15
IRIS
Sono diventata forte perché a furia di essere deboli ci si stanca e si perdono molte occasioni, forse anche le persone per cui vale la pena lottare. Ho iniziato a sostituire con un sorriso tutta la tristezza che spesso rischia di rovinare tutto. Ho tenuto per me le parole nonostante il caos dentro. Ho iniziato a non distogliere lo sguardo, a correre il rischio di farmi leggere dentro. Sono diventata forte per proteggermi, ma adesso tutto si è capovolto e mi ritrovo a precipitare senza paracadute, senza un piano di evacuazione o di emergenza.
E adesso non devo solo far fronte ai problemi con Nolan, che è come impazzito dalla gelosia a tal punto da distruggermi la casa e da provocare una possibile esplosione, per fortuna sventata. Devo anche tenere a freno ogni istinto del ragazzo che è piombato nella mia vita e che, rischia di combinare un putiferio di dimensioni incredibili.
Hunter non sta solo portando scompiglio nella mia vita, sta minando la mia sanità mentale con le sue strane trovate, con i suoi gesti impulsivi e con quello sguardo che continua ad ammazzarmi tutte le volte che lo vedo. Mi provoca, mi avvicina e poi mi allontana creando una distanza che non riusciamo proprio a mantenere, perché si riduce in un attimo. Siamo come due calamite. Io il ferro e lui il magnete. Non riusciamo proprio a non avvicinarci o ad ignorarci.
Lui dice che ho paura delle relazioni e ancora peggio di un fidanzamento combinato da un vecchio morto con il culo al vento. Non ha poi così torto, ma la verità è che non mi fido. Non riesco a farlo nonostante tutto. Questo succede perché mi hanno piantato nel petto troppi pugnali. Ogni colpo mi è stato inflitto da chi credevo provasse amore nei miei confronti, almeno un briciolo. Ma era solo illusione la mia. Lo è sempre stata.
A volte si ha bisogno di avere una persona accanto che non abbia pretese. Si ha bisogno di una spalla, di un sorriso sincero, di una mano tesa e pronta ad afferrare la tua. Si ha bisogno di un abbraccio non chiesto. Abbiamo bisogno di non chiedere amore ma finiamo quasi sempre per elemosinare le briciole di un sentimento vasto e potente.
Le parole di Hunter mi piombano addosso come un dardo e mi aprono in due il petto.
"Scommetti che ti faccio innamorare?". Continua in un loop continuo a ripetersi questa domanda dentro la mia testa. È come un pugno allo stomaco, un colpo secco alla testa. Mi fa ripensare a qualcosa la parola "Scommetti" e in breve, piombo nello sconforto e inizio ad agitarmi perché non posso e non voglio mostrarmi fragile. Non posso e non voglio pensare proprio adesso a Ellen.
Sento la disperazione e poi la nausea mescolarsi dentro prima del terribile senso di vuoto. Poi mi raggiunge quell'umore nero, nero come la pece, così famigliare da farmi sentire come un sacco privo di contenuto.
Io ci provo. Provo a guardare avanti, anche se ho lasciato un pezzo di cuore indietro. Ma è difficile. Mi sento soffocare. Sto vivendo in perenne lotta con me stessa. Sto combattendo con il cervello tra le nuvole, con il cuore sparpagliato come polvere nel vento.
Lo so che è dura quando si cade. So che è dura quando ci si sbuccia le ginocchia contro le pietre quando si tocca il fondo e non si può più risalire in superficie. Lo so. Ma so anche, che bisogna darsi la spinta per tornare a respirare. E io voglio farlo. Lo voglio con tutto il cuore.
Hunter attende una mia reazione. L'unica cosa che voglio attualmente è una boccata d'aria fresca.
«Ho bisogno di uscire», scappo dalla sua presa, recupero la borsetta che trovo appesa per la catenella all'attaccapanni posto all'entrata, ed esco in fretta dall'appartamento che profuma troppo di lui. Un odore che inizio ad associare e ad apprezzare, molto. Un odore che inizio a credere mio.
