13
IRIS
Guardare un film, mangiare snack di ogni tipo, stendersi comodi sul materasso, abbracciare il cuscino, ridere, sospirare, emozionarsi, giocare a battaglia navale.
Abbiamo passato gli ultimi due giorni così, per volere mio. Perché è uno dei pochi modi che conosco per tenermi lontana da guai, per riuscire a stare meglio dopo un pessimo momento.
Siamo passati da un semplice cartone animato a film più impegnativi scelti da entrambi per non annoiarci. Abbiamo persino iniziato "Star Wars", "The Avengers". Abbiamo strappato un paio di pagine per giocare a battaglia navale e creato una montagna di cuscini davanti a noi per rendere il gioco migliore, divertente, anche se quasi sempre, alla fine, è crollato tutto con una zuffa e poi ancora una risata. Ma nessuna vittoria perché per entrambi non ci sarebbe stato onore nel vincere con un colpo basso simile.
Non essendo in casa mia, ho dovuto assecondare delle pause per il pranzo, la cena, e poi ancora la colazione e per fare un bagno.
Hunter non si è neanche spostato per dormire nella sua stanza e lasciarmi sola per qualche ora. Ha vegliato su di me, è stato custode del mio sonno. Mi ha fatto sentire al sicuro e non sola. Ma, so perché sta facendo tutto questo e, non posso ancora accettarlo.
Questo è il terzo giorno che me ne sto qui. Non so nemmeno che ore sono. Ho dormito come un ghiro, in parte stanca e con un po' di sonno arretrato.
Fisso il tetto bianco e le ombre che si formano su questo grazie alla luce proveniente dall'esterno.
La mano di Hunter scivola dalla mia parte superando la fila di cuscini creata per la battaglia navale che, a quanto pare, ci ha fatto addormentare entrambi.
Cerca le mie dita. Quando le raggiunge le sfiora. Dopo un momento sbuca sistemando il braccio e il mento sul cuscino a cui si aggrappa come un salvagente.
Ha i capelli scompigliati, gli occhi ancora un po' chiusi e... spero non apra la bocca e non parli. La sua voce continua a stendermi. Le sue corde vocali producono quel tono basso e graffiante che mi raggiunge come un'onda.
Si sporge ancora e, adesso è nel mio territorio. «Buongiorno», saluta.
«Ciao», sussurro.
Si è comportato bene nei miei confronti. So che avrebbe anche potuto approfittare della situazione ma non l'ha fatto. Mi ha stupito questo suo atteggiamento. Il fatto che stia rispettando la mia persona, la dice lunga su di lui, su chi sia davvero Hunter Ford.
«A cosa pensi?»
Tiro un lembo della maglietta grigia che ho trafugato dal suo armadio per indossarla.
A lui non è dispiaciuto vedermi in giro per casa con un suo indumento addosso. E a me non è dispiaciuto essere comoda, sentirmi a mio agio e scrollarmi di dosso tutta la pressione avuta nei giorni scorsi.
Mi ha anche permesso di lavorare senza dovermi spostare da questa stanza, prestandomi il suo portatile super costoso e tecnologico.
In realtà, sembra assurdo da dire, ma non è stato difficile convivere con lui e condividere dei momenti, pur continuando a battibeccare.
Tutti questi dettagli, piccole sfumature dei nostri caratteri, azioni e risposte, mi hanno fatto capire che non siamo compatibili. Ci sono cose che ci dividono, creano un divario che non è possibile superare. Siamo opposti anche se, ammetto che ci sono stati momenti in cui ho fatto fatica a non avvicinarmi a lui.
Non ho dimenticato la sensazione che mi ha lasciato dentro quella serra, quando era così vicino e pronto a baciarmi. Non dimentico neanche il modo in cui mi ha guardata in quel prato prima che mi rannicchiassi tra le sue braccia, cogliendolo di sorpresa. Perché, anche se non lo ammetterà mai, gli ho provocato qualcosa, gli ho fatto sentire quello che non ha mai percepito con nessun'altra. E lui, ha fatto sentire a me qualcosa di nuovo, di forte e coinvolgente.
E non posso neanche negare che stia minacciando seriamente i miei sensi.
Mi arriva un cuscino in faccia. Il colpo è abbastanza forte da farmi lamentare. «Che c'è?», urlo.
