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8. Una mia responsabilità

Ci misi qualche secondo per capire cosa stava succedendo. Forse perché la mia mente si rifiutava di credere a quello che aveva davanti, forse perché credevo di essere entrato nella casa sbagliata.

Cassandra si allontanò di scatto da Fikayo e per terra, davanti al divano, gli altri due continuarono a baciarsi. Sentii il sangue pulsarmi nelle tempie. Sbattei la porta.

«Che diavolo sta succedendo?» tuonai.

Lo sguardo di Cassandra si piantò nel mio. Dio santo, era mezza nuda, come pure tutti gli altri. E fino a un attimo prima era avvinghiata a Tomori. Distolsi lo sguardo da lei, mi provocava un rimescolamento di stomaco vederla così.

Dall'altro lato, Matteo si scrollò di dosso quella che doveva essere l'amica di Cassandra e si affrettò a riprendere i vestiti e rimettersi in piedi.

Quando avevo chiesto ai miei compagni di squadra di passare una serata con Cassandra, mai avrei immaginato di trovarmi davanti uno spettacolo del genere.

Avanzai nella stanza, andando dritto verso Fik. La rabbia mi stava divorando.

«Che diavolo stavi facendo?» ringhiai a denti stretti, in inglese.

«Stavamo giocando» rispose lui, col sorriso sulle labbra.

Dovetti fare uno sforzo enorme per non tirargli un pugno in faccia.

Cassandra si rimise in fretta la felpa che aveva raccolto da terra, tirando su la zip. Feci in tempo a notare un luccichio di vergogna nel suo sguardo, prima che abbassasse la testa. Le labbra erano rosse e gonfie, le guance accaldate dall'alcol e da chissà cos'altro. Cercai di scacciare velocemente dalla testa l'immagine del suo reggiseno rosa e della sua pancia liscia che solo qualche ora prima avevo tenuto tra le mani.

Giocando.

Se io non fossi arrivato in quel momento dio solo sapeva cosa sarebbe successo.

L'amica di Cassandra si alzò dal tappeto, vestita. Sembrava l'unica a non essere affatto imbarazzata. Mi sorrise. «Tu devi essere Olivier! Vuoi giocare anche tu? Deve esserci rimasto qualcosa.» Raccolse la bottiglia di vodka e ridacchiò rendendosi conto che era finita.

Non c'era niente da ridere in quella situazione. «No. Ma se volete continuare, tolgo il disturbo» risposi, tenendo lo sguardo fisso su Matteo. Lui ebbe la decenza di abbassare subito gli occhi.

Mi fidavo di lui, non avrei mai immaginato che potesse far succedere una cosa del genere. Io volevo che le facessero passare una serata tranquilla, non che se la scopassero.

In casa mia. Sotto la mia tutela.

Matteo si avvicinò a me e Fik e prese il nostro compagno per un braccio. «Noi andiamo.»

Annuii. Mi stavo trattenendo, non volevo fare nessun tipo di scenata davanti a Cassandra, ma dovevano togliersi dalla mia vista immediatamente.

«Jennifer può restare a dormire qui?» chiese Cassandra.

Sapevo di non poterla lasciare andare via da sola in quelle condizioni. Tuttavia, non volevo che restasse. In quel momento, a dire il vero, sarei voluto rimanere completamente da solo. Se avessi potuto, avrei mandato via anche Cassandra.

«La riaccompagnano i ragazzi.»

Le due ragazze si salutarono con un abbraccio. Jennifer raccolse le sue cose e si piazzò davanti a me. «Ciao Olivier, è stato un piacere conoscerti.» I suoi occhi vagarono sul mio corpo, soffermandosi sul mio viso. Un mezzo sorriso le increspò le labbra e io sollevai un sopracciglio. Che aveva da guardare? Si scambiò un'occhiata con Cassandra. «Avevi ragione» le disse.

Cassandra sorrise. Ragione su cosa?

Fikayo le diede un bacio sulla guancia prima di allontanarsi verso la porta. Strinsi le labbra, aspettando che tutti uscissero.

Quando se ne furono andati, infilai le mani in tasca e la guardai con aria dura. Non ero arrabbiato con lei, come avrei potuto esserlo? Non aveva fatto niente di male, aveva baciato un ragazzo. Ero arrabbiato con me stesso, per averla lasciata sola e per il maledettissimo senso di possesso che provavo. Lei era una ragazzina che viveva la sua vita da ragazzina, e non avrei dovuto pensare che fosse roba mia, ma lo pensavo. E il fatto che qualcun altro l'avesse toccata e avesse preso da lei quello che io non potevo prendere mi faceva impazzire.

«Buonanotte» disse lei, dopo un infinito momento di silenzio.

«Cassandra» la richiamai.