«Iris», mi chiama un paio di volte.
Non rispondo. Sono già dentro l'ascensore quando i suoi passi rimbombano nel corridoio del pianerottolo e le porte scorrevoli si stanno chiudendo più in fretta rispetto al solito. Per fortuna non riesce a raggiungerle in tempo e io mi appoggio alla parete piena di pannelli a specchio cercando di non guardarmi, di non fissare il mio orribile aspetto simile a quello di una sotto effetto di sostanze. Con un enorme sospiro lascio uscire il fiato, pur non cantando vittoria.
Stringo la tracolla della borsetta mantenendo il controllo di ogni mia emozione. Non posso crollare. Non di nuovo. Devo essere forte. Devo farmi valere, mi dico. Soprattutto non devo ripensare al passato.
Anche se Ellen mi manca molto e da anni ormai vivo con il senso di colpa per essere stata cattiva con lei, per non avere capito le sue ragioni, adesso non posso impantanarmi in alcun modo perché ho altro da gestire.
Dentro l'abitacolo dalla forma quadrata che profuma tanto di spray alla vaniglia e moquette, non c'è nessuno. Ho modo di riprendermi quel tanto che basta per drizzare le spalle. Quando poi le porte si aprono, esco fuori dall'ascensore e mi fiondo verso le porte spalancate del palazzo immettendomi in strada, camminando sul marciapiede largo costellato da alberi, panchine e zone adibite ai corridori oltre una fila di siepi. Osservo le sfilza di ville e palazzi in cui abita la gente ricca, quasi sicuramente impegnata ad organizzare chissà quale trovata pubblicitaria per ampliare fama e conoscenze. Soprattutto a godersi la giornata calda e l'inizio della serata.
Evito di spostarmi più a sud, dove la spiaggia conduce alla mia villa e mi fermo prima di intravedere il mio quartiere.
Mi manca. Non posso negarlo. Avrei preferito svegliarmi tra le mie coperte e non sul divano di un ragazzo che conosco appena.
Tolgo le scarpe, e mi avvicino alla riva dopo avere superato la schiera di ombrelloni, teli, castelli di sabbia, bambini e persone, spostandomi in una zona più tranquilla in cui posso finalmente riflettere e stare un po' da sola.
Quando sento di essere abbastanza lontana e trovo una sorta di isolotto libero, con l'acqua incontaminata, cristallina e la tranquillità, giro un momento intorno e mi siedo portando le ginocchia al petto. Sospiro ammirando le onde che raggiungono la spiaggia in un via vai lento, calmo.
Nel cielo qualche aeroplano, gli uccelli a spostarsi da una parte all'altra cinguettando allegramente e qualche gabbiano impegnato alla ricerca di cibo. Poi ancora alcuni ragazzi che, si divertono in lontananza a fare dei tuffi da uno scivolo impiantato su uno yacht.
Un ragazzo che sta giocando con i suoi amici, approfittando del momento per recuperare la palla volata in acqua, dopo averla recuperata, si avvicina.
Capelli color oro, occhi castani grandi, fisico da surfista abbronzato, mi sorride.
«Ciao», mi saluta, facendo girare la palla sul dito proprio come un giocatore di basket, credendo di potermi impressionare.
Abbozzo un sorriso pur controvoglia. Non avevo calcolato questo dettaglio: che avrei potuto incontrare qualcuno.
«Ciao.»
«Quando ti ho vista mi sono chiesto come mai una ragazza così bella fosse qui tutta sola. Se ti va puoi unirti a noi. Ti avverto però, facciamo baccano», continua a fissarmi e in un attimo penso a Nolan. Lui mi guardava così, con malizia, nascondendo qualcosa come... l'ossessione nei miei confronti?
Deglutisco a fatica. No, non posso davvero farmi queste paranoie mentre sono sola e ci sono un gruppo di ragazzi che osservano la scena, valutando se poterne trarre un qualche beneficio.
