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1 - Segni

L'odore di fumo e carne bruciata riempie l'aria e penetra dentro le mie narici, provocandomi un forte conato di vomito. Tutte le piccole case attorno a me sono state incendiate, gli abitanti scappano per le loro vite e i cadaveri vengono ammassati in cumuli grandi come montagne per poi essere ridotti in cenere. Un destino che per sfortuna non è toccato a tutti, a giudicare da ciò che mostrano gli occhi delle vittime impiccate ai rami di un grosso albero ed esposte al pari di decorazioni natalizie.

Faccio un passo in avanti, mi guardo attorno, cerco di ignorare le grida di disperazione che rimbombano dentro la mia testa, mi giro, proseguo, sono sempre più inorridito da quello che vedo. Com'è possibile che stia accadendo qualcosa del genere?

Le urla cessano all'improvviso e al loro posto si sentono dei sussurri simultanei, delle parole in una lingua antica che non riesco a comprendere, ma che in qualche modo mi sono molto familiari.

Alzo lo sguardo e vedo che si sono radunate tantissime persone, però non posso distinguere i loro volti a causa dell'oscurità e dei mantelli che indossano.

All'improvviso accade il caos: un potente terremoto stravolge il calmo mormorio degli sconosciuti, che una a una perdono l'equilibrio e cadono a terra. I loro corpi cominciano a emanare una strana luce azzurra, pulsante e... viva, come se quel bagliore fosse la rappresentazione delle loro energie.

I fasci luminosi vengono risucchiati dal terreno e, come un'ameba che cerca di muoversi, si dirigono verso le fenditure che si sono appena create.

Guardo in alto e osservo la posizione del sole: è passata poco più di una decina di minuti, eppure è sembrata un'eternità.
Piano piano, le persone che si trovavano a terra si rialzano e, dopo aver levato le cappe che coprivano i loro visi, esaminano i dintorni, soffermandosi a ispezionare il volto dei loro compari. Sulle loro facce riesco a leggere la disperazione, il dolore, la paura e il senso di debolezza che li stanno affliggendo, ma a un tratto accade una cosa che non mi sarei mai aspettato: uno di loro – che dall'aspetto austero e avanzato nell'età presumo sia il capo – si gira verso di me.

Le gambe mi cedono, la vista si fa offuscata e mi ritrovo accasciato a terra. Prima di cadere nell'oscurità, riesco a sentire la sua voce rauca sussurrare: "Marchiato".

Mi sveglio all'improvviso, completamente madido di sudore e ansimante. Per tutta l'estate lo stesso incubo continua a tormentarmi ogni notte, senza lasciarmi neanche un momento di tregua. Non capisco il perché e ciò mi rende irrequieto: non riuscire a dare una spiegazione logica a tale fenomeno non fa altro che alimentare le mie angosce.

Mi giro e guardo la sveglia sul comò, con i numeri del display che indicano dieci alle sei: maledetto sogno dal significato ambiguo!

Di malavoglia e con una stanchezza tremenda mi alzo e comincio a camminare lentamente verso la cucina. Non c'è nessun rumore in tutta la casa, a eccezione dello scricchiolio del parquet sotto i miei passi, per cui presumo che i miei genitori siano già andati a lavorare.

«Non ha senso tornare a dormire, tanto non riuscirei a prendere sonno comunque» borbotto cominciando ad afferrare una tazza, la teiera, lo zucchero, il limone e una bustina di tè nero.
Faccio bollire l'acqua e aspetto cinque minuti, poi la verso nel piccolo recipiente e aspetto un altro po', assaporando il dolce profumo di quella bevanda che tanto amo.

Una volta bevuto il tè, accompagnato da tre biscotti secchi, noto che la bustina si è rotta e ha riversato il suo contenuto sul fondo della tazza.

«Sarà stato un difetto di fabbrica...» constato guardando le foglie, ma una strana sensazione pervade la mia mente: queste hanno formato un simbolo ambiguo, molto somigliante al numero quattro. Cerco di capire il perché sia accaduto, ma alla fine decido di lasciar perdere. In fondo, sono soltanto le sei del mattino e sicuramente si tratta solo di un brutto scherzo causato dalla stanchezza.

_________

«Il quarto anno di liceo è uno dei più impegnativi, soprattutto per quanto riguarda la mia materia,» annuncia la professoressa Gobba fissandoci dalla cattedra, «mi aspetto il massimo impegno e molta serietà da voi.»

