4 - Attacco
«Allora, Francesco, raccontami un po' come ti senti,» esordisce la terapista, squadrandomi attraverso gli occhiali dalla montatura rotonda e con l'estremità della penna a sfera vicino alle labbra, «i sogni strani che hai fatto, le allucinazioni... hai più visto qualcosa del genere?»
Evito di incrociare il suo sguardo, consapevole che lei non è e non sarà mai in grado di aiutarmi con i problemi che mi affliggono.
È passato un mese circa da quando sono cominciati i miei incubi, ma continuo a pensare a tutto ciò che ho visto, sentito, fatto e, ogni volta, le domande che ho in testa aumentano sempre di più e i pensieri si aggrovigliano. Non sento più vibrazioni strane e non ho strane "visioni" che compaiono quando tocco qualcosa. Mi sento normale, nonostante il cruccio che mi porto dentro.
«No. Da quando non ho più incubi di quel genere mi sento come se fossi rinato» mento spudoratamente, accennando un sorriso per dare una parvenza di verità alle mie parole.
Forse non rivedo più il villaggio distrutto, il terremoto e la luce blu; forse non ho più perdite di memoria e forse non mi ritrovo più in posti in cui non penserei mai di infilarmi, eppure sento ancora di più l'esigenza di dover scavare ancora più a fondo su questa faccenda.
«Noto dal linguaggio del tuo corpo che non sei ancora rilassato, proprio come se sentissi un enorme peso sulle tue spalle,» spiega la donna, «sapresti dirmi il perché?»
«Ecco... l'esame di maturità si avvicina sempre di più, eppure mi sento come se non fossi all'altezza di superarlo» rispondo facendo spallucce. Pff, che sciocchezza! Tra tutte le persone in classe mia, sono l'unico che sarebbe capace di passare la maturità a occhi chiusi, considerando che ho dei dugonghi come compagni.
«Inoltre, se la mia media è buona potrei chiedere una borsa di studio ed è proprio quello a cui vorrei puntare, così da avere un'opportunità.» Mi metto a sedere con la schiena dritta, pensando attentamente a quello che ho appena detto: non ho mentito alla strizzacervelli, ho semplicemente detto una mezza verità.
«D'accordo,» dice la donna annotando qualcosa sul suo taccuino, «so che è un periodo stressante, soprattutto perché ci sono anche gli studi su cui devi concentrarti al massimo, ma se hai un po' di tempo, ti consiglio di fare le attività che ti piacciono. Mi hai detto che suoni il pianoforte, giusto?»
Annuisco pensieroso, non capendo che nesso ci sia tra lo stress e il piano.
«Dovresti ricominciare a suonarlo, magari la musica ti aiuterà un po'.»
Mi alzo dalla poltrona, raggiungendo a grandi falcate l'appendiabiti con il mio giubbotto, e mi preparo per uscire da quelle quattro mura verdi e poco accoglienti.
«Grazie dell'aiuto, dottoressa. Alla prossima.»
_________
Sulla via di casa, con il vento autunnale che scompiglia i miei capelli, guardo le foglie degli alberi che cadono a terra lentamente, staccandosi dai rami rinsecchiti degli arbusti.
Giro l'angolo per entrare nella via di casa, ma, all'improvviso, vengo afferrato e sbattuto contro il muro di un edificio vicino alla farmacia di Viale Guidoni. Provo a divincolarmi, ma la presa è terribilmente stretta e sento un forte dolore ai polsi.
«Chissà che sapore ha un Marchiato» ridacchia il mio aggressore in modo inquietante.
Gli tiro una testata abbastanza forte da stordirlo e con una spinta lo butto a terra. Lo fisso spaventato, confuso dalle parole che ha pronunciato, e comincio a correre verso casa mia. Non faccio in tempo a girare l'angolo che vengo raggiunto da quel tipo strano. Lo guardo in faccia e ciò che mi si para di fronte mi fa raggelare il sangue nelle vene: i suoi occhi, completamente rossi, mi fissano con desiderio, proprio come se fossi un bombolone ripieno di crema. Ciò che mi fa più paura, però, sono i canini che spuntano dalla sua bocca. Che cosa dovrebbe essere quel coso?!
Non faccio in tempo a girarmi che mi ritrovo bloccato da questa creatura. In un batter d'occhio, sento i due canini perforarmi la giugulare con precisione chirurgica: il sangue comincia a colare copiosamente e l'aggressore comincia a succhiare avidamente.
Mi agito sotto la sua morsa mortale, provo a staccarlo da me, ma non ottengo nessun risultato, se non un aumento della violenza con cui si nutre di me. Le forze cominciano ad abbandonarmi, la vista si fa sempre più offuscata, le mie braccia si afflosciano e quello che mi resta da fare è chiudere gli occhi...
A un tratto, il dolore comincia ad affievolirsi e sento che la presa si è allentata. Crollo a terra con un tonfo, mentre tutto ciò che ho davanti si fa più sfocato. Le urla di dolore del mio aggressore rimbombano dentro la mia testa per un tempo che pare infinito, ma, a un certo punto, quel fastidioso rumore sparisce, sostituito da un sonoro crack.
I suoni si fanno sempre più ovattati e il dolore al collo continua a essere presente. Prima di perdere completamente i sensi, sento un terribile sapore: sa di ferro e mi riempie la bocca. Non ho neanche la forza e, dopo un tempo che mi pare interminabile, ho solo l'oscurità davanti.
_________
Appena apro gli occhi, sento delle zampette morbide che premono sulla mia faccia e riconosco subito a chi appartengono.
«Sonic, ti prego!» esclamo ridacchiando leggermente e prendendo il mio piccolo riccio in braccio, «è stato il babbo a farti uscire dalla gabbietta?»