Provo a rispondere ma una voce interrompe la conversazione tra me e lo sconosciuto che, quasi sicuramente, avrebbe preferito parlare con me e non con l'uomo che sta avanzando a passo sicuro e con uno sguardo paragonabile a quello di un falco.
Non lo ammetterò mai ad alta voce ma sono grata della sua tempestiva presenza. Ora come ora non saprei come gestire la situazione.
Hunter non lo sta intimidendo, lo sta allontanando da me e schiacciando come se fosse un niente con la sola forza di uno sguardo carico di astio. Come un lupo pronto a difendere il proprio cucciolo.
Fa paura la sua forza. Eppure mi attrae proprio per questo. Perché non si nasconde, non ha filtri. Non ha neanche bisogno di fingere di essere un'altra persona. Lui è così. È un insieme di cose che formano un quadro unico e complesso.
«Non è sola. Sparisci prima che ti faccia ingoiare quella palla e ti tagli le altre due.»
Il ragazzo mi scocca un'occhiata come se volesse assicurarsi che io stia bene e lo conosca, e indietreggiando lentamente, molto, torna dai suoi amici più che turbato, ordinando loro di spostarsi altrove.
Hunter si siede accanto a me senza dire niente in un primo momento. Rigira qualcosa in mano. Una piccola pietra nera con delle striature bianche.
Torno a fissare le onde e ad ignorare la voglia di alzarmi e andarmene. Ho bisogno di stare sola ma lui non sembra capire. Non accetta mai la mia volontà.
Dovrei essere arrabbiata con lui, per l'invadenza, ma non lo sono.
«Che cosa pensavi di fare? Scappare e poi?», alza il tono della voce. Quel suono in grado di farmi tremare il cuore che, con un sussulto inizia a battere in fretta.
Sollevo un po' le spalle. «Voglio stare un po' da sola.»
«Hai paura e lo capisco ma non puoi tenermi a distanza se provi attrazione. Non c'è niente di male in questo. È una cosa normale. Non devi imbarazzarti.»
Massaggio la tempia prima di abbracciarmi. Un gesto che faccio come se volessi proteggermi quando mi sento esposta. In realtà sto sentendo freddo.
«Il fatto che io sia attratta non conta davanti all'evidenza. Non siamo compatibili, siamo diversi e tu non puoi davvero pensare che io sia così stupida da lasciarmi legare facilmente dopo avere sentito due semplici parole o farmi infilare un anello al dito, fingendo di essere felice mentre sto in pena per la mia vita che nel corso di poche ore è andata a puttane. Io... ho troppe cose a cui pensare e non ho tempo per certe cose.»
Le parole sfuggono ed escono diverse rispetto a quelle che vorrei pronunciare. Ma il concetto di fondo è quello.
«Sto seriamente pensando che ci sia qualcosa: i pianeti che collidono, le stelle che cadono, tutto mi rema contro da quando ho incrociato la tua strada. C'è qualcosa che non va. Penso di avere incontrato la sfortuna e adesso non riuscirò più a liberarmene.»
Ride, tenendosi sulle braccia con le gambe tese e incrociate. Ammira il panorama, la linea netta a molta distanza dalla spiaggia che segna quel confine tra acqua e aria. «Hai una fervida immaginazione. Ammesso e concesso che sia come dici, perché i pianeti, le stelle o una sorta di punizione dall'alto, stanno continuando a metterci insieme? Io non sono la sfortuna. Non esiste neanche.»
Il destino è una macchina spietata per il cuore. Ogni decisione dettata dalla mente si trasforma spesso in qualcosa di complicato e incomprensibile. Nella nostra situazione invece, credo ci siano forze ben più grandi messe all'opera, in grado di spingerci l'uno sulla vita dell'altra generando il caos.
«Perché il destino è crudele. Mescola le sue carte prima di sferrare la sua mossa, quella che alla fine fa perdere tutto.»
Gira il viso, mi guarda per un lungo istante mentre un venticello caldo fa muovere i miei capelli. «Rispondi sincera: se fossi uno qualunque, mi guarderesti come mi guardi dal primo istante?»
Inarco un sopracciglio. «Come ti guardo?»
