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13 - Al chiaro di luna, Parte II

Una volta arrivato a casa di Serena, un piccolo sorriso si forma sulla mia faccia: mentre la mia famiglia era impegnata con la Proiezione Astrale, ne ho approfittato per prendere qualche cianfrusaglia e mi sono assicurato che non mi disturbino finché la luna piena non sarà sparita dal cielo.

Cercando di seguire il passo incalzante della mia migliore amica, faccio il possibile per non ruzzolare in fondo alle scale e tento di non far scivolare il bastone dalle mani. Camminare con quell'affare è una cosa a cui non credo mi abituerò mai: è troppo... innaturale, strano. Sono giorni che sono cieco, eppure non sono riuscito a rassegnarmi del fatto che, da ora in poi, questa sarà la mia routine.

«Franci, stai bene?» chiede preoccupata la ragazza dai capelli rosa, fermandosi ad aspettarmi.

Annuisco, probabilmente nella direzione sbagliata, e sento la sua mano afferrare la mia: la pelle liscia del dorso mi fa sentire al sicuro, consapevole che Serena non mi farebbe mai boccare a terra, specialmente ora che sono un invalido.

«Siamo arrivati!» esclama trionfante, guidandomi dentro casa sua.

È passato davvero tanto tempo dalla festa a casa sua – la stessa festa in cui ho perso la vista – e ammetto che mi è mancata la calma. Insomma, non ho avuto molto tempo per stare in compagnia della mia migliore amica – tra problemi di salute, scuola e faccende soprannaturali – per cui trovo che sia rassicurante il fatto che, almeno per adesso, potrò stare tranquillo.

«È passato un po' di tempo da quando sei stato qui» constata, accompagnandomi verso il divano e aiutandomi a sedere.

«Eh già...» confermo, perso nei miei pensieri. Certo, sono contento di aver aiutato Serena con la festa, ma non posso dimenticare che l'attacco è avvenuto proprio qua fuori. Sento lo stomaco chiudersi e un senso di ansia mi pervade: se ci fosse qualcuno che aspetta il momento giusto per attaccarci e farci del male? No, non posso essere debole mentalmente, non ora che sono più vigile e ben preparato ad affrontare un attacco.

«Ehi, so che è dura» sussurra comprensiva, accarezzandomi leggermente il braccio. «Ma se c'è una cosa che so di te è che sei pronto ad affrontare qualsiasi difficoltà a testa alta.»

Non so se crederle o meno – a volte persino io faccio fatica a crederci – ma sentirmelo dire da lei mi rassicura molto: ricordo ancora quando eravamo piccoli e, durante la ricreazione, alcuni bambini avevano cominciato a prendersela con me. Io non avevo la forza per rispondere, ma Serena si era impuntata e li aveva sgridati. È da quel momento che io e lei siamo diventati migliori amici, sempre pronti a sostenerci a vicenda.

«Franci? Franci?» La sua voce mi riporta alla realtà. «Hai sentito quello che ti ho detto?»

Mi giro di scatto, cercando di inquadrare Serena, ma il suo ridacchiare mi fa capire che la mia testa è voltata nella direzione sbagliata, così mette la mano sul mio mento e la gira delicatamente.

«Ti avevo chiesto cosa ti andrebbe di fare» ripete in tono calmo.

«Non saprei, Sere» rispondo distratto. «Tu cosa vorresti fare?»

La ragazza sospira – probabilmente infastidita dal fatto che non le stia rivolgendo l'attenzione – e mi tocca la spalla.
«Franci, che succede? Sai che puoi dirmi tutto...»

Eh no, Serena, non posso dirti tutto... Non posso dirti che sono un Marchiato; non posso dirti di essere stato io a far boccare Giovanni giù per le scale e non posso dirti che la mia cecità potrebbe esser stata causata da uno scagnozzo assoldato dai Guicciardini. La faccenda si è fatta complicata, amica mia...

«Lo so, Sere...» rispondo esitante, senza riuscire a trovare le parole giuste da usare in questo momento. «È che ho paura.»

«Paura di cosa?» Dal tono di voce riesco a intuire che l'ho lasciata perplessa e che i suoi dubbi si fanno sempre più fitti.

