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6 - Cadute magiche

Le ultime due settimane sono state davvero pesanti per me, soprattutto per quanto riguarda "il vero me": infliggere dolore magicamente, che credevo fosse un potere semplice da padroneggiare, è stato impossibile da mettere in pratica, ma, soprattutto, da nascondere – ho rischiato di uccidere una persona facendogli venire un aneurisma, ma mio padre, per fortuna, è intervenuto in tempo –; ancora più pesante, invece, è la Divinazione, che richiede una grandissima pazienza (che non ho).
Molto dilettevole, invece, è stato imparare a preparare pozioni, soprattutto perché mia madre è così appassionata che le sue spiegazioni mi hanno ispirato a migliorare le mie abilità.

«Questa pozione è molto complessa, ma se segui i passaggi con attenzione e aggiungi le dosi corrette degli ingredienti, potresti ottenere dei risultati davvero brillanti» dice mia madre sorridendo, mentre i suoi occhi scorrono lungo le pagine ingiallite del grimorio della sua famiglia.

Mi sporgo per leggere qualcosa, ma ciò che riesco a cogliere è soltanto il nome che è stato dato alla fattura: Eau de Vérité, un nome che, a parer mio, ricorda tanto un'Eau de toilette che potrebbe essere trovata persino all'Esselunga di Novoli.

«Dieci trifogli, estratto di verbena, ceneri di quercia, sangue di volpe e piume di corvo» leggo ad alta voce, preparando gli ingredienti da utilizzare.

Mentre leggo il procedimento da seguire, comincio a pestare dentro il mortaio i trifogli e, successivamente, verso il sangue di volpe dentro un pentolino e comincio a farlo bollire a fuoco medio. L'odore pungente del liquido rosso mi fa venire il voltastomaco e trattengo a stento un conato di vomito; prendo una piccola fiala, su cui è stata attaccata un'etichetta che dice "estratto di verbena", e comincio a versare lentamente il contenuto mentre pronuncio "Eau de Vérité" in maniera cantilenante.

«Stai andando bene,» complimenta la mamma, «ti viene davvero naturale.»

Dopo aver aggiunto le piume e la cenere, comincio ad aggiungere i trifogli pestati e poi mescolo il tutto, abbassando leggermente la fiamma e coprendo la pentola.
Aspetto venti minuti – un intervallo di tempo che passo a disegnare circonferenze goniometriche e risolvere equazioni con seno e coseno – e poi spengo la fiamma. Alzo il coperchio e, purtroppo, resto deluso dal risultato: il colore della pozione è rosso scuro (mentre doveva essere marrone) e l'odore che per primo raggiunge le mie narici è quello del sangue di volpe.

«Beh, farai meglio la prossima volta. Ho notato che hai versato la verbena troppo in fretta e, mentre pronunciavi le parole, lo hai fatto troppo lontano dal miscuglio. Per la prossima volta ripassa i passaggi, tenendo a mente anche quello che ti ho detto» annuncia mamma con un tenero sorriso.

Annuisco e, dopo aver aiutato a rimettere a posto la cucina, me ne torno in camera mia leggermente arrabbiato con me stesso: sono sempre stato il primo della classe e ho primeggiato sugli altri in tutte le materie, specialmente chimica. Ero convinto che i procedimenti per preparare la pozione fossero simili a quelli per creare una qualsiasi soluzione o far avvenire una reazione chimica, ma mi sbagliavo.

Sbuffo sonoramente e lascio uscire Sonic dalla gabbietta, prendendolo in braccio e dandogli da mangiare e, nel mentre, leggo che ore sono.

«Oh merda! Devo ancora inviare i compiti di informatica!»

_________

«Concentrati, Francesco!» sbraita mio padre, incrociando le braccia al petto e fissandomi con un leggero disappunto.

«Beh, 'un l'è mi'a facile concentrarsi se continui a urlarmi negli orecchi!» rispondo sbuffando e fissando intensamente l'abat-jour accanto al mio letto: quello che dovrei fare è sollevarla a mezz'aria, ma è troppo pesante e non riesco a muoverla neanche di un millimetro.