«Il tuo non è odio, Iris. L'odio è un'altra cosa. Tu mi guardi come se riuscissi a vedere qualcosa di diverso in me, qualcosa che solo i tuoi occhi attenti riescono a notare e ad ammirare. Io non sono solo uno stronzo per te. In qualche modo mi trovi curioso, divertente, spontaneo, diretto, impertinente e anche dolce. Ti sei fatta la tua opinione andando oltre quello che pensa la gente. Te ne sei fregata dei pregiudizi. Mi guardi perché mi vedi davvero per quello che sono e non per la maschera che porto. Ma non so se mi guarderesti allo stesso modo se non fossi Hunter Ford.»
Sono sbalordita. Pensa queste cose? Pensa che non mi accorgerei di lui ma che l'ho fatto solo per il nome che porta?
«Adesso rispondi, toglimi questo dubbio: mi vedresti allo stesso modo?»
Sulle guance sento il calore della furia che continua ad accumularsi dentro e che, acquieto in fretta.
«Anche se non fossi miliardario, con quell'accento arrogante e quei vestiti costosi addosso, probabilmente ti vedrei lo stesso perché sei come dire... vistoso.»
Solleva l'angolo del labbro apprezzando la mia battuta finale. «Quindi è un si?»
«Si. A tuo modo sei interessante.»
Appare soddisfatto. «Quindi potrei anche indossare una tuta o camminare nudo e tu ti accorgeresti di me lo stesso?»
Rido dandogli una spallata. «Non esageriamo adesso. In ogni caso saresti come una statua in un grande museo, direi l'attrazione principale. Adesso sono curiosa di vederti con una tuta addosso.»
Hunter passa la mano tra i capelli. Sono tagliati corti ai lati, in una sfumatura che mette in risalto il suo viso spietato e attraente. C'è qualcosa nei suoi occhi, una scintilla. «Anch'io mi sarei accorto di te in ogni caso. E stai bene anche senza niente addosso.»
Nascondo il viso tra le mani contro le ginocchia. Lui me lo solleva con due dita che tiene sotto il mio mento facendo pressione, trasmettendomi il suo calore. «Non imbarazzarti.»
Scaccio la sua mano. «Non avresti dovuto entrare in bagno quella sera.»
Si sporge. «Adesso mi hai fatto pensare al tuo corpo slanciato...», inspira trasognante abbassando gli occhi sulla scollatura. «Proprio una bella visione.»
Lo spingo e mi circonda con un braccio intorno alla schiena avvicinandomi a sé. «Siamo una bella coppia, Iris. Perché mi rifiuti?»
Picchio l'indice sul suo petto percependo a tratti il suo cuore che batte forte. Vorrei premere la mano sul suo petto e ascoltarlo per ore, perdermi in quei battiti consecutivi, ritmici, forti.
«Perché continui a provarci?»
Si lamenta come un bambino sul punto di fare i capricci. «Mi stai rendendo tutto più difficile.»
«Non ti ho chiesto io di seguirmi, di fare a botte per me, di proteggermi...»
Ferma la mia mano portandola sulla sua spalla poi posa la sua sulla mia guancia.
«Dammi una possibilità, solo una. Ti prometto che non te ne pentirai. Vedrai, che sarà come andare a Disneyland per la prima volta.»
Lo guardo male e lui mi sorride speranzoso, poi come un cucciolo dolce. «Dimmi che cosa devo fare per convincerti e lo farò.»
Tengo i denti sul labbro nascondendo un sorriso. Decido di metterlo alla prova. «Spogliati e tuffati», lo provoco.
Guarda la spiaggia poi ancora me mentre mi avvicina al suo viso. «Vuoi davvero che lo faccia?»
Voglio che lo faccia? Certo. E le conseguenze? A quelle forse penserò dopo.
«Si», sollevo il mento.
Si alza e tenendomi per mano, guardandosi intorno un paio di volte, mi porta più in là della spiaggia, in una parte totalmente isolata e silenziosa. Qui, strizzandomi l'occhio inizia a spogliarsi davanti a me in modo naturale e sensuale guardandomi con sfida. «Mi spoglio e mi tuffo se fai un bagno con me.»