Ride. Ride divertito continuando a guardarmi tenendo un solo occhio aperto. Come se non volesse riaddormentarsi pur essendo stanco.
«Dove eri?»
«Da nessuna parte», mi alzo a metà busto. Stendo le braccia e le gambe provando a sgusciare dal letto.
La sua mano si sporge e mi trattiene per un braccio. «Dove scappi?»
«È giunto il momento di tornare a casa. Sappi che mi sono divertita.»
Provo ad andare ma, ancora una volta, vengo trattenuta. «Stai davvero andando via? Ti sei già stancata di me? Non sono poi così noioso.»
«Non è questo», dico portando i capelli sfuggiti dalla coda dietro le orecchie. «Devo lavorare e devo tornare a casa. Ho delle commissioni da fare e le mie piante da curare. Non posso starmene qui a giocare e ad ingozzarmi di cibi poco salutari che, in soli due giorni, mi si sono accumulati sui fianchi», li tocco con una smorfia. «Non dirmi che sono la prima a volersene andare», ghigno.
Sorride e avvicinandosi, dopo avere scavalcato i cuscini distruggendo il muro creato, si avvicina circondandomi la vita con le braccia. Prova a darmi un morso sui fianchi e rido divincolandomi dalla sua presa scalciando.
«Hunter!»
Ride anche lui, continuando con il suo attacco. «Posso fare qualcosa per farti cambiare idea?»
Nego. «No. Ma se vuoi puoi darmi un passaggio», propongo.
Si sdraia un momento e, mi viene voglia di osservare il suo corpo in bella mostra. I muscoli scolpiti, precisi e delineati. Le gambe sode e poi quel viso pieno di arroganza a nascondere dietro quel sorriso, quegli occhi chiari, quei capelli corti e scompigliati, un uomo diverso da quello conosciuto allo stand.
Passa le dita lungo la mia schiena come se suonasse il pianoforte. Va a toccare corde del mio corpo scordate e mai sfiorate così delicatamente.
«E se ti do un passaggio poi tu che cosa mi dai?»
«Ah Ah, ci hai provato piccolo furfante!», esclamo. «Smettila con questi giochetti non cederò», facendogli una linguaccia e spingendolo, corro verso il bagno dove chiudo a chiave la porta.
Lascio uscire il fiato scaricando di dosso anche la tensione accumulata nel corso delle ore passate insieme ad un uomo davvero sensuale, divertente anche se a tratti presuntuoso ed egocentrico. Caratteristiche che mi attraggono e non poco.
Conosco il mio corpo, recepisco anche i segnali mandati dal suo e non sempre riuscirò a frenarmi. Per questo devo allontanarmi da qui. Non commettere un errore così grande e di cui potrei pentirmi per il resto della vita. Perché Hunter ha la capacità di trascinarti nel suo mondo fatto di lussuria e perdizione. È come Lucifero.
Faccio una doccia per rinfrescarmi la pelle troppo calda e mi vesto indossando un paio di pantaloncini di jeans a vita alta, un top a maniche corte stretto e scarpe da ginnastica ai piedi.
Mi fermo davanti allo specchio osservando il mio riflesso. Mi sfioro la guancia dove il segno lasciato dallo schiaffo di Nolan sta svanendo, così come il succhiotto di Hunter.
Scuoto la testa districando i nodi, sistemo i capelli legandoli solo sulla parte alta creando una cipolla e lavo i denti lasciando il mio spazzolino, dopo una breve esitazione, dentro il bicchiere.
Esco dal bagno raccogliendo le mie cose, infilando tutto dentro una borsa capiente.
Hunter non è più in camera quindi sistemo il letto e i cuscini e poi tolgo anche i resti delle carte dei cioccolatini mangiati per gioco come penitenza mentre lottavamo a battaglia navale.
Esco dalla stanza solo dopo avere dato un po' d'acqua alla pianta che si trova all'angolo di questo ampio rettangolo confortevole, che odora di bagnoschiuma al cocco e della fragranza emanata dalla candela al gusto biscotti che su mia richiesta ha comprato online.
Trovo Hunter davanti l'ampia vetrata del soggiorno, a pochi passi dal divano blu scuro coperto da un plaid grigio. È in piedi e parla al telefono con qualcuno. Non ha l'aria felice, sembra al contrario frustrato.
Noto sul bancone del piano cottura gli ingredienti per i pancake e mi metto all'opera senza neanche chiedergli il permesso.
