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10 - Festa... con sorpresa

Ogni volta che provo a interrogare i tarocchi escono sempre le solite carte. Dopo innumerevoli tentativi – tutti con lo stesso risultato – decido di chiedere aiuto a chi potrebbe saperne meglio di me.

«Franci,» esordisce mia madre, «interrogare i tarocchi ogni volta e per tre giorni consecutivi non ti porterà a ottenere le risposte che cerchi. Inoltre, quello è uno degli strumenti divinatori meno affidabili di tutti, soprattutto perché devi cercare di dare un'interpretazione che, spesso e volentieri, è ben lontana da come sono messe veramente le cose.»

La nonna, invece, ha preferito analizzare più a fondo la faccenda e, dopo due letture che ha fatto lei, le conclusioni sono state le stesse.
«Pasticcino, la maggior parte delle carte che sono uscite sono negative: il Mago sei tu e la Torre, che poggia direttamente sull'altro Arcano Maggiore, indica che un evento nefasto sta per colpire; la presenza della Morte, che sta a indicare la fine di un periodo, potrebbe essere vista come il segnale che tu hai detto addio alla vecchia vita da normale adolescente e accolto la tua vera natura; il Diavolo, infine, è segno di sventura che deriva da un inganno o da un sotterfugio. Il problema, però, sta nell'interpretare i due Arcani Minori...»

Con la nonna ho creduto di aver trovato un'ottima pista da seguire, invece sono finito contro un muro. Alla fine decido di rinunciare a trovare un significato al Due di Spade e a quello di Denari e mi concentro su ciò che conta davvero oggi: la festa a casa di Serena.
A essere completamente onesti, questa è la prima volta che non vedo l'ora di andare a una festa, ma si tratta di quella della mia migliore amica e, nel caso non sia di mio gradimento, mi è stato promesso che ce ne saremmo andati dal kebabbaro e avremmo festeggiato per conto nostro.

Una volta finita la doccia esco dal bagno e, dopo aver passato in rassegna cosa indossare per questo evento speciale, ho deciso di optare per qualcosa di semplice, ovvero una camicia bianca – abbastanza larga da non farmi sembrare un idiota che si crede un dio greco sceso in terra – e un paio di pantaloni neri. Il tutto, infine, è accompagnato da un paio di polacchine dello stesso colore dei pantaloni.

«Franci, sei pronto?» La nonna entra in camera e, dopo avermi guardato, increspa le sue labbra scarlatte in un sorriso dolce.
«Guardati, stai diventando grande...» I suoi occhi azzurri brillano di felicità e non riesco a fare a meno di sorridere a mia volta.

«Grazie, nonna» rispondo semplicemente.

«Ho un piccolo regalo per te, pasticcino.» Mi porge una scatola avvolta nella carta da regali e decorata con un nastro argentato. Lo guardo per qualche secondo e, finalmente, decido di prenderlo e di scartare il pacco.

Una volta scoperto il regalo resto sorpreso e, allo stesso tempo, affascinato: faccio scorrere le dita lungo i bordi ricamati d'oro e sento il morbido tessuto nero che lo compone. Lo tiro fuori dalla scatola e lo guardo per intero, scoprendo che si tratta di un lungo mantello con il cappuccio.

«È bellissimo» rispondo affascinato.

«Provalo,» mi esorta nonna Delia, «scommetto che ti starà divinamente.»

Lo metto sulle mie spalle e mi rimiro allo specchio: sembro un'altra persona, una di quelle che si vedono in alcuni film. Faccio qualche volteggio attorno a me stesso e, una volta che mi sono fermato, decido di tenermelo addosso.

«Credo che sia ora di andare. In fondo, hai promesso di aiutare Serena ad allestire la festa.»

Annuisco e comincio ad avviarmi verso l'ingresso, dove mi aspetta il babbo.
«Alle dieci e trenta devi essere a casa. Intesi?»

«Sì, babbo, ci siamo capiti» rispondo sbuffando.

«Prima di andare portale questo pensierino» interviene la mamma, porgendomi un mazzo di tulipani. «So che a Serena piacciono molto.»

«Lo so, ma', ma lei li preferisce rosa.» Mi concentro e, incanalando la mia magia, muto il colore di quei fiori in rosa pastello.

«Ci hai messo poco tempo,» constata mio padre, «complimenti.»

Faccio spallucce e, dopo aver preso un bel respiro, esco di casa e comincio ad avviarmi verso la casa di Serena.

_________

«Franci!» Serena mi salta – letteralmente – addosso e mi ritrovo a ricambiare la stretta e a sostenerla per evitare di cadere a terra. «Grazie per aver deciso di aiutarmi.»