È passata una settimana dall'ultima volta che ho provato la Telecinesi e non ho ancora ottenuto alcun risultato.
A volte le lezioni del mio babbo sono terribilmente pesanti, soprattutto quando si tratta di incantesimi "semplici": non ammette alcun errore, nessuna distrazione e pretende la perfezione. Capisco che non gli vada a genio l'idea che io pratichi la magia, ma, a volte, credo che questa sua rabbia si riversi un po' addosso a me e questo fa male.

«Oh, insomma! Cosa andavo a pensare quando ho deciso che fosse arrivato il momento di praticare?! Non riesco a ottenere risultati!» sbraita al limite della pazienza.
«Abbiamo finito qui!»

«Babbo, aspetta! Io mi sto sforzando il più possibile, ma-» Mi interrompe a metà frase e si alza dalla sedia, cominciando ad andarsene.

«Sto solo perdendo tempo...»

Appena sento quella frase, la rabbia comincia a ribollire dentro di me e, in uno scatto improvviso, faccio un gesto con il braccio e riesco a lanciare l'abat-jour contro mio padre. Purtroppo, però, lui si gira in tempo e ferma la lampada a mezz'aria, tenendo la mano aperta e le dita distanti l'una dall'altra.
Vedo lo sguardo che ha (sorpresa unita a un po' di orgoglio) e, con una semplicità disarmante, rimette l'abat-jour sul comodino. Con un sorrisetto, l'uomo comincia a parlare: «Ho notato fin da subito che, spesso, pensi troppo. A differenza degli altri incantesimi o degli altri poteri che può avere una strega, la Telecinesi è più libera ed è molto legata alle emozioni. Infatti, quando ti sei arrabbiato sei riuscito nell'intento. La prossima volta, però, prova anche a essere più rilassato.»

_________

Il lunedì è sempre un giorno traumatico, soprattutto perché ho il compito di fisica alla prima ora.
Sono sveglio dalle cinque e, nonostante abbia preso quattro tazze di caffè, sento ancora le palpebre pesanti e una stanchezza così grande che potrei dormire in piedi.

Mentre la classe si riempie di studenti, cominciamo a separare i banchi e a tirare fuori astucci, calcolatrici e fogli a protocollo, nella speranza di riuscire ad avere più tempo per poter svolgere il compito.

Dopo che la Marini è entrata in classe e ha fatto l'appello, ci viene dato il testo dei vari esercizi e, dopo che l'ho letto con attenzione, comincio a svolgerli, trascrivendo i dati e cominciando a fare i vari passaggi per trovare il risultato. Il problema, però, arriva quando il quesito chiede di calcolare la variazione di temperatura di due corpi che entrano dentro il mulinello di Joule, con la massa d'acqua lì presente che assorbe il settantacinque per cento del lavoro delle due masse.

"Merda! Come si fa quest'esercizio?!" penso disperato, mentre cerco di trovare una soluzione su come andare avanti, ma, per mia sfortuna, la campanella suona e l'unica cosa che sono riuscito a fare è scrivere i dati e calcolare l'energia potenziale gravitazionale dei due corpi.

Sospiro scoraggiato e consegno il compito e do addio a un dieci che avrei potuto prendere a mani basse.

_________

«Dai, su, alzala!» incita Giovanni alla squadra, aspettando che l'alzatore gliela passasse.

Sono seduto sulla panchina, aspettando di entrare per fare una battuta e giocare a pallavolo, nonostante l'idea non mi alletti più di tanto: finché si tratta di fare esercizi individuali, tutto va bene, ma, se ho a che fare con lavori di squadra, allora non c'è nessun modo che io possa riuscire ad aiutare il gruppo.

La mia squadra riesce a fare un punto e, con uno sbuffo, mi alzo dalla panchina, prendendo il posto di Giovanni mentre lui si siede.

