte ben vestite e sorridenti in maniera plastica.
C'è odore di cibo, di profumi mischiati. Alla destra la sala da ballo con l'orchestra da un lato a suonare tutto quello che viene richiesto. E poi c'è lui. Lui che spunta da una colonna nel suo smoking elegante nero con la camicia bianca, il gilet scudo, il papillon stretto al collo. Si avvicina a passo deciso.
Dovrebbe accorgersi del mio sguardo, di come lo vedo davvero mentre provo ad odiarlo quel tanto che basta, almeno un po', per non illudere quel pezzo di cuore che non ha più smesso di battere da quando l'ho incontrato.
La vera trappola sta in quegli sguardi che lasciano senza fiato in mezzo alla gente. Perché ci sono occhi che ti soffocano mentre ti ritrovi in giro, circondata dalle persone, dal caos. Occhi che non lasciano scampo. Che ti tramortiscono e ti trascinano via come onde del mare calmo. I suoi, mi intrappolano, mi fanno sentire strana dentro.
Scendo l'ultimo gradino e solleva la mia mano posandovi un bacio.
Non riesco però a sorridere. Non riesco a prenderlo in giro per il gesto galante che non gli si addice di certo. Quello che riesco a fare è guardarmi intorno smarrita, spaventata, come uno scoiattolo dopo avere sentito un rumore. Cerco subito una via di fuga e noto che da una finestra si accede ad un balcone e poi al giardino. È lì che mi dirigerò per stare tranquilla quando tutto questo sarà finito e dovrò ammettere la sconfitta.
«Ciao», mi saluta, incurante della mia crisi interiore.
Non ci vediamo da due giorni ed è stato un gran sollievo stargli lontana. Mi ha permesso di pensare, di escogitare un piano, di capire.
Adesso, però, che fissa come se mi vedesse per la prima volta, rende tutto difficile, frantuma ogni mia certezza.
«Ciao», rispondo evitando di guardarlo negli occhi.
«Ti stavamo aspettando. Qualcuno stava anche iniziando ad avanzare l'idea che fossi scappata chissà dove.»
«L'ho fatto. Per qualche minuto, ma l'ho fatto.»
Non lo nego di certo. Come potrei farlo?
Annuisce poi sorridendomi e posandomi la mano calda come fuoco sulla schiena, mi porta verso la zona bar passandomi un calice di vino rosso.
Non ho intenzione di ubriacarmi. Voglio essere sobria, attenta e lucida. Voglio ricordare ogni minuto e istante di questo attimo. Voglio ricordarmi ogni sensazione negativa per non scendere mai più a patti con nessuno, soprattutto con il diavolo in persona. Voglio arrivare alla fine di questi sei mesi che ho davanti e esplodere, vendicarmi.
Mi limito a tenere il calice in mano. Annuso il vino e guardo intorno l'enorme sfarzo, le persone che continuano ad osservarci con grande curiosità.
«Ti piace?»
«Eccessivo», replico posando il bicchiere.
Hunter se ne accorge. Si accorge che qualcosa non va in me. «Non bevi?»
«No. Non mi va. Adesso vado a salutare tua nonna, continua a farmi dei cenni strani e non vorrei passare per maleducata.»
Lo lascio come un ebete e a spalle alzate raggiungo la signora Hill. Con la coda dell'occhio vedo che viene affiancato da alcuni ragazzi con cui parla. C'è anche Issac tra loro e mi sta indicando.
«Buona sera», saluto la signora Hill, stringendole la mano quando la solleva come se fosse il papa. Però fa qualcosa che non mi aspetto: si alza e mi abbraccia forte con un ampio sorriso.
«Tesoro, sei bellissima. Ma guardati. Sembri una sposa. Gertrud, non è meravigliosa?»
Gertrud, distratta da una conversazione con una donna, si volta e, non appena mi vede, si avvicina con un ampio sorriso e, anche lei mi abbraccia.
«Buon Dio, sei dinamite per tutti questi uomini. Si, si, davvero uno spettacolo per gli occhi dei presenti e uno sfregio per le donne vecchie che dovranno vederti per tutta la sera al centro dell'attenzione. Ci sarà da divertirsi, soprattutto sarà bello vedere come mio nipote riuscirà a trattenersi. Sei bellissima, Iris.»