«Sere... scendi...» mugolo con difficoltà.

La mia vecchia amica fa come le ho detto e, dopo aver fatto un paio di giravolte attorno a se stessa, si ferma a guardarmi: il suo vestito, di un candido bianco neve, si abbina perfettamente alla gonna a balze rosa pastello e alle ballerine dello stesso colore; sulla testa indossa un nastro rosso che serve a legare i suoi capelli in una coda di cavallo alta.

«Oh mio Dio! Mi hai portato dei tulipani rosa! Grazie grazie grazie!» urla la ragazza saltellandomi attorno e stringendo il mazzo di fiori tra le sue esili mani.

«Ti conosco troppo bene» dichiaro con semplicità. «Cominciamo a decorare allora.»

Una volta dentro casa sua, l'odore accogliente del diffusore alla lavanda invade le mie narici e mi fa chiudere gli occhi, permettendomi così di bearmi di quell'aroma delizioso. Mi guardo attorno e noto che, appoggiati al lato est della stanza, ci sono ancora alcuni scatoloni che aspettano di essere aperti.

«Quelli li aprirò un altro giorno, ma mi servirebbe che tu mi aiutassi a portarli in soffitta» richiede Serena.

Dopo circa tre ore di duro lavoro – in cui si sono alternati anche momenti di puro cazzeggio – ci stendiamo stanchi sul divano del salotto e ammiriamo il nostro operato: appesi al soffitto ci sono numerosi striscioni variopinti e, in alcuni angoli del salotto, abbiamo posato alcuni vasi di fiori; c'è un enorme tavolo coperto da una tovaglia bianca e sopra sono stati riposti numerosi manicaretti e snack da gustare.

«Abbiamo fatto un bel lavoro!» esclama Serena battendomi il cinque.

«Lo so» rispondo facendo spallucce.

«Ho provato a contattare tutti i nostri vecchi compagni e molti di loro verranno, ma Giovanni non ce la può fare perché ha avuto un incidente...» sospira dispiaciuta, «non capisco chi possa averlo spinto dalle scale...»

La guardo e mi mordo l'interno della guancia: sono stato io a farlo e non ne vado molto fiero, ma ognuno deve fare ciò che deve fare e quella è stata la mossa giusta.

«Sei una ragazza davvero dolce,» dico scostandole una ciocca di capelli dal volto, «saresti in grado di provare empatia persino per una zecca.»

«E tu sei così scorbutico che sembri più vecchio ogni giorno che passa!»

Scoppiamo entrambi in una fragorosa risata e ci fermiamo appena sentiamo il campanello suonare. Serena si alza e, una volta che si è sistemata la gonna, apre la porta e sorride. «Benvenuti! Prego, entrate pure.»

Uno a uno gli ospiti entrano e, al primo sguardo, noto che sono tutti cresciuti. Alcuni, addirittura, faccio fatica a riconoscerli e, per qualche secondo, li fisso leggermente inebetito.

«Franci, vieni!» incita la mia amica, prendendomi per un braccio e portandomi davanti ad Alice Martelli. «Ti ricordi di Alice, vero?»

Annuisco con calma e faccio un sorriso molto forzato, chiaramente infastidito della presenza di quella ragazza.

«Sempre molto scorbutico, Lombardi» constata Alice. «Volevo presentarvi il mio fratellastro. Serena, Francesco, vi presento Alessandro Estense.»

Mi giro e fisso le iridi azzurre di quello che, a detta della mia vecchia compagna di scuola, è il fratellastro e a occhio e croce direi che ha attorno ai vent'anni. Mi soffermo a osservare i lineamenti squadrati e gli zigomi affilati; indossa una semplice maglietta nera che gli fascia il petto muscoloso e, abbinati, porta un paio di pantaloni da ginnastica grigio scuro. Ciò che più mi incuriosisce – a parte l'aspetto fisico innaturalmente affascinante – è il numero di strane vibrazioni che emana: sono intense, oscure, antiche... non c'è un aggettivo preciso che possa aiutarmi a descriverle con precisione.

«Piacere di conoscervi» esordisce lui facendo il baciamano a Serena e facendola arrossire leggermente.

«È carino» mi sussurra la mia migliore amica nell'orecchio.

Ignoro il commento poco appropriato e stringo anch'io la mano di quello sconosciuto. Quando ho un contatto fisico con lui, però, accade qualcosa di inspiegabile: vedo la piazza di una città che non riconosco, è notte fonda e il buio è illuminato dal tenue bagliore di alcune torce tenute in mano da alcuni popolani. La folla, incredula, si è radunata davanti a un vicolo in cui giace una ragazza – di vent'anni circa – col vestito bianco completamente macchiato di sangue e con due grossi buchi sulla giugulare.