Fisso quegli adorabili occhietti marroni, sorridendo leggermente per l'affetto che mi mostra l'animale, e lo avvicino al mio petto mentre cerco di origliare la conversazione che sta avvenendo in famiglia: percepisco la preoccupazione di mio padre, che continua a camminare avanti e indietro per tutto il salotto; la nonna, invece, cerca di farlo ragionare, ma sento che non è per nulla contenta delle decisioni che suo figlio vuole prendere per me.
La litigata dura quasi un'ora, ma tutto ciò che riesco a sentire sono soltanto alcuni spezzoni di frasi varie, che accrescono i numerosi dubbi che già mi assillano: e io che credevo di avere una famiglia normale, tutto sommato...
La conversazione finisce e, appena sento i passi di mio padre avvicinarsi alla mia stanza, mi tuffo a capofitto sul mio letto, stando attento a non ferire Sonic durante il gesto.
«Franci?» Mio padre apre la porta di camera mia e fa capolino dal corridoio, osservando i miei movimenti.
«Come stai? Ti ho portato qualcosa da bere...»
Annuisco in silenzio, mentre il mio babbo posa la tazza fumante sul comodino. Tasto il mio collo con due dita, cercando qualche segno ricollegabile a quella... cosa che mi ha attaccato, ma non trovo nulla che possa spiegarmi cosa è successo poco fa.
Afferro il cellulare e noto l'orario segnato dai numeri sul display: le quattro e dieci. Un momento... quelli erano i numeri che ho visto il mese scorso! Ho un'immagine ancora vivida di quello che ho visto sul fondo della tazza e di ciò che ho scritto sul quaderno, il che significa che rappresentano un orario in cui dovrebbe accadere qualcosa! Sì, ma cosa, di preciso?
Mentre continuo a pormi queste domande, comincio ad avvertire una strana sensazione che mi fa rizzare i peli sulla nuca. Sento delle vibrazioni molto intense che si propagano per tutta la casa, ma non riesco a capire dove si trovi la fonte.
Finisco di bere la tazza di tè, assorto nei miei pensieri, e assaporo quell'aroma dolce e delicato che riscalda il mio corpo a ogni sorso.
Poso la tazza sul comodino e accarezzo il pancino di Sonic, il quale reagisce agitandosi per la felicità. Sorrido intenerito e lo prendo in braccio, cominciando a cercare per tutta la mia camera la fonte delle vibrazioni.
Trascorro un'ora a cercare invano, così mi siedo scoraggiato davanti alla scrivania, cercando di pensare a dove cercare: se fossi mio padre, dove potrei nascondere un oggetto così importante? E se fossi mia nonna, invece?
Mi alzo e, dopo aver riflettuto attentamente, mi dirigo fuori dalla mia stanza, prendendo grandi boccate d'aria e concentrandomi sulle vibrazioni.
Seguo il mio istinto e mi ritrovo in camera dei miei genitori. Mi inginocchio e comincio a tastare sotto il materasso – dove c'è un compartimento dove mettere gli oggetti che non servono più – ma non trovo nulla; neanche tra i cassetti e dentro gli armadi riesco a individuare la fonte di quelle vibrazioni, ma continuo a cercare lo stesso.
«Cerchi qualcosa?» Sento la mano del babbo sulla spalla, ma, appena la posa lì, tutto ciò che mi circonda comincia a vibrare e vedo delle immagini luminose.
Vedo un uomo sui trent'anni, con uno sguardo preoccupato, crea una linea di sale davanti alla porta di una piccola stanza da letto e, con l'aiuto di un paio di forbici, bagna quel segmento con il proprio sangue; c'è un bambino che piange, che cerca di liberarsi, ma non ha successo perché, ogni volta che prova ad attraversare la porta, sbatte contro una forza invisibile, come se una barriera gli impedisse di attraversare la soglia. Il più anziano viene poi preso di forza per le spalle da due uomini che lo portano in giardino e lo legano a un palo. Gli gettano un liquido addosso – probabilmente si tratta di benzina – e gli lanciano un fiammifero addosso.
Trattengo il fiato inorridito alla scena e, dalla finestra, noto che il bambino fa capolino. Riconosco subito quegli occhi azzurro cielo e...
«Tu... Tu mi hai detto che il nonno era morto per colpa di un incendio...» balbetto ancora sconvolto da quell'immagine, girandomi verso di lui e fissandolo con un misto tra paura e rabbia.
«Cosa stai dicendo...?» mi chiede preoccupato, ma capisco subito che sa esattamente quale sia la risposta a questa domanda.
«Non mentirmi, babbo!» urlo infuriato, con le lacrime che minacciano di uscir fuori, «che cosa mi sta succedendo?! Ho questi strani... sogni! Vedo immagini strane e mi sono svegliato in un cimitero!»
«Ehi, Franci, calmati... andrà tutto bene» cerca di rassicurarmi, porgendomi una mano.
«Voglio la verità! Dimmela subito!» grido fuori di me, stringendo i pugni e chiudendo gli occhi.
Le urla di mio padre riempiono la stanza e, appena riapro gli occhi, noto che è inginocchiato a terra e con la testa tra le mani. Resto inorridito da ciò che vedo e, accompagnato da un balzo all'indietro, smetto di stringere i pugni. Deglutisco, mortificato da quello che ho appena fatto, e mi avvicino a mio padre preoccupato.
«Che cosa ho fatto...? Che cosa sono?!» domando tra un singhiozzo e l'altro, incapace di dare una risposta ai miei dubbi.
Giro la testa e noto che mia nonna è lì in piedi, con una sigaretta in mano, mentre mi osserva attentamente.
«È ora che tu conosca la verità» annuncia in tono solenne.
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