Mi sento a disagio. Non mi aspettavo tutti questi complimenti e la loro attenzione. Soprattutto non mi aspettavo il loro affetto. Lo sento forte nei miei confronti e non mi piace questo legame che sembra essersi formato senza la mia volontà; perché sarà più difficile lasciarle andare quando sarà tutto finito.
«Saranno solo pochi minuti. Non ruberò a nessuno la scena.»
Le due non sembrano del mio stesso parere. «Non ci riuscirebbe neanche Hunter con te qui nei paraggi.»
Iniziano poi a parlare e io mi sposto a guardare nella zona ballo dove dei vecchietti si stanno divertendo in una danza che è un mix tra un tango e una serie epilettica di passi confusi. Ma ridono e si divertono.
Sospiro.
«Perché sei così triste?»
Sussulto. La pelle mi si solleva. Mi volto e lui è lì a guardarmi.
Hunter attrae il mio sguardo quasi fosse un magnete. Senza controllo mi attira a sé e non mi dà alcuno scampo. Lui mi raggiunge e io non riesco più a spostarmi, non riesco più a staccarmi dalle sue iridi che si agganciano alle mie con una forza devastante. Lui arriva e io, io non vedo nient'altro. Ci siamo solo noi due.
E mi fa rabbia con quanta facilità riesce a bloccarmi, a farmi sentire così debole dentro, debole di cuore. Un cuore che ho sempre cercato di proteggere. Perché non ho costruito muri solo per allontanare le persone e tenere così il mio cuore al sicuro. Ho costruito muri per sorreggermi quando poi le persone se ne vanno. Perché in un modo o in un altro, le persone se ne vanno. Forse è questo che mi spaventa, che Hunter possa andare via dalla mia vita in un attimo.
«Sai perché», replico pronta a superarlo.
Mi ferma per un braccio e mi fa indietreggiare fino a raggiungere il centro della pista senza darmi scampo. Posa la mano sul mio fianco destro dopo avere portato la mia sulla sua spalla, stringe poi la mia mano sinistra nella sua.
Balliamo senza dire niente. Siamo in sincrono con la musica che cambia. Non credo ci sia molto da aggiungere in un momento del genere. Mi stanno obbligando a fare qualcosa che non voglio e, alla fine in un modo o nell'altro sarò in trappola, mi farò male.
«Ti va di appartarci da qualche parte dopo?»
«Ho un impegno.»
Non mostra alcune emozione. Ma io noto come sulla sua palpebra gli si è appena formata una ruga che trema.
Stringe di più la mano sulla mia schiena avvicinandomi a sé. Si ferma e ci guardiamo negli occhi. Si abbassa e io sfuggo dalla sua presa, mi volto e rimango spiazzata.
«Un ballo a tuo fratello puoi concederlo», replica Max con un ampio sorriso. Mi guardo in giro per vedere se con lui ci sono anche Austin e Steven ma è solo.
Il mio cuore sta sussultando e non solo per la bellissima sorpresa ma anche per la sensazione di benessere che mi genera vederlo.
Corro da lui senza aspettare e gli salto addosso stringendolo, fregandomene di quello che potrebbe pensare la gente. Lui è mio fratello ed io lo amo alla follia.
«Solo uno?»
«Mi sei mancata», sussurra sulla mia spalla. «Tanto, piccola peste.»
Sorrido come una stupida continuando a guardarlo ancora incredula e felice di avere almeno lui accanto in questo giorno difficile. Mi viene da piangere ma non lo faccio, accumulo tutto per la mia vendetta.
Iniziamo a ballare e non riesco a smettere di toccargli il viso, le spalle, di sorridere seppur tristemente.
Max è un ragazzo dall'aspetto ordinario ed è il secondogenito di casa Harrison. Capelli castani come mio padre, fisico da atleta olimpionico e classicità nei lineamenti che risultano delicati. Niente di straordinario ma ai miei occhi tutta la bellezza del mondo, il mio mondo.
Non ci vediamo da due mesi e adesso eccolo. Un po' di barba curata, occhi chiari come i miei e troppo gay per stare con una delle ragazze presenti in sala e che, stanno già tentando di accaparrarselo con la bava alla bocca.
