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14


HUNTER

Siamo destinati ad avere il cuore ammaccato, pieno di cicatrici e segni nascosti dietro ogni battito. Forse siamo destinati ad avere il cuore ridotto, spezzato, in così tanti piccoli cocci da non sapere quale di questi farà più male quando si conficcherà nel petto. Forse siamo destinati a soffrire, ad essere schegge fragili e taglienti, in grado di provocare ferite sanguinanti e dolore improvviso, come un taglio fatto con la carta.
Le cose succedono. Non puoi prevedere quando o come, succedono. Succedono e non puoi farci niente. Ci sono giorni, attimi, momenti in cui tutto diventa imprevedibile. Ma non conta quello che pensi, conta quello che fai. Conta come ti rialzi, come lotti, come reagisci. Conta quanta forza hai dentro. Conta la voglia di ricominciare. Conta sopravvivere ai duri colpi della vita.
Iris si è addormentata più che sfinita sul divano, sotto una coperta morbida grigia, abbracciata al cuscino grande che ho recuperato dalla camera da letto.
Ha chiuso gli occhi ed è riuscita a spegnere tutto: i pensieri, le paranoie, la paura. Soprattutto il dolore che le ha provocato la vista del suo spazio speciale, distrutto da una mano che credeva fosse quella di un principe azzurro, il suo.
In realtà, Nolan, si è rivelato solo un bastardo, uno psicopatico senza scrupoli in grado di fare del male senza lasciare tracce se non quelle interne, nel cuore della donna che dorme stanca, con il morale a terra a poca distanza da me.
Me ne sto appoggiato alla sbarra della vetrata, la testa contro il vetro freddo e il telefono in mano per rispondere alle innumerevoli chiamate che continuano ad arrivare a raffica per tenermi aggiornato.
Ho chiesto espressamente a chi di competenza scegliendo il migliore avvocato sul mercato, che quel verme venga portato dritto in cella facendolo accusare non solo per essersi intrufolato in una proprietà privata ed averla distrutta lasciando dei messaggi minatori, ma anche per avere approfittato di una persona facendole violenza psicologica e fisica, per mesi, se non per anni.
I miei occhi, ancora una volta si posano su di lei. Lei che ha subito in silenzio per tutto questo tempo. Lei che ha tenuto la paura dentro senza mai ribellarsi. Solo perché pensava di poterlo amare. Solo perché pensava che sarebbe andato tutto bene, che avrebbe smesso di metterle le mani addosso e non per farle delle carezze ma per tenerla ferma e...
Stringo forte la presa sul telefono, tenendolo come se fosse un pugno contro le labbra prima di voltarmi, darle le spalle e premere la fronte contro la finestra.
Inspiro ed espiro. Poi un'altra volta, cercando di calmarmi. Ma è impossibile. Ci penso lo stesso, penso a come risolvere questo enorme incubo e proteggere una persona che è entrata ormai a far parte della mia vita. Penso a come alleviare la sua sofferenza, a medicare la nuova ferita che si è aperta nel suo cuore pieno di squarci che non si rimargineranno mai. Ma, i tagli, le ferite, le cicatrici, non sono niente in confronto al ricordo che le hanno generate e che, hanno distrutto una parte dell'anima, quella fragile. Ci sono tante forme di autolesionismo. Alcune non si notano, altre le porti addosso come un'armatura. Ma è bene ricordare che è solo dolore. E che dal dolore, puoi sempre ricominciare.
Il telefono emette una breve vibrazione. Guardo lo schermo e leggo il messaggio di Issac, impegnato come tutti a cercare quel figlio di puttana: Nolan Ruiz.
Issac, non ricevendo risposta, mi chiama direttamente per aggiornarmi. Mi sposto un attimo in camera mia per non svegliare Iris. Voglio che si senta al sicuro e a suo agio qui con me. Non dimentico che siamo sempre in trattativa a causa di mio nonno. Ogni passo devo calibrarlo per bene.
«Dimmi che lo avete trovato», rispondo non appena accetto la chiamata, senza troppe cerimonie.
«Non ancora. A quanto pare sembra essere partito perché il segnale si perde all'aeroporto.»
