6. Rapito
Stavo impazzendo. Non c'era altra spiegazione per i pensieri che avevo cominciato a fare su Cassandra. Pensieri che cercavo di spingere fuori dalla testa appena comparivano. Troppo pericolosi.
Chiusi la porta della mia stanza e mi sfilai la camicia, appallottolandola tra le mani. Avevo passato l'intera serata a pensare alle sue dita che sfioravano la mia pelle. Sempre. Di continuo. Non riuscivo a smettere. E i suoi occhi che si fissavano nei miei, la sua bocca...
Era così vicina che avrei potuto baciarla. Volevo baciarla.
Sì, in macchina volevo proprio baciarla.
Non pago della vergogna che provavo per aver desiderato una ragazzina di diciannove anni, appena tornato a casa mi ero fiondato in camera sua. Pessima idea.
Cassandra era nel suo letto, i capelli sparpagliati sul cuscino, il viso illuminato dal bagliore azzurrognolo della televisione. Si era sollevata quando ero entrato, la coperta era scivolata giù e io l'avevo guardata. Avevo guardato sfacciatamente i suoi seni piccoli e sodi sotto la canotta che indossava. Sembrava così angelica, pura, che un'oscura brama si era impossessata di me. Volevo corromperla. Volevo farle vedere cosa era in grado di fare la mia bocca, che tanto aveva desiderato quel pomeriggio in macchina, al suo corpo giovane e inesperto. Volevo sentirla tremare sotto di me, mugolare il mio nome e implorarmi perché gliene dessi di più.
Lanciai la camicia in un angolo e mi strofinai con forza il viso. Ero un depravato, cazzo.
Cassandra era mia nipote. All'inizio non credevo assolutamente che fosse possibile, ma quel pomeriggio avevo iniziato a pensarla diversamente.
Lei sapeva chi era suo padre. Lo sapeva ma mi aveva detto di no. E lo aveva detto in maniera così decisa che in me si erano accesi mille campanelli d'allarme. Non me lo aveva detto perché sapeva che si trattava di mio fratello.
C'era un particolare che non mi tornava, però. Cassandra aveva detto che suo padre e sua madre si erano lasciati poco prima che lei nascesse, mentre Romain non era mai stato a conoscenza della gravidanza di Arianna. Probabilmente sua madre le aveva raccontato una bugia, facendole credere che Romain non aveva mai voluto conoscerla.
Rabbrividii. Mio fratello me l'aveva affidata perché si fidava di me, mentre io fantasticavo su come l'avrei voluta scopare. Ma ero un uomo adulto e potevo - dovevo - dominare i miei istinti.
Non potevo dire lo stesso di Cassandra. Le avevo letto negli occhi quanto desiderasse essere baciata da me. Lei non riusciva a nascondere l'attrazione che aveva per me.
Il mio telefono vibrò sul comodino. Era Claire. Risposi e mi distesi sul letto.
«Amore, che fai?» chiese in tono allegro.
«Sono rientrato poco fa, mi sto mettendo a letto.»
«Ti avevo chiesto di avvisarmi quando saresti rientrato» mi ricordò.
Ero stato distratto da altro. Serrai la mascella. Non riuscivo proprio a togliermela dalla testa. «Stavo giusto per chiamarti. Che fai tu?»
«Sono in un bar con gli altri.»
Non sentivo nessun rumore di sottofondo. Probabilmente era uscita fuori per parlare con me. «Divertiti.»
«Sai, c'è un ragazzo che ci sta provando con me...»
Chiusi gli occhi e sospirai. Claire stava cercando di farmi ingelosire perché aveva percepito che ero distante. Stetti al suo gioco. «Digli di stare alla larga» risposi, fingendo di essere irritato.
«È anche molto carino» ridacchiò, facendo la smorfiosa.
«Claire, fai la brava» la ammonii. Ma non temevo che potesse tradirmi, mi fidavo. Solo che Claire aveva bisogno di sentirmi geloso e possessivo, cosa che non ero mai stato con lei.
La sentii sospirare contro il telefono. «Mi manchi tanto. Domani facciamo una videochiamata? Voglio farti vedere quanto mi manchi.»
Sorrisi, e, pensando alle sue dita tra le gambe mentre si toccava davanti a me, il pisello mi divenne duro. Lo strofinai con la mano da sopra ai pantaloni. «Va bene. A domani.»
«A domani. Buonanotte amore.»
Mi sbottonai il pantalone e infilai la mano nelle mutande, stringendolo. Cassandra si era mai toccata da quando era qui? Lo faceva pensando a me? Forse lo stava facendo proprio in quel momento... Gemetti e spalancai gli occhi, inorridito. Lasciai la presa sul mio uccello.
Cazzo, Olivier, smettila di indulgere in questi pensieri.
Finii di svestirmi e mi feci una doccia gelata prima di mettermi a letto. Mi sentii più lucido, più calmo e realizzai che avevo solo bisogno di fare sesso. Non ero realmente attratto da Cassandra. Il mio corpo aveva reagito al suo desiderio solo perché non facevo sesso da un po' e Cassandra era lì, a portata di mano, e disponibile. Mi ripromisi di starle alla larga e troncare qualsiasi tipo di interesse stesse nascendo in lei.
La mattina mi vestii in fretta e lasciai l'appartamento prima che Cassandra si alzasse. Avevo quasi paura di incontrarla e di scoprire che non era stata solo una distrazione di una giornata particolarmente noiosa a giocarmi un brutto scherzo.
Le mie giornate erano tutte uguali. Mi alzavo presto, mi preparavo e andavo a fare allenamento. Passavo la mattinata al centro sportivo con i miei compagni, pranzavamo insieme e poi tornavo nella mia grande casa a riposarmi. Avevo tanto tempo per me, ma qualche volta mi annoiavo. E ieri era stata una giornata apatica, per questo avevo chiesto a Cassandra di uscire a fare una passeggiata.