«Hai detto che devo dirti quello che devi fare per convincermi e non...»
«E vuoi che mi diverta da solo? Andiamo, condividi con me questo momento e sentiti soddisfatta per avermi sfidato. Per avere chiesto a Hunter Ford di spogliarsi ed esserci riuscita senza finirci a letto.»
«Oh, oh, chi abbiamo qui?»
Sporgendosi mi posa un bacio sulla guancia e voltandosi, guardandomi intensamente, indietreggia facendomi cenno di raggiungerlo.
La guancia mi brucia e pizzica. Sul basso ventre continua a depositarsi la tensione mentre dentro lo stomaco ho uno sfarfallio più che piacevole.
Evitando di osservarlo, di ammirare le sue forme scolpite, mi alzo più che rossa in viso.
«Girati.»
«Ho già visto tutto e mi è anche piaciuto», borbotta. «Non puoi privarmene proprio adesso che è gratis.»
Mi sfilo la maglietta dandogli le spalle e poi i pantaloncini. Lego i capelli e mi avvicino a lui.
Mi aspetta con le mani sui fianchi. Lo spingo e sorride. «Sai che a breve cadremo in acqua?»
Annuisco. «Già, a quanto pare però tu sarai il primo.»
Provo a spingerlo ancora ma tenendomi per le braccia e stringendomi si lascia cadere indietro e in poco tempo siamo in acqua.
L'impatto non è dei migliori, nonostante l'acqua non sia fredda. Riemergo e per istinto mi aggrappo a lui, specie quando sento le sue dita sollevarmi per i fianchi. Allaccio le gambe dietro la sua schiena e ci guardiamo.
I miei occhi scorrono dalla sua fronte al naso, alle labbra circondate da una soffice barba. Toglie delle gocce dalle mie ciglia e la sua carezza si prolunga sulla mia guancia. Le mie dita invece gli tolgono i capelli dalla fronte e i suoi occhi si chiudono.
Il mio respiro cambia. Anche il suo cambia. Segue un momento di silenzio e tensione più che distruttivo.
Inspira di scatto premendo la fronte contro la mia, muovendo la testa in un lento "no".
«Sto impazzendo, Iris.»
I suoi occhi. Non potrei paragonarli a nessuna bellezza nel mondo perché hanno la propria luce, la propria intensità e la propria vita. Sono occhi che mi imprigionano, che mi tengono stretta. I suoi occhi silenziosi mi stanno rassicurando e sussurrando che qualsiasi cosa succederà da oggi, qualsiasi altro problema si presenterà, qualsiasi evento potrà cambiare la nostra vita, lui sarà lì. I suoi occhi saranno lì, a vegliare su di me, a seguirmi ad ogni passo, ad incoraggiarmi. Lui sarà lì a farmi da scudo, da spalla, da mantello. Sarà lì a ricordarmi che le cose belle arrivano e ti travolgono.
Abbasso le palpebre con la pelle coperta dai brividi che mi raggiungono con una certa forza. «Allora fermati.»
«È tardi», sussurra.
Apro la palpebre. Mi sfiora le labbra. «Che cosa devo fare?»
Lo abbraccio nascondendo il viso sulla sua spalla. Ho voglia di baciarlo, sentire le sue labbra sulle mie. È un pensiero orribile, visto che poche ore fa stavo ancora con un ragazzo e, non ho troncato del tutto la nostra relazione. Non come si deve. Non senza drammi.
Stringo la presa e lui fa lo stesso, forse percependo il mio bisogno.
«Ci devo pensare.»
«Questo significa che non hai un piano?»
Annuisco. In questo momento non sono neanche in grado di muovermi e di staccarmi da lui, figuriamoci chiedere qualche altra cosa che, potrebbe ritorcermisi di nuovo contro.
«No, non ancora.»
Ride. «Quindi posso sperare in un si?»