Osservo, standomene appoggiato allo stipite, la figura rannicchiata sul divano e penso che sia impossibile lasciare andare una simile creatura. Non lo farei io, figuriamoci Nolan.
«Potrebbe avere buttato la scheda o il telefono. È furbo e non penso sia partito così in fretta, preferisce fare la vittima piuttosto che scappare. Inoltre ho qualcosa che le appartiene.»
«Non credo, non poi così tanto furbo», risponde il mio amico digitando sulla tastiera, convinto di poterlo stanare e darlo in pasto alla giustizia.
Immagino il mio amico con il telefono sulla scrivania, l'auricolare all'orecchio e gli occhi nascosti dietro le lenti, puntati sullo schermo del portatile che porta sempre dietro per il lavoro.
«Devo ricordarti che possiamo sempre trovarlo grazie al software di riconoscimento facciale?»
Sembriamo in un film. Issac e la sua squadra stanno cercando di scovare Nolan, gli agenti stanno immettendo un mandato d'arresto non solo a Miami e Nelson insieme a Myrtle, la sua anima gemella di tutta una vita, stanno informando gli Harrison e i miei genitori prima della stampa che di sicuro riuscirà a creare un pettegolezzo e di occuparsi delle pulizie da fare alla villa.
«Non lo so, c'è qualcosa che non quadra. Perché scappare? Secondo me non è andato lontano. Sarà qui da qualche parte a godersi lo spettacolo. Nolan non rinuncerà facilmente a lei. Ed è me che vuole spaventare. Soprattutto adesso che gli ho detto del fidanzamento e che lei non lo ama.»
«Forse. Lo scopriremo tra qualche ora quando commetterà un passo falso. Ha troppe persone dietro per potere fermarsi e sbirciare alle spalle. Sbaglierà, lascerà una traccia.»
Mordo il labbro. «Pensi che lei mi permetterà di aiutarla? Di tenerla lontana da lui? Credi che accetterà?»
Issac parla con qualcuno poi torna a digitare sulla tastiera. «Amico, con l'opportunità che avete io accetterei subito. Ma non sono Iris Harrison. Tu che cosa senti? Come ti è sembrata?»
«Triste. Molto. Non credo di avere mai visto niente di così forte negli occhi di una persona così piccola. È distrutta. Pensa di avere perso tutto e so che ha provato addosso un senso di schifo quando si è resa conto che quel bastardo le ha toccato tutto quello a cui teneva di più. Sembrava restia a prendere gli indumenti che le ho fatto già lavare per non farle immaginare quello che quel depravato avrebbe potuto farci.»
Issac smette di scrivere, si ferma e fa silenzio. «Amico, non è che ti stai facendo coinvolgere troppo da lei? Intendo sentimentalmente. Avevi detto che era una questione di affari ma non sembra più così.»
Guardo avanti. La osservo. Prendo nota di tutto. Di ogni smorfia, di ogni movimento, di un sorriso, del silenzio, del modo di gesticolare. Prendo appunti mentali su ogni cicatrice, su ogni neo, su uno sguardo diffidente, distante, a pezzi. Osservo. Mi perdo nei dettagli che ho davanti. So già che non me ne libererò più, perché quando hai davanti agli occhi il più bel tramonto della tua vita, pur sapendo che in futuro ne vedrai altri, quello rimarrà sempre il tuo preferito.
«Non dire stronzate», brontolo. Lanciandole un'occhiata mi accorgo che si sta agitando ma non si sveglia quindi abbasso la voce.
Sento il sorriso del mio amico. «Non sarebbe una cosa negativa. L'importante è che ti tolga dal viso quell'espressione insoddisfatta. Diciamo che siamo già sulla buona strada visto che non hai lasciato perdere.»