Lei si voltò e alzò piano lo sguardo, incontrando i miei occhi e restando in attesa che io parlassi. Era bella, e quella sera, con le guance arrossate e gli occhi più luminosi del solito, lo era in maniera particolare. Una giovane donna che si lasciava andare ai vizi. Una Venere accesa dal peccato.

Incrociai le braccia al petto. «Non mi piace quello che ho visto stasera.»

«Non è successo niente, stavamo solo...»

«Giocando, sì» la interruppi, contraendo la mascella. Sospirai. «Ascolta, se ti piace Fik e hai intenzione di frequentarlo non ho nulla in contrario. Ma sei ubriaca. E sei in casa mia, sotto la mia tutela. Voglio sperare che tu sia stata consapevole di quello che stavi facendo.»

Lei non rispose. Mi fissava in modo strano, come se non avessi il diritto di dirle alcunché. «Ti hanno spinto a fare qualcosa che non volevi?» insistei.

Cassandra scosse la testa. Mi rilassai un poco.

«Va bene. Vai a letto.»

Ma lei non si mosse. «Sei stato tu a invitarli qui.»

Sembrava un'accusa. E come darle torto? «Lo so.»

«E adesso sembra che tu ce l'abbia con me perché io e Fik ci siamo baciati.»

Il guizzo di gelosia che provai nell'udire che lei e Fikayo si erano baciati mi fece contrarre lo stomaco. «Non ce l'ho con te. Mi preoccupo per te, Cassandra.»

Alzò il mento, in segno di sfida. «È tutto ok. Lui mi piace.»

Sorrisi. «Va bene.»

«Come è andata la tua serata?»

Incurvai un angolo delle labbra verso l'alto. «Non bella come la tua.»

Non avevo fatto niente di particolare, una cena con un amico e un bicchiere di whisky per rilassarmi. Avevo solo bisogno di stare lontano da lei, non mi fidavo di me stesso, e i suoi occhi fissi su di me in quel momento mi davano l'idea che sapesse.

Sapeva che la desideravo.

«Saresti potuto restare a casa.»

L'intensità del suo sguardo mi fece correre un brivido lungo tutto il corpo. Mi stava provocando in maniera sfacciata, mi stava dicendo che se fossi rimasto avrei potuto avere io il privilegio di assaggiare le sue labbra e sentire il calore del suo corpo contro il mio.

Mi umettai le labbra e le sorrisi, compiaciuto dal suo caratterino. Senza freni era pericolosa. «Avresti preferito stare con me? Così non avresti mai conosciuto Fikayo» la provocai a mia volta.

Cassandra si incupì per un istante. «Avrei preferito stare con te.» Mi voltò le spalle e si infilò in camera sua.

Avrebbe preferito stare con me. A fare quello che stava facendo con Fik? A baciarci, a spogliarci e...

Serrai la mascella. Il mio ego esultava, la ragione lo teneva a freno. Potevo gestire me stesso, potevo dominarmi. Ma lei? Sarei stato in grado di spegnere le sue fantasie? Cassandra mi voleva, ormai era evidente in ogni sguardo che mi rivolgeva. Ed era per questo che ero andato a cena fuori e l'avevo lasciata in compagnia di ragazzi della sua età. Ragazzi adatti a lei.

Ragazzi a cui avrei spezzato le gambe se si fossero avvicinati di nuovo a lei.

Il giorno dopo mi svegliai nervoso. E peggiorai quando mi chiamò mio fratello mentre stavo andando a fare allenamento.

Risposi e azionai il vivavoce.

Aveva la voce rilassata di uno che non ha nessun tipo di pensiero nella vita. Certo, li aveva lasciati tutti a me i pensieri. Mi disse qualcosa a proposito di un compleanno a cui era stato la sera prima e di un nostro amico che mi mandava i saluti. Risposi a monosillabi, sperando che attaccasse il prima possibile.

«Come vanno le cose lì? Cassandra come sta?»

Se mi fossi messo a ridere, la risata sarebbe assomigliata a quella di un pazzo psicopatico. Era tutto un fottuto casino. Strinsi la mano sul volante, schiacciai l'acceleratore, cambiai marcia. Se solo avesse saputo, mi avrebbe ammazzato. L'avevo lasciata a casa con dei ragazzi, si era ubriacata e per poco non aveva fatto sesso.

«Bene. Senti, hai parlato con sua madre?»

«No. La vedrò questo fine settimana, viene a Milano per stare con la figlia.»

Lo sapevo, Cassandra aveva detto che nel fine settimana sarebbe stata con la madre e avrebbe dormito con lei in hotel. Io avevo la partita in trasferta e non avrei potuto conoscere Arianna. Avrei dovuto immaginare che anche Romain sarebbe venuto in città. E forse quello sarebbe stato davvero il momento più opportuno per parlare.

«Ottimo» dissi. «Abbiamo tutti bisogno di sapere.»