Lo spingo e poi scoppio a ridere e a giocare con lui schizzandolo con l'acqua mentre tenta di afferrarmi e lanciarmi.
Usciamo sedendoci a riva per asciugarci.
Mi guardo intorno poi mi perdo al di là della linea sottile che divide il cielo dal mare. Guardo e mi incanto. Gli occhi stretti a fessura a causa della luce e tra le labbra il sapore salato dell'acqua del mare.
Inspiro l'aria e sorrido chiedendomi come si possa assistere ad uno spettacolo così bello, avere il tempo di ammirarlo, mentre intorno tutto è crollato, tutto si è dissolto.
Provo a non perdermi a lungo ma non ci riesco. Guardo quelle strisce di colore acceso e per quanto mi sforzi, rimango ferma ad ammirare una delle poche cose belle che la natura ha da offrirmi.
Mi sento intrappolata in un posto che amo e che a pochi metri so già che mi farà soffrire perché è lì che dovrei essere adesso: nella mia casa, nel mio rifugio. Invece me ne sto seduta a riva con i piedi piantati nella sabbia, con il mare che continua a sfiorarmi, a trattenermi, a consolarmi. Me ne sto qui accanto ad un uomo che non mi appartiene ma che è stato in grado di farmi provare qualcosa di nuovo e pericoloso per i miei sensi.
Hunter prende posto accanto controllando il telefono. Gli scompiglio i capelli e mi guarda tenendo un occhio aperto, mentre l'altro è chiuso a causa del fumo che sale dalla sigaretta che ha acceso. La toglie dalle labbra e soffia il fumo sulla mia faccia.
Tossicchio sventolandomi con la mano. «Idiota!»
«Dalle mie parti ha un significato questo gesto.»
«Un messaggio del tipo: "voglio soffocarti?"»
Ride. La sua testa oscilla da una parte all'altra. «Significa avere voglia di una persona.»
Lo guardo scettica. Non so se ridere o se scappare a gambe levate.
«Questa l'hai inventata adesso.»
Lecca il labbro inferiore riprendendo la sigaretta. Digita qualcosa sullo schermo del telefono poi allunga il braccio. «Immortaliamo la mia prima prova superata», sorride davanti all'obiettivo della fotocamera facendo il segno di vittoria con la mano poi mi circonda le spalle con un braccio. Mi sporgo sorridendo.
Hunter ripone il telefono dentro la tasca dei pantaloni e picchietta un dito sulla mia tempia.
«A cosa pensi?», mi chiede tracciando poi con l'indice un segno sulla sabbia prima che una piccola onda lo copra per farlo svanire.
«Mi chiedo come sia successo. Mi sembra di essere bloccata in un brutto sogno.»
«Che cosa ti chiedi di preciso?»
«Come sia possibile che uno dei due abbia dimenticato l'amore.»
«Forse non c'è mai stato amore tra di voi, non da parte tua, altrimenti non lo avresti lasciato tanto facilmente.»
«Forse. Adesso però non riesco a spiegarlo a me stessa. E sono anche con te, qui a svagarmi ed è... tutto complicato.»
Piega la testa e mi osserva. «C'è dell'altro.» La sua non è una domanda.
Sto annuendo.
«Non so, è strano. Un giorno ti alzi e ti rendi conto che tutto è cambiato. Un giorno ti alzi e ti rendi conto di non provare neanche così tanto dolore per una storia che è finita o non c'è mai realmente stata perché a senso unico. Forse è solo una sorta di istinto di protezione del mio cuore, troppo abituato alle delusioni. Ma... sto iniziando a capire di essermi persa troppe cose.»
«Ad esempio?»
«Prendermi un giorno per me, uscire, fare una passeggiata, ridere, arrabbiarmi con qualcuno, circondarmi di persone. Cose che non facevo più.»
Riflette. «Ti sei chiusa per troppo tempo in una bolla di diffidenza e distanza, adesso stai riscoprendo il piacere, la leggerezza e stai assaporando la libertà. Puoi andare avanti.»