Mentre nego di fronte all'affermazione del mio amico, mi rendo conto che sto solo mentendo. Iris non è affatto come le altre. Lei sta portando scompiglio nella mia vita, quella che ho sempre tentato di mantenere in equilibrio, in ordine, senza drammi, lontana da ogni forma di amore o affetto. Sta ribaltando ogni mia sensazione, regalandomi nuove emozioni che non riesco proprio a controllare. Proprio io che sono sempre stato bravo a mantenere il controllo e a scegliere razionalmente, sto perdendo la testa. Sto cambiando strada, addentrandomi in un vicolo buio. Se avevo dei piani per il mio futuro, adesso sento di avere sbagliato tutto. E, anche se vorrei chiudere, con un tonfo sordo e forte quella porta, non ci riesco. Non riesco a scappare dalla voce che mi chiede di non lasciare stare. Così, di tanto in tanto, sbircio dall'uscio. So già che prima o poi spalancherò completamente quella porta e varcherò la soglia senza più alcun dubbio, senza fermarmi. Mi conosco, conosco ogni mio vizio, ogni mio bisogno. E, adesso ho solo la folle e matta voglia di conoscerla meglio, pur sapendo il rischio che corro, quello di perdere il senno, il sonno, il cuore.
Mi appoggio alla parete sollevando gli occhi al cielo prima di strofinarli sospirando. «Non dire cazzate e tienimi aggiornato. Non stiamo giocando.»
«Ricevuto. Passo e chiudo.»
Riaggancio e mi sposto in cucina dove mi riempio una tazza di caffè. Appoggiato al ripiano cerco di distrarmi occupandomi di un altro lavoro che ha fatto fruttare milioni alla mia famiglia. L'acquisizione di un nuovo pezzo ha fatto sì che l'attenzione dei media si spostasse su di me. Adesso voglio delle interviste ma, le lascerò a mio padre. In fondo, è quello che vuole, da sempre. Essere al centro dell'attenzione dei media più di alcuni elementi di spicco in campo politico.
Bevo un sorso di caffè con una smorfia quando sento il mio stomaco brontolare. Apro la dispensa e recupero una confezione di noodle. Leggo le istruzioni e dopo tre minuti sto rigirando le bacchette in mezzo alla brodaglia alle verdure più che pensieroso.
Rifletto a come riuscirò a gestire tutto senza commettere errori. Penso a come affrontare l'argomento senza ferire la persona che negli ultimi giorni mi ha fatto vivere momenti nuovi, unici e che mai smetterò di ricordare con un sorriso. Purtroppo le cose belle hanno sempre vita breve. Infatti, mi sono ritrovato di nuovo in mezzo al caos.
I miei occhi la osservano. Iris ha sofferto e lo ha fatto in silenzio mentre io, io ho sempre fatto in modo che nessuno mi prendesse in giro. Sono sempre stato il primo a lasciare prima di essere lasciato. Sono sempre stato il primo a tirarsi indietro. Forse l'ho fatto perché non avevo ancora trovato qualcuno che fosse in grado di attrarmi davvero.
Ognuno di noi nasconde cicatrici dovute all'amore provato profondamente per qualcuno. Ognuno di noi è custode di un cuore che merita di essere protetto dai sentimenti intensi e distruttivi come il dolore. Ognuno di noi merita di andare avanti anche se un po' ammaccato.
Allontano il contenitore a forma di bicchiere pieno di pasta dopo averne mangiata solo una forchettata e allontanandomi dalla cucina, mi sposto in palestra. Sfilo la maglietta e inizio a correre sul tapis roulant, dopo venti minuti passo ai pesi e, non sentendomi ancora del tutto scarico, fascio i pugni iniziando a colpire il sacco da boxe.
Dopo circa un'ora, mi sposto in bagno, faccio una doccia e una volta essermi asciugato e rivestito, ritorno in soggiorno dove Iris continua a dormire.
Dentro la testa ho così tante parole, così tanti pensieri a formarsi e ad accumularsi fino a creare uno scarabocchio incomprensibile, da non riuscire ad essere razionale. So già che perderò la testa, ma mi ostino a non cedere. Adesso devo essere forte abbastanza da non mollare.
Sospiro tornando in cucina. Apro il frigo e trovando tutto da cucinare e niente da infilare dentro il microonde, faccio una smorfia. Tiro fuori dalla tasca il telefono, rimasto silenzioso ma pieno di messaggi e chiamate perse e ordino online in una pizzeria italiana qui nelle vicinanze.
Bevo un'altra tazza di caffè e mi informo sugli ultimi sviluppi per tenermi impegnato.
Dopo circa un quarto d'ora, dentro casa risuona il rumore stridulo del campanello e controllando dallo schermo posto a poca distanza dal portone, accorgendomi del fattorino in attesa al pian terreno, gli apro attendendo impaziente il mio pasto.