La campanella suona e gran parte della classe comincia a sparpagliarsi per tutta l'aula, creando numerosi gruppetti.
Io invece sono l'unico che se ne resta al suo banco a farsi gli affari propri. Qualcuno ha sempre provato a spronarmi, magari per chiacchierare un po' o per realizzare un lavoro di gruppo, ma non è mai finita bene, soprattutto perché cominciavo subito a impartire ordini a destra e a manca, innervosendomi per qualsiasi dettaglio fuori posto o per qualche mancanza di contenuto.
Ci avevano rinunciato, ma avevano fatto bene a lasciarmi in pace. Dopo quattro anni passati insieme avevano finalmente capito che mi sarei sempre impuntato sulla mia posizione e che per me socializzare era pressoché impossibile. Avendo degli hobby diversi da quelli degli altri e durando una gran fatica a iniziare un discorso, preferisco evitare un'interazione che rischierebbe soltanto di mettermi in ridicolo.

La mano mi fa molto male e cerco di scioglierla un pochino muovendola, ma così noto con la coda dell'occhio la pagina del mio quaderno di chimica pieno di scritte. Alzo lo sguardo, fissando il display luminoso della LIM, e constato che quello che ho scritto è ben lontano dal rappresentare la formula di struttura del sesquiossido di alluminio. Su tutto il foglio, infatti, ci sono dei dieci scritti in modalità diverse – in numerazione romana e in quella araba, in codice binario o in lettere – ma non ricordo assolutamente di aver segnato quella roba, visto che ero davvero convinto di aver preso gli appunti in modo corretto.

«Wow!» esclama sorpreso un ragazzo, fissandomi stranito, «che significato hanno tutti quei segni?»

Giovanni Matteo Guicciardini, ecco chi ha parlato. Inorridito, chiudo violentemente il quaderno e lo guardo infastidito.
«Non sono affari tuoi, stupido idiota figlio di papà! Se devi scartavetrare le palle a qualcuno, vattene da un'altra parte perché mi stai facendo veni' l'uggia!» rispondo in tono velenoso.

Lo sguardo del ragazzo resta attonito, ma riesco a leggere la rabbia nei suoi occhi. Non ho mai sopportato quel figliolo e il ghigno che lo caratterizza. Si crede migliore di tutti perché gli escono i soldi dal culo.

«Oh, ma la smetti?! Un t'ho mai fatto nulla io, perché sei sempre così scontroso nei miei confronti?!» ringhia infuriato.

Lo guardo freddamente, assottigliando gli occhi e afferrandogli il polso per stringerlo con forza.

«Non lo ripeterò un'altra volta: vattene.»

Giovanni si alza, guardandomi truce, e si avvicina ai suoi amici stupidi e falsi, dei bastardi traditori che sono pronti ad agire opportunisticamente pur di ottenere quel che vogliono. Per fortuna sono diffidente di natura, perché ho visto con i miei occhi ciò che accade alle persone che ripongono la propria fede in loro: traditi e umiliati come non mai.

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Appena entro in casa, noto che, come sempre, i miei genitori sono ancora a lavorare. Ciò che è fuori dall'ordinario, però, è un forte odore di crisantemi e salvia.
Seguo la scia di quel profumo, ritrovandomi in cucina dove vedo una persona molto familiare che mi aspetta con un sorriso radioso e le braccia aperte.

«Nonna Delia!» Corro ad abbracciarla e lascio che il suo aroma di fiori ed erbe entri nel mio naso.

«Piccino, è da tanto che non ci vediamo,» risponde l'anziana, guardandomi da capo a piedi, «ho deciso di farti una sorpresa, così ora sono qui a casa tua.»

Si piega in avanti e mi stampa un bacio sulla fronte, ma, appena le sue labbra entrano in contatto sulla mia pelle, un brivido di freddo percorre tutta la schiena, assieme a una carrellata di immagini che visualizzo nella mente: rivedo esattamente lo stesso identico sogno, ma stavolta c'è un dettaglio in più. Infatti, sulla fronte di ogni persona lì presente si forma una piccola voglia a forma di stella.

Mi stacco dall'abbraccio della nonna e indietreggio leggermente, ancora più confuso di quanto non lo fossi prima.

«Pasticcino, che hai?» domanda l'anziana in tono amorevole.

Provo a rispondere, ma le parole mi muoiono in gola e non ho la più pallida idea di cosa dirle. Ho paura, non riesco a capire cosa mi stia accadendo e sono sicuro di stare per impazzire.

«Sei sicuro di stare bene...?» sussurra nonna Delia guardandomi preoccupata, avvicinandosi, «hai delle occhiaie davvero scure. Dovresti andare a riposarti.»

Annuisco debolmente. Lei ha ragione: la privazione del sonno rischia davvero di minare la mia salute, per cui le do un bacio sulla guancia e comincio a camminare verso la mia stanza, buttandomi poi sul letto e rimbalzando un po' sul materasso.

Che cosa mi sta succedendo? Perché continuo ad avere quello strano sogno pieno di morte e distruzione? Che significato hanno i numeri che ho visto oggi?

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