In una terrina metto un po' di impasto mentre nell'altro aggiungo le gocce di cioccolato.
«Esperimenti in cucina?»
Mi coglie alle spalle e sussulto. «Sono brava a cucinare e faccio i pancake più buoni dei tuoi. Ieri tu li hai un po' bruciati.»
«Perché non avevo mai cucinato in vita mia», risponde addentando una mela, andandosi a sedere a tavola dove prende ancora il portatile per continuare la sua serie di chiamate di lavoro.
È un imprenditore davvero competente. Non mi stupisce che abbia portato alla sua famiglia dell'altro successo con l'acquisizione di una importante azienda nel campo dell'energia eolica.
Com'è che si dice? I soldi fanno i soldi.
Per i Ford niente conta di più del successo e dei guadagni.
Adesso però, Hunter si ritrova a dovere sistemare delle questioni burocratiche importanti e a gestire i media che continuano ad assillarlo per avere un'intervista.
«Davvero? Mai?»
Si volta. «Mai», conferma. «Esiste qualcosa chiamato "cuoco" o "fattorino"», replica con convinzione.
Rigiro i pancake creando degli strati con la cioccolata che spalmo assemblando una piccola torta che, porto a tavola.
Mette da parte il tablet e taglia i pancake in due parti prima di avvicinarmi alle labbra un pezzo.
«Pensavo cucinassi per tutte le tue fiamme di una notte», dico, mangiucchiando. «Non che ordinassi il cibo. Non è per niente romantico! Solo pratico.»
Bevo un sorso del suo caffè, pur sapendo del fastidio che gli provoco quando lo costringo a condividere con me tutto quello che ha.
È divertente stuzzicarlo in questo modo, obbligarlo ad accettare qualcosa che vede come una novità e una privazione. Mi piace come i suoi occhi seguono ogni mio movimento e serra la mascella per trattenersi dal commentare. Ecco perché sto leccando le labbra prima di ripassargli la tazza.
«Ti ho già detto che se ne andavano a gambe levate e non arrivavano alla colazione?»
«Le portavi all'esasperazione o le spaventavi quando si svegliavano accanto a te?»
«No, le cacciavo perché avevano qualcosa che non andava o quando mi facevano sentire insoddisfatto.»
Mi alzo togliendo il piatto vuoto e mi appresto a lavare tutto e a pulire il ripiano. «E che cosa cerchi? Insomma, che cosa pensi di volere per sentirti soddisfatto?»
Si avvicina e chiude il rubinetto. «Ci penserà Myrtle, è il suo lavoro.»
«Myrtle non ha mangiato su questi piatti e sono solo poche cose che puoi benissimo sciacquare usando una spugna e un po' d'acqua.»
Si mette imbronciato contro il ripiano. «Facevi così anche a casa tua?»
«A casa mia non ci sono domestici. Io sporco io pulisco. Se ti riferisci a casa dei miei invece è diverso. Lì puoi schiavizzare chiunque con la frase: "io ti pago e tu devi farlo".»
Asciugo le mani e mi dirigo in camera per recuperare le mie cose.
Hunter invece prende le chiavi dell'auto. «Ti do uno strappo e mi assicuro che non ci sia nessuno nei paraggi prima di lasciarti alle tue cose.»
Sorrido. In fondo fa dei gesti davvero carini. Mi domando se ne sia consapevole dell'effetto che hanno su di me.
«Ok, ma sono sicura che mio padre manderà Bosh a controllarmi.»
«Chi è Bosh?», chiede guardingo.
Mi sporgo alzandomi sulle punte per raggiungere il suo orecchio in modo tale da parlare in maniera confidenziale. «Chi ti farà il culo se solo proverai a varcare la soglia di casa mia senza permesso.»
Mi allontano uscendo dall'appartamento. Prendiamo l'ascensore e poi ci ritroviamo nel parcheggio sotterraneo dove Hunter apre le portiere del suv.
Entro in auto mettendomi comoda. Allaccio la cintura e attendo che Hunter avvii il motore e mi porti dritta a casa.
«Non hai risposto alla mia domanda prima.»
Osservo la fila ordinata di alberi, la spiaggia con il mare di un azzurro pazzesco, cristallino.
Mi viene voglia di dirgli di fermarsi e correre lì, tuffarmi e divertirmi. Ma so di avere altro a cui pensare.