Quando bussa, apro la porta risparmiando ad entrambi i convenevoli. Gli lascio una mancia abbondante e ringraziando porto il bottino sul tavolo.
Girandomi noto due occhi chiari a fissarmi, a seguirmi ad ogni passo.
È sveglia. È triste. È distrutta.
È questo che fa un dolore: toglie ogni pezzo dal cuore e, ti fa vedere il mondo in modo diverso. Perché ci sono cose che puoi mascherare, ignorare o superare, ma ci sono segni che non puoi togliere, cicatrici che non puoi rimarginare al sole.
Trattengo il fiato rimanendo in bilico. Da una parte ho voglia di avvicinarmi, dall'altra non voglio spaventarla.
Ma è lei a muoversi per prima. Lascia scivolare lungo la schiena la coperta che le ho sistemato addosso dopo che si è addormentata, e alzandosi si avvicina. Preme la guancia sul mio petto circondandomi la schiena con le braccia esili e inspira.
Il suo profumo tenue raggiunge le mie narici dandomi una scossa. L'avvolgono con le mie braccia e attendo ancora, incapace di parlare ma pronto a godermi questo momento, il suo gesto spontaneo.
«Ho sentito odore di pizza. Non è stato male come risveglio», sussurra per smorzare la tensione e in parte per giustificare la sua azione. Sbircia poi sollevando il cartone e abbozza un sorriso. «Niente ananas, per fortuna. Acquisti punti.»
Chiudo gli occhi e cerco di attutire il suono vellutato della sua voce che accarezza le mie orecchie e si fa strada su ogni mia terminazione nervosa, andando a riscaldare posti lasciati esposti a lungo.
Provo a ricordare a me stesso che la proprietaria della voce è qui tra le mie braccia. Freno ogni istinto e mi ricompongo per non apparire sorpreso.
La trascino verso il divano. «Porto tutto qui, intanto mettiti comoda. La pizza con l'ananas è una blasfemia per i napoletani.»
Mi aspetta prima di sedersi con la coperta sulle gambe e gli occhi gonfi. «Non l'avrei mangiata.»
Apro i cartoni lasciando diffondere in casa l'odore della pasta, del sugo, dei condimenti e sistemo sul tavolo basso le bibite, i tovaglioli e anche quello che ho preso scegliendo dal menu della pizzeria italiana che, a quanto pare, sta ampliando il locale.
Insieme alle pizze ho scelto anche rosticceria varia e abbondante, completa di salse, insalata e dolce.
Le passo un trancio di pizza e lei mangia in silenzio. Proprio come faccio io, attutendo il senso di fame ingigantito dalla rabbia.
Di tanto in tanto, noto come mi guarda e, non posso fare a meno di chiedermi a cosa stia pensando, vorrei anche chiederle come si sente ma non voglio rovinarle il pasto.
Pulisco le labbra mettendomi comodo sul divano. Guardo un momento il mondo fuori dalla vetrata. Tutto sembra normale.
«Come hai dormito? Non volevo svegliarti portandoti in camera, anche se nel letto saresti stata più comoda.»
Passa il tovagliolo tra le dita. «Ho dormito. Hai un divano comodo, proprio come il letto. Tu invece sembri consumato.»
Guardo ancora una volta fuori dalla finestra come per trovare una nuvola che mi porti via. «Dalla rabbia? Ne ho così tanta da non riuscire a sfogarla, a lasciarla andare, neanche facendo palestra.»
Fa una smorfia. «È colpa mia, mi dispiace.»
Bevo un sorso d'acqua placando l'incendio che rischia di essere alimentato dai pensieri. «No, non lo è.»
Sospira stringendo la coperta fin sopra il mento tenendo le gambe al petto. «Grazie per avermi fatto dormire sul tuo divano. Lo apprezzo, davvero.»
«Smettila!», sbotto più che brusco.
«Di fare cosa?»
«Di chiedere scusa o di ringraziare. Non ho fatto niente. Non devi neanche pensare al doppio fine perché non ne ho uno. Mi serve solo sapere come stai e se hai bisogno di qualcosa.»