«Come stai?»
«Bene. A te non lo chiedo neanche perché so già che mentiresti. Ti dico solo che sembri tanto infelice. Tranne adesso che ci sono io.»
Annuisco. «Allora... hai incontrato qualcuno? Conoscerò finalmente la ragione delle tue fughe improvvise?»
Allarga un po' la cravatta. «Direi di sì. Sei ancora l'unica che sa di me e non voglio che mamma o peggio che papà lo scopra così. Devo prepararmi un po' e preparare anche loro al colpo che distruggerà ogni loro trovata per farmi accasare con una di quelle galline. Hai visto che vestiti? Tu invece sei come una voce fuori dal coro. È stata mamma a scegliere il bianco?»
La guarda male e io rido abbracciandolo. «Dio, quanto mi sei mancato!»
Mi pizzica una guancia. «Anche tu, piccolina. Sei un po' magra e pallida.»
Con la coda dell'occhio nota lo sguardo di Hunter. Non ha smesso di guardarci, di seguirci.
«Allora è lui il bel bocconcino su cui i nostri genitori stanno tentando di affondare gli artigli», ghigna. «È davvero bello. Peccato che sia etero fino al midollo. È nota a tutti la sua serie disastrosa di conquiste, se ti stai chiedendo come lo so.»
Rido. «Vedo che hai fatto i compiti a casa.»
«Non permetterò che mia sorella soffra.»
Mi rattristo. «Succederà lo stesso.»
«Posso parlare con mamma e papà, farli ragionare...»
Nego. «È inutile. Tanto vale vendere la propria figlia per avere un posto in alto nella società. Finirò sotto un ponte o annegata imbottita di psicofarmaci nel giro di qualche mese.»
Ride. «Lanciata da una scogliera no?»
Veniamo interrotti da Hunter che schiarendosi la voce ci costringe a voltarci.
«Non ci conosciamo ancora perché non abbiamo mai avuto occasione, sono Hunter», dice porgendo la mano a mio fratello.
Max non sembra affatto gay. Non è vistoso, non ama mettersi in mostra o urlarlo al mondo intero, non camuffa la voce quando parla e si comporta come un uomo d'affari a tutti gli effetti. A volte mette paura il suo sguardo. Soprattutto adesso che sta fissando male Hunter. È molto geloso della sua unica sorellina, un po' come gli altri miei due fratelli che, stasera non sono presenti. Mi mancano tanto anche loro. Siamo sempre stati insieme e uniti. Ma da quando me ne sono andata, ci siamo un po' persi.
Max non si muove, non stringe la mano a Hunter. Fa solo un passo avanti. Un unico passo avanti e da questo comprendo prima ancora delle sue parole, quello che pensa.
«Tocca mia sorella senza la sua volontà e ti taglio le mani e te le appendo al collo. Non siamo amici e non lo saremo mai. Anche se porti bene lo smoking, questo non fa di te un uomo che merita il mio rispetto o la mia attenzione, soprattutto mia sorella.»
Detto ciò lo supera e voltandosi mima: "è un figo da paura!".
Impongo a me stessa di non ridere o di alzare gli occhi al cielo e stringo le dita dietro la schiena preparandomi ad una reazione da parte del ragazzo che segue attento con occhi pieni di sorpresa, mio fratello.
«Mi odia», esclama con una smorfia. «Mi ha anche fatto un complimento quindi deduco mi apprezzi anche. Ma toglimi un dubbio... tuo fratello è gay?»
«Da cosa lo hai capito?», spalanco gli occhi.
Sorride. «Fa paura ed è molto protettivo ma quel complimento sullo smoking lo ha tradito. Dovrebbe fare più attenzione. Potrei anche presentargli qualche mio amico, per seppellire l'ascia di guerra.»
«I miei non lo sanno, neanche i miei fratelli. Quindi non dirlo in giro.»
Annuisce. «Va bene. Non lo dirò a nessuno ma tu dirai a me che ti succede?»
«Non mi succede niente.»
Storce le labbra. «Non sai mentire.»
«Non sto mentendo, non mi succede niente.»
Provo a superarlo e mi ferma per un braccio. Mi fissa negli occhi. Scosto la sua mano con delicatezza dalla mia pelle che si rizza ad ogni suo tocco improvviso.