«Perché non volevo.»
«Per questo hai eluso la domanda facendone un'altra e cambiando argomento? Maturo da parte tua. Sei sicuro di essere messo bene lì sotto? Non è che hai problemi e per questo cerchi di mascherare il tutto...», indago, lasciando di proposito a metà la frase.
Sorride anzi, ghigna. «Guarda, potrei cogliere la provocazione e rispondere in tanti modi. Ma sarei così volgare da scioccarti e bloccarti la crescita, ragazzina.»
Gli mollo un colpetto alla spalla. «Secondo me non riesci neanche a rispondere perché non sai che cosa dire.»
Prosegue lungo la strada come se avesse fatto molte volte questo percorso, riflettendo.
«Ti sbagli. Non voglio apparire volgare ai tuoi occhi. Ho anch'io una reputazione da mantenere e da difendere. Diciamo solo che quelle ragazze non sono riuscite a soddisfare i miei requisiti. Sono un tipo esigente», mi risponde fermandosi davanti il cancello di casa mia.
La mia bellissima villa è isolata rispetto alle altre che sono situate nel quartiere a distanza tra loro, separate solo da un giardino e una recinzione. Piccola, dalle pareti bianche e dal tetto azzurro, offre la migliore vista su tutto quel blu, su parte della città. È il mio posto. È la mia casa. È il mio rifugio.
Provo a scendere con l'entusiasmo di sempre e Hunter mi ferma.
«Posso?»
Sbuffo. «Ok, fai pure l'eroe! Se credi di beccarti un proiettile ti sbagli, nessuno supera quel cancello.»
Scuote la testa uscendo dall'auto. «Voglio dare un'occhiata lo stesso.»
Controlla intorno spostandosi sul retro e quando ritorna mi fa cenno del via libera ma sono già alla porta e sto per aprirla.
Corre sul vialetto, inciampa per raggiungermi e lo fa in poche e semplici falcate. «Non ascolti mai, vero?», non nasconde l'irritazione.
«No. Sono a casa mia. Che cosa vuoi che accada?»
Apro la porta e i sacchetti mi cadono dalle mani.
Non sento più niente intorno. Non sento il via vai delle auto. Non sento il cinguettio degli uccelli. Non sento le risate in lontananza dei turisti che scendono in spiaggia. Non sento il rumore delle onde. Non c'è niente intorno a me, mentre davanti... be', davanti è un'altra storia.
La paura mi piomba addosso senza alcun preavviso, senza nessuna scarica fredda che ne preannuncia l'arrivo. Un attimo prima stavo sorridendo e adesso invece non so che cosa dire, non so che cosa fare e se trattenermi. So solo che dentro sto già urlando disperata mentre il cuore scalpita contro lo sterno.
Ci sono così tante cose dentro di me da non riuscirle a classificare con una sola parola. Sono atterrita, stordita e poi ancora arrabbiata. Di una rabbia che mi attraversa in un lampo.
Un senso di vuoto, nero, smisurato, asfissiante, mi risucchia.
Ho provato una simile sensazione un'altra volta e poi c'è stato il buio a coprire le mie giornate, i miei momenti felici.
Adesso che vedo quello che ho davanti, ripiombo in quei giorni.
Gli occhi mi tremano e il sorriso si spegne mentre si fa strada dentro di me il panico quando vedo tutte le mie piante a terra, i vasi in frantumi, i libri ovunque e ogni cosa fuori posto. Sulle pareti delle scritte fatte con la vernice che i miei occhi non riescono a mettere a fuoco perché potrebbero imprimermisi nel cuore.
"STRONZA" la prima parola a macchiare il quadro con il tramonto. "TRADITRICE", la seconda sul muretto che separa la cucina dal soggiorno.
Corro al piano di sopra senza guardarmi intorno in camera e procedo nel mio studio.
Qui, mi scappa un urlo. Forte, carico di dolore. Tappo la bocca e scoppio in lacrime quando vedo il mio modellino ancora da assemblare, il lavoro di un anno intero, distrutto in tanti piccoli pezzi.
È tutto fuori posto. Tutto sottosopra. Tutto a soqquadro, come la mia vita che, ancora una volta sta prendendo una bruttissima piega.