Uso un tono duro ma lei sembra capire al volo il mio stato d'animo attuale. Toglie infatti dalle mie mani la bottiglia che sto stringendo troppo e facendosi vicina, si rannicchia nascondendo il viso sul mio collo, avvolgendo le mie braccia intorno a lei.
«Di questo», sussurra. «Ho bisogno di questo.»
Iris non è solo una stronza. Ha questo suo lato così fragile e dolce da farmi tremare il cuore come una valanga di sassi che piombano giù di colpo.
Tiro la coperta sulle sue spalle e in questo modo copro anche me che stendo le gambe sul divano mentre lei si sistema meglio chiudendo gli occhi.
«Riuscirò ad andare avanti, a togliermelo dalla testa?»
«Vedila così, il mondo è pieno di persone che sembrano perfette, fatte apposta per noi. Diventano speciali perché lo sono ai nostri occhi. In realtà sono solo una fregatura. Un po' come i biscotti della fortuna o i sacchetti di patatine con il 90% d'aria.»
«Che cosa mi consigli di fare?»
«Smettila di chiedere amore e trova la forza di amarti da sola, altrimenti continuerai a trovare persone che ti deluderanno.»
Amare qualcuno è una scelta di coraggio che ogni persona è chiamata a compiere nel corso della vita. Anche innamorarsi, vedere il mondo in modo diverso, con la leggerezza nel cuore, essere disposti anche a soffrire. Quando ci si innamora o si vuole bene così tanto a una persona, non si prendono mai le decisioni giuste. Ci si fa del male e ci si illude. Prendersi cura di qualcuno, fidarsi è un atto di coraggio, ma ogni tanto ce ne dimentichiamo per rifugiarci altrove, per non sentirci inadatti o insicuri. Ma non è mai facile scegliere. Non è mai facile decidere per non soffrire. Non è mai facile andare avanti.
«Riuscirò a provare ancora qualcosa che non sia rabbia o dolore?»
Non si ha paura di quello che si sente, ma di quello che non si riesce a sentire più dopo una brutta delusione.
Iris ha paura di non sentire amore dopo che il cuore le è stato strappato via.
«Perché tremi?»
«Perché sei il primo che mi fa questo effetto.»
Le spingo la testa poggiando il mento sulla sua fronte. «Quale effetto?»
«Davvero non te ne accorgi?»
«Di cosa?»
Solleva la testa. Le piace guardarmi negli occhi, essere sincera. «Che mi fai sentire a mio agio. Non so come spiegare la sensazione che sento quando sei vicino ma so che non è sgradevole come pensi. Mi piace, anche se so che non dovrei dirlo perché potresti approfittarne.»
Sorrido. «Quindi ammetti che almeno un po' ti piaccio?»
«Si. Adesso tu ammetti di essere attratto da me.»
Avvicino il suo viso affondando la mano sulla sua nuca. «Lo sono», le sussurro.
«Bene perché altrimenti dovrei andarmene.»
La tengo stretta. «Perché?»
«Non voglio essere una delle tante.»
Abbasso il viso mordendole una spalla. «Non lo sei. Ecco perché mi preoccupo per te. Ti ho già detto cosa sono disposto a fare.»
Annuisce. «Ti stavo solo mettendo alla prova.»
Sollevo l'angolo del labbro. «Non occorre. Sono sempre sincero, anche quando non dovrei.»
«Si, non tieni mai la bocca chiusa.»
La faccio scivolare sotto il mio peso attaccandole il collo.
Si agita cercando di respingermi ma le mordo il collo lasciandole una scia di baci fino alla clavicola in grado di farla tremare. La guardo poi negli occhi non lasciandole scampo.
«Dimmi di sì.»
Mi guarda male. Mi spinge e mi stendo sul divano mentre lei si alza furiosa. «Era questo che volevi? Era per questo la pizza e la tua gentilezza?»
Nascondo il viso con un braccio. «No, quando voglio qualcosa la prendo e basta. Non chiedo il permesso. Non mi trattengo. Con te è diverso perché sei testarda.»
Mette le mani sui fianchi. «E tu sei uno stronzo privo di empatia!»
Mi metto comodo. «In realtà riesco a sentire quello che senti tu. È proprio questo il problema. Non voglio più provare così tanta rabbia o vedere nei tuoi occhi il dolore e sentire la tua tristezza così forte da stordirmi.»