«Vedi di non farci perdere!» esclama il biondo, socchiudendo gli occhi e sbuffando scocciato.

Ricambio lo sguardo, roteando gli occhi al cielo e posizionandomi per fare la battuta.

La partita procede tranquilla, tra i miei compagni che non si curano di passarmi la palla e io che me ne sto tranquillo in un angolo del campo. Una volta finita – finalmente, oserei dire! – ce ne torniamo tutti nello spogliatoio a cambiarci.

Cominciamo a cambiarci in quella piccola stanza che odora di sudore, piedi e ormoni, mentre ognuno cerca un posto dove mettere la propria maglietta sudata o sedersi per mettersi le scarpe pulite.

Mi guardo attorno a torso nudo e noto che, tra venticinque ragazzi di una quarta da trenta, sono davvero pochi quelli che hanno un fisico allenato: Giovanni e i suoi amici, essendo giocatori di calcio, hanno dei polpacci e delle cosce muscolose, oltre ad avere degli addominali ben evidenti e una mancanza di pettorali; Luca, invece, è un maledetto armadio con due spalle enormi e due bicipiti altrettanto grandi.

Dopo aver messo un po' di deodorante ed essermi levato il completo da ginnastica, afferro i miei jeans e la vecchia maglietta di mio padre – una semplice polo bianca, di una taglia più grande e con un piccolo buco sotto il capezzolo destro – e, dopo aver messo anche una comoda felpa sportiva, mi avvio verso l'uscita.

Giovanni, però, sta proprio in mezzo alla porta e si sta pavoneggiando perché ora ha anche i peli – cosa stupida di cui vantarsi – e, frettolosamente, lo spingo di lato e apro la porta, per poi cantargliene quattro: «Levati, idiota.»

Comincio a salire le scale, diretto verso la mia classe, ma qualcuno mi afferra il polso e comincia a stringere con forza. Mi giro e vedo che si tratta di quell'anguilla di Giovanni: nei suoi occhi celesti, infatti, riesco a leggere tutta la rabbia che prova.

«Ma che problemi hai?! Capisco che io ti sia sempre stato sulle palle, ma stai esagerando!» sbraita stringendo la presa, mentre io cerco, invano, di divincolarmi. Capperi, ha una presa davvero forte e fa davvero male!

«Lasciami andare! 'Un devo mi'a rispondere a te se mi stai sulle balle!» rispondo, mentre sento qualcosa pungere il polso.

Abbasso lo sguardo e noto che Giovanni guarda a terra e fa dei grandi respiri, come se stesse cercando di calmarsi – senza successo, ma ci prova – così ne approfitto subito: «Déplacé!»

Finalmente, la presa di Giovanni si stacca, ma mi accorgo troppo tardi di quello che ho fatto: grazie alle emozioni, infatti, l'effetto dell'incantesimo è stato amplificato e ha fatto sì che, oltre a mollare la presa, egli cadesse per le scale, rotolando giù per i gradini e terminando la caduta con un sonoro crack.

Mi affaccio leggermente e vedo che, dalla tempia destra, esce molto sangue a causa di un taglio abbastanza profondo; più disgustoso, però, è vedere la sua gamba sinistra girata in maniera innaturale.

Giro subito i tacchi e me ne torno in classe. Dentro, però, comincio a sentirmi male: ho appena ucciso qualcuno! Cosa faccio?! Non ho una vasca abbastanza grande per mettere il suo corpo e l'acido del laboratorio di chimica non è abbastanza potente da sciogliere tessuti e ossa! Non posso e non voglio finire in prigione! No!

Ho ucciso un ragazzo... Certo, si trattava di Giovanni e nessuno sentirà la sua mancanza, ma era pur sempre un diciassettenne!

Cerco di scacciare il pensiero dalla mia testa, ma non ci riesco e, ad aggravare la situazione, sento qualcuno chiamare un'ambulanza e le custodi che avvertono i genitori dell'accaduto.

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