«Lo spero», sollevo il viso inspirando ancora un po' d'aria frizzante e salmastra,
poi mi alzo per rivestirmi.
«Adesso che facciamo?»
«Andiamo a scegliere gli anelli», lo prendo in contropiede.
La sua espressione sussurra tutto quello che a parole non riesce ad esprimere. Trattengo una risata poi la lascio andare e tirandolo per la mano gli faccio cenno di seguirmi.
«Non sono io ad avere paura ma sei tu a non essere pronto. Tuo nonno lo sapeva, non è vero?»
Mastica nervosamente una gomma. «Non farmici pensare. Odio quel bastardo.»
Mi fermo davanti a lui. «Quindi non sono io la fifona», esco fuori la lingua poi corro verso il furgoncino più vicino ordinando una piadina. Attendo, pago e passo il secondo pezzo a lui che mi sta guardando in modo strano. Come se dovesse essere lui ad offrirmi qualcosa e non viceversa. Da questo comprendo che non è abituato ai gesti nei suoi confronti.
«Non fare complimenti. È il minimo che io possa offrirti dopo quello che hai fatto per me.»
Cammino mangiucchiando, godendomi la zona in cui ho vissuto e in cui lavoro. Pieno di palazzi, musei, arte, odore di vernice e poi ancora musica, locali cubani in cui si balla all'aperto.
«Dove mi stai portando?»
Continua a guardarsi intorno.
«Devo farti conoscere delle persone», replico con entusiasmo ritrovato, svoltando in un vicolo e poi scendendo i gradini di pietra dietro un muretto che conducono ad un sotterraneo.
«Iris...»
Stringo forte la sua mano spingendo la porta principale, ritrovandomi dopo un breve corridoio, nella bellissima mensa per le famiglie bisognose, i senzatetto, e la gente che adora mangiare insieme perché magari non ha più nessuno.
È tutto in ordine, tutto pulito e ancora un po' silenzioso e buio. Lancio un'occhiata alla parete di mattoni rossi in cui si trova appeso un orologio rotondo. Non manca molto all'ora di cena, mi dico accendendo le luci, girando intorno al bancone con i ripiani in acciaio. Leggo il menu previsto per la cena e dopo avere indossato grembiule e guanti, inizio ad infornare la parmigiana già nelle teglie, le ali di pollo fritte e le mozzarelle panate. In breve intorno inizia a percepirsi l'odore buono del cibo e qualche persona arriva prendendo posto, attendendo con pazienza. Qualcuno legge, altri chiacchierano.
Hunter in tutto questo osserva il posto in cui ci troviamo con molta attenzione.
Più grande di un campo di basket, la struttura è divisa in tre zone. La cucina con la mensa adiacente piena di tavoli da picnic, la zona con le brandine in cui già qualcuno sta riposando indisturbato e i bagni con le docce, sempre puliti dal personale qualificato e organizzato.
Qualcuno dei miei colleghi arriva rivolgendomi subito un gran sorriso. Delle persone mi abbracciano mentre i ragazzi dell'associazione guardano Hunter preoccupati e, forse anche un po' ansiosi, visto che qualcuno lo riconosce.
«Tranquilli è con me.»
«Allora mettigli un grembiule. Fermo in quel modo sembra tanto uno della polizia e puzza di soldi. Potrebbero spennarlo vivo. È come un elefante in una cristalliera.»
Annuisco e gli lancio il grembiule che prende al volo. «Indossalo e avvicinati, dammi una mano, tra poco si comincia.»
Fa come gli dico senza protestare. Sembra ansioso, come se si sentisse messo alla prova. «Questo rientra nel tuo piano?»
«Devi vedere quello che faccio e poi mi dirai se sei ancora del parere di voler essere mio per sei mesi. Non sai quello che ti aspetta e preferisco anticipartelo così sei in tempo per filartela. Sono una ragazza impegnativa, non me ne sto di certo seduta sul divano a limarmi le unghie.»