Si lascia cadere sulla poltrona. Massaggia le tempie e poi beve un sorso d'acqua.
«Non capisco perché non vuoi accettare e mettere fine a questo inferno. Potremmo avere il mondo ai nostri piedi e invece ti accontenti di cosa esattamente? È solo una firma su un contratto di sei mesi. Vedilo pure come un lavoro.»
Mi punta il dito contro. «Ecco, è proprio per questo che non accetterò. Tu credi di essere così potente da avere tutto, ma non avrai me per farmi entrare nella tua classifica delle vittorie. Hai tatuato in faccia "cerco un nuovo trofeo".»
Sono più calmo di quanto immaginassi. «A quanto pare mi hai scoperto.»
«Ah no, togli quell'espressione e non ghignare.»
«Fino a un minuto fa ti avrei risposto in maniera cattiva ma adesso ho solo voglia di sorridere.»
Incrocia le braccia. «Non capisco perché ti ostini», dice.
«Perché bisogna farlo. Perché abbiamo delle responsabilità e non posso perdere quello per cui ho lavorato anch'io e contribuito rinunciando a molte cose.»
So che ho appena stuzzicato la sua curiosità dicendo questo. Lo vedo dal modo in cui mi guarda.
«E allora?», non cede, agita le braccia.
«Allora cosa?»
«Perché vuoi farlo? Perché vuoi braccarti per sei mesi quando puoi essere libero e recuperare quelle proprietà in un minuto? Sai, non ci casco. Non sono stupida. So che sei bravo negli affari, ho fatto anch'io le mie ricerche e poi è anche cosa nota a tutti. Quindi che cosa mi nascondi? Perché vuoi proprio me a reggere questo gioco?»
Aspiro aria dal naso prima di rilasciarla dopo avere gonfiato il petto. «Non avrai mica paura», procedo ignorando le sue domande. Uso una tecnica vecchia quanto il mondo.
I suoi occhi si fanno accesi. «Non fare questi giochini di merda con me. Non funziona.»
Lecco le labbra dopo avere masticato lentamente un altro pezzo di pizza. Avevo sottovalutato questo aspetto. Iris fiuta la puzza di raggiro da lontano ma sono più testardo di lei. «Non dirmi che il fidanzamento ti spaventa a tal punto», continuo con un sorriso.
Beve altra acqua guardando ovunque e, mi rendo conto che la risposta è positiva. Quindi non è vero che con Nolan ne hanno parlato. Quel grandissimo stronzo deve averle programmato proprio la vita.
«Non dirmi che alla piccola Bestiolina tremano le gambe quando sente la parola fidanzamento o peggio: anello.»
«Non mi tremano le gambe, idiota.»
Addento un altro pezzo, questa volta il bordo, la mia parte preferita. «Fidanzati con me, Iris. Rendimi un uomo rispettabile e fedele per sei lunghi ed estenuanti mesi.»
Il mio sorriso si apre mentre noto come si sta agitando sulla poltrona. «Stai tremando come una foglia, guardati. Non pensavo di vedere Iris Harrison spaventata al pensiero di un fidanzamento combinato. Immaginavo fossi abituata a simili bassezze da parte della tua famiglia. In fondo, sono cose che succedono tra la nostra gente. Ci si fidanza per volere dei genitori, per affari, non per amore e si finisce quasi sempre per essere infelici.»
Mi guarda da sotto le lunghe ciglia e capisco che ho appena colto nel segno. So di farle pressione in un momento in cui è molto debole ma questa sua risposta deciderà anche la sorte di Nolan quando lo vedrò e lo manderò al tappeto.
La mia proposta non è solo data dalla voglia di vincere un premio abbastanza sostanzioso, ma anche di conquistare una persona fuori dal comune.
«Vedi? Ho ragione. Sei una fifona.»
«Bastardo.»
«Passeremo molte giornate insieme, magari tutta la vita. Devi solo cedere, rischiare. Non ti farò annoiare di certo.»
Si morde il labbro mangiando una patatina. «Smettila!»
Sorrido maggiormente. «Perché? Ti fa sentire a disagio il fatto che saremo solo io e te, insieme...»
Mi lancia una pallina di carta in faccia. «Non fare il buffone. Sai che non ho paura. È solo che non voglio.»