«Mi sto annoiando quando iniziamo questa farsa?»
Si irrigidisce. «Tra poco. E non è una farsa per me.»
Liscia la giacca e lasciandomi andare riesco a raggiungere di nuovo mio fratello che, mi abbraccia.
«Ti dà problemi?»
Lo porto in pista. Ho bisogno di ballare e scaricare un po' della tensione che ho accumulato.
«Sa che sei gay. Devi dirlo ai nostri genitori e ai nostri fratelli prima che la gente lo venga a sapere.»
«Piccola, sai che non è facile.»
Massaggio le sue spalle. «Sanno che non stai più a casa e non hai accettato gli inviti delle figlie delle amiche di mamma perché c'è qualcosa. Sospettano anche i nostri fratelli, più dei nostri genitori. Da piccolo preferivi giocare con me che sporcarti di fango con loro.»
Ride. «Mi piaceva fare da cavaliere alle tue Barbie.»
Premo la guancia contro il suo petto. «Mi sei mancato tanto, tanto.»
«Anche tu. Mi dispiace non essere stato accanto a te. Mamma mi ha chiamato in lacrime e mi ha raccontato quello che ti è successo con Nolan.»
«Per questo sei qui?»
«Sono il tuo valoroso cavaliere, no?»
«Ma domani sarai già andato via», mi intristisco come le prime volte in cui l'ho visto uscire di casa per poi tornare dopo settimane. Soffrivo tutte le volte e mi faceva impazzire la lontananza.
Mi accarezza una guancia. «Penso di potermi fermare per i prossimi sei mesi e farti da guardia del corpo.»
Il cuore mi batte all'impazzata. Gli occhi iniziano a pizzicare. «Faresti davvero questo per me?»
Mi stringe forte. «Non permetterò a nessuno di farti soffrire, tantomeno ai nostri genitori. So che sognavi una vita diversa da anni e adesso che c'eri quasi riuscita loro ti obbligano a fare una cosa che non dovresti solo per non distruggere la famiglia e i loro beni. Mi dispiace tanto, non oso immaginare quello che stai provando. Voglio solo esserci.»
«Ma non puoi rinunciare alle tue gite, al tuo lavoro, al tuo ragazzo per m...»
Posa due dita sulle mie labbra. «Scapperò, tranquilla. Ma ti starò accanto.»
Lo abbraccio singhiozzando. Lui mi bacia la testa. «Ti voglio bene, piccola.»
«Ti voglio bene anch'io.»
Si sente il suono acuto di un microfono. La musica si ferma e tutti gli invitati si spostano verso il gazebo.
Max mi stringe la mano e ci spostiamo anche noi mettendoci accanto ai nostri genitori.
Hunter sovrasta la scena con la sua eleganza, quel sorriso spontaneo e gli occhi che vagano ovunque. «Buona sera», saluta. «Prima di iniziare questo mio breve discorso, si, lo prometto, sarò breve, voglio ringraziare tutti voi per la presenza. Detto ciò, vi starete chiedendo quale affare sia così importante da raccogliere tutti gli amici e i soci di famiglia qui in questo locale.»
Qualcuno risponde con qualche battuta, altri ridono tenendo i calici in mano, altri sorridono e alti ancora bisbigliando tra loro.
Max mi stringe maggiormente la mano. «Riesci a resistere?»
«Ho bisogno di una sbronza, ma voglio essere sobria per poterlo rinfacciare ai nostri genitori quando tutto questo sarà finito.»
Sorride. «Un goccio ti servirà quando realizzerai di essere la fidanzata di quel bel fusto», ghigna. «Non so come farai a resistere.»
Lo spingo.
«Siamo qui perché stiamo per firmare un importante affare.»
Gli occhi di Hunter vagano per la sala sotto le luci dei riflettori. Mi cercano, mi trovano. «Tra la mia famiglia e quella degli Harrison. Per favore, Iris, sali qui sul palco insieme a me.»
Un varco mi si apre davanti. Mi sento a disagio. Lo stomaco si stringe.
«Iris...»
Guardo ovunque trattenendo il fiato. Max mi spinge leggermente dandomi forza.
Avanzo sentendomi a disagio, sul punto di scappare.