"Paura che tu mi consideri un mostro..." penso preoccupato, ma le parole che escono dalla mia bocca sono diverse: «Non lo so... solo paura.»

Probabilmente Serena si starà chiedendo cosa mi stia succedendo e mi fa male non poterle confessare ogni singolo segreto che tengo nascosto, ma per il bene di entrambi non posso farle vedere il lato soprannaturale di Firenze e di chi vi abita.

«Ehi, Franci, so che questa cosa ti farà arrabbiare, ma Giovanni mi ha scritto» ammette in tono colpevole, lo stesso che usava sempre quando ne combinava una delle sue. «Voleva sapere perché ce l'hai così tanto con lui. Ovviamente non gliel'ho detto, ma credo che sia tu quello che gli deve una spiegazione.»

Quelle parole sono come un grosso macigno che mi cade addosso e che mi schiacciano come un foglio di carta velina: non starà seriamente considerando che gli dica il motivo per tutto il risentimento che provo! Certo, mi aspettavo che quel lupo senza cervello non si ricordasse del torto che mi ha fatto, ma ha addirittura la faccia tosta di chiederlo a Serena!

«Perché dovrei dirglielo?! L'è colpa sua e dovrebbe saperlo!» ringhio arrabbiato, stringendo i pugni, «Non ho intenzione di perdonarlo!»

Serena sospira triste. Cercare di mettere d'accordo le persone è sempre stato il suo punto debole, perché, spesso e volentieri, ogni situazione in cui ha cercato di mediare è finita male e lei si è ritrovata in mezzo ai due fuochi. Provare empatia non è un difetto, ma non si può sempre intervenire in situazioni irrisolvibili, soprattutto se riguarda me e Giovanni.

«Franci, dagli una possibilità...» mi implora giù di morale, «Sono passati dieci anni da quando è successo, non puoi avercela con lui per tutta la vita.» Fa una lunga pausa e accarezza il dorso della mia mano. «Perché non decidi di seppellire l'ascia di guerra una volta per tutte?»

Faccio un respiro profondo – non voglio perdere il controllo dei miei poteri – e cerco di non pensare a qualsiasi cosa sia negativa.

«Parlargli ti farebbe sentire meglio?» chiedo alla ragazza, giocherellando con una ciocca dei suoi lunghi capelli rosa.

«Molto» sussurra in tono supplichevole.

Smetto di stringere i pugni e abbasso la testa, lasciando che la tensione se ne vada dal mio corpo.
«Lo terrò in considerazione.»

Il resto della serata passa tranquillamente: giochiamo ai videogiochi (almeno lei lo fa, ma io mi ritrovo sempre a far cadere Yoshi dalle piattaforme e perdere ogni singolo round di Mario Party); parliamo di tutto e niente e, una volta fattesi le otto, cominciamo a cenare.

«Allora, Franci,» esordisce Lorenzo, il padre di Serena, «come va la scuola?»

«Va tutto bene, anche se duro un po' di fatica ora che sono cieco» ammetto distrattamente, ripensando ancora alle parole di Serena. Forse ha ragione, dovrei cercare di chiarire le mie posizioni e magari voltare pagina, oppure...

«Francesco, hai fatto qualche nuova amicizia?» Corinna, la mamma, mi riporta alla realtà, allontanando dalla mia testa quei pensieri che la stavano invadendo fino a qualche minuto fa.

Nego con il capo.
«Non credo di riuscirci, Corinna... A volte mi piacerebbe avere qualche amico in più, ma non credo che mi sarebbe possibile. Non in questo periodo della mia vita, dato che non me la passo meravigliosamente.»

La sento sospirare leggermente, immaginandomi la fronte corrucciata e quegli occhi azzurro chiaro che mi fissano preoccupati.

«Invece, S, dicevi di aver aperto una pagina Instagram in cui condividevi alcuni... hacks, giusto? Di che tipo sono?» domando alla mia amica, cercando di cambiare discorso.

«Beh, si tratta di una pagina in cui faccio la fashion blogger!» esclama contenta, faticando a trattenere la propria euforia. «Do consigli su come abbinare i vari abiti in base ai colori, ai motivi e all'evento a cui dovranno partecipare.»