Mi allenai con impegno e dedizione. Tenevo molto ai miei muscoli, speravo che mi permettessero di giocare ancora per molto. La carriera di noi calciatori non era molto lunga e alla mia età ero già considerato vecchio, ma speravo di tirare avanti ancora per un po'. Non sapevo cosa avrei potuto fare una volta finito tutto.
Quel giorno, quando salutai i miei compagni e mi infilai in macchina per tornare a casa, mi sentii malinconico. Presto sarebbe arrivato il giorno in cui li avrei salutati per l'ultima volta e già sapevo che mi sarebbero mancati tantissimo.
Sul pianerottolo di casa sentii una lieve musica classica provenire dal mio appartamento. Cassandra stava sicuramente provando. Passava ore e ore nella saletta degli attrezzi. Ci teneva tanto a quel posto a La Scala. Era caparbia e instancabile. Mi piaceva quel suo lato del carattere.
Aprii la porta e mi paralizzai.
Cassandra stava ballando nel salone. I miei occhi si incollarono al suo corpo. Un body, delle calzamaglie e un gonnellino rosa chiaro. Chiusi piano la porta e mi bloccai sul posto, col respiro che si faceva via via più lento, per paura di disturbarla e interrompere l'armonia con cui il suo corpo si muoveva. Danzava con una grazia che mi affascinava, come se il suo corpo fosse fatto per volare, per estendersi e piegarsi con una fluidità che mi incantava.
Non si era accorta di me, e questo la rendeva ancora più vera.
Rimasi immobile, incapace di distogliere lo sguardo. I miei occhi seguivano la linea perfetta del suo corpo, il collo sottile che si allungava, le braccia che disegnavano curve nell'aria, le dita che sembravano toccare l'invisibile. Era tutto così delicato e potente allo stesso tempo.
E quel modo di muoversi risvegliò dentro di me la brama che non avevo scacciato del tutto, un desiderio che mi sorprese per la sua intensità. Più forte della sera precedente. Non era solo la sua bellezza, ma qualcos'altro, qualcosa di più profondo. Mi attirava la sua essenza, la fusione di forza e grazia che trasmetteva ogni volta che compiva un passo, un salto, un arabesque.
I miei occhi ardevano. La desideravo. Volevo fondermi con lei, essere parte di quel mondo che lei stava creando con la sua danza. Volevo sfiorare la sua pelle, sentire la forza nascosta nei suoi muscoli mentre si tendeva.
Cassandra fece una pirouette e a quel punto mi vide. Trasalì e perse l'equilibrio, ritrovandolo un istante dopo. Si fermò di fronte a me.
«Scusami. Scusami tanto se sono venuta a provare nel salone. Mi sono accorta che mi ero abituata a dei punti fissi nell'altra stanza e volevo vedere se riuscivo a... Beh, torno di là.» Si precipitò a staccare la musica.
Dovevo avere una faccia stravolta. Ma non era certo perché mi dispiaceva che stesse danzando nel mio soggiorno. Mi mossi verso di lei.
«No. Resta, per favore.» Cassandra si voltò e mi guardò. Indicai il divano di fronte a lei. «Posso guardarti?»
Lei annuì e un accenno di sorriso si disegnò sulle sue labbra. Mi diede le spalle per accendere di nuovo la musica, ma subito tornò a guardarmi.
«Già che sei qui, ti va di aiutarmi con una presa?» Si morse il labbro, gli occhi grandi che mi fissavano in attesa.
La scrutai, incurvando gli angoli delle labbra all'insù. «Ma io non so ballare.»
«Non devi ballare, devi solo stare fermo e prendermi quando arrivo verso di te.»
Mmh. Mi alzai in piedi. «Dove mi metto?»
Cassandra si guardò intorno, mi prese per le braccia e mi portò vicino alla vetrata. «Resta fermo qua. Appena faccio questo movimento e allungo il braccio verso di te mi prendi qui.» Mi prese le mani e se le portò in vita. Una vita stretta, delicata. Il suo profumo intenso mi annebbiò il cervello. «Mi alzi, conti fino a tre e mi fai scendere. Ok?»
Annuii. Cassandra riaccese la musica. Fece alcuni passi e poi venne verso di me. Uno. Due. Allungò il braccio e io la presi. La tenni alta.
Uno. I muscoli della sua pancia si contrassero sotto ai miei pollici.
Due. Alzai la testa e la guardai, ferma in una posa, lo sguardo rivolto verso l'orizzonte, la faccia concentrata. Le mie braccia iniziarono a bruciare.
Tre. La riabbassai. Lentamente. Cassandra toccò a terra con i piedi e io non lasciai la presa sulla sua vita. Incontrò i miei occhi.
«Grazie» disse.
Il mio sguardo si velò e lei percepì il cambiamento. Il suo respiro si fece più corto. Volevo sbatterla sul divano e aprirle le gambe. Tolsi le mani dal suo corpo come se scottasse e feci un passo indietro.
«Sto uscendo» dissi, con voce dura. «Faccio tardi. Non mi aspettare.»
«Va bene» rispose lei, confusa dal mio cambio repentino di umore.
Io ero più confuso di lei.
Dovevo starle lontano.
Mi diressi in camera mia e presi il cellulare. Scrissi un messaggio nella chat di gruppo della squadra.
Qualcuno è disponibile a venire a casa mia stasera per fare compagnia alla ragazza che sto ospitando?
Io dovevo stare lontano da lei, ma non volevo che lei stesse sola un'altra sera.
Risposero in due.
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