Salgo piano i tre gradini. Hunter mi porge la mano ma non accetto il suo gesto, mi posiziono accanto a lui terrorizzata.
«Io e Iris firmeremo un contratto e volevamo rendere la cosa pubblica proprio per evitare che nei prossimi mesi si creino pettegolezzi inutili su di noi. Ci vedrete insieme, spesso», fa un cenno e portano un tavolo, due sedie e al centro quel dannato testamento.
Gli invitati si sporgono per potere vedere.
Mi siedo e prendo subito la penna. Rifletto un momento. Fisso quelle scritte che si confondono ai miei occhi.
Mi volto verso la folla e vedo mio fratello chiedermi di non farlo, di pensare al mio bene e non sempre a quello degli altri.
Hunter firma senza esitazione mentre io continuo a guardare mio fratello. I miei si posizionano dietro di lui e torno a leggere il documento che ho davanti.
«Stai bene?»
Firmo quasi sul punto di mettermi ad urlare. «Si», rispondo secca alzandomi.
Hunter mi ferma prendendomi per mano. Solleva un calice mentre qualcuno me ne mette uno in mano.
Si susseguono dei flash e il panico si fa strada dentro di me.
«A questa serata, al nostro affare e alla mia nuova socia», dice alzando il calice.
Una voce si schiarisce. Albert Ford sale sul palco interrompendo tutti. Intorno non vola una mosca.
«In realtà dobbiamo spiegare meglio ai presenti quello che sta succedendo. Non è solo un contratto di lavoro quello che Hunter è Iris hanno appena firmato. Sono orgoglioso di mio figlio per avere messo la famiglia prima di ogni altra cosa e questa sera, il mio brindisi va proprio a lui e al suo fidanzamento con questa bellissima ragazza», sorride ampiamente poi voltandosi ci fa cenno di guardare verso la folla e partono dei flash. «Che possiate essere felici insieme.»
Abbraccia Hunter sussurrandogli qualcosa all'orecchio più che contento. Quando tutti applaudono mostro un sorriso forzato e quando ognuno torna ai tavoli e qualcuno degli amici si avvicina a Hunter per fargli gli auguri, mi strappo via dalla sua mano e mi dileguo, corro subito verso il bagno.
Non era previsto. Non lo era. Hunter mi ha mentito. Hanno mentito tutti. Adesso sarò davvero sotto i riflettori e non potrò più scappare.
Apro la porta, controllo che non ci sia nessuno e mi chiudo dentro. Tiro la lega del rubinetto placcato in oro lasciando uscire il getto dell'acqua freddo per bagnarmi i polsi. Inspiro ed espiro un paio di volte. Cammino avanti e indietro nel quadrato pieno di pietre incastrate a mosaico.
Qualcuno bussa e mi ricompongono. Esco fuori dal bagno senza guardare chi sta entrando e mi ritrovo circondata da una folla che sembra triplicata.
Qualcuno si avvicina per farmi gli auguri, per pormi delle domande ma a salvarmi arriva Max.
«Sei pallida. Attacco di panico?», mi porge una caramella allo zucchero.
Le porta sempre con lui. Il gesto mi fa quasi scoppiare a piangere quando capisco come devo sembrare adesso.
Prendo subito la pallina di zucchero, la scarto e la caccio in bocca spaccandola con i denti, sentendola sciogliere dentro la bocca fino a mescolarsi alla saliva che ricaccio giù sentendomi meglio.
«Mi porti a ballare?»
Non se lo fa ripetere. «Mi stai salvando da quelle ragazze. Ci provano sempre in tanti modi. L'ultima mi è venuta contro scusandosi un paio di volte, ha iniziato a blaterare ma sono stato distratto da te che uscivi in quel modo dal bagno.»
Oscilliamo sul posto e lui mi solleva il viso. «Odio vederti così.»
Gli occhi tornano ad inondarsi e vorrei piangere. «Voglio tornare a casa.»
«Usciamo?»
«Non ti dispiace?»
«Scherzi? Non vedo l'ora di scappare da qui dentro. Non è di certo il genere di festa alla quale sono abituato. Andiamo!», non se lo fa ripetere.