Sento dei passi. Quando apro gli occhi mi rendo conto di essere a terra. Sono scivolata o forse sono caduta. L'unica cosa che sento è un forte bruciore sulla bocca dello stomaco e un dolore acuto al petto. Come se mi avessero trafitto con tante lame.
Hunter, si abbassa mentre con sguardo serio e furioso parla al telefono con qualcuno.
«Contatta la squadra speciale! Si, è di vitale importanza! Contatta anche loro, setacciate ogni angolo e scovate quel figlio di puttana. Lo voglio entro il tramonto. Non mi interessa dove si trova o con chi, arrestatelo se necessario con qualsiasi scusa, anche se in presenza del presidente. Non me ne fotte un cazzo!»
Riaggancia senza neanche ascoltare e guardandosi intorno mi abbraccia.
«Mi dispiace, so che non deve essere facile in questo momento per te ma devo farti delle domande per capire. Presumo tu sappia già chi sia stato. Adesso dimmi, aveva una chiave?»
Nego in fretta. Non ho mai ritenuto necessario un gesto simile. Non ho mai dato le chiavi del mio posto a qualcuno. Ne tengo una di riserva ma in un posto tutto mio, a cui nessuno ha accesso. Evidentemente, ho sottovalutato Nolan.
«Non ho idea...», le lacrime appannano tutto e singhiozzo. «Ha staccato l'allarme. Il codice si rigenera ogni settimana e lui... lui non poteva saperlo. Ho sempre fatto attenzione a queste cose. Io...»
Non riesco a parlare. Non riesco ad articolare bene le frasi che escono sconnesse dalla mia bocca perché il mio cervello ha troppe cose da razionalizzare.
Mi sembra di essere piombata in un brutto incubo.
Nolan lo sapeva. Gli ho sempre parlato del mio unico punto debole e, ha distrutto quello a cui tengo di più: il mio progetto, il mio sogno, il mio futuro, la mia rivincita.
Guardo il modellino del giardino che volevo presentare alla gara annuale di progetti per la costruzione di aree verdi speciali. Volevo aggiudicarmi l'incarico, quello più importante della mia vita. Volevo crearne uno spazio verde, incontaminato, aperto a tutti, soprattutto alle persone con qualche problema fisico o disabilità in genere, in uno dei più importanti quartieri di Miami. Volevo creare un posto perché la gente lo vedesse, lo amasse, lo rispettasse e, soprattutto, ci si divertisse dentro.
Era tutto pronto. Tutto organizzato nel dettaglio. Avevo impiegato un anno per fare crescere tutte quelle piccolissime piante per assemblarle insieme ad altri elementi decorativi, fino a formare il disegno progettato di notte al computer. Mancano solo due settimane e adesso, non potrò più partecipare perché è tutto ridotto in tanti piccoli pezzi. Il monumento fatto con il legno e decorato, la fontana, il motore che la faceva funzionare, il prato, i fiori, le altalene, tutto...
Scuoto la testa non riuscendo più a guardare il mio bellissimo lavoro ridotto in piccole schegge, pezzi di cuore volati via in un attimo.
«Bastardo!», mi sfugge tra i singhiozzi.
«Era importante quello che stavi costruendo?»
Sollevo il viso. «Ha distrutto il mio sogno...», sussurro con voce spezzata. «Ha distrutto tutto. Lui... ha distrutto tutto.»
Vago intorno e più vedo ogni cosa rotta, più mi viene da piangere fino a prosciugarmi.
Hunter ancora una volta risponde al telefono. Ascolta con sguardo grave continuando a tenermi tra le sue braccia.
«Non mi importa. Fallo e basta. Si. Ok. Controlla!», ordina in modo brusco.
Mi aiuta ad alzarmi. «Usciamo un po' da qui, ok? È importante lasciare tutto così com'è.»
Nego. «Devo mettere in ordine. Io...», mi stringo contro il suo petto, macchiando di lacrime la sua maglietta bianca.
Mi tiene il viso alzato con due dita. I suoi occhi sono carichi come una tempesta.
«Pagherà per quello che ha fatto. Non preoccuparti. Chiamerò Myrtle, vedrai che metterà in ordine ogni cosa. Adesso però andiamo. Prendi solo quello che serve. Non ti lascio qui e non ti permetto di stare in un posto che attualmente ti fa soffrire. Tornerai quando tutto sarà pulito e tu sarai meno scossa.»