«Potrei sentirmi offeso», dico mettendo il broncio. «Non sono brutto e sono anche intelligente.»
Vedendo che non risponde, aumento la dose. «Oppure potrei avvicinarmi e prendermi quello che voglio senza rispettare i tuoi tempi. Certo, firmare quel documento potrebbe anche farmi venire voglia di essere più responsabile, meno imprevedibile.»
Sbuffa. «Non è un gioco e non puoi fare leva su queste cose perché sai che non cederò.»
«Maledizione», brontolo tra i denti. «Mi toccherà attuare il piano B.»
Inarca un sopracciglio. «Cioè?», domanda allarmata, con un tono di voce stridulo.
Mi sollevo e raggiungendola mi inginocchio davanti a lei. Le prendo la mano e le sorrido più che divertito mentre la vedo sbiancare.
«Diventa la mia fidanzata, Iris Harrison. Ti prometto che mi prenderò cura di te, che ti donerò sorrisi, momenti felici e tutto quello che vorrai.»
Mi guarda male, malissimo. Raddrizza le spalle e sembra sul punto di stendermi. A giudicare dallo sguardo freddo e inflessibile che mi sta rivolgendo, direi che sta immaginando noi due insieme e che non le piace l'idea. Sembra quasi che voglia mascherare il disgusto. Nessuno dei due interrompe il contatto visivo, nemmeno quando vorrei tanto mettermi a ridere e continuare a tormentarla solo per il gusto di vederla arrabbiata, invogliata alla lotta, spinta dal desiderio di dare risposta ad ogni mia assurda frase o opinione. Mi affretto a lanciarle un'occhiata, facendole capire che non ha possibilità di sfuggire al mio attacco e lei si ostina a combattermi.
«Non credere che io sia tanto docile da non colpirti.»
«Lo hai già fatto. La prima volta che ti ho vista. Indossavi una maglietta bianca con un cactus abbracciato a un palloncino, pantaloncini a coprire il tuo culo sodo e movenze di una modella, a parte la lingua lunga.»
«Oddio», nasconde il viso tra le mani. «Sei proprio stupido, anche se credi di essere spiritoso e intraprendente. Se non hai trovato ancora una ragazza è proprio perché nessuna è pronta a competere con il tuo egocentrismo.»
Lascio uscire il fiato dalle narici. «Stronzate dette per nascondere il fatto che ti senti attratta da me e hai paura di competere con le altre. Forse sbagli, perché sei l'unica a cui io l'abbia chiesto più di una volta.»
Passa i palmi sulle gambe. «E non hai accettato i no. Sei stupido, te l'ho detto.»
Mi sollevo incastrandola, tenendo le braccia dritte e i palmi ben piantati sui braccioli della poltrona. «No, non mi arrendo. È diverso. Ho messo gli occhi sulla persona giusta, perché non continuare a tentare?»
Le sue guance sono rosee. Mi piace come rendono la sua pelle pallida un po' più viva.
«Te l'ho detto, non sarò perfetto ma almeno so cosa voglio e non ho intenzione di rinunciare. Guardami», le dico, sfiorandole il mento.
Lo fa e sento formicolare tutto il mio corpo.
«Magari mi renderai un uomo migliore.»
«Ma che diavolo stai dicendo?», ride istericamente.
«La verità, quella che non riesci a vedere perché pensi che io sia uno stronzo egoista che pensa solo ai soldi, alle donne e al divertimento. Accetta e vedrai una persona diversa, una persona che si guadagna da vivere onestamente, che passa le serate in maniera diversa e che non ha nessun'altra donna.»
«Nessuno stupido si avvicinerebbe un'altra volta al fuoco dopo avere provato dolore per essersi scottato.»
«Ne sei così sicura?»
«Si. Nessuno sano di mente avvicinerebbe la mano sul fuoco che lo ha ferito.»
«Nessuno, forse è vero. Ma ci sono volte in cui si ha un valido motivo per attraversare le fiamme, non credi?»
Mi spinge. «Sei fastidioso.»
Sorrido. «Dimmi almeno se sei tentata, almeno un po', pochino?»
I suoi occhi roteano. «Forse.»