Proviamo a defilarci ma Hunter ci sbarra la strada. «Posso ballare con la mia socia? Devo parlare un po' con lei.»
Max nega. «Hai già costretto abbastanza mia sorella, non credi? Adesso lasciala in pace. Hai quello che volevi.»
Prendendomi per mano, Max, tenta di portarmi via ma Hunter si oppone. «Senti, so che non accetti tutto questo ma, ho bisogno di parlare con Iris. Non so se lo sapete ma dal momento in cui abbiamo firmato quel documento e mio padre ha rivelato a tutti del nostro fidanzamento, la notizia si è sparsa a macchia d'olio sui social e questo posto ha iniziato a riempirsi di curiosi e di giornalisti tra cui ci sono quelli che sanno perché mio nonno li ha pagati, insieme alle guardie che, ovunque andremo ci seguiranno.»
Max si volta e mi guarda sgomento. «I nostri genitori ti hanno fatto accettare sapendo tutto questo?»
Non mi lascia rispondere e corre verso mio padre, lo afferra per il bavero della giacca e lo trascina fuori urlandogli contro senza il minimo controllo.
Hunter mi ferma quando provo a raggiungerli. «Lasciali fare. Devo dirti ancora una cosa», mi circonda la vita con entrambe le mani.
«Che cosa vuoi ancora da me?»
«So che ci stai male.»
Nego. «No, non lo sai come mi sento. Tu sapevi tutto questo e hai permesso a tuo padre di distruggere ogni piano. Siete caduti proprio in basso. Mi avete mentito e usato. Mi fate schifo.»
Provo a staccarmi e mi tiene più vicina a sé. Mi manca il fiato e poso le mani sul suo petto opponendo resistenza.
«Non starò con te. Trova un altro modo per spiegarlo alle tue guardie o ai fotografi. Ho fatto quello che dovevo e adesso me ne vado.»
Mi trattiene ancora. I suoi occhi tentano di dirmi qualcosa. La sua mano si posa sulla mia guancia e mi avvicina. Le sue labbra sono sul mio orecchio. «Sta ferma un momento.»
«Che succede?»
Si vedono dei flash.
«Sorridi.»
Ci guardiamo. La sua mano ancora sulla mia guancia. Non riesco a sorridere ma continuo a non distogliere lo sguardo dal suo.
Questo, fino a quando qualcuno che conosco bene non si fa strada tra la folla.
Hunter, si volta seguendo i miei occhi sbarrati. Indurisce subito i lineamenti ma non è teso, sembra quasi che si aspettasse la sua comparsa e da questo comprendo: sono l'esca.
Issac ha già il telefono in mano e saetta ovunque con gli occhi, sta sorridendo.
Nolan avanza verso di noi. Hunter gli si avvicina stringendo i pugni in vita.
Noto le due guardie e qualche invitato osservarci.
Mi fiondo davanti a lui. Non può succedere qui dentro. Nolan si ferma. «Non qui. Sei più furbo di così», gli dico e lo trascino fuori, in giardino, con nonchalance.
Hunter prova a fermarmi ma gli faccio cenno di no, di fidarsi di me. Non lo pugnalerò alle spalle come lui e le nostre famiglie hanno fatto con me.
Io e Nolan ci fermiamo tenendoci ben nascosti dalla folla e dai giornalisti che non hanno accesso al giardino e ci guardiamo intorno per qualche istante.
Infine mi appoggio al balcone fatto di colonne di gesso per reggermi in piedi.
«Che ci fai qui?»
«Sono qui per te.»
«Qualche ora fa non eri a casa mia per me ma per distruggere tutto», scoppio in lacrime. Non ce la faccio più. «Hai rovinato il mio lavoro. Hai distrutto quello a cui tengo e mi hai minacciata senza neanche soffermarti un momento, uno solo a pensare. Tu non hai idea di quello che sto passando e il fatto che tu sia qui, mi fa rabbia e complica tutto.»
Si avvicina e nego scrollando ripetutamente la testa. «Non puoi toccarmi o ti faranno male. Questo posto è pieno di guardie.»
«Me ne fotto delle guardie. Che mi ammazzino pure!»
Gonfio il petto. «Non puoi toccarmi perché è finita tra di noi e perché sono fidanzata con un altro adesso.»