Non ammette repliche e come un automa recupero una valigia riempiendola con le mie cose evitando di guardarmi intorno per non cadere nello sconforto più totale.
Riempio uno scatolone con le piante che riesco a salvare e i libri che non intendo lasciare lì per terra.
Non riesco a smettere di sentirmi colpita a fondo. Pugnalata così tanto da un uomo che credevo ci tenesse a me, che mi amasse, che fosse felice per la realizzazione dei miei sogni.
«Si, voglio la squadra. Voglio la scorta e voglio qualcuno che venga qui immediatamente! Bene!»
Si avvicina mentre raccolgo i petali dei fiori ormai ridotti in un mucchio di pezzi in soggiorno. Il vaso è ormai solo un mucchio di cocci di vetro.
«Ci è salito sopra, li ha calpestati», tiro su con il naso.
Hunter è irrequieto. Non sa come consolarmi. Ma nessuno ci riuscirebbe, perché nessuno capisce come mi sento, quello che provo dentro.
Quando un'auto si ferma a poca distanza dal suv, Hunter spalanca la porta e da questa entra Nelson seguito da una donna. Lei, non batte ciglio ma, mi rivolge uno sguardo materno così potente da farmi piangere.
Si abbassa subito passandomi un fazzoletto. «Sono Myrtle, la moglie di Nelson. Tu devi essere Iris. Metteremo tutto in ordine dopo avere fatto delle foto, se non ti dispiace», mi avvisa, con un tono pacato, dolce e gentile. «Saranno utili ad incastrare quel pazzo che ha fatto tutto questo.»
Fisso ancora i petali che ho tra le dita.
«Fate quello che volete ma non buttate le mie piante o i libri e, non toccate niente nel mio studio, lasciate tutto così com'è, me ne occuperò io. Ci sono pezzi che non possono essere buttati.»
Myrtle, annuisce e sollevandosi guarda prima Hunter poi Nelson spostandosi al piano di sopra.
«Signore», urla solo dopo un momento.
Saliamo tutti e tre e la troviamo nel bagno. Indica lo specchio con una mano sul petto e la fotocamera nell'altra.
Indietreggio scuotendo la testa mentre leggo la scritta, con il mio rossetto rosso, sulla superficie dello specchio: "PUTTANA QUESTA ME LA PAGHI".
Ha toccato le mie cose. In un attimo non sono più al sicuro in casa mia. Il mio rifugio si è trasformato in una trappola.
«C'era questo sul cuscino», dice la donna dagli occhi scuri e dallo sguardo acceso.
Hunter le toglie il foglio dalle mani e dopo avere letto il messaggio stropiccia il foglio scendendo di corsa al piano di sotto.
Lo seguiamo e si ferma fuori, il telefono in mano e la furia accecante negli occhi. Ascolta annuendo poi guarda me e alle mie spalle.
«Pensate al resto. Iris, vieni», mi dice modulando il tono. Non esce che rude e pieno di forza.
Carica in auto quello che ho raccolto e senza neanche allacciarsi la cintura parte in fretta senza mai distogliere lo sguardo dalla strada, aumentando a tratti la velocità prima di fermarsi per raggiungere il suo attico.
«Prenderò una camera. Non è necessario...»
«Tu starai a casa mia, intesi?», sbotta.
Sussulto e accorgendosene abbassa le spalle massaggiando la fronte. «Scusa. Non volevo.»
«Tranquillo.»
Soffia dal naso mordendosi il labbro. «Era un messaggio per me. Per questo ha distrutto casa tua. Ieri gli ho detto che sarai la mia fidanzata ed è andato su tutte le furie.»
Spalanco gli occhi e la bocca. «Che cosa hai fatto?», urlo.
«Lo so. Volevo solo metterlo al tappeto senza toccarlo fisicamente.»
Incrocio le braccia al petto. Adesso la rabbia si sta impossessando di me e rischio di fare del male a chi mi sta intorno.
«Gli hai detto che ci fidanzeremo? Davvero?», guardo davanti a me. «Non succederà. Sai perché? Perché a quanto pare sei come tutti gli altri. Sei come la mia famiglia. Vuoi solo il tuo bene non il mio!», urlo come una pazza, uscendo fuori dalla macchina.