Sorrido: Serena ha sempre voluto lavorare nel mondo della moda e, non a caso, si è iscritta a quell'indirizzo di studi al Cellini. Certo, non sono contento del fatto che, tra tutte le scuole presenti sul suolo fiorentino, sia andata a scegliere proprio quella con la fama di essere una scuola per raccattati, ma a volte bisogna fare dei sacrifici per ottenere ciò che si vuole.

«Continui a inseguire il sogno di andare al Polimoda, giusto?» Bevo un sorso d'acqua, aspettando la risposta – affermativa – della ragazza dai capelli rosa.

«È il mio sogno! Sarebbe davvero bello se riuscissi a fondare una mia casa di moda» racconta esaltata.

Dopo una mezz'oretta abbondante, la cena finisce e io e Serena, dopo aver aiutato i suoi genitori a rimettere a posto i piatti e le posate, decidiamo di rifugiarci in camera sua. Una volta che ci siamo messi il pigiama, ci sistemiamo ognuno nel proprio giaciglio e ricominciamo a chiacchierare.

Il tempo passa e, senza che riesca ad accorgermene, è notte fonda.

«Serena?»

Come risposta ricevo il respiro regolare della ragazza, ormai addormentata, e la notizia mi rincuora. Cercando di fare il meno rumore possibile, mi avvicino al mio zaino e, dopo aver preso i grimori che ho rubato e alcune erbe, tiro fuori dallo scrigno portagioie della mamma una collana di perle pregna di magia. La stringo e, dopo aver visualizzato attentamente il Cimitero degli Inglesi, mi ritrovo lì con lo spirito.

«Sono grato dell'esistenza dei talismani» affermo tranquillo, cercando di orientarmi per arrivare al Mausoleo.

Quel luogo è il punto dove la Magia Ancestrale è più intensa, dove è possibile incanalare una grandissima quantità di potere e sfruttarla a proprio vantaggio, almeno così diceva la mamma.

Concentrandomi sui miei poteri divinatori, riesco a orientarmi tra le tombe e, con qualche difficoltà, riesco ad arrivare davanti alla costruzione che racchiudeva il Grimorio dell'Antenato. Appoggio la mano sopra la porta e comincio a pronunciare l'incantesimo: «Après moi, le déluge. Ouvre la port.»

Le porte si spalancano in un colpo ed entro, ma appena varco la soglia sento un grido di dolore che mi fa raggelare le vene: sento odore di sangue e... altro ovunque e lo scricchiolio delle ossa che si spezzano mi fa rabbrividire.

«A-Aiutami...» sussurra una voce agonizzante, interrotto poi da un altro urlo sofferente.

Mi avvicino leggermente esitante – in fondo, ho davanti un lupo mannaro – e provo a toccargli il braccio, notando che non si è ancora trasformato (il che è strano, dato che, a quest'ora della notte, dovrebbe essere già nel suo stato lupino). Dopo qualche secondo, però, vengo colto di sorpresa da una visione.

Sono in ospedale e davanti a me c'è una ragazza di appena diciotto anni che partorisce una creaturina indifesa, che viene subito lavato e curato dalle varie infermiere.

«Enrico...» sussurra la giovane.

Ogni suono attorno a me è ovattato, proprio come è accaduto per le visioni precedenti, e i contorni delle figure sono leggermente sfocati.

La scena si sposta subito e il piccolo – chiamato Enrico – ha ormai cinque anni e i suoi capelli sono di un rosso acceso.

«Mamma...? Sai dov'è il babbo?» domanda il piccolo, mentre la madre – ormai una giovane donna – sospira senza rispondere, stringendo una piccola foto in cui è raffigurato Luciano Guicciardini.

"Ma che...?" penso sconvolto dalla vista di quell'immagine.

La visione, stavolta, mi riporta nello stesso bosco in cui ho visto la prima trasformazione di Giovanni, ma stavolta, al posto del biondino stupido, c'è Enrico.

«Puoi farcela...» dichiara un uomo davanti a lui.

Mi sporgo leggermente e, illuminato dai raggi della luna, scopro che la persona in questione è Luciano!

Una volta terminata la visione, l'unica reazione che ho subito è di usare la magia, procurando a Enrico un'emicrania magica.