«Olive, non mettermi fretta per favore. È una cosa delicata.»

«Quanto ancora vuoi aspettare?» sbottai, alzando un po' la voce.

Lui mi aveva messo in questo casino e lui mi ci doveva togliere. Sapere definitivamente che Cassandra era sua figlia avrebbe spento tutte le fantasie nella mia testa. Volevo che succedesse il prima possibile. Invece Romain aveva paura, voleva aspettare.

Anche lui si alterò. «Fatti gli affari tuoi, ok?»

«Sì. Sì, scusa» risposi a denti stretti. Capivo che una notizia del genere avrebbe sconvolto la sua vita per sempre, ma non voleva togliersi il dubbio il più in fretta possibile?

«Ci vediamo domani» disse mio fratello con un sospiro.

«No, non ci sono. Vado in trasferta. Ci sentiamo» risposi secco e chiusi la comunicazione.

Che andasse al diavolo. Lui e questa Arianna di cui non avevo mai saputo nulla e che da quando era ricomparsa nella vita di mio fratello aveva portato solo scompiglio.

Per la colazione mi sedetti al solito tavolo, insieme ad altri compagni tra cui Matteo. Mi salutò col sorriso, ma con un leggero imbarazzo nello sguardo. Fik sedeva a un tavolo diverso e in quel momento non era ancora arrivato. Feci finta di niente con Matteo, volevo archiviare la serata precedente il prima possibile. Loro erano comunque miei compagni di squadra e non volevo creare conflitti. Inoltre, non c'era bisogno di ingigantire quanto successo. Ma appena Fikayo mi poggiò una mano sulla spalla per salutarmi, mi voltai verso di lui come una furia e lo aggredii.

«Senti un po', come ti è saltato in mente di baciarla?»

Molti dei nostri compagni ci fissarono, alcuni anche con un'espressione shoccata sul viso. Forse credevano che stessi parlando di Claire.

Fik si sedette accanto a me, nel posto che era appena stato lasciato libero da un altro compagno. «Si è creata la situazione.» Sorrise e cercò la complicità di Matteo.

Mi accigliai. Mi stavo comportando come un ragazzino geloso. Scossi la testa, più per riprendere il controllo dei miei pensieri che per altro. «Vedi di non farlo succedere più.» Inzuppai il cornetto nel caffelatte e ne presi un morso.

«Scusa Oli, però loro non sono state così tranquille. È partito tutto da loro, noi le abbiamo solo assecondate.»

«Dovevate fermarle, non assecondarle.»

«Perché? Lei mi piace, io le piaccio... Penso che le chiederò di uscire. Io e lei da soli, così è sicuro che non verremo interrotti.» Ridacchiò.

Mandai giù a fatica il cornetto e lo fulminai con lo sguardo. Mi stava sfidando? «Non farai niente del genere.»

Vidi Fikayo assottigliare lo sguardo e prima che potesse ribattere continuai, abbassando la voce per rendere più efficace il messaggio. «Stammi bene a sentire, Cassandra è una mia responsabilità, la madre l'ha affidata a me e non ti permetterò di giocarci come ti piace giocare con le altre ragazze. Stalle alla larga, mi hai capito? O mi costringerai ad agire di conseguenza.»

Odiavo dover minacciare in quel modo un mio compagno di squadra e un ragazzo a cui volevo bene, ma non mi stava lasciando alternativa. Lui sapeva a cosa mi riferivo, un suo segreto di cui ero venuto a conoscenza mio malgrado in Inghilterra quando eravamo nella stessa squadra e che se fosse venuto alla luce gli avrebbe comportato non pochi problemi. Era l'unico modo per impedirgli di uscire di nuovo con Cassandra.

L'espressione spavalda scomparve dal suo volto. Serrò le labbra e impallidì un poco. Ci guardammo negli occhi. Alla fine annuì. «Ho capito.»

Mi alzai. «E poi, Cassandra ha già sofferto tanto nella sua vita. Merita un ragazzo che la corteggi a lungo prima di portarla a letto, non uno che vuole solo portarla in una camera d'hotel a cinque stelle.»

Mi allontanai dal tavolo.

Pensavo davvero a quello che avevo appena detto e mi rammaricavo che quel ragazzo non sarei mai stato io.

E, allo stesso tempo, io non volevo corteggiarla, volevo prendere la sua innocenza di ragazzina, marchiarle il corpo con il mio cosicché non mi dimenticasse mai più.

Era una sensazione di possesso primitiva e non mi ero mai sentito così in vita mia. Mi spaventava e mi inebriava.

Non ero mai stato così felice di partire per una trasferta come in quel momento. Lontano da lei avrei potuto mettere un po' di ordine nella mia testa e magari far sbollire questa folle attrazione che stavo iniziando a provare.

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