Hunter mi segue. «Ti sbagli! Ho pensato solo a te. Ho fatto del mio meglio per non ferirlo troppo ma le parole mi sono uscite dalla bocca quando mi ha detto che si prendeva il tuo corpo quando e come voleva. L'ha fatto davanti a tua madre, avrebbe continuato se io...»
Gli mollo uno schiaffo abbastanza forte da fare voltare due persone che se ne stanno per strada a chiacchierare.
«Questo è perché non avevi il diritto di dirglielo.»
Lo abbraccio. Mi nascondo li, dove si è formato un buco profondo, lì dove il cuore batte provocando un enorme frastuono in quel vuoto di un animo in tormento.
Lo stringo a me cercando di calmare il dolore che si è fatto strada dal mio cuore ferito.
«Questo è perché hai impedito a mia madre di conoscere determinati retroscena sulla mia vita sentimentale.»
Mi stringe al petto premendo le labbra sulla mia testa. Le sue spalle si abbassano. «In quel foglietto c'era scritto: "il prossimo ad essere calpestato e distrutto come questa casa sarai tu, Hunter". Firmato Nolan.»
Premo le dita sulla sua schiena. «Mi dispiace. È tutta colpa mia.»
Scrolla la testa. «No. Non dirlo. Potevi essere da sola in casa. Allora, che cosa ti avrebbe fatto? Pagherà per tutto, vedrai. Adesso però entriamo, stai tremando.»
Lo seguo nel suo appartamento. Non so che cosa dire, che cosa fare. So solo che fa tanto male. Così male da non riuscire a respirare.
Evito di ascoltare il mio cuore. Il suono diventa man mano sempre più assordante mentre un groviglio di pensieri continuano ad avanzare e ad ingarbugliarsi così tanto da non riuscire più a scioglierli.
Negli anni ho imparato l'amore in tutte le sue forme. La bellezza delle piccole cose fatte senza un doppio fine. Ma ho anche imparato a farne a meno, a smettere di elemosinare amore. Perché quando ti accorgi che nessuno può proteggerti dal dolore, finisci per renderti conto che l'unica persona in grado di poterti salvare sei solo tu.
Ho visto di tutto. Mi sono fidata delle persone, troppo, ma fidarsi fa un male insopportabile quando poi ti feriscono, quando ti deludono, quando ti uccidono e non se ne accorgono. Forse per questo ho costruito muri altissimi senza mai lasciarmi andare completamente. Ma adesso è diverso. Adesso il mio cuore è stato strappato via senza esitazione.
Il mio progetto... tutto distrutto e per che cosa? Per un rifiuto. Per uno screzio. Per un litigio.
Asciugo le lacrime che continuano a scendere senza controllo.
Me ne sto seduta sul divano, un cuscino stretto in grembo, a fissare il vuoto da ore. Mi sento così patetica...
Hunter si avvicina cauto, passandomi una tazza di te' caldo e posa sul tavolo basso da caffè un vassoio con dei muffin.
«Non li ho trovati con la crema al limone, spero vadano bene anche al cioccolato.»
Bevo un sorso di te'. «Non c'è bisogno che mi compri dei muffin per farmi capire che ci sei e che vuoi aiutarmi. Sto bene, devo solo... io....», le spalle mi tremano e stringo le palpebre per non piangere.
«A me non sembra che stai bene. Da quando siamo arrivati fissi il vuoto, non parli e piangi a dirotto. Mi sto preoccupando per te, Iris.»
Poso la tazza sul tavolo mettendola sopra il piattino. «Sono solo un po' provata. Niente che una dormita non possa passare. Devo solo razionalizzare il tutto e calmarmi.»
Inclina la testa sfiorandomi la guancia. «Ti ha mai fatto male?»
Non posso. Non posso.
Distolgo lo sguardo grattando lo smalto sull'unghia.
«No.»
«Stronzate!», urla.
Deglutisco a fatica. Guardo le mie dita. «Qualche volta ma non mi ha mai picchiata solo afferrata o stretta.»
I suoi occhi si fanno cupi come il cielo coperto e pronto a scatenarsi in una violenta tempesta. «Iris... devi dirmi di più», fatica a trattenersi.
«Ricordi che ti ho detto che non era un ragazzo tradizionale e che non gli piaceva farlo nel letto o...»
Annuisce più che svelto. «Ti obbligava, ti stringeva troppo? Che cosa ti faceva? Dimmi qualcosa in più e non vergognarti. Fammi capire.»