«Qualcosa non va?»

La voce di Alessandro mi ridesta da quella visione e, con un leggero timore, abbasso lo sguardo.
«Tutto bene» mento.

«Serena, Ali, vorrei scambiare qualche parola con Francesco. D'accordo?» propone il giovane.

Le due ragazze annuiscono e, una volta che siamo soli, si avvicina a me in modo pericoloso, ma io decido di sostenere il suo sguardo e di mostrarmi freddo davanti alla sua presenza.

«So cosa sei, stregone» dichiara Alessandro. «Anzi, Marchiato è il termine giusto.»

«Cosa ci fai qui, vampiro?» domando socchiudendo gli occhi e minacciandolo con lo sguardo.

«Sono stato invitato a entrare» risponde con nonchalance.

«Non è la risposta giusta.»

«Dimmi quale dovrebbe essere, allora.»

«Dimmelo tu, visto che, molto probabilmente, hai il triplo della mia età.»

Il ragazzo ridacchia e passa una mano tra i capelli castani e lisci come la seta – evidente segno che tiene molto alla sua capigliatura. «So che quelli come te hanno fatto del male a uno dei miei fratelli.»

«Il tuo "fratello", come lo chiami tu, mi ha quasi ucciso!» esclamo in tono alterato, stringendo leggermente i pugni.

«A volte non resistiamo ai morsi della fame.»

«Perché sei qui? Cosa vuoi da me?» chiedo insistentemente cercando di trovare una risposta.

«Sai, avresti potuto farlo cadere dalla finestra invece di farlo rotolare giù per tutte le scale.» Nel dire queste parole, quel vampiro disgustoso ride divertito, consapevole del misfatto che ho combinato.

Non riesco a trattenermi: in questo momento vorrei soltanto muovere la mano e staccargli il cuore dal petto, ma so che non ne sarei capace e, nel caso scegliessi di spezzargli semplicemente il collo, desterei troppi sospetti ed è l'ultima che voglio in questo momento, così decido di fare buon viso a cattivo gioco e, con un sorriso più falso delle labbra di Nina Moric, mi congedo dicendo: «Vado a prendere gli shot dalla cucina.»

Mi avvio a passo lesto in cucina e, una volta dentro, traccio una linea col sale davanti alla porta. Apro un cassetto e prendo un coltello e poi, in fretta e furia, stacco una manciata di foglie di basilico e alcune infiorescenze di aglio.

«Meno male che la madre di Serena è genovese e ha un mortaio e un pestello» mormoro a bassa voce mentre pesto le foglie e i fiori.

Una volta che ho ridotto il tutto a una poltiglia verde-gialla mi faccio un taglio lungo il palmo della mano e comincio a versare il mio sangue dentro il contenitore mentre pronuncio le parole di un incantesimo: «Protège les ésprit.»

Una volta ottenuto un liquido dal dubbio colore, prendo un contagocce da un altro cassetto e, lentamente, verso una goccia del miscuglio in ognuno dei bicchierini di brandy che io e Serena abbiamo preparato. Sciacquo con cura la ferita e, una volta disinfettata, la avvolgo con un cencio bianco per chiuderla e per non far gocciolare il sangue sul tappeto persiano.

Prendo il vassoio su cui ho messo gli alcolici e sussurro un "Venez à moi" per raccogliere il sale e farlo tornare dentro la saliera.

«Ragazzi, ecco a voi shot» dico con calma passando tra i miei vecchi compagni.

Ognuno di noi prende un bicchiere e, dopo aver fatto un discorso stupido e copiato da una ricerca su Google, trangugiamo il brandy in un colpo solo.

Le ore passano e, senza che me ne accorga, sono già le nove. L'atmosfera lì dentro diventa troppo opprimente e, in tutta onestà, non riesco a sopportare l'idea di stare nella stessa stanza con un vampiro pazzo e omicida.

«Sere, ho bisogno di una boccata d'aria» dico frettolosamente mentre esco e mi ritrovo per strada.

Alzo lo sguardo, ammirando le poche stelle che si possono vedere in cielo, e sospiro sollevato di non essere più vicino ad Alessandro.

Dopo cinque minuti di pace, giro i tacchi ma, prima che io raggiunga la porta, una figura incappucciata mi blocca la strada e, prima che possa fare qualsiasi cosa, mi viene gettato qualcosa in faccia. Comincio a urlare dal dolore mentre sento gli occhi bruciare e, mentre la figura si allontana, il mondo attorno a me comincia a farsi sempre più buio.

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