«Tu, lurida feccia di un lupo mannaro! Come ti permetti di essere nel luogo sacro di noi Marchiati?!» urlo infuriato, stringendo il pugno.

«Ah! L-Lasciami...! Smettila!» implora il giovane uomo agitandosi e facendo tintinnare quelle che, dal suono prodotto, sembrano delle catene. «Mi hanno rapito... Antonio... è stato lui!»

Che cosa?! Mio padre ha rapito questo verme? Ma cosa gli è saltato in mente?! Quello che vorrei fare in questo momento è spezzargli il collo e farla finita, ma un'idea si fa spazio nella mia mente.

«Guicciardini...» sussurro facendo un sorrisetto. «Potresti essere più utile di quel che credevo.»

«Chi cazzo è 'sto Guicciardini?! Perché lo nominano tutti?» chiede esasperato, mentre la trasformazione avanza.

Evito di rispondergli e, grazie a un incantesimo di chiamata, afferro un pugnale utilizzato durante gli incantesimi di Magia Sacrificale. Il sangue sulla lama è ancora fresco, segno che è stato utilizzato da poco.

«Cominciamo.» Tiro fuori l'anello di Giovanni dalla tasca e lo stringo nel pugno mentre i raggi della luna mi illuminano. Appena sento una flebile energia provenire dall'oggetto, capisco subito che sono riuscito a trasformarlo in un talismano per lupi.

«Ti ucciderò! Appena sarò libero ti ucciderò!» ringhia Enrico, tentando inutilmente di liberarsi dalle catene. Stupido, non sa che gli Ancestrali gli stanno bloccando la trasformazione.

«Chetati e conserva le forze. Mi servi» rispondo in tono freddo, facendomi un taglio lungo il palmo della mano e facendo cadere delle gocce di sangue sul pavimento, che mescolo poi con dell'amamelide in polvere. Mi avvicino al lupo e, senza esitare un secondo, gli trapasso lo stomaco con la lama, sussurrando le parole di un incantesimo: «Tu me donnes ton pouvoir.» Questo mi permetterà di utilizzarlo come fonte da cui incanalare il potere necessario per il piccolo malocchio che voglio lanciare.

«Sangue, amamelide, un oggetto appartenente al bersaglio... ho tutto» elenco tranquillo, sedendomi sul freddo pavimento di pietra e aprendo i palmi della mano.
«Spiriti della notte, anime oscure, ascoltate il mio richiamo e accorrete numerose.
La Luna ti sarà amica, ma il prezzo dovrà essere pagato...» Mi fermo un attimo, cominciando a sentirmi debole e stanco. Nonostante tutte le precauzioni che ho preso, la mia energia comincia a esaurirsi presto e con essa quella di Enrico, che comincia a emettere gemiti sempre più deboli.
Stringo un'ultima volta la collana della nonna, incanalando più magia possibile, e poi mi giro verso Enrico, tentando di utilizzare tutto ciò che mi resta.

«Nulla viene dato per nulla, la Luna l'ha detto: il potere tu avrai...» Interrompo un'altra volta l'incantesimo, sentendo che dal naso e dagli occhi comincia a colarmi del liquido denso – probabilmente è sangue – e ricomincio subito. «...ma solo se la tua forza alla strega donerai.»

Mi piego in avanti, stanco, e cerco di riprendere fiato: è stato un incantesimo che mi ha sfiancato, ma la stanchezza è un buon segno perché significa che ha funzionato. Anche Enrico è stremato dallo sforzo e non se la passa molto bene, per cui mi avvicino e gli stacco il pugnale dallo stomaco, causandogli un dolore così forte che rompe il silenzio di quella notte di luna piena.

Sistemo tutto ciò che ho portato con me e mi preparo ad andarmene, ma le parole che proferisce il rosso mi bloccano un momento: «Sappi che ti troverò, ragazzino, e quando accadrà godrò nel strapparti le viscere e bagnare i miei artigli col tuo sangue!»

L'influenza della luna lo rende irascibile, ma non sopporto che mi minacci così apertamente, così, con un gesto della mano, gli spezzo il polso ed esco dal mausoleo in cui è rinchiuso. L'ultima cosa che sento prima di lasciare quel posto è l'ululato di Enrico che riecheggia nell'aria, nella speranza di ricevere aiuto da qualcuno.

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