Il sorriso che si apre sul mio viso potrebbe abbagliare una nazione. Sento l'euforia farsi strada dentro di me. Non sto facendo tutto per niente. Ho una speranza seppur minima.
Il mio telefono decide di interromperci e mi sposto in camera.
«Dimmi che lo avete trovato.»
«Si, ma dovresti tenere Iris lontano da casa.»
«Perché?»
«I tecnici hanno trovato una perdita di gas e stanno provvedendo alla riparazione. A quanto pare, è tornato lì e potrebbe farlo ancora. Che stronzo!»
Gonfio il petto. «Direi più un idiota. Adesso dove si trova?»
«Lo stiamo seguendo.»
Stringo i denti. «Lo voglio dietro una cella non in giro ad escogitare o creare altre trappole», urlo.
«Ci stiamo lavorando. Lì come va?»
Passo la mano tra i capelli. «Ci sto lavorando», replico frustrato.
Issac ride. «Amico, stai proprio perdendo la testa.»
«Va a fare il tuo lavoro, cazzone.»
Riaggancio e trovo Iris appoggiata allo stipite. «Parlavate di me?»
«E poi sarei io quello egocentrico?»
Mi spinge e per istinto l'afferro avvicinandola, abbracciandola.
Il gesto coglie entrambi di sorpresa ma non ci stacchiamo quando ci scontriamo e rimaniamo senza fiato.
«Che cosa ti ha detto?»
«Issac mi ha chiesto di tenerti lontano da casa tua perché c'è stata una fuga di gas. A quanto pare è tornato lì per finire quello che aveva iniziato dopo avere gettato la scheda del telefono in aeroporto dove sono sparite le sue tracce. Un tentativo inutile di depistaggio, il suo. Issac mi contatterà quando avranno riparato il danno in casa.»
Annuisce. «Adesso arriva la parte in cui mi dici qualcosa su di lui?»
Gratto la guancia. «Sta escogitando un piano e non possiamo commettere passi falsi. Non adesso che sappiamo che è disposto a tutto.»
Rabbrividisce e la conduco in soggiorno dove ci rimettiamo come prima sul divano. «Sai, io non ero convinto prima, ma adesso ho capito di avere qualcosa da perdere, come il tempo da dedicare a qualcuno che non fossi io.»
Nasconde un sorriso. «Non pensi che sia sbagliato? È come imbrogliare. So che tuo nonno non ci vedrà per davvero, anche se ha lasciato i suoi "folletti", ma... non so come spiegare.»
«Credi che a me faccia piacere sentirmi dire quello che devo fare? Se insisto tanto è per liberarmi di loro, dargli quello che, tecnicamente, dovrebbe essere mio e tornare alle mie cose. Non lo faccio per loro, lo faccio per me, per non avere un altro peso sulle spalle, altra pressione da smaltire.»
Gioca con il colletto della mia maglietta. Le sue dita sono fredde e mi bruciano la pelle. Le afferro la mano osservandola. «Potresti avere un anello al dito diverso da questi che porti alle falangi. Un diamante ad esempio.»
«Non sono una signora pretenziosa o tua nonna.»
Rido afferrando in fretta il concetto. Iris è una ragazza che ama la semplicità. Mia nonna Gertrud, ad esempio, non è del suo stesso parere.
«Vedrò quello che posso fare.»
Si agita. «Non farlo.»
«Altrimenti che fai?»
Riflette. «Posso sempre fare finta di scaricarti in pubblico e assicurarmi che tutti vedano quanto tu in realtà sia un orso dal cuore tenero», lo dice premendo l'indice sul mio petto, usando una voce da bambina che mi fa ridere.
«Almeno vedranno che ho un lato dolce anch'io.»
Preme la fronte sul mio petto. «Sei duro a morire.»
Le mie mani sfiorano i suoi fianchi risalendo lungo la schiena.
Schiude le labbra inarcandosi. Sussulta quando avvicino il suo viso al mio. Ci guardiamo e ci sussurriamo parole che non riusciamo a pronunciare. Ci guardiamo e ci scarichiamo addosso il freddo dovuto ai brividi che si posano sulla pelle come colpi di frusta. Ci guardiamo e ci sfioriamo senza toccarci, avviciniamo le nostre anime imperfette. «Scommetti che ti faccio innamorare?»

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