Prende tutto come una sfida, lo vedo dal modo in cui, per l'ora successiva, sorride, interagisce e gioca con i bambini senza preoccuparsi degli sguardi curiosi, chiacchiera con la gente presente comportandosi in maniera garbata e, di tanto in tanto mi si avvicina schioccandomi uno sguardo intenso, complice.
Mi aiuta a riempire i piatti senza mai fermarsi o smettere di sorridere. Non dice che è stanco e non esce dalla mensa con una scusa. Resiste e ammira, tutto quello che forse ha sempre criticato, con occhi diversi.
Stiamo pulendo gli ultimi tavoli quando toglie il grembiule ripiegandolo e sistemandolo sotto il ripiano della cucina. «È stato costruttivo.»
«Non lo avevi mai fatto?»
«Questo non rientra tra le mansioni di un Ford. Dovrebbero farlo però...»
Avvicinandosi mi solleva sulla superficie sistemandosi tra le mie gambe. Il tutto come se fosse normale una simile azione tra di noi.
«Ed io che pensavo di farti stancare e mollare la presa», esclamo con un mezzo sorriso.
Piega la testa accarezzandomi la guancia. «Ci vuole ben altro.»
Scivolo giù spostandomi nel piccolo ufficio simile ad uno sgabuzzino dove recupero le mie cose.
Sono molto stanca. Questo però mi ha permesso di non pensare per qualche ora.
Saluto tutti, do la buona notte ai piccoli che dormiranno qui ed usciamo dalla mensa che è buio.
«Allora, che te ne pare?»
«Se pensi che questo mi abbia spaventato ti sbagli. Mi piace quello che fai per quelle persone. Devo ricredermi, non sei la solita ragazza ricca che se ne frega degli altri.»
Ficca i pugni dentro le tasche dei jeans poi mi guarda un momento di troppo.
«E se ti dicessi che non lo sono affatto?»
«Cosa?»
«Una ragazza ricca e snob, di quelle che hai sempre conosciuto e con cui te la sei sempre spassata.»
«Ci credo. L'ho visto con i miei occhi.»
Mordo il labbro camminando per un paio di minuti in silenzio.
«Quindi mi stai guardando anche se non sono come loro?»
Sorride intuendo. «Iris, sei imperfetta e non perché fai errori o perché spesso ti perdi in inutili paranoie ma perché la mia mente riesce a distorcere anche un tuo difetto trasformandolo in pregio. Vuoi sapere che cosa mi piace di te? Che non ti abbatti. Tu ci provi lo stesso, non molli la presa e ti fai male. Io ti ammiro perché anche se sei testarda, se hai la pelle fredda, hai il cuore caldo. Un cuore che batte e fa battere forte anche il mio. Non lo senti?»
Lo sento eccome. Ruggisce contro il suo petto attirando il mio nella sua trappola.
Raggiungiamo di nuovo la sua zona e poi saliamo nel suo appartamento senza più dire niente.
Entro nella camera degli ospiti togliendo i cuscini dopo avere intuito che, mi toccherà dormire ancora a casa sua.
Hunter mi ferma e mi trascina nella sua stanza dove mi fa sedere sul bordo del letto.
«Perché siamo qui?», non capisco.
Mi sta guardando con aria seria, come se dovesse dirmi qualcosa di brutto.
«Mancava qualcosa nella mia proposta di oggi.»
Tira fuori dalla tasca un uovo piccolo di plastica a forma di cofanetto e aprendolo mi mostra l'anello giocattolo con un cuore al centro che brilla come se fosse un diamante vero.
«Come...»
Non occorre sapere. Hunter stava giocando con quei bambini e ha svuotato per loro la macchinetta piena di uova con i regali dentro, rendendoli felici. Deve averne preso uno anche per lui, per me.
I suoi occhi brillano e vorrei tanto catturare la loro luce per poterla usare nelle mie giornate più buie.
«Ti ho chiesto di prendere il mio cuore come garanzia e adesso lo terrai tra le dita. Solo... maneggialo con cura.»
Senza lasciarmi il tempo mi infila l'anello al dito.
«Adesso tocca a te avere coraggio.»
♥️
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