Dilata le narici. «Eri seria...», mormora.
Mantengo il sangue freddo anche se vorrei tanto fare una brutta scenata.
«Nolan, tra di noi ci sono cose che non vanno. Lo sai anche tu. Sai che non è amore il nostro. E quello che hai fatto... come hai potuto?»
Mi schiaccia contro la superficie tenendo i palmi ai lati dei miei fianchi. «Non l'ho fatto per te. Sai che non ti farei mai del male. L'ho fatto per quel grandissimo bastardo, volevo mandargli un messaggio.»
Lo guardo come se mi avesse colpita un'altra volta e lo spingo con rabbia riuscendo a farlo barcollare indietro. «Me ne hai fatto, pure tanto. Lo schiaffo, le minacce, la mia casa distrutta, l'esplosione che avresti potuto provocare con la fuga di gas. Potevo essere dentro casa, mi avresti uccisa. E vogliamo parlare di tutto il resto? Davvero non te ne accorgi? Sei davvero così tanto impegnato a vendicarti o a escogitare piani da non renderti conto del male che mi stai facendo? È vero che mi sei stato accanto, ma non ho mai smesso di ringraziarti per questo e non puoi più fare leva sui miei sentimenti perché io non ti amo.»
Inumidisce le labbra. «Lo so che ho sbagliato, ok? Mi dispiace. Ho reagito impulsivamente e non ho pensato al male che ti avrei fatto. Perdonami per questo, cercherò di rimediare. Io...»
Singhiozzo e mi abbraccia ma mi scanso. «No, non puoi più rimediare. Non puoi farlo. Sapevi quanto impegno ci stavo mettendo per quel progetto e hai distrutto tutto. Sapevi che non mi piace quando ti arrabbi per delle cose inutili e mi hai fatto comunque male.»
Mi stringe al petto e picchio i pugni allontanandolo ancora una volta da me.
«Credi che io sia così stupido da venire qui se non mi importasse di te, del tuo lavoro e di tutto il resto?»
Scuoto la testa. «Non conta. L'hai fatto. In quel momento eri lucido e avevi due opzioni. Tu hai scelto la via più semplice. Dobbiamo smettere di farci male. Apprezzo che sei qui a chiedere scusa ma non aggiusterà niente tra di noi. Non ci farà tornare insieme.»
I suoi occhi si induriscono. «Lo stai dicendo perché adesso sei fidanzata con quello stronzo!»
«No. Lo sto dicendo perché da tempo tra di noi non andava più bene. Adesso ti prego, va via da qui.»
Singhiozzo.
Corruga la fronte. «Perché piangi? Tu non lo fai mai. Dimmi che succede?»
Ho notato tutte quelle guardie pronte ad arrestarlo, a fargli male. Nolan in questo momento è un bersaglio da eliminare.
Il mio cuore inizia a battere forte, fortissimo quando noto le pistole puntate addosso a lui. Lo abbraccio e vedo Hunter farmi cenno di distrarlo ancora un po'. Mi sento una traditrice.
«Perché voglio che non ci lasciamo in questo modo così brusco. Ma voglio che sia una cosa tranquilla. Sappi che ci tengo a te, sei stato importante per me.»
Mi stringe. «Vuoi davvero lasciarmi?»
«Non possiamo più stare insieme, Nolan. Troverai la ragazza che fa per te.»
Chiude gli occhi premendo la fronte contro la mia.
Tremo.
«Iris... io ti amo. Sappi che non mi arrendo. Non mi interessa se i tuoi ti hanno costretta a metterti con quello. Io non rinuncio a te. Farò il possibile per rovinare tutto.»
«Non combinerai più guai.»
Non capisce e non ha neanche il tempo di replicare perché viene afferrato e braccato, ammanettato e trascinato via mentre minaccia a squarcia gola Hunter.
Scivolo a terra quando le mie ginocchia tremano a tal punto da non reggere più il mio peso. Singhiozzo come una bambina fregandomene di chi potrebbe vedermi in questo stato.
Quando Hunter tenta di tirarmi su e di abbracciarmi scrollo via le sue mani con rabbia. «Non toccarmi!», urlo. «È tutta colpa tua. Vattene al diavolo e lasciami in pace.»

♥️

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