Sollevo gli occhi dalle mie mani posandolo sui suoi che, sembrano reggere il peso della mia tristezza.
Apro la bocca. All'inizio non ne esce alcun suono. Inspiro e stringo i pugni. «A volte non si fermava o mi teneva immobile perché», chiudo le palpebre nascondendo il viso tra le mani. «Perché io... non dovevo...», scuoto la testa.
Hunter si alza dal divano come se fosse indemoniato. «Dannazione, Iris. E perché non l'hai lasciato? Perché non l'hai denunciato? Quattro anni! Quattro! Cristo Santo, non puoi avere sopportato davvero così tanto!», passa la mano sul viso appoggiandosi con la fronte alla vetrata.
«Ha iniziato circa un anno fa. Eravamo a ballare e un tizio ci ha provato con me. Quando siamo tornati lui era incazzato perché aveva fatto a pugni e...»
Si volta. «Come cazzo hai fatto a resistere? Spiegamelo perché non lo capisco.»
«Non lo so. Speravo fosse solo un momento.»
Si stacca e avvicinandosi si inginocchia davanti a me prendendomi il viso tra le mani. «So che non è il momento ma devi darmi una risposta e devi essere decisa. Mi devi permettere di agire per distruggerlo come merita. Prima di farlo però, devi dirmi se firmerai quel documento e sarai la mia fidanzata.»
Mi infurio. «Non è importante adesso! Non me ne frega un cazzo se le nostre famiglie perderanno qualcosa. Io... ho altro a cui pensare.»
«Devi firmare e permettermi di distruggerlo. Solo così potrò farlo, se ci sarà un valido motivo per farlo apparire una minaccia per te, per me, per noi.»
«Puoi farlo anche senza contratto.»
Scuote la testa con disapprovazione. «Non capisci? Io ho scommesso tutto su di te e non ho nessuna intenzione di perdere. Tu invece? Vuoi arrenderti così?»
Nego. «Non ci casco. La mia vita non è di certo un gioco e dopo quello che è successo non ho intenzione di scendere a patti con nessuno.»
Si allontana da me camminando come un leone in gabbia. «Per partire bene dobbiamo essere sinceri tra di noi. Se vuoi il mio aiuto devi accettarlo facendo qualche sacrificio.»
«Vuoi essere sincero? Allora dimmi, che cosa vuoi davvero da me?»
I suoi occhi sono come fiamme di ghiaccio.
«Senti, anche se sembra che io abbia tutto, non ho molto da offrire. Sono un tipo che porta guai, sono arrabbiato con il mondo, sono impulsivo e ho sempre bisogno di attenzioni. Mi piace mettermi in mostra, stuzzicare la gente e piegarla al mio volere. Perché? Perché posso farlo. Ma sono anche chi si beccherebbe la pioggia per ripararti con una sola giacca mentre sei nel bel mezzo di un prato ad ammirare il cielo grigio, sono chi potrebbe tenerti testa o impegnata quando sei furiosa. Sono forte abbastanza da reggere ogni tuo capriccio pur di vedere spuntare come il sole quel sorriso che tieni nascosto. Senti, non ho molto da offrire, niente di quello che vuoi o di cui hai bisogno perché non sono e non sarò mai il ragazzo che ti farebbe trovare fuori casa una scritta sull'asfalto o altre stronzate che piacciono a tutte le persone romantiche. Ti posso solo regalare tutto me stesso. Posso darti la mia parola. La mia protezione. Ti posso dare persino il mio cuore se proprio non riesci a fidarti, così puoi farne ciò che vuoi. Voglio solo che tu ti accorga di me, che tu riesca a vedermi superando quel pregiudizio che hai nei miei confronti.»
'Disarmata' è l'unica parola che descrive come mi sento quando mi trovo accanto a lui. 'Fragile', per il mio cuore che batte senza controllo non dandomi più ascolto. 'Protetta' per la mia anima rotta.
Sarà anche vero che le parole sono solo parole, ma ci sono volte in cui si pronuncia qualcosa che parte dal cuore e ti piomba addosso aggiustando tutto: le insicurezze, la solitudine, la tristezza, il dolore. Le parole a volte bastano a medicare un cuore ammaccato. Perché ci sono parole in grado di provocare solo cose belle dentro anche quando intorno regna